Translation under Fascism

Christopher Rundle & Kate Sturge (Eds) (2010)

Palgrave Macmillan: Basingstoke, pp.285, £ 55.00

Reviewed by: Andrea Fabbri

Gli studi sulla politica culturale attuata dai regimi autoritari di destra del primo dopoguerra (il Fascismo italiano e le dittature sorte in Europa ad imitazione di esso) si sono recentemente arricchiti di due pubblicazioni destinate a fare il punto su questo ambito di ricerca con particolare riferimento alla cosiddetta “industria delle traduzioni”: Christopher Rundle, Publishing Translations in Fascist Italy, Oxford: Peter Lang 2010 e Christopher Rundle and Kate Sturge (Eds.), Translation under Fascism, Basingstoke: Palgrave Macmillan 2010. La presente recensione tratterà quest’ultima opera.

L’analisi da un punto di vista politico della traduzione negli anni compresi tra la conquista del potere da parte di Mussolini e la Seconda Guerra Mondiale comincia a prendere corpo come corrente di studi a sé stante nel corso degli anni Novanta del secolo scorso. In tale decennio una ricerca pionieristica e, al tempo stesso, una pietra miliare per l’Italia è rappresentata dalla acuta e meticolosa disamina compiuta dallo storico Pietro Albonetti sulla grande mole di “pareri di lettura” espressi nel corso del Ventennio a proposito di romanzi stranieri dagli intellettuali facenti capo alla casa editrice Mondadori e sull’azione pervasiva attuata dalla censura fascista e anche nazista su molte delle opere narrative avviate alla pubblicazione, consistente nell’amputazione sistematica di passi aventi per tema i nuovi costumi, gli ardimenti dell’esperienza amorosa, le denunce sociali, le libere scelte delle donne, l’omosessualità, e le virtù degli ebrei o dei comunisti (Non c’è tutto nei romanzi. Leggere romanzi stranieri in una casa editrice negli anni ’30, Milano: Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori 1994).

Sempre in materia di traduzione in chiave culturale, vale, poi, la pena di citare un altro studio rivolto, seppure con un’angolazione differente e più tradizionale, all’ambiente italiano, quello di Valerio Ferme, Tradurre e tradire: la traduzione come sovversione culturale sotto il Fascismo, Ravenna: Longo Editore 2002, che tratta, invece, le traduzioni “come testi che, volontariamente o meno, hanno offerto l’opportunità per un processo linguistico e culturale che poteva sostenere o destabilizzare le pratiche estetiche o politiche dominanti” (p. 20). Vengono, quindi, posti qui in evidenza, l’ambivalenza della prassi traduttiva di Gian Dauli, il mantenimento dei registri linguistici dell’originale opposta da Cesare Pavese alla standardizzazione del linguaggio promossa dal Fascismo, e il lavoro di selezione, fortemente indipendente rispetto al regime, degli autori da divulgare compiuto da Elio Vittorini e Lucia Rodocanachi.

La silloge curata da Rundle e Sturge, al pari della già citata monografia pubblicata dal primo dei due curatori, appartiene, al contrario del testo di Ferme e secondo prospettive di ricerca più vicine a quelle di Albonetti, ad una schiera ormai piuttosto folta di studi sull’evoluzione in chiave politica della percezione della funzione della traduzione nei regimi fascisti tra le due guerre e sull’azione d’indirizzo attuata da questi nella selezione dei testi stranieri da tradurre e nella promozione all’estero di quelli nazionali. Nei contributi raccolti, perciò, la traduzione, prima ancora che dal punto di vista letterario, è indagata da quello editoriale. Le ricerche presentate si fondano sull’assunto che nei sistemi dittatoriali fascisti di Italia, Germania, Spagna e Portogallo la traduzione costituisse una pratica culturale attentamente gestita secondo linee guida politiche finalizzate a indirizzare il modo di pensare del lettore promuovendo o frenando il cambiamento ideologico.

Su questi presupposti, i saggi passano in rassegna le politiche e le prassi traduttive dei paesi in oggetto entro il loro contesto storico, soffermandosi sulla storia dell’editoria, sui vincoli istituzionali, sull’azione della censura e sulle tendenze letterarie di lungo termine, oltre che sulle scelte testuali compiute dai traduttori nell’affrontare singoli lavori, siano essi letterari, cinematografici, giornalistici o saggistici. Ne deriva un’ampia indagine sul funzionamento degli scambi culturali internazionali in tempi di dittatura che mette in luce differenti paradigmi culturali, differenti preoccupazioni politiche e differenti contesti istituzionali in un quadro storico nel quale la traduzione viene considerata una potente arma di contaminazione culturale.

Il libro consta di quattro sezioni. La prima è costituita da una introduzione firmata dai curatori (“Translation and the History of Fascism”), che sottolinea l’esigenza di studiare in modo più approfondito di quanto compiuto finora il tradurre in relazione al fenomeno storico del fascismo e delinea le più evidenti differenze tra i quattro regimi considerati (in particolare, gli autori rimarcano l’assenza di razzismo ed antisemitismo di stato nel Portogallo di Salazar e nella Spagna di Franco, anche se in quest’ultimo caso vanno ricordate le limitazioni subite dalla lingua e dalla cultura basca parlata e scritta all’interno del paese).

La seconda sezione comprende quattro rassegne dedicate all’esame del contesto e delle strutture della politica del tradurre in ciascun regime. Nel saggio di Rundle (“Translation in Fascist Italy”) l’analisi della traduzione come questione ideologica e fenomeno editoriale porta a suddividere il Ventennio in quattro fasi. Si passa, così, da una iniziale considerazione di essa come fatto prevalentemente estetico (anni Venti) ad una sensazione di grave minaccia per il prestigio avvertita dall’establishment culturale italiano nei confronti delle opere straniere, che si va via via trasformando in un sempre più marcato atteggiamento autarchico ed espansionistico fino a sfociare, negli anni successivi alla promulgazione delle leggi razziali (1938), in una percezione delle traduzioni come presenza potentemente inquinante.

Il contributo di Sturge (“ ‘Flight from the Programme of National Socialism’? Translation in Nazi Germany”) delinea, nel contesto xenofobico ed autarchico del regime hitleriano (1933-45), il crescente  fenomeno di provincializzazione della cultura, attuato mediante la riduzione del numero di nuove traduzioni di autori stranieri, l’istituzione della censura, la pratica dell’autocensura da parte di traduttori ed editori, la ricontestualizzazione dei testi tradotti, il fenomeno delle pseudotraduzioni (imitazioni della giallistica angloamericana), la promozione della “buona traduzione” in patria e quella delle traduzioni di testi tedeschi all’estero attraverso l’attuazione di accordi bilaterali tra nazioni. Nel suo “It was what it wasn’t: Translation and Francoism” Jeroen Vandaele getta le basi per una storia della censura nella Spagna di Franco, dai suoi esordi asistematici ai tempi della Guerra Civile (1936-39) al suo smantellamento nell’ultimo periodo (1969-75), attraverso il suo intreccio con quella esercitata dalla Chiesa (particolarmente forte nel decennio ultracattolico, 1950-63); inoltre, dà conto della politica della traduzione in termini di generi discorsivi (stampa, prosa, teatro, cinema, filosofia) e informa sulle lingue dalle quali si traduceva maggiormente (soprattutto inglese). Il saggio di Teresa Seruya (“Translation in Portugal during the Estado Novo Regime”), infine, prende le mosse dalla considerazione che non esiste una presenza visibile del Portogallo nella storia della traduzione per abbozzare un’analisi della politica traduttiva negli anni della dittatura (1926-1974) ed evidenziare l’accanirsi della censura più sui testi stranieri ideologici (come quelli marxisti) o erotici che sulla letteratura in genere (tradotta prevalentemente dallo spagnolo).

La terza sezione presenta quattro articoli dedicati ad argomenti più circoscritti. Mario Rubino (“Literary Exchange between Italy and Germany: German Literature in Italian Translation”) traccia la storia della ricezione dei libri tedeschi nell’Italia fascista, caratterizzata, anche dopo la firma dell’accordo bilaterale tra i due stati (1938) da una sorta di resistenza passiva delle case editrici, e degli operatori culturali ad esse legati, alle pressioni esercitate dalla Germania nazista. Francesca Nottola (“The Einaudi Publishing House and Fascist Policy on Translation”) tratteggia la vicenda dell’editore torinese, ostacolato, per l’antifascismo di alcuni collaboratori, anche nella pubblicazione di traduzioni di libri palesemente innocui per la cultura ufficiale, tra i quali, caso unico, diversi testi angloamericani. Il saggio di Frank-Rutger Hausmann (“French-German and German-French Poetry Anthologies 1945-45”) delinea la storia della compilazione di una raccolta di poesie tedesche in traduzione francese non solo come iniziativa per divulgare la cultura tedesca nella Francia occupata, ma anche, insieme a quella reciproca di poesie francesi tradotte in tedesco, come fatto di promozione dell’opera degli autori coinvolti, al di là delle contingenze politiche. Rui Pina Coelho (“Safe Shakespeare: Performing Shakespeare during the Portuguese Fascist Dictatorship (1926-1974)”) descrive, infine, le modalità di intervento dello stato sul teatro dell’autore britannico, dalla manipolazione dei testi alla scelta di opere specifiche (colpisce l’esclusione dei drammi storici, la cui messa in scena dell’assassinio di leader politici poteva rappresentare una minaccia per la dittatura).

La quarta ed ultima sezione è costituita da un saggio dello storico della cultura Matthew Philpotts (“The Boundaries of Dictatorship”) che analizza le ricerche contenute nel volume evidenziandone gli aspetti da approfondire e fornisce una valutazione del contributo interdisciplinare che gli studi traduttologici possono fornire alla storia culturale del fascismo e delle dittature in genere.

Il libro si presenta ricco di spunti tanto sul piano metodologico, quanto su quello della ricerca relativa a specifici temi inerenti i rapporti tra politica e traduzione, e lascia intravedere interessanti sviluppi.

©inTRAlinea & Andrea Fabbri (2012).
[Review] "Translation under Fascism", inTRAlinea Vol. 14
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