Alla luce d’inverno. Pensieri sotto le nuvole

Philippe Jaccottet (1997)

Traduzione e cura di Fabio Pusterla, Marcos y Marcos, Milano

Reviewed by: Fabio Zinelli

Philippe Jaccottet appartiene a quella famiglia oggi sempre più sottile di poeti che potremmo definire figurativi. Nella sua scrittura non manca un livello metaforico, ma la metafora si attesta su un piano descrittivo, come accade in certa critica d'arte non accademica. La riprova risiede nell'intimo rapporto che lega Jaccottet poeta a Jaccottet occasionale critico d'arte su cui ha scritto pagine intelligenti Dominique Kunz (Critique d'art et critique de l'image chez Bonnefoy et Jaccottet, in "Equinoxe", n. 18 Automne 1997). Per tutto questo il traduttore ideale di Jaccottet in italiano sarebbe stato Attilio Bertolucci, massimo nostro figurativo (e longhiano) e che figura, per alcune poesie, tra gli italiani tradotti proprio da Jaccottet. Pusterla ha però un carnet di diritti in più: per via della comune cittadinanza (il volume è pubblicato col contributo della "Pro-Helvetia"), e per il diritto del giovane sul vecchio, alla ricerca di un'investitura (definitiva) da conquistare. Certo le corde stilistiche della poesia di Pusterla vibrano su altra dominante di segno che la critica definisce come espressionista, ma sulle alee della traduzione, e non solo linguistiche ma consuetudinarie e di diritto, è fondata l'esistenza stessa della Svizzera.

Le due raccolte A la lumière d'hiver, Pensées sous les nuages, apparse rispettivamente nel 1977 e 1983, furono riunite nel 1994 in un solo volume nella collana di poesia di Gallimard. Sono secondo le parole stesse dell'autore due libri di lutto. Se la presenza della morte nella poesia di Jaccottet si giustifica fin dagli inizi, a partire da certi passaggi dell'Effraie, come una nicchia di inquietudine scavata all'interno di un tenace classicismo, ora, a partire dall'occasione del compianto funebre, intervengono la riflessione sulla vecchiaia e la rappresentazione come Winterreise, attraversamento del paesaggio e della stagione invernali. Per illustrare la centralità del paesaggio nella poesia di Jaccottet è un vero manifesto la prosa di apertura di Paesaggi con figure assenti (1970, traduzione italiana di Fabio Pusterla, Locarno, Dadò 1996):

Da molti anni, ormai, non ho praticamente cessato di ritornare a questi paesaggi che sono anche il mio luogo di soggiorno. Temo anzi che si finisca per rimproverarmi, se già non avviene, di cercarvi un rifugio contro il mondo e contro il dolore, e del fatto che gli esseri umani, e i loro affanni (più visibili e più tenaci delle loro gioie) non contino abbastanza ai miei occhi. Eppure mi sembra che, leggendo con attenzione questi testi, vi si dovrebbe trovare una smentita quasi totale di questa obiezione. Poiché non parlano mai d'altro che di ciò che è reale (sia pure solo un frammento del reale) ...

e fin qui come giustificazione etica della rappresentazione (si chiude la stessa prosa con impresa ungarettiana: "Tanto vale rimettersi in cammino ...").

Adesso lo sguardo è fatto più acuto dalla vecchiaia. À la lumière d'hiver si apre con la sezione Leçons in sé straordinariamente coesa (in termini di circolarità: la prima poesia —dopo il prologo, e ultima poesia aprono e chiudono sulla stessa parola, raisins) già apparsa in coda al volume Poésies del 1967. E' chiaro dal testo che assolve alla funzione di prologo il rinvio polemico con quanto scritto fino ad allora, troppo pieno di fiducia nella vita, nel bello: "Autrefois, / moi l'effrayé, l'ignorant, vivant à peine ... A présent, lampe soufflée, / main plus errante, qui tremble, / je recommence lentement dans l'air", con scoperta allusione (quasi sul modello dello pseudo-virgiliano Ille ego qui quondam) alle precedenti raccolte: L'effraie, L'ignorant, Airs. All'interno della sezione successiva Chants d'en bas, in particolare nelle poesie di Parler, al motivo della caducità si accompagna la riflessione sulla scrittura: la morte priva di senso il mondo e quindi la poesia, che rimane tuttavia un esercizio splendido, allo stesso modo che il fuoco dissecca, brucia il foglio di carta del poeta ma è elogiato come matière à poème "Car le feu a encore une splendeur, même s'il ruine, / il est rouge, il se laisse comparer au tigre / ou à la rose". Il poeta ha dunque fretta, il passaggio dalla pagina bianca alla scrittura va insieme alla consapevolezza della propria vecchiaia, del poco tempo che rimane: "Écris vite ce livre, achève vite aujourd'hui ce poème". E sono però testi lunghi, dalla prosodia lenta, vere orazioni funebri che invadono anche la sezione eponima À la lumière d'hiver. Ancora una volta il primo verso è riepilogo e disinganno in relazione alla propria poesia precedente: "Fleurs, oiseaux, fruits, c'est vrai, je les ai conviés / je les ai vus, montrés, j'ai dit: / "c'est la fragilité même qui est la force", / facile à dire! et trop facile de jongler / avec le poids des choses une fois changées en mots!", sul rimando ai componimenti di Oiseaux, Fleurs, et Fruits sezione di Airs.

La raccolta successiva Pensées sous les nuages è di vena meno cupa: "Mais chaque jour, peut-être, on peut reprendre / le filet déchiré", preferisce forme brevi, liriche, non senza l'inserzione, in Jaccottet questo è sinonimo di felicità, di una prosa poetica (Le mot joie). Le immagini tornano a farsi innocenti, il motivo funebre non rimanda solo a simboli di morte, e la forma breve, con l'impiego di poche parole libera più energia, come nelle poesie-madrigale À Henry Purcell, in competizione con la musica, prolungata ricerca di una sinestesia. Torna fiducia nella poesia, è il trionfo della funzione-Ungaretti. Ritorna la forma lunga nelle Plaintes sur un compagnon mort, ma il tono è di elegia, non di orrore. Chiudono il libro i due canti del poète tardif, ironico, e che, visitato dalla musica di un tempo, di nuovo si guarda indietro, si congeda rinviando alla prima raccolta: "Il parle encore, néanmoins, / et sa rumeur avance comme le ruisseau en janvier / avec ce froissement de feuilles chaque fois / qu'un oiseau effrayé fuit en criant vers l'éclarcie". Su Pusterla traduttore dei primi due libri di Jaccottet (Philippe Jaccottet, Il barbagianni, L'ignorante, Torino, Einaudi 1992), ha scritto poche righe penetranti Pier Vincenzo Mengaldo (in G. Bonalumi, R. Martinoni, P.V. Mengaldo, Cento anni di poesia nella Svizzera italiana, Locarno, Dadò 1997 pp.395-399). Mengaldo, dopo avere identificato nell'espressionismo "la couche fondamentale di Pusterla", delinea i termini quasi cruenti di una sorta di assalto traduttorio a Jaccottet, un poeta di temperamento così diverso, umanistico, disteso. Pusterla si adopera a "concentrare, frangere, disarticolare": stringe gli alessandrini in endecasillabi, fà largo uso di enjambements, taglia, elimina aggettivi, al legato sostituisce uno 'staccato' pieno di virgole come chiodi. Tant'è, viene quasi voglia di applicare al poeta ticinese l'etichetta di traduttore espressionista inventata da Contini per Gadda, non fosse che nel caso all'ingegnere si tratta piuttosto di una deriva di tipo maccheronico. Anche in queste ultime traduzioni non mancano effetti di scorciamento e condensazione.

A farne le spese può essere un aggettivo: "c'est par les yeux ouverts / que se nourrit cette parole": 'è attraverso gli occhi / che questa parola si nutre' (p. 81), magari per ottenere un endecasillabo "C'est comme si l'immense / porte peinte du jour avait tourné": 'Come se l'immenso / portale del giorno fosse ruotato' (p. 135); oppure un avverbio: "Écris vite ce livre, achève vite aujourd'hui ce poème": 'Svelto, scrivi questo libro, termina oggi questa poesia' (p. 109). La soppressione di un semplice indefinito può condurre ad un endecasillabo: "Misère / comme une montagne sur nous écroulée": 'Miseria / come montagna su di noi crollata' (p. 47); una perifrasi verbale può lasciarsi sostantivare: "[le feu] il est rouge, il se laisse comparer au tigre": '[il fuoco] è rosso, paragone di tigre' (p. 77); talvolta anche mediante l'impiego di materiali non corradicali: "Dos qui se voûte / pour passer sous quoi?: 'Schiena che ora s'incurva: / a quale giogo?' (p. 39). Più drastica è l'eliminazione di una congiunzione con il passaggio dalla subordinazione alla paratassi: "puis je la quitterai sans qu'elle m'ait même aperçu": 'poi l'abbandonerò, e non mi avrà scorto' (p. 137), e "je me suis gardé léger / pour que la barque enfonce moins": 'mi sono tenuto leggero: / sprofonderà meno la barca' (p. 163); riduzione magari attuata con ricorso ad un costrutto nominale: "chaque fois / qu'un oiseau effrayé fuit": 'ad ogni uccello / impaurito che fugge' (p. 269). Caso limite è il rifacimento per totale sottrazione di materia, quasi a voler scavare un buco in fondo al verso: "Nous ne l'aurons pas suivi bien loin": 'E noi, rimasti indietro ...' (p. 239).

Un maggiore rilievo è però da attribuire alla tendenza, di segno contrario, ad amplificare, che insorge nel confronto con le misure larghe, oratorie, spesso eccedenti l'alessandrino, proprie di questa fase della poesia di Jaccottet e che si ripercuote anche nella resa di versi più canonici. La spinta può infatti venire da mere ragioni prosodiche alla ricerca di un endecasillabo: "Entre la plus lointaine étoile et nous": 'Fra la più lontana stella e il nostro occhio' (p. 35), e "On sent un remugle de vieux dieux": 'Si sente un fetore greve di vecchi dei' (p. 45); o per un settenario: "Regarde-la courir sur ses jambes toutes nouvelles / à la rencontre de l'amour": 'Védila correre sulle sue gambe novelle / svelta incontro all'amore' (p. 211). Ma la punta massima risiede nella ripetizione enfatica di un termine già presente nel discorso: "et pas la place entre ces lèvres sèches / pour l'envol d'aucun oiseau": 'nessuno spazio tra queste labbra secche / per nessun volo di nessun uccello' (p. 51), che è di nuovo un endecasillabo, "J'ai trop de crainte / pour cela, d'incertitude": 'Ho troppo timore, per questo, / troppa incertezza' (p. 89), "mais seulement se couvre d'ombre, à peine, / comme se couvrent les troupeaux d'un manteau de sommeil": 'ma solo si copre d'ombra, si copre appena / come si coprono le greggi di un manto di sonno' (p. 139), dove la ripercussione crea un effetto di berceuse. La ripetizione può avvenire per 'gemmazione', semplice: "pendant des jours": 'per giorni e giorni' (p. 77), o simmetricamente ad un serie di binomi: "de toit en toit, d'étoile / en étoile, c'est la nuit même qui passe": 'di tetto in tetto, e da stella / a stella, ed è la notte, la stessa notte a passare' (p. 133). Il culmen retorico è raggiunto in un caso in cui la ripetizione del verbo porta alla costruzione di un chiasmo: "Les giroflées, les pivoines reviennent, / l'herbe et le merle recommencent, / mais l'attente, où est-elle? Où sont les attendues?": 'Le violacciocche tornano, tornano le peonie, / riprendono l'erba e il merlo, ma l'attesa / dov'è? dove le belle un tempo attese?' (p. 269). Si noti qui ancora quell'esplicitazione di les attendues in le belle un tempo attese di sapore del tutto pariniano (il Parini del Brindisi: "le belle ohimé che al fingere"), ed è l'ultima poesia: quando il poeta ormai tardif parla di sé in terza persona con disincanto (in altro luogo tuttavia si scioglie un chiasmo a vantaggio di un largo: "On se demande quelle image il voit passer / dans le miroir de neiges, luire quelle flamme": 'Ci si chiede quale immagine veda passare / nello specchio delle nevi, che fiamma rilucere', p. 179).

Altrove, la ripetizione di un pronome porta ad un'anafora: "nous les bègues à la voix brisée": 'noi balbettanti, noi voce spezzata' (p. 203), funzionale alla fondazione di una misura endecasillabica. L'anafora si realizza però più frequentemente per l'esplicitazione di un pronome: "Sur tout cela maintenant je voudrais / que descende la neige lentement, / qu'elle se pose sur les choses tout au long du jour / — elle qui parle toujours à voix basse": 'Adesso su tutto questo / vorrei che scendesse la neve, lentamente, / posandosi sopra le cose lungo il giorno / — la neve che parla sempre a bassa voce' (p. 151), e poco dopo, con effetto ipnotico: "Et nous saurions que le soleil encore, / cependant, passe au-delà, / que, si elle se lasse": 'E noi sapremmo che il sole ancora, / intanto, passa oltre, che se la neve / si stanca' (p. 151), grazie al rejet di nuovo endecasillabo, o ancora: "Cela / c'est quand on ne peut plus se dérober à la douleur, / qu'elle ressemble ...": 'Questo / è quando non ci si può più sottrarre al dolore, / quando il dolore somiglia ...' (p. 75). Su un registro più confidenziale sono raddoppiamenti come: "Mais j'ai beau regarder": 'Io guardo, guardo' (p. 169), "J'en arriverais presque à demander": 'Quasi quasi starei per domandare' (p. 267) esempio che viene dal canto ironico del poète tardif. E ancora si potrebbe continuare allineando amplificazioni espressive: "Ici, considérez": 'Qui giunti, considerate' (p. 37), epigrafico, e "on voit / ces pierres s'enfoncer dans les herbes éternelles": 'vedi / queste pietre affondare lente nell'erba immortale' (p. 61) con movimento di largo; o amplificazioni rispondenti a una semplice meccanica di sdoppiamento della semantica di una parola, aggiungendosi soltanto l'aggettivo che essa sembra contenere 'in nuce': "gaspillage": 'inutile spreco' (p. 75), "la lumière du jour": 'la luce chiara del giorno' (p. 133), o generando un sinonimo: "un vague abri pour une proie insaisissable": 'un rifugio impreciso / per una preda vaga, inafferrabile' (p. 91), endecasillabo. Un po' querulo risulta lo stesso procedimento applicato ad un avverbio: "Et ces oiseaux aveugles / qui traversent encore le jardin, qui chantent / malgré tout dans la lumière": 'E questi uccelli ciechi / che traversano ancora il giardino, che ricantano / malgrado, nonostante: nella luce' (p. 71), e "qui étincelle d'étoiles par-delà": 'che scintilla di stelle oltre e più in là' (p. 159).

Vere e proprie glosse interpretative sono: "sentencieux phraseur": 'facitore di frasi sentenziose' (p. 95), "dans les crevasses des labours": 'nei crepacci solcati dal vomere' (p. 181), "entre les herbes": 'tra l'erba dei prati' (p. 27), "saccadé": 'a brusche scosse' (p. 77). Una categoria facilmente grammaticalizzabile è costituita dall'impiego fraseologico del verbo 'potere': "Pour un peu de temps / nous le voyons encore": 'Per un poco / possiamo ancora vederlo' (p. 39), "guéer": 'poter guadare' (p. 83), "on ne vit pas longtemps": 'non si può vivere a lungo' (p. 89), uso non lontano dalla funzione conativa che ritroviamo in: "franchis": 'prova ad attraversare' (p. 93). Isolato rimane un caso in cui si arriva sorprendentemente fino al rifacimento: "comme si / l'on était de nouveau un homme jeune devant qui / l'avenir n'a pas de fin ...": quasi che / si fosse di nuovo giovani uomini, con l'avvenire / illimitato di fronte — senza / annientamento (p. 77). Segnalava ancora Mengaldo come "il maggior tasso metafisico a spese dell'esistenziale" importi "equazioni lessicali in senso astratto", tipologia qui non assente: "ni d'aucune carte des Enfers": 'o cartografia degli Inferi' (p. 59). Prevale tuttavia, credo, una ricerca di immanenza, una volontà di incidere il testo nel vissuto, esemplificabile qui attraverso l'illustrazione di due strutture straordinariamente frequenti, in particolare la prima con il passaggio da una costruzione verbale di tipo impersonale ad una costruzione personale e che si realizza chiamando in causa l'io lirico: "Se pourrait-il qu'il attendît ici": 'Potremmo forse pensarlo qui in attesa' (p. 61), "ni ses mains même, qu'on voudrait toucher": 'né le sue mani, che vorrei toccare' (p. 169), "On vous voit mieux": 'Meglio vi vedo' (p. 181), o il tu dei poeti: "on voit": 'vedi' (p. 61), "l'on ne sait": 'non sai' (p. 217), "on n'y peut lire": 'e tu non puoi / leggervi' (p. 227). Possono inoltre essere le cose stesse a diventare soggetto grammaticale della frase: "À ramasser les tessons du temps, / on ne fait pas l'éternité": 'I cocci del tempo, a ramassarli, / non fanno l'eternità' (p. 177), "Il est vrai qu'on aura peu vu le soleil tous ces jours": 'E' vero, tutti questi giorni sono stati di poco sole' (p. 177), fino a divenire interamente responsabili dell'azione: "(et l'on dirait que c'est moins pour nettoyer / le clos que pour aider la lumière à s'élargir)": '(pulizia delle aiuole: eppure si direbbero / quasi aiutare la luce ad allargarsi)' (p. 209). Isolata l'evenienza contraria di passaggio da una costruzione personale a quella impersonale: "vous n'aurez plus la force": 'vi manca la forza' (p. 179). Sorprendente semmai la soluzione 'mista' di tipo toscaneggiante: "Il faut que nous soyons restés bien naïfs": 'Bisogna che noi si sia ancora davvero ingenui' (p. 179) e potrebbe essere un omaggio al toscano Fortini, amato maestro: "Un tempo noi vi si odiava. Ma quello / che noi si odiava in voi / erano i vostri errori" (Le difficoltà del colorificio). Talvolta una costruzione personale può sorgere dall'esplicitazione in senso plastico di un aggettivo: "l'eau décelable": 'l'acqua che scorgi' (p. 205), "inespérable, / pour toute vieille barque humaine": 'che nessuna vecchia barca / umana può sperare' (p. 87).

Riassumendo in termini di critica stilistica tradizionale, quindi psicologistici, potremmo parlare di un procedimento di motivazione di tipo etico, quasi una volontà di chiamare gli oggetti nella storia (Le cose senza storia, Milano 1994 è il titolo dell'ultima raccolta di Pusterla). In questa stessa direzione punta l'altro procedimento stilistico su cui si vuole richiamare l'attenzione, che è quello di scolpire, rendere più visibile un protagonista del discorso mediante l'inserzione di un pronome dimostrativo: "Une fidelité aux seuls moments": 'Una fedeltà a quei soli momenti' (p. 91), "Pensée subtile": 'Sottile, questo pensiero' (p. 127), "Prière des agonisants: bourdonnement": 'Preghiera degli agonizzanti: quel ronzio' (p. 201). Volontà di affermazione che giunge fino all'impiego pleonastico di un deittico: "Détruis donc cette main qui ne sait plus tracer / que fumées": 'Questa mano che non sa più tracciare altro che fumo / distruggila dunque' (p. 87), "Déchire ces ombres enfin comme chiffons": 'Strappale infine queste ombre, come cenci' (p. 93), "À ramasser les tessons du temps": 'I cocci del tempo, a ramassarli' (p. 177). Non stupisce ritrovare questa movenza massicciamente nella poesia di Fortini: "L'anatra palmata la vedi come va", "la mente sfinita annegala", "voltati e conoscile le facce", "La ragione dell'ordine, la dimostrazione del disordine, e tu règgile. L'uno che in sé si separa e contraddice, e tu fissalo". Può succedere che il pronome dimostrativo si concretizzi ulteriormente mutandosi nella forma determinativa dell'articolo: "Ainsi s'éloigne cette barque d'os qui t'a porté": 'così si allontana la barca d'osso che ti ha portato' (p. 87), articolo altrimenti creato per dire una parola ultima: "(Gardez-le) des nuits trop longues et de l'autre, éternelle": '(Serbatelo) dalle notti troppo lunghe, e dall'altra, l'eterna' (p. 167). Il procedimento inverso, l'antideissi è rara e si giustifica per ragioni di metro: "Un homme — ce hasard aérien": 'Un uomo — aereo azzardo' (p. 55), o banalmente, per motivi eufonici: "Fleurs, oiseaux, fruits, c'est vrai, je les ai conviés": 'Uccelli, fiori, frutti, è vero, ho radunato' (p. 122), dove la diversa sequenza rende esplicita l'allusione che lo stesso Jaccottet, mescolate un po' le carte, deposita nel passo e che rinvia esattamente alle poesie di Oiseaux, fleurs et fruits. In altri casi è il processo di inversione che è sfruttato per creare un effetto di deissi e di mise en relief, anticipando l'elemento che si spinge alla ribalta: "La voix tue": 'Spenta la voce' (p. 49), "le cercle entier du ciel": 'intero il cerchio del cielo' (p. 65), "Ce mois de février est celui": 'Questo, di febbraio, è il mese' (p. 197), "Il se dessine une veine rose": 'Rosea, una vena appare' (p. 215), oppure posticipandolo: "dans un autre espace": 'in uno spazio altro' (p. 35), "Le noir n'est plus ce mur": 'Non è più questo muro la notte' (p. 135).

Classifichiamo nelle vicinanze della ricerca di mise en relief anche questi due esempi di ipallage traduttoria per cui l'aggettivo passa dal determinante al determinato: "dans l'obcurité / des frais feuillages que dormir": 'nell'oscurità / freschissima del fogliame' (p. 81), e dal determinato al determinante: "l'écho d'une fête de fusils": 'l'eco di fucili in festa' (p. 81), dove si noti che così si cancella la possibile allusione da parte di Jaccottet (che ha tradotto alcuni testi delle Occasioni) a "una festa di spari" dall'Elegia di Pico Farnese di Montale . Un tratto che si classificherebbe veramente come espressionista è la rinuncia occasionale a tradurre lasciando tracce evidenti della lingua di partenza. Questo può avvenire senza veramente violare la lingua d'arrivo: "on entrerait vivant dans l'éternel": 'si accederebbe viventi all'eterno' (p. 51), con il participio invece che l'aggettivo atteso, per un recupero attualizzante così come nel calco della perifrasi corrente in francese per il pronome indefinito: "appeller à l'aide / n'importe qui, n'importe comment": 'a chiamare in aiuto / chi non importa, o come' (p. 79). Allo stesso modo in "sur ses jambes toutes nouvelles": 'sulle sue gambe novelle' (p. 211) l'equazione è mantenuta grazie ad un aggettivo di impiego esclusivamente letterario (altre volte Pusterla fa ricorso all'italiano letterario fino a sfiorare il libretto d'opera: "quand toujours plus loin": 'quando vieppiù lontano' (p. 129), "enlevez-le": 'involatelo' (p. 243) e ancora "brandi": 'alto levato' (p. 95), "Ombres calmes": 'Placide ombre' (p. 135), "pour ton": 'pel tuo' (p. 255)). Da questa disposizione imitativa si estraggono effetti raffinati come: "que l'onduleuse vague": 'di quanto la vaga linea dell'onda (p. 103) dove l'aggiunta dell'aggettivo serve a riprodurre il significante del sostantivo vague di differente base etimologica rispetto all'italiano. Si veda ancora "maintenant il raisonne et se contraint": 'adesso ragiona e si sforza, si contrae' (p. 129), dove se contraint è sdoppiato in due verbi, di cui uno si fa carico del significato 'si sforza' e l'altro del significante. Minimalista l'effetto di: "et la pensée la plus profonde / ne guérira pas ses jointures": 'e neppure il pensiero più acuto / ne guarirà le giunture' (p. 87), dove l'anticipo della negazione ne -> 'neppure' si accompagna alla conservazione di 'ne' ad inizio del secondo verso, passata in italiano alla funzione di particella pronominale. Irrisorio-deformante è il calco: "n'est-ce pas la réalité de notre vie / qu'on nous apprend?": 'non è la realtà vera della vita / che ci s'impara?' (p. 47).

E' raro comunque che Pusterla, i temi delle poesie di Jaccottet non lo consentono, si spinga veramente fino alla caricatura. Si veda forse questo solo caso, dove la necessità di conservare una rima si concede ad una smorfia: ""fleur" et "peur" par exemple sont presque pareils / et j'aurai beau répéter "sang" du haut en bas / de la page": '"fetore" e "fiore" per esempio sono quasi uguali, / e quando avrò ricoperto di "sangue" l'intera pagina' (p. 75). Non riteniamo all'altezza dei risultati raggiunti dalla traduzione alcune scelte come: "bouclier d'air ou de paille": 'scudo dorato o di paglia' (p. 81) dove non si vede, se non è un errore, perché l'aria debba diventare oro; "Écris, non pas 'à l'ange de l'Église de Laodicée', / mais sans savoir à qui, dans l'air": 'Scrivi, non già "per l'Angelo di Laodicea", / ma senza sapere per chi, dentro l'aria' (p. 109), perché se è vero che in italiano la preposizione per può indicare il destinatario di una lettera questo è sulla busta, non nell'intestazione, e quindi l'effetto di ambiguità ricercato: 'scrivere per' come 'scrivere a causa di qualcuno' e 'scrivere a qualcuno' risulta irrimediabilmente sbilanciato a favore della prima soluzione e quindi non ambiguo; infine "Qui de vous, beautés, répondra?": 'Quale di voi, bellezze, avrà risposta?' (p. 267), dove la perifrasi che equivarrà a 'quale di voi belle avrà (pronta) la risposta' si può però, falsamente, più erroneamente intendere 'a chi di voi belle sarà risposto', il poète tardif si atteggia alla sibilla, ma le sue parole sono chiare. Fin qui, con scrupolo di pedanteria forse, in merito ai modi della traduzione. Confortanti responsi circa le intenzioni sembrano venire da uno sguardo gettato al tavolo di Pusterla poeta in proprio, dove scopriamo la stessa stoffa usata per tradurre. Rileggendo Le cose senza storia, del 1994, la raccolta più vicina cronologicamente al presente lavoro, ritroviamo ad esempio il già analizzato pronome 'peonastico': "l'uccello che cerca il vento delle strade / e dei camini, che si schianta ... non guardarlo" (Sabato a Sintra, p. 98), "il filo verde / che stenta nella crepa / tu guardalo più attento" (p. 69). Sul piano del lessico consideriamo rilevanti reperti come: "qui s'ébroue": 'svola' (p. 189) che rimanda a "Si svola" di Le Cose (p. 89); oppure il frequente sfarsi: "s'effacent-ils": 'si sfanno' (p. 49), "qui s'use": 'si sfa' (p. 165), "l'efface": 'la sfa' (p. 213), che si ritrova nello "sfarsi" di Le Cose (p. 36, e già Bocksten 1989, p. 14). In quest'ultimo caso si tenga presente che è insieme parola montaliana: Ossi, I limoni, v. 46 "il gelo del cuore si sfa", Bufera, La trota nera, v. 6 "è un ricciolo tuo che si sfa", Quaderno di Traduzioni, Piramo e Tisbe, v. 35 "il colore del tasso, ahimè, si sfanno?". In una delle ultime poesie di Pusterla, Breve riepilogo (apparsa in "Verso dove", n. 6/7, 1997) troviamo "lungo una certa strettoia" che è soluzione certo nata ad un tempo con "dans le défilé": 'nella strettoia' (p. 239), "dans l'étroitesse de la nuit": 'nelle strettoie della notte' (p. 41).

Per un discorso complessivo sull'influenza della poesia di Jaccottet in Pusterla l'analisi dovrebbe farsi attenta ai dettagli: una serie come: "[la neve] ricoprire / la strada, la panca, la casa" (Le Cose, p. 36) che sembra non separabile da: "[il sole] che rischiara la tavola, e la pagina, e l'uva" (p. 67). E' poi un vero e proprio prestito il "Parlare fino ad uscire dalle parole" (Le Cose, p. 63) che viene da "il sort des mots": 'esce dalle parole' (p. 39). Più in generale molto deve al Jaccottet di Paysages avec figures absentes la sintassi larga delle tre prose di Al nòcciolo dei giorni, sezione di Le Cose senza storia, specialmente l'ultima 'Immagine forse prealpina'. Sul piano allusivo è difficile non vedere l'effraie dietro a "ho visto venire la notte con occhi di gufo" (Le Cose, p. 71). Nel complesso tuttavia i paesaggi di Pusterla sono più spesso lande primordiali tra detriti e rottami che alludono a day after simili al magma di ere preistoriche, paesaggi etici più prossimi a East Cocker o alla proda di Versilia dell'ultimo Montale. Il Trümmerlandschaft come cicatrice ai margini di un erosione è la faccia sporca del capitalismo, e lo sguardo che lo svela è soprattutto quello del moralista. L'esattezza con cui riferisce dei dettagli, al modo da naturalista di Giampiero Neri, ne è la legittimazione. Il bello (la 'funzione Jaccottet') è rimandato: "I fiori, l'erba e le altre cose bellissime / verranno forse dopo" (Le Cose, p. 77). In queste traduzioni affiorano materiali illustri, si è fatto il nome di Fortini (Rileggendo Fortini nei primi mesi del 1991 è il titolo di una poesia di Le Cose senza storia), ma soprattutto è presente Montale, che da solo rappresenta più della metà della koiné poetica del Novecento. Di Montale ritornano emblemi lessicali ed immagini soprattutto dagli Ossi alla Bufera, che garantiscono una tensione del linguaggio e dell'immaginazione in direzione etica, eventualmente allusiva di destini apocalittici (massimo esempio di 'buferismo' utilizzato in funzione civile è Istmi e chiuse di Eugenio de Signoribus, 1997, mi permetto di rinviare ad una mia recensione in "Semicerchio", 15, 1996/2). Un rapido regesto allinea sostantivi rari: "il est un mur / qu'aucun engin, qu'aucune trompette n'ébranle": 'c'è un muro / che mai nessun ordigno, nessuno squillo sfonda' (p. 41), con effetto di allitterazione dove si combina l'ordegno tre volte presente in Montale (per es. Ossi, Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale, v. 13 "la piccola stortura / d'una leva che arresta / l'ordegno universale") con lo "squillo d'allarme delle ghiandaie" del Diario, Sorapis, 20 anni fa, v. 20 (ma ancora Occasioni, Corrispondenze, v. 3 "altro annunzia, tra gli alberi, la squilla" e tre occorrenze del verbo squillare). Soprattutto verbi come: lacerare, dissipare, avviluppare (Ossi, Falsetto, v. 14 "t'avviluppano andate primavere" ->'non l'avviluppi' : "n'enveloppe", p. 45), svellere (Occasioni "Infuria sale o grandine? Fa strage / di campanule, svelle la cedrina" -> 'lo si svelle' : "on l'arrache", p. 51), scemare (Ossi, Clivio, v. 32 "e scema il bagliore del giorno" -> 'Io non ho visto che cera la cui fiamma scema' : "Moi, je n'ai vu que cire qui perdait sa flamme", p. 51), insufflare (Satura, Niente di grave, v. 12 "insufflando / vita nei nati-morti", Diario, A questo punto, v. 6 "t'ho insufflato virtù che non possiedi" -> 'e c'insuflasse vita' : "comme s'il / vous rendait le souffle", p. 77), ribattere (Occasioni, Vecchi versi, v. 39 "sui vetri ribatté chiusi dal vento", Occasioni, Palio, v. 18 "prosegue tra i tamburi che ribattono" -> "où un mur d'espaliers / répercute l'écho d'une fête de fusils": 'dove un muro di spalliere / ribatte l'eco di fucili in festa', p. 81). Altrimenti impreta una cadenza come "cela ne se tourne pas": 'stavolta non c'è scampo'(p. 27) da accostare a Occasioni, Derelitte sul poggio, v. 24 "quassù non c'è scampo: si muore".

Appare dunque ineccepibile la rapida intuizione di Mengaldo: "si può dire che il poeta ticinese ha realizzato in queste versioni, con nobiltà di patina ma stringatezza di scrittura, un'eccellente triangolazione fra Jaccottet, se medesimo e il senso della lingua poetica italiana". Traducendo Jaccottet Pusterla compie un'operazione riuscita. Gli interventi che abbiamo illustrato sulla lingua, sulla tradizione, su sé stesso, nel complesso quello che si definisce il mestiere, muovono da intime ragioni che potrebbero in breve essere queste: Pusterla diventa traducendo un poeta-Jaccottet, tipo di poeta felice (cioè pieno di fiducia nella poesia, nonostante tutto), aggiungendo insomma una corda morbida alla sua poesia dura. Dopo la rabbia del poeta giovane di Concessione all'inverno (1987), con le sue invettive implose, la tentazione della struttura di Bocksten (1989) su temi di Heaney, Jaccottet rappresenta progressivamente per Pusterla un'altra possibilità di utilizzare i modi dell'espressionismo novecentesco (in sé rigidi, perché non c'è più come contrappeso l'animo libertino di Benn), citandoli, soprattutto sdoppiandoli con un arricchimento di toni e di luce crescente da Le cose senza storia alle ultime poesie: "Durante i miei lunghi ascolti / sentivo le margherite / chinare la testa pazienti / sul flusso delle radici: / la terra nera che infossa. / Zolla su zolla dispensa / un alito greve, profondo. / Le voci dei miei poeti / salivano sempre dal basso, / parlavano dal fondo" (Epigrafi per A.R. "Verso dove", n. 6/7).

©inTRAlinea & Fabio Zinelli (1998).
[Review] "Alla luce d’inverno. Pensieri sotto le nuvole", inTRAlinea Vol. 1
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