Letteratura elettronica e sua traducibilità.

Verso una teoria della traduzione digitale

By Giovanni Nadiani (University of Bologna, Italy)

Abstract & Keywords

English:

Due to the scarcity of theoretical studies about the translation - or rather, the localization - of new esthetical products such as electronic literature, this paper aims at stimulating the debate about this branch of Theoretical Translation Studies, which doesn’t seem to be at all medium-restricted.  Many scholars who point out the necessity of new theories in order to grasp the continuos expansion and rapid transformation of the translation practice. Multimedia Translation should increase its autonomy as a specific area in the field of Translation Studies, but it should not be used to elaborate “a full, inclusive theory accommodating so many elements that it can serve to explain and predict all phenomena falling within the terrain of translating and translation” (Holmes 1998: 73). Rather, it may be instrumental in bringing forth some ideas that take into account what happens. In analogy with the differentiation made in studies on electronic literature I would like to suggest a distinction between digitized translation and digital translation, and in so doing to stress new theoretical implications.

Italian:

L’articolo intende approfondire alcune riflessioni di carattere descrittivo, terminologico e teorico su nuovi sistemi di archiviazione della letteratura nonché nuove forme espressive riconducibili per certi versi alla letteratura ma che impiegano tecnologie digitali. Constatando l’assenza di studi teorici attorno alla traduzione o, meglio, localizzazione di questi nuovi prodotti estetici, esso cerca, inoltre, di stimolare la discussione attorno alla stringente necessità di ampliare questa branca niente affatto medium-restricted dei Theoretical Translation Studies. Un ampliamento che, oltre a contribuire a dare una certa autonomia agli studi sulla traduzione multimediale, come area in qualche modo specifica nel campo dei Translation Studies, nell’ovvia impossibilità di elaborare una nuova e completa teoria, possa fornire però qualche spunto per una riflessione che si sforzi di cogliere quanto sta succedendo, stante la stringente necessità sentita da più parti di nuove impostazione teoriche atte a far fronte a una pratica traduttiva in continua espansione e rapidissima trasformazione.

Keywords: literary translation, traduzione letteraria, multimedia translation, traduzione multimediale, teoria della traduzione, translation theory, digital translation, traduzione digitale

©inTRAlinea & Giovanni Nadiani (2003).
"Letteratura elettronica e sua traducibilità. Verso una teoria della traduzione digitale", inTRAlinea Vol. 6.

This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/archive/article/1608

1. Premessa

Il presente scritto riprende e approfondisce alcune riflessioni di carattere descrittivo, terminologico e teorico sollevate da chi scrive anni or sono nell’indagare nuovi sistemi di archiviazione della letteratura nonché nuove forme espressive riconducibili per certi versi alla letteratura ma che impiegano tecnologie digitali; riflessioni derivanti anche da una pratica sperimentale in atto di traduzione di esempi di tale genere letterario.

Constatando l’assenza di studi teorici attorno alla traduzione o, meglio, localizzazione (cfr. Gambier-Gottlieb 2001: XV) di questi nuovi prodotti estetici – problema che, probabilmente, viene ad arricchire le implicazioni insite nella cosiddetta traduzione multimediale, intesa “come traduzione di testi con collocazione multimediale, cioè traduzione di componenti linguistiche appartenenti ad un ‘pacchetto’ di informazioni percepite contemporaneamente in maniera complessa” (Heiss 1996: 14) –  lo scritto intende, inoltre, stimolare la discussione attorno alla stringente necessità di ampliare questa branca niente affatto medium-restricted dei Theoretical Translation Studies (cfr. Holmes 1988: 67-80). Un ampliamento che, oltre a “contribuire a dare una certa autonomia agli studi sulla traduzione multimediale, come area in qualche modo specifica nel campo dei Translation Studies” (Nergaard 2000: 446), nell’ovvia impossibilità di elaborare una “full, inclusive theory accomodating so many elements that it can serve to explain and predict all phenomena falling within the terrain of translating and translation” (Holmes 1998: 73), possa fornire però qualche spunto per una riflessione che si sforzi di cogliere quanto sta succedendo (cfr. Baker citata in Gamal 1994: 16), stante la stringente necessità sentita da più parti di nuove impostazione teoriche [1] atte a far fronte a una pratica traduttiva in continua espansione e rapidissima trasformazione (cfr Austermühl 2001: 1-8).

2.Letteratura digitalizzata e letteratura digitale

Discutendo oltre un lustro fa (cfr. Nadiani 1997 e 1998; ora in Nadiani 2001: 131-180; 2000: ondine; 2002: 5-27), da un lato delle nuove forme di archiviazione e trasposizione digitale della letteratura “tradizionalmente intesa” su strumenti a essa “impropri” (cfr. Bernard 1998) e, dall’altro delle nuove esperienze di scrittura creativa ipertestuale (in particolare: poesia e forme brevi) informatizzata spesso associata alla multimedialità, e constatando l’assenza di un vero e proprio approccio critico a questi nuovi fenomeni, non solo da parte degli studiosi italiani, nel tentativo di fare un po’ di chiarezza si era proposta una sorta di prima tassonomia, che per comodità si riprende qui di seguito

Con riferimento a questa [ci si riferiva, tra l’altro, alla LIZ, Letteratura Italiana Zanichelli in CD Rom] e ad altre simili forme di digitalizzazione e di presentazione ipertestuale interessanti determinati generi testuali[2] si potrebbe parlare di letteratura digitale dura. Dura (ma non rigida), in quanto malleabile a fatica, «preparabile» informaticamente e sfruttante l’interattività solo entro certi limiti, legata spesso a supporti stabili a ipertestualità «read-only» (Cfr. Landow. 1995b: 9),  e comunque intangibile nella sua testualità autoriale.

D’altra parte si potrebbero catalogare tutte le altre esperienze creative attualmente in corso, richiamantesi in qualche modo alla letteratura ma «aperte», in modi e forme diverse, all’illimitata manipolabilità e potenzialità (ipermediale) data dai mezzi informatici, come letteratura digitale molle, in ovvia analogia col concetto di software, con l’elastico, anzi impalpabile insieme di linguaggi e programmi alla base della sua produzione. 

Tale «letteratura digitale molle» – schematicamente –comprenderebbe:

a) tutte le esperienze scritturali interattive e in rete di gruppo, da «jam session» per dirla con Eco (in sostanza la cosiddetta tree fiction[3] e possibili varianti[4]);

b) tutte le realizzazioni che, oltre alla scrittura, impiegano un’espressività multimediale sfruttando per intero le capacità dello strumento, siano esse (1) interattive, manipolabili (anche multimedialmente) nel senso della tree fiction e simili o abbandonate «surrealisticamente» al Text-generating-software[5];  (2) a interattività/manipolabilità (anche multimediale) parzialmente codificata – limitata dall’emittenza[6] - (quando l’inserimento creativo del lettore - utente sia possibile, ma entro certi schemi); (3) a interattività  (anche multimediale) totalmente codificata (quando questa sia possibile su percorsi – anche infiniti – ma prestabiliti dall’emittenza) e in assenza di manipolabilità [Nadiani 2002: 6-7].

Negli ultimi anni il dibattito critico e la “produzione” creativa si sono accesi in area anglosassone e, in particolare, in quella tedesca con esiti molto interessanti, attorno al “Wettbewerb für digitale Literatur” organizzato dalla casa editrice dtv e dal provider T-Online, ma soprattutto attorno al portale [url=http://www.dichtung-digital.org]www.dichtung-digital.org[/url] animato dallo studioso Roberto Sinawosky, cui si devono tre pubblicazioni che cercano di cogliere the state of the art.

Nella prima, Digitale Literatur (2001), egli discute in modo circostanziato tale nuovo mondo letterario. Nella seconda,  Literatur.digital – Formen und Wege einer neuen Literatur, raccoglie tutta una serie di riflessioni critiche di vari studiosi in margine all’edizione del 2001 del concorso citato, al rapporto tra la critica letteraria e le nuove forme di “presentazione” letteraria, al ruolo della ricerca universitaria tedesca in questo campo, nonché le dichiarazioni di poetica dei vincitori e dei segnalati del concorso (Simanowsky 2002a). Nella terza, infine, lo studioso tedesco, riprendendo concetti già esposti in precedenza nei volumi citati e in molti articoli in rete e entrando nel dettaglio del dibattito internazionale in corso, cerca di fondare una vera e propria estetica di queste nuove forme espressive, che egli raccoglie sotto il termine di Interfictions e che è anche il titolo del libro (Simanowsky 2002b).

Curiosa, ma non poteva essere diversamente, risulta la somiglianza tra la classificazione da me proposta in passato e quella avanzata da Simanowsky, sebbene questa sia più articolata teoricamente e più ampia negli esempi.

Egli infatti cataloga tutti quei fenomeni, che si erano visti come appartenenti alla “letteratura digitale dura”,  tra la digitalisierte Literatur [d’ora in poi: letteratura digitalizzata] (Simanowsky 2002b: 17), includendo invece nella digitale Literatur [d’ora in poi: letteratura digitale] quei fenomeni che si caratterizzano

durch Medienechtheit: Nicht der Tatbestand, sondern die Notwendigkeit der Existenz, und zwar nicht im Netz, sondern umfassender in den digitalen Medien, ist definitionsrelevant. Diese Bedingung kann verschiedentlich erfüllt werden. […] Ich sehe drei wesentliche Merkmale digitaler Literatur: Interaktivität, Intermedialität und Inszenierung. Mit Interaktivität ist die Teilhabe des Rezipienten an der Konstruktion des Werkes gemeint. […] Intermedialität als weiteres Wesensmerkmal digitaler Literatur markiert die (konzeptuell-integrative) Verbindung zwischen den traditionellen Ausdrucksmedien Sprache, Bild, Musik. […] Inszenierung steht für die Programmierung einer werkimmanenten oder rezeptionsabhängigen Performance. Dem digitalen Werk können auf seinen unsichtbaren Textebenen Aspekte der Aufführung eingeschrieben werden, so daß die Worte und Bilder ihren Auftritt haben (Simanowsky 2002b: 17-19)[7].

La sua definizione conclusiva di letteratura digitale è la seguente:

Digitale Literatur ist eine künstlerische Ausdrucksform, die der digitalen Medien als Existenzgrundlage bedarf, weil sie sich durch mindestens eines der spezifischen Merkmale digitaler Medien – Interaktivität, Intermedialität, Inszenierung – auszeichnet (Simanowsky 2002b: 20)[8].

Chiedendosi, come già altri (cfr. Nadiani 1997; 1998 e 2002; Benne 1998;  Zimmer 1998), se nel caso di quanto è stato definito letteratura digitale ci si trovi di fronte solo a un nuovo genere (cfr. Eco 1998) o non si debba piuttosto mettere in dubbio la sua appartenenza al sistema letterario e creare una nuova casella nel sistema di classificazione delle arti in genere, Simanowsky arriva a proporre la definizione di Interfictions, ponendo l’accento sugli elementi tipicamente “narrativi” a disposizione della parola, delle immagini filmiche e dei suoni, legati tra di loro dall’elemento determinante “inter”, caratterizzante i media digitali, e con una strizzatina d’occhi alla popolarità di uno di questi media (cfr. Simanowsky 2002b: 22-23).

Prescindendo per il momento dalle differenti classificazioni e definizioni, risulta importante rilevare che, se nel campo “primario” della produzione di letteratura digitale la discussione critico-teorica ha fatto passi da gigante (cfr. la bibliografia generale in Simanowsky 2002b: 179-197), quella relativa alle implicazioni che la trasposizione di tale letteratura, nata in una ben determinata area culturale (e linguistica), in un’altra cultura-lingua, a parte qualche isolata proposta (cfr. Nadiani 2002), sembra ancora di là da venire.

3. La traduzione della letteratura digitale

3.1. Assenza di mercato, assenza di studi, necessità della riflessione

Il suo essere attualmente relegata, nelle varie aree linguistiche (e quella statunitense e tedesca si dimostrano molto vivaci e appassionate nonostante il disincanto sopravvenuto dopo l’euforia dei primi momenti[9]) in una nicchia di sperimentazione, e la conseguente assenza di un segmento di mercato “editoriale” per ciò che si è definito letteratura digitale (da non confondere col mercato quasi soffocato sul nascere dei cosiddetti “e-books”, rientranti nella forma attuale a tutti gli effetti nella letteratura digitalizzata) e, come ovvio corollario, l’assenza di un mercato della sua traduzione non può non influenzare negativamente la riflessione critica su quest’ultima; anzi gli studiosi del settore, a fronte della mole esistente di studi dettagliati sui vari aspetti della traduzione multimediale, proprio non sembrano essersi ancora accorti di essa. Eppure per quanto si possa essere restii ad affrontare la materia, probabilmente vista come marginale o poco “sentita” in ambiti accademici, si è propensi a pensare che un certo sforzo debba comunque essere fatto, perché se da un lato il racconto della letteratura non si è mai lasciato sfuggire occasione alcuna per battere nuove strade, che hanno contribuito ad arricchire le vecchie (si pensi solamente al genere del radio play o Hörspiel e a quanto questo abbia di converso influenzato ai vari livelli i diversi generi per molti decenni del secolo scorso) trascinando con sé per forza di cose il racconto parallelo della traduzione; dall’altro il riflettere sugli esiti sempre nuovi di questo racconto secondo contribuisce alla sua continua riconfigurazione.

3.2. La traduzione della letteratura digitale: sottogenere della traduzione multimediale, localizzazione o traduzione digitale?

Tenendo ferma la già menzionata e onnicomprensiva definizione di traduzione multimediale data da Heiss (1996) e considerando, come è già stato ripetutamente osservato da più parti, che con le nuove tecnologie “cambia lo spazio della comunicazione e la forma dei testi, e questo ha   chiaramente delle implicazioni importanti per la pratica della traduzione” (Zanettin 1999: online), in generale, nell’osservare molte delle opere disponibili di letteratura digitale[10] sorge spontanea la domanda se essa riesca a “coprire” tutti i fenomeni traduttivi presenti nella trasposizione di tali opere da una lingua-cultura in un’altra, o se, data la singolare caratteristica “tecnica” delle opere[11], essi non rientrino piuttosto a tutti gli effetti nella cosiddetta localizzazione (di software), seppure di tipo particolare, cioè a forte valenza estetica.

Poiché se è vero che la letteratura digitale spesso consiste di testi che si uniscono a suoni, immagini, filmati ecc., come in tanti altri prodotti multimediali, essa oltre a essere interattiva, intermediale e inscenata, cioè spesso solo temporalmente programmata per essere una performance conclusa o aperta ecc. e dipendente dal fruitore, è pur vero che si basa su linguaggi “sottostanti” particolari che, affinché il prodotto letterario digitale possa essere recepito compiutamente in un’altra lingua-cultura in tutte le sue componenti estetiche, devono essere per forza di cose, al pari di qualsiasi altro software, adattati all’orizzonte d’attesa del potenziale ricevente, che come mai prima significa orizzonte d’uso.

Tra le varie definizioni di localizzazione, vediamone due; la prima di uno studioso, la seconda tratta dal manuale pubblicato da un’azienda di prodotti per la localizzazione, la “lingo-systems” in collaborazione con l’American Translators Association:

[Unter Lokalisierung versteht man] die Anpassung eines Produkts (oder einer Dienstleistung) und zugehöriger Dokumentation an die Kultur eines konkreten fremden Marktes mit dem Ziel der Vermarktung. Im engeren Sinne handelt es sich bei der Lokalisierung um die landesspezifische Anpassung bestimmter Variablen eines internationalisierten Produktkerns im Rahmen einer unternehmenspolitischen Globalisierungsstrategie des Produktanbieters (Schmitt 1999)[12].

Localization: The process of customizing a product for consumers in a target market so that when they use it, they form the impression that it was designed by a native of their own native country (Watkins e altri 2002: 4).

Nel frattempo tale concetto, pur risultando sempre valido, nel suo uso vulgato ha subito una sorta di spostamento semantico, trovando dapprima grande applicazione alla traduzione di siti web e venendo successivamente quasi a combaciare con la più propria definizione di localizzazione di software, stante la crescente e strabiliante importanza di questo settore nel cosiddetto mercato dell’informazione e, non secondariamente, della traduzione[13]. Per una qualsivoglia azienda incaricata di localizzare un determinato tipo di prodotto

gestaltet sich der Gesamtprozeß dabei je nach Aufgabenbereich mehr oder weniger umfangreich, von der bloßen Übersetzung der Texte auf der Verpackung bis zur Komplettlokalisierung, d.h. der zielkulturellen Anpassung von Software, elektronischen Beispieldateien, Lernprogrammen, Online-Hilfen und gedruckter Information[14] (Gerhardt, S. 1999: 213. Enfasi mia).

Ovvero:

Localizing software and Web sites involves the translation of application software, online documentation (such as Help files and Web pages), and related applications from a source language into a target language (Weiss 2002: 38).

Accanto ai processi di localizzazione di software troviamo quelli di internazionalizzazione[15], che sollevano, tra l’altro, questioni stringenti sui possibili effetti prodotti sull’“oggetto originale”[16]. Che cosa significa, infatti, per il cosiddetto “originale” portare già inscritta nei propri “cromosomi” (source code, cfr. nota 11) la possibilità del diverso, del traducibile, del localizzabile? Che cosa significa questa sua predisposizione di partenza, “innata”, a diventare l’altro? Questo suo contenere in sé ex ante la propria “sopravvivenza” nella trasformazione, per dirla con Benjamin?[17] E questa attitudine innata non potrebbe essere forse un ponte che serve ad abbattere la distanza tra la sacra aura dell’originale e il suo prodotto in traduzione?

E se ci spostiamo a trattare le implicazioni legate quasi sempre all’esistenza, accanto all’autore ovvero agli autori di “superficie” di quelli, diciamo così, “profondi”, stante una sorta di Computeranalphabetismus (Kittler 1996)[18] da parte di scrittori e lettori di letteratura digitale e, dall’altra parte, dei relativi “traduttori”[19], questi – per restare in metafora – non si trovano forse sul quel ponte, contemporaneamente così vicini alle due sponde come mai prima, ma in particolare a quella originale? Non diventano essi effettivamente, seppur parzialmente, autori-paralleli?

Tenendo presente tutti questi fattori, da cui discendono non poche implicazioni teoriche anche per altri tipi di “testo”,  e pur constatando che anche nella traduzione-trasposizione di prodotti multimediali più “tradizionali”, come nel doppiaggio e sottotitolaggio cinematografico, intervengono sostanziali manipolazioni tecniche di varia natura, anche digitale, mi sembra che nel caso della letteratura digitale ci si trovi di fronte a un notevole salto di qualità.

Con riguardo soprattutto alle indispensabili informazioni sottostanti che permettono al “pacchetto” informativo di superficie di essere veicolato e percepito contemporaneamente in modo complesso (cfr. Heiss 1996), penso che più che di traduzione multimediale sia ormai pertinente parlare di localizzazione multimediale o, meglio, di traduzione digitale, insistendo volutamente sul primo termine del sintagma per sottolineare la centralità dell’elemento linguistico, senza il quale non può darsi letteratura.

4. Traduzione digitalizzata vs. traduzione digitale?

Forse è giunto il momento di cercare di portare un po’ d’ordine classificatorio in ambito traduttivo elettronico o, almeno, chiedersi se ciò sia possibile, vista la varietà e il complesso intersecarsi dei fenomeni; se cioè per analogia, sia possibile e utile distinguere tra fenomeni di traduzione digitalizzata e di traduzione digitale, impiegando parametri simili a quelli illustrati sopra.

Da una certa prospettiva teorica è senz’altro possibile identificare prodotti traduttivi esclusivamente digitalizzati, rientranti cioè in quella categoria testuale-digitale read only in precedenza definita come “dura”, sia offline sia online. Nel momento in cui però, nella pratica quotidiana dell’Information Age, ogni testo da tradursi viene elaborato elettronicamente, cioè tradotto in formato digitale, anche se non necessariamente destinato a essere immesso in rete o su un supporto digitale, e il traduttore si serve di tutti quegli strumenti che la tecnologia digitale gli mette a disposizione per evadere nel miglior modo possibile la consegna datagli (come l’uso di banche dati terminologiche, memorie traduttive, corpora, ecc.), è ancora di una qualche utilità tale distinzione? Non sarebbe forse più opportuno, pur consci delle varietà di prodotti traduttivi e delle notevoli differenze esistenti tra i diversi processi e le molteplici realizzazioni, a fronte del continuo aggiornamento della strumentazione a disposizione del traduttore e in presenza di un uso esponenziale dei sistemi di Traduzione Automatica e di Traduzione SemiAutomatica (cfr. Trujillo 1999: 267-268) parlare,  se non altro per comodità, esclusivamente di traduzione digitale? (cfr. Zanettin 1999: online).

Sulla base di tutto quello che si è detto finora si crede, invece, che una qualche distinzione vada fatta, proprio per la necessità di cogliere anche terminologicamente operazioni, come quella della traduzione di letteratura digitale, che denotano uno spettro di problematiche fortemente connotato.

4.1. La traduzione digitale

Sulla scia di quanto fatto a proposito della letteratura digitale, si potrebbe pertanto tentare di circoscrivere in modo abbastanza univoco la traduzione digitale[20], relegando, di conseguenza, in modo altrettanto netto tutti gli altri processi nella traduzione digitalizzata.

Tenendo a mente la concezione di stampo semiotico di “testi”[21] prospettata da Hodgson (2000), nonché quella di “traduttore” come figura plurale inglobante molteplici competenze e abilità (cfr. Nadiani 2001: 179-180), ma in primis quelle linguistico-culturali, si è a proporre la seguente definizione:

per traduzione digitale si intende la preparazione e il trattamento di un testo da parte di un traduttore attraverso strumenti esclusivamente digitali per un ricevente di un’altra lingua-cultura in grado di fruire di quel testo esclusivamente attraverso strumenti digitali.

Un’operazione, questa, particolarmente complessa, delicata e ad alta responsabilità poiché interviene in modo sostanzialmente nuovo e di difficile gestione da parte del traduttore – anche nella sua dimensione di “figura plurale” – in ciò che Venuti, sulla scia di Robyns (1994: 407) intende come “addomesticamento”, l’adattamento locale di un testo straniero: “[…] translating, by definition, involves the domestic assimilation of a foreign text. This means that the work of translation must inescapably rely on cultural norms and resources that differ fundamentally from those circulating in the domestic culture” (Venuti 1998: 80), ampliando a dismisura le problematiche connesse all’assimilazione etnocentrica del “testo” ovvero alla sua limitazione a favore della sua arricchente stranezza/estraneità (cfr. Berman 1992: 5; 1995: 92-94).

E tutto quanto illustrato sopra in che misura influisce sul processo generativo-traduttivo e su quello ricettivo? Non ci troviamo di fronte a uno scompaginamento dei tantissimi criteri – di carattere teorico, culturale, pragmatico ecc. – adottati finora nel cercare di cogliere tale opera di mediazione?

Qui di seguito vengono sommariamente abbozzate alcune questioni legate alla definizione data, che sostanzialmente al momento attuale travalicano in buona parte il campo della traduzione di letteratura digitale per investire invece in pieno il lavoro di traduzione di tanti altri generi testuali di “consumo”, lasciando la disamina dettagliata delle stesse a un intervento successivo.

5. Verso una teoria della traduzione digitale

Se sotto l’aspetto della formulazione di modelli generali per la traduzione o di modelli della sua analisi generale i diversi approcci d’impostazione semiotica sembrano fornire l’inoppugnabile involucro retinato in cui avviene qualsiasi operazione traduttiva, e tanto più quella relativa a tipi di testo nel senso citato (cfr. Nergaard 2000: 431-449; Stecconi, a: online; Stecconi, b: online), guardando meglio tra le maglie a bassa definizione del retino, si scorgono diverse questioni che meritano una messa a fuoco, senz’altro parziale e inevitabilmente frammentata, ormai improrogabile. Questioni complesse, il cui studio in molti casi è appena iniziato (cfr. Soffritti 2000: 295), che sembrano dilatare all’infinito il concetto stesso di (multi)media translation e a metterne in dubbio la rilevanza per gli studi sulla traduzione (cfr. Gambier-Gottlieb 2001: XIX), a cui si aggiungono quelle sollevate da alcune specificità della traduzione digitale (e, in buona parte, anche digitalizzata) frammentando ulteriormente il quadro. Ma non sarà forse questo il faticoso cammino obbligato di nuovi studi teorici sulla traduzione?

La traduzione digitale, pur condividendo con le altre forme di traduzione multimediale oltre alla dimensione multimodale altre caratteristiche[22], evidenzia specificità che comportano probabilmente una “professional fragmentation” (Pym 2001: 282) ma che altresì sottolineano la centralità di certi ruoli. Tali specificità toccano primariamente, almeno, i seguenti fattori:

-  la figura ossimorica del traduttore-localizzatore, “source-target-oriented”, in qualità di esperto di complessità interculturale (interlinguistica e intersemiotica);

-  lo statuto del testo di partenza (originale) e di quello d’arrivo (oggetto traduttivo) e i relativi significati;

-  il processo generativo-traduttivo;

-  il ruolo della lingua, dei codici di “superficie”, di quelli “profondi” e delle loro interazioni;

-  i “contesti culturali” generativo-traduttivi e ricettivi;

-  il quadro della ricezione: percezione-comprensione, interattività immanente all’oggetto traduttivo ma guidata, compartecipazione performativa (spazio di creatività personalizzato) ecc. del ricevente

I seguenti grafici, utilizzando – per restare in argomento – la metafora delle finestre, cercano di schematizzare quanto è stato appena detto.

 


Consideriamo “A” come “Originale” (immagine 1), cioè come testo digitale nella sua natura sincretica pensato per un ricevente in movimento primariamente dentro un determinato contesto linguistico-culturale, seppure all’interno di interconnessioni reticolari potenzialmente infinite ma per forza di cose con enfasi su quelle più locali. Saltando la scontata (ma non meno complessa) opera di traduzione che potrebbe essere raffigurata con un grafico rispecchiato, dove ad “A” si va a sostituire “B”, se ci concentriamo più proficuamente per il discorso che si va facendo sull’immagine 2,  “AB” può vedersi come realizzazione di un simultaneo processo generativo di “A” e di sua localizzazione-internazionalizzazione ovvero di traduzione digitale (“B”). In questo secondo grafico – una sorta di piramide maya – si vede come il traduttore, nel senso dato, compartecipi fin dall’inizio all’atto creativo, che si dà in una interconnessione reticolare, dominata – detto in modo grossolano – dal flusso di una fascicolata lingua-cultura franca[23] (è inutile nascondersi dietro a un dito), identificabile con un preciso sovrasistema economico, che non essendo fondato su alcuna significazione simbolica particolare ed essendo capace, al contrario, di appropriarsi indifferentemente di ogni simbolo, lo ricodifica secondo le sue finalità e le sue procedure di semiotizzazione[24]. Tale lingua-cultura franca, tuttavia, implica ex ante operazioni di traduzione poiché, come reazione naturale, al suo interno si manifestano dinamicamente e tenacemente quei “set[s] of factors creating resistance to the movement of information, sets of factors that alter the status of information as it is moved” (Pym 2001: 278) che concorrono a definire le singole culture[25]. Questa compartecipazione del traduttore sembra spostare la sua posizione – nella realtà dei fatti e per la stragrande maggioranza dei generi testuali, funzionalistica, target oriented –  sul “ponte” della comunicazione in modo significativo verso “A” accrescendo nel contempo la sua responsabilità in qualità di intermediario culturale, che mit-denkt in partenza le specificità di “A” e quelle di “B”. Questi testi, pur consci delle loro peculiarità, si attraggono reciprocamente nelle loro individualità come mai prima: “A” si muove all’interno di uno spazio generativo, che sa già diventare condiviso con “B”, venendo probabilmente in qualche modo condizionato dalla vicinanza di questi. “B”, a sua volta, sarà attratto naturalmente da “A” senza mai confluire in esso perché “programmato” dal traduttore per mantenere la sua alterità. Insomma: più che a una sostituzione di B ad A ci troviamo di fronte a una sorta di ossimoricamente compresenza di A e B.

Nel caso di opere letterarie digitali e col senno e il gusto estetico di oggi (senza escludere possibili e decisivi spostamenti anche di questi parametri) sarà il caso, tuttavia, di attenuare considerevolmente tali considerazioni, date l’inamovibilità della necessità autoriale primaria e le pretese di unicità dell’opera.

È qui, comunque, che emerge in tutta la sua rilevanza il ruolo del traduttore come esperto di complessità intersemiotica e interculturale. Se di necessità, vista la poliedricità della materia, ci troviamo di fronte – come detto ripetutamente – a un traduttore plurale, a una sorta di équipe traducente ai cui membri è richiesto di disporre di competenze e abilità che si integrano reciprocamente e di cui nessuno all’interno del gruppo, per la natura stessa degli “oggetti traduttivi”, può/deve essere completamente a digiuno, dal quadro che si è delineato sembra emergere, tuttavia, anche la vecchia figura del traduttore singolo. Costui porta sì come corredo conoscenze teoriche e competenze e abilità di carattere tecnologico tali da poter fungere da ottimo “suggeritore” per i gestori dei “codici profondi” – poiché si è propensi a pensare che questi non siano semplicemente la carta e penna del caso – nonché quelle presiedenti la gestione e l’interazione di più ambiti semiotici (in particolare tra la lingua e gli altri codici), ma soprattutto dimostra di sapersi muovere con estrema sensibilità, nuanciert, tra i vari flussi e interstizi in gioco, dove le più sottili diffrazioni risultano importantissime, di quell’unico ampio inventario di habitat di significato che è la cultura[26] (cfr. Hannerz 2001: 28-29).

E in questa operazione definita traduzione digitale nel quadro delineato sarà da riconsiderare attentamente il ruolo creativo del ricevente, poiché in fin dei conti è per lui che si traduce. Egli, condizionato nella percezione-comprensione dalla stessa strumentazione, viene contemporaneamente sfidato in forme sempre più pressanti a quel gesto reattivo che solo completa la performance, a quel – per tornare alla letteratura – ben noto, seppur sotto vesti nuove, “atto della lettura” di iseriana memoria (cfr. Iser 1976). Un aspetto, anche questo, tutto da studiare. E, una volta lasciato il campo dei generi testuali traduttivi di “consumo”, sarà egli disposto, al pari del ricevente di “A”, a stare al gioco di “B” in vista di una nuova e diversa ästhetische Erfahrung (Jauß 1977) stante la limitatezza e non espandibilità oltre un certo limite del tempo mentale a fronte della sempre più densa stratificazione dell’infosfera?
Il ciberspazio è un rizoma neurotelematico, cioè una rete non gerarchica e non lineare, che collega menti umane e dispositivi elettronici. Esso ha un carattere di illimitata estensibilità. Il cibertempo al contrario non è illimitatamente estensibile perché esso è collegato con l’intensità dell’esperienza che l’organismo cosciente dedica a elaborare informazioni che provengono dal ciberspazio […]. Oltre un certo limite l’accelerazione dell’esperienza provoca una riduzione della coscienza dello stimolo, una perdita di intensità che concerne la sfera dell’estetica, della sensibilità, e anche della sfera etica (Berardi 2001:26-27).

Continuando a dare estrema fiducia alla buona “vecchia” scrittura, senza negarci in alcun modo all’esperienza estetica del nuovo in letteratura, ci si chiede se non dovremo forse attendere, per ciò che si è cercato di definire come letteratura e traduzione digitali, lettori e traduttori di nuova generazione dotati di un’altra programmazione neurologica, psichica e relazionale.

Riferimenti bibliografici

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Note

[1] “Le possibilità di variare e manipolare il documento elettronico contenente la traduzione sono numerosissime e ancora in parte inesplorate, sottostimate e comunque sottoutilizzate. I miglioramenti e le innovazioni nei componenti tecnici e nel software, nei collegamenti telematici e nell’integrazione ipermediale si succedono infatti con un ritmo molto serrato e il grande pubblico non è sempre in grado di prevederne l’arrivo e di valutarne la portata. Ancora più ritardata è inevitabilmente la revisione della teoria che ne discende, o che ne dovrebbe discendere. Mentre fioriscono ormai gli studi sulle recenti mutazioni del concetto di autore in letteratura, non si è detto quasi nulla come sia mutato, o stia per mutare, il concetto di soggetto traducente, di processo traduttivo e di prodotto della traduzione, insieme al suo uso, alla sua valutazione e al suo aggiornamento” (Soffritti 2000: 295-296; cfr. anche Stecconi, a: online).

[2] Certe linee di tendenza dell’attuale mercato editoriale fanno prevedere inizialmente eventuali investimenti in questo settore verso l’oggetto «best seller» spesso di stampo internazionale (versione ipermediale di libri di successo); o per i grandi classici; verso il romanzo di genere a larga diffusione tra il pubblico più giovane e «informatizzato»; fors’anche però verso certi sottogeneri, quali la prosa breve, il frammento, la poesia ecc., che proprio per la sinteticità degli «oggetti da tradursi» sembrano adattarsi alle nuove tecnologie meglio di altri generi narrativi. Questa ipotesi si può ricavare tenendo in considerazione quanto elaborato da Michel Bernard a proposito della tarsposizione della letteratura su supporti e con strumenti ad essa «impropri» (cfr. Bernard, 1998).

[3] «Narrativa ad albero» teoricamente ramificantesi ad libitum.

[4] Come ad esempio il RengaNet, consistente in un’interfaccia di lettura e scrittura di gruppo sviluppata con una tecnologia Java. “In sostanza il progetto propone un percorso individuale di fruizione dell’opera all’interno di parti della stessa, scritte da altri fruitori. In questo modo ogni lettore-autore ha la possibilità di attaccare (come ormai il gergo impone) parti di scritti originali a testi già esistenti con una formula di crescita a raggiera dell’opera stessa” (D’Orsi, 1998).

[5] “Programs which automatically arrange words and images” (Funkhouser, 1996).

[6] Si preferisce impiegare tale termine al posto del fuorviante «autore», vista la grande competenza necessaria, nei più svariati campi (scrittura, grafica, suono, video, programmazione ecc.), per poter produrre «opere» di tal genere abbastanza degne.

[7] “… per l’autenticità degli strumenti mediatici: non lo stato di fatto ma la necessità dell’esistenza, e non tanto nella rete, bensì in modo più ampio nei mass media digitali è rilevante ai fini della definizione. Questa condizione può essere soddisfatta in modi diversi […]. Io vedo tre caratteristiche principali della letteratura digitale: interattività, intermedialità e messa in scena. Per interattività si intende la partecipazione del ricevente alla costruzione dell’opera. L’intermedialità, in quanto ulteriore peculiarità della letteratura digitale, sottolinea l’unione (di carattere concettuale-integrativo) tra gli strumenti espressivi tradizionali quali la lingua, le immagini e la musica. […] La Messa in scena designa la programmazione di una performance immanente all’opera ovvero dipendente dalla ricezione. Nei piani testuali invisibili dell’opera digitale possono essere inscritti aspetti della rappresentazione in modo che le parole e le immagini abbiano la loro entrata in scena” (Traduzione mia).

[8] “La letteratura digitale è una forma espressiva artistica che presuppone come base della sua esistenza i media digitali, in quanto essa è caratterizzata da almeno una delle peculiarità dei media digitali: interattività, intermedialità, messa in scena”.

[9] In un recente articolo apparso su “Der Spiegel” gli autori, facendo di ogni erba un fascio e non distinguendo assolutamente tra le esperienze di scrittori che si servono saltuariamente del Web per pubblicare i loro scritti pensati per la stampa e le forme di letteratura possibili solo a partire dalle nuove tecnologie, constatavano la generale caduta di interesse per la letteratura in Internet e l’impossibilità di farne un’attività remunerativa per gli autori (cf. Petersen-Saltzwedel 2002: 178-180).

[10] Un piccolo campionario facilmente reperibile è il CD allegato al libro curato da Simanowky 2002a, per la cui consultazione esaustiva è necessario collegarsi a Internet; mentre per un più vasto repertorio di opere in tedesco e in inglese si consulti la citata bibliografia di Simanowsky 2002b o i rimandi reperibili al sito [url=http://www.dichtung-digital.org]www.dichtung-digital.org[/url]

[11] “Digitale Ästhetik ist in hohem Maße Technikästhetik ” (Simanowsky 2002b: 146). [“L’estetica digitale è in grande misura estetica della tecnica”].

[12] “[Per localizzazione si intende] l’adattamento di un prodotto (o di un servizio) e della rispettiva documentazione alla cultura di un concreto mercato straniero ai fini della sua commercializzazione. In senso stretto, nel processo di localizzazione si tratta di adattare determinate variabili di un nucleo internazionalizzato di prodotto, nell’ambito di una strategia globalizzante di politica imprenditoriale da parte dell’offerente quel dato prodotto”.

[13] Per una descrizione esaustiva della “rivoluzione” avvenuta nell’ultimo decennio nel mondo del mercato della traduzione si veda “Translation in the information age” in Austermühl 2001.

[15] “l’intero processo si organizza in maniera più o meno ampia a seconda delle sfere di competenza, dalla semplice traduzione dei testi sulla confezione fino alla localizzazione integrale, cioè l’adattamento alla cultura d’arrivo del software, di file esemplificativi, di programmi d’apprendimento, di assistenti online e di informazioni a stampa”.

[15] “Bringing your software product to an international market is a two-part process: first the software must be internationalized and then it is localized. Software internationalization involves the preparation of your original source code for the localization process. […] Software internationalization is the process of developing software products (or re-engineering already developed software) with the global market in mind”. (Van Grunsven 2002: 42).

[16] Superando lo scoglio psicologico di derivazione umanistica, parlando di localizzazione mi permetto di usare una terminologia più adeguata al commercio che non all’arte, ma tant’è.

[17] “Poiché nella sua sopravvivenza, che non potrebbe chiamarsi così se non fosse mutamento e rinnovamento del vivente, l’originale si trasforma” (1962: 43. Traduzione di Renato Solmi).

[18] “Der digitale Code fungiert in den meisten Fällen als Geheimsprache, die nicht verstanden, geschweige denn beherrscht wird. Die Produktion und Rezeption digitaler Kunst vollzieht sich zum Großteil im Rahmen des Computeranalphabetismus, dem mit Softwareentwicklern und Informatikern eine ‘neue Kaste von Literati’ (Flusser 1992: 51) gegenübersteht” (Simanowsky 2002: 147).

[19] « Un testo elettronico è un testo a due strati: un primo livello di superficie (quello che si vede sullo schermo di un computer e si sente dagli amplificatori) e un livello profondo (i codici che definiscono la natura degli oggetti che compongono il testo virtuale). […] La traduzione presuppone una lettura profonda dei testi, in questo caso da intendersi non solo come lettura critica, ma anche come capacità di manipolare l’oggetto digitale che è il testo, di capirne il funzionamento e il contesto tecnologico » (Zanettin 1999).

[20] La problematicità e la discutibilità dell’impiego del termine “traduzione” a proposito di determinate operazioni di trasposizione semiotica è già stata sollevata da più parti: Eco, ad esempio, propone di distinguere tra diversi tipi di trasposizione quali adattamento, trasposizione, esecuzione (cfr. Nergaard 2000: 433-434). Permanendo, tuttavia, centrale l’elemento linguistico negli oggetti traduttivi in questione, come già rilevato, si opta per il termine più vulgato.

[21] “For audiovisual or new media translators Peircean semiotics allows them to conceptualize texts as more than just an assembly of lexical units called words. It justifies rather the view that texts are collections of signs – for example, verbal, sonic, visual, cultural, performative – whose meanings(s) a translator must tease out of a text using a variety of strategies and media (Hodgson 2000: 140. Enfasi mia).

[22] Secondo Gambier-Gottlieb queste sono: “(1) Teamwork is crucial […]; (2) Translators often work with intermediate ‘texts’ (scenarios, skripts, drafts), which tend to defy the traditional dichotomy between source and target text. […]. (3) Criteria applied to audiovisual and multimedia translation are comprehensibility […], accessibility and usability. (4) Finally, the above characteristics have implications for training […]”. (Gambier-Gottlieb 2001: XI-XII).

[23] Altri parlano di Referenzsystem: “Immer mehr Menschen beziehen sich heute auf eine wachsende Anzahl universeller Kategorien, Konzepte und Standards sowie überall verfügbarer Waren und Geschichten” (Breidenbach-Zukrigl 2000: 206). [“Sempre più persone oggigiorno fanno riferimento a un crescente numero di categorie universali, concetti e standard nonché a merci e storie disponibili ovunque”].

[24] “Le tecnologie di comunicazione istantanea hanno prodotto una circolazione estremamente rapida e pervasiva dei flussi immaginari che modellano la psiche sociale […]. Ma questo non significa che nel mediascope globale l’omologazione prevalga. Il capitalismo non funziona essenzialmente come omologazione, ma funziona come potenza di sovradeterminazione semiotica […]. Il capitalismo realizza il suo dominio non solo omologando i bisogni e le attese di consumo, ma soprattutto attraverso la risemiotizzazione delle forme culturali identitarie” (Berardi 2001: 151-152].

[25] “Die Globalkultur ist kein machtfreier Raum, in dem jeder höflich um seine Meinung gebeten wird. Jede Differenz muß ausgehandelt, die eigene Position verteidigt werden, und wer nicht laut genug schreit, geht unter. Globalkultur ist nicht unter gleicher Partezipation aller Kulturen entstanden und fördert auch nicht automatisch die Entwicklung hin zu einer faireren Welt” (Breidenbach-Zukrigl 2000: 207). [“La cultura globale non è uno spazio senza rapporti di forza, in cui ciascuno viene gentilmente invitato a dire la sua opinione. Ogni differenza deve essere contrattata e la propria posizione difesa, e chi non urla abbastanza forte, soccombe. La cultura globale non è sorta con la partecipazione equanime di tutte le culture e perciò non promuove automaticamente lo sviluppo di un mondo più leale”].

[26] Ovviamente i termini “cultura” e “culturali” meritano una discussione e una precisazione che esulano dalla portata delle presenti note.

About the author(s)

Giovanni Nadiani (✝2016) completed a PhD in Translation Science at the University of Bologna and was a tenured researcher & lecturer in German Translation at the Department of Interpreting and Translation of the University of Bologna. Giovanni was also a prolific poet, playwright and author, and was widely viewed as one of the best dialect poets in Italy. His reputation was such that his works were translated into German, Flemish and Catalan (among others) and he was awarded a number of literary prizes both in Italy and abroad. Giovanni was also a founding member of Intralinea and acted as coordinating editor for a number of years.

©inTRAlinea & Giovanni Nadiani (2003).
"Letteratura elettronica e sua traducibilità. Verso una teoria della traduzione digitale", inTRAlinea Vol. 6.

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