Teorie della traduzione giuridica. Fra diritto comparato e Translation Studies

Fabrizio Megale (2008)

Napoli: Editoriale Scientifica, pp. 165, € 20

Reviewed by: Danio Maldussi

Commensurare tradizioni giuridiche che per natura si presentano disparate in ragione del loro ancoraggio forte agli ordinamenti dei singoli paesi, problematizzare, in vista di una sintesi, acclarate diversità di approccio alla traduzione in ambito giuridico, proporre una visione articolata che favorisca in primis il dialogo tra giuristi e linguisti: queste, in sostanza, le tematiche centrali che leggiamo in filigrana nel volume di Fabrizio Megale, alle quali l’autore offre risposte argomentate e responsabili attingendo agli studi di giuristi di fama, linguisti e maestri della traduttologia. Missione compiuta e documentata, potremmo concludere, ma ciò non renderebbe ragione ai meriti che il volume indubbiamente presenta. Dopo convegni, incontri, gruppi di studio e riflessioni, era giunto il tempo di proporre una sintesi che registrasse lo stato di avanzamento della discussione. Il volume di Fabrizio Megale assolve pienamente questo compito. A questi primi obiettivi che di per sé giustificano l’esistenza del volume, l’autore si premura di aggiungerne altri due – “fondamentali” – come scrive nell’introduzione: il primo di tipo informativo, centrato con un excursus puntuale sulla traduzione giuridica nel diritto comparato, il secondo di tipo didattico, che vede il volume come valido e snello strumento di consultazione per studiosi e discenti, nella forma di una ‘antologia’ delle fonti esistenti. Entrambi gli obiettivi, rimarca l’autore, “si condizionano e si sostengono a vicenda (p. 9). Il volume si articola idealmente in due sezioni: la prima dedicata al diritto comparato e alla traduzione giuridica nonché al plurilinguismo nella legislazione, nei trattati e nei contratti. L’autore vi approfondisce in particolare il plurilinguismo legislativo nell’Unione europea, in Canada, Svizzera, Belgio e Finlandia. La seconda sezione riguarda invece i procedimenti traduttivi invalsi e gli apporti della pragmatica e della traduttologia alla traduzione giuridica. A fare da intermezzo, il sapiente inserimento di un capitolo sul linguaggio giuridico come linguaggio settoriale, nelle sue specialità lessicali, morfosintattiche e testuali, che consente un passaggio morbido dalla disamina giuridica a quella traduttiva. Passiamo ora in rassegna gli altri spunti premianti del volume. Fabrizio Megale inserisce alcune utili e approfondite considerazioni sul calcolo delle perdite (o livello di entropia) e grado di accettabilità delle stesse nei casi più che frequenti di equivalenza parziale, “un campo” sostiene l’autore “nel quale si registra una significativa convergenza di analisi fra giuristi e linguisti” (p. 93). Egli aggiunge inoltre interessanti riflessioni su quelli che definisce gli apporti della pragmatica, disciplina che si focalizza sulla situazione comunicativa, tra i quali annovera, ad esempio, il recepimento delle teorie degli atti linguistici (speech acts) elaborate da Austin e Searle e più in particolare la considerazione del concetto di “forza illocutoria”. L’autore, a giusto titolo, dichiara da subito che le categorie del ‘giurista’ e del ‘linguista’ sono categorie astratte: “problemi e soluzioni variano molto a seconda del settore di specializzazione, degli ordinamenti e/o delle coppie di lingue considerate e del grado di analogia o differenza fra questi (…) Per molti versi, il comparatista non può che essere un traduttore, e il traduttore giuridico non può che essere esperto delle questioni giuridiche che traduce. Sotto questo profilo si sconta una nota carenza nella formazione degli uni e degli altri” (p. 9). Per poi aggiungere che “già da tempo, per trattare i problemi della traduzione, i comparatisti utilizzano strumenti forniti da altre discipline, come la linguistica e la pragmatica, ma solo di recente le loro riflessioni si sono aperte alla traduttologia, almeno in modo consapevole” (ibid). Come possiamo osservare, sono numerosi i punti di convergenza tra giuristi e linguisti, a cambiare è solo “il modo di esprimerli, nel senso che i giuristi formalizzano altamente i concetti giuridici ma lasciano più imprecisi e incompleti quelli linguistici, mentre il contrario accade per i linguisti. Nonostante queste differenza di forma, sono comuni le nozioni di ‘procedimento traduttivo’, di ‘calcolo delle perdite’, di ‘precisione semantica’, di ‘prestito’ e ‘calco’ ecc.” (p. 12). Il volume affronta sistematicamente, problematizzandoli, i vari punti di convergenza. Di sicuro interesse e innovazione per la didattica della traduzione giuridica si rivela la distinzione tra due sue forme di esercizio: da un lato, una forma ‘alta’ di traduzione giuridica, che implica il sapere del comparatista e, citando Rodolfo Sacco, “presuppone adeguate conoscenze di tipo teorico e deve essere svolta pertanto da giuristi sperimentati di diritto comparato” (p. 25). A questa categoria appartiene, ad esempio, la traduzione dei cosiddetti core documents, quali i testi legislativi e giurisprudenziali dell’Unione europea, garantita dai ‘giuristi-linguisti’ delle istituzioni comunitarie. Dall’altro, ‘sotto’ questa categoria, “esistono tuttavia numerose altre esperienze di traduzione giuridica, molto differenziate ed eterogenee, accomunate dal fatto di essere svolte non da giuristi ma da traduttori e revisori, la cui formazione universitaria è ancora in prevalenza di contenuto linguistico” (ibid). Tra queste, ricordiamo quella “assicurata dai traduttori liberi professionisti, che operano sul mercato in forma singola, associata o societaria” (ibid). A guadagnarsi un posto di rilievo nell’impianto del volume, l’analisi dei procedimenti traduttivi posti in atto dal traduttore giuridico. Anche in questo caso la disamina, accompagnata dalle numerose riflessioni di giuristi, linguisti e traduttologi, rispecchia ciò che all’autore sta più a cuore: esaminare il ventaglio dei procedimenti traduttivi, in risposta alla variegata casistica delle difficoltà della traduzione giuridica, alla luce delle principali tendenze contemporanee della traduttologia. In particolare egli si sofferma sulle teorie funzionaliste, quali la Skopostheorie e la Translational action, a cui fa da contrappeso il concetto etico propugnato da Christiane Nord di lealtà, nel senso di relazione tra traduttore, emittente e destinatario, che finisce per bilanciare i possibili esiti estremi delle prime due. Sempre a Christiane Nord l’autore ascrive l’analisi delle diverse funzioni della traduzione giuridica e in particolare la distinzione fra ‘traduzione strumentale’ e ‘traduzione documentaria’ che conclude il volume. Sviluppata nel quadro della Skopostheorie, Fabrizio Megale illustra come la definizione di ‘funzione’ manifesti in modo evidente l’influenza della pragmatica. Per concludere, il volume è accompagnato da una preziosa e ampia bibliografia, utilmente suddivisa in ‘Diritto e traduzione giuridica’ e ‘Linguistica e traduttologia’. Creative Commons License
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©inTRAlinea & Danio Maldussi (2009).
[Review] "Teorie della traduzione giuridica. Fra diritto comparato e Translation Studies", inTRAlinea Vol. 11
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