Novella XXI: Del giovane che fece uso del buon latino che il curato gli aveva insegnato

Translated by: Nicolina Pomilio (SSLiMIT - Università di Bologna)

Nouvelle XXI: Du jeune fils qui fit valoir le beau latin que son curé luy avoit monstré by Bonaventure Des Périers (Arnay-le-Duc, 1510 ca. — Lyon, 1544 ca.)
Bonaventure Des Périers (1965). Les nouvelles récréations et joyeux devis. Conteurs français du XVIe siècle, a cura di Pierre Jourda. Paris: Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard. 361-594.


Un ricco contadino aveva mandato suo figlio a studiare a Parigi e dopo alcuni anni lo richiamò a casa dietro consiglio del curato. Quando arrivò, il padre, ormai vecchio, fu felice di rivederlo e non mancò di mandare a chiamare immediatamente il curato, invitandolo a cena, per dare il benvenuto al suo figliolo. Il curato arrivò e, vedendo il giovane, gli disse: “Siate il bentornato, caro amico. Mi fa piacere vedervi. Be’, ora mangiamo, poi parleremo con voi.” Mangiarono ottimamente e, dopo la cena, il padre disse al curato: “Signor curato, ecco il mio giovane; l'ho fatto tornare da Parigi, come voi mi avevate consigliato. Questa Candelora sono tre anni che era partito. Vorrei sapere se ha sprecato il suo tempo, ma ho paura che non abbia combinato nulla. Volevo farne un prete. Vi prego, signor curato, interrogatelo un po’ per sapere come ha impiegato il suo tempo.” — “Ma certo, caro compare” disse il curato “lo farò, perché vi voglio bene.” Subito, alla presenza del poveruomo, fece avvicinare il ragazzo. “Be’, ora,” disse “i maestri di Parigi sono dei gran latinisti; adesso vedremo come ve l’hanno insegnato. Visto che vostro padre vuole farvi prete, io ne sono molto felice. E ditemi un po’ ‘un prete’ in latino, lo dovreste sapere.” Il giovane gli rispose: “Sacerdos.” — “Bene!” disse il curato, “Non è sbagliato, poiché è scritto: Ecce sacerdos magnus; ma prestolus è più elegante e più adatto, poiché sapete che il prete porta la stola. Be’, ora, ditemi ‘un gatto’ in latino”. (Il curato aveva visto un gatto vicino al fuoco.) Il giovane rispose: “Catus, felis, murilegus.” Il curato, per dimostrare al padre che ne sapeva più di quelli di Parigi, disse al giovane: “Caro amico, penso che i maestri ve lo hanno insegnato così, ma c'è una parola migliore, è mitis, poiché sapete che nessuno è schivo quanto un gatto; e la coda, che è così soave quando la tocchiamo, si chiama suavis. Be’, ora, com’è ‘il fuoco’ in latino?” Il giovane risponde: “Ignis.” — “No, no”, disse il curato, “è gaudium, poiché il fuoco rende allegri. Non vedete come stiamo bene vicino al fuoco? Be’, ora ‘l’acqua’. Come si chiama in latino?” - Aqua - rispose il ragazzo. - È molto meglio abundantia, poiché sapete che niente è più abbondante dell'acqua. Be’, ora, ‘un letto’ - disse il curato. - Lectus - disse il ragazzo. - Lectus? Voi conoscete solo il latino volgare, persino un bambino saprebbe dire altrettanto. Non ne conoscete altre? - chiese il curato. - Thorus - rispose il ragazzo. - Non ci siamo ancora! Non ne sapete altre? - chiese il curato. - Cubile - disse il ragazzo. - Ancora non ci siamo - disse il curato. Alla fine, quando il giovane non aveva più niente da rispondergli, il curato disse: “Accidenti al letto e al latino, Jan, ve lo dirò io, è requies, amico, perché ci si dorme e ci si riposa.” Mentre il curato lo interrogava con i suoi “Be’, ora”, il poveruomo mostrava di non essere molto contento e avrebbe volentieri battuto suo figlio, pensando di avere sprecato il suo denaro. Il curato, vedendolo arrabbiato, gli disse: “No, no, compare, non ha sprecato il suo tempo; so bene che glielo hanno insegnato così come lo dice. Non risponde troppo male, ma c'è latino e latino, perbacco! Io so delle parole di cui non hanno mai sentito parlare a Parigi. Mandatelo da me spesso, gli insegnerò quello che non sa ancora e vedrete che in meno di tre mesi, sarà completamente diverso.” Nel frattempo il giovane non osava rispondere, perché aveva timore e vergogna, ma tuttavia continuava a riflettere. Alcuni giorni dopo, il curato fece uccidere un maiale grasso e invitò a cena il padre del ragazzo per offrirgli della carne alla brace e del sanguinaccio, raccomandandogli di non dimenticare di portare il figlio. Arrivarono e mangiarono. Il ragazzo, ricordandosi bene il latino che gli aveva insegnato il curato, aveva già pensato al modo di metterlo in pratica. Si alza presto dalla tavola e con delicatezza prende il gatto; dopo avergli attaccato delle stoppie di paglia alla coda, dà fuoco alla paglia e lascia libero il gatto, che inizia a scappare come se avesse il fuoco al culo. Il gatto va subito a nascondersi sotto il letto del curato che prende fuoco immediatamente. Non appena il ragazzo capì che era il momento di fare uso del suo latino, andò dal curato e gli disse: “Prestole, mitis habet gaudium in suavi; quod si abundantia non est, tu amittis tuum requies.” Il curato dovette correre in fretta vedendo che il fuoco era già alto. Con quello stratagemma il ragazzo utilizzò il latino che aveva imparato dal curato, per insegnargli a non farlo più vergognare davanti al padre.
Un laboureur riche, après avoir tenu son filz quelques années à Paris, le manda querir, par le conseil de son curé. Quand il fut venu, le père, qui estoit jà vieulx, fut joyeux de le veoir, et ne faillit à envoyer incontinent querir monsieur le curé à disner pour luy faire feste de son filz. Le curé vient, qui veid le jeune enfant, et luy dit : Vous soyez le bien venu, mon amy; je suis bien aise de vous veoir. Or çà, disnons, et puis nous parlerons à vous. Ilz disnèrent très-bien. Après disner, le père dit au curé : Monsieur le curé, vous voyez ce garson; je l’ay fait venir de Paris, comme vous m’aviez conseillé. Il y aura trois ans à ceste Chandeleur qu’il y alla. Je voudrois bien savoir s’il ha prouffité, mais j’ay grand peur qu’il ne veuille rien valloir. J’en voulois faire un prestre. Je vous prie, Monsieur le curé, de l’interroguer un petit pour sçavoir comment il ha employé son temps. — Ouy dea, mon compère, dit le curé, je le feray pour l’amour de vous. Et sus le champ et en la presence du bon homme, fit approcher le jeune filz. Or çà, dit-il, vos regens de Paris sont grands latins; que je voye comme ils vous ont appris. Puisque vostre père vous veult faire prestre, j’en suis bien aise; mais dictes-moy un peu en latin un prestre; vous le devez bien sçavoir. Le jeune filz luy respondit : Sacerdos. Eh bien! dit le curé, ce n’est trop mal dict, car il est escript : Ecce sacerdos magnus; mais prestolus est bien plus elegant et plus propre, car vous sçavez bien qu’un prestre porte l’estolle. Or çà, dictes-moy en latin un chat (le curé voyoit le chat au long du feu). L’enfant respond : catus, felis, murilegus. Le curé, pour donner à entendre au père qu’il sçavoit bien plus qu’ilz ne sçavoient à Paris, dict au jeune filz : Mon amy, je pense bien que vos regens vous ont ainsi monstré; mais il y ha bien un meilleur mot : c’est mitis, car vous sçavez bien qu’il n’est rien si privé qu’un chat; et mesme la queue, qui est si souefve quand on la manie, s’appelle suavis. Or çà, comment est-ce en latin du feu? L’enfant respond ignis. Non, non, dict le curé : c’est gaudium, car le feu resjouit. Ne voyez-vous pas comme nous sommes ici à nostre ayse auprès du feu? Or çà, de l’eau,comment s’appelle-elle en latin? L’enfant lui dict aqua. C’est beaucoup mieulx dit abundantia, dit le curé, car vous sçavez qu’il n’y ha chose plus abondante que l’eau. Or çà, un lict? L’enfant dict lectus. Lectus? dict le curé; vous ne parlez que le latin tout vulgaire : il n’y ha enfant qui n’en dict bien autant. N’en sçavez-vous point d’aultre? L’enfant luy respond thorus. Encores n’y estes-vous pas, dict le curé; n’en sçavez-vous point d’aultre? L’enfant dit cubile. Encores n’y estes-vous pas. A la fin, quand il n’eut plus rien à luy dire : Pour le latin d’un lict, Jan! je le vous vois dire, dit le curé, c’est requies, mon amy, pour ce qu’on y dort et qu’on y prend son repos. Ce pendant que le curé l’interrogoit ainsi avec ses Or çà, le bon homme de père ne faisoit pas guères bonne chère et eut volentiers battu son filz, et pensoit qu’il avoit perdu son argent. Mais le curé, le voyant fasché, luy dit : Non, non, non, compère, il n’ha pas mal proufité; je sçay bien qu’on luy ha ainsi montré comme il dict. Il ne respond pas trop mal, mais il y ha latin et latin, dea! Je sçay des motz dont ilz n’ouyrent jamais parler à Paris. Envoyez-le-moy souvent, je luy apprendray choses qu’il ne sçait pas encores; et vous verrez que, devant qu’il soit trois mois, je l’auray rendu bien aultre qu’il n’est. Le jeune enfant ce pendant n’osoit pas repliquer, parce qu’il estoit craintif et honteux; mais il n’en pensoit pas moins pourtant. De là à quelques jours, le curé fit tuer un pourceau gras et envoya querir à disner le bon homme de père pour luy donner des charbonnées et des boudins, et luy manda qu’il ne faillist pas à mener son filz. Ils vindrent et disnèrent. Le jeune filz, qui avoit bien retenu le latin que luy avoit enseigné le curé et qui avoit des-jà songé la manière de le mettre en execution pratique, s’estant levé de table de bonne heure, va gentiment prendre le chat, et, lui ayant attaché un bouchon de paille à la queue, met le feu dedans la paille avec une allumette et vous laisse aller ce chat, qui se print à fouir comme s’il eust eu le feu au cul. Le premier lieu où il se fourre, ce fut soubz le lict du curé, là où le feu fut tantost espris. Quand le jeune filz congneut qu’il estoit temps d’adoperer son latin, il s’en vint vistement au curé et luy dit : Prestole, mitis habet gaudium in suavi : quod si abundantia non est, tu amittis tuum requies. Ce fut au curé à courir voyant le feu des-jà grand; et par ce moyen le jeune filz approufita le latin que luy avoit appris monsieur le curé, pour luy apprendre à ne le faire plus infame devant son père.
Un ricco contadino aveva mandato suo figlio a studiare a Parigi e dopo alcuni anni lo richiamò a casa dietro consiglio del curato. Quando arrivò, il padre, ormai vecchio, fu felice di rivederlo e non mancò di mandare a chiamare immediatamente il curato, invitandolo a cena, per dare il benvenuto al suo figliolo. Il curato arrivò e, vedendo il giovane, gli disse: “Siate il bentornato, caro amico. Mi fa piacere vedervi. Be’, ora mangiamo, poi parleremo con voi.” Mangiarono ottimamente e, dopo la cena, il padre disse al curato: “Signor curato, ecco il mio giovane; l'ho fatto tornare da Parigi, come voi mi avevate consigliato. Questa Candelora sono tre anni che era partito. Vorrei sapere se ha sprecato il suo tempo, ma ho paura che non abbia combinato nulla. Volevo farne un prete. Vi prego, signor curato, interrogatelo un po’ per sapere come ha impiegato il suo tempo.” — “Ma certo, caro compare” disse il curato “lo farò, perché vi voglio bene.” Subito, alla presenza del poveruomo, fece avvicinare il ragazzo. “Be’, ora,” disse “i maestri di Parigi sono dei gran latinisti; adesso vedremo come ve l’hanno insegnato. Visto che vostro padre vuole farvi prete, io ne sono molto felice. E ditemi un po’ ‘un prete’ in latino, lo dovreste sapere.” Il giovane gli rispose: “Sacerdos.” — “Bene!” disse il curato, “Non è sbagliato, poiché è scritto: Ecce sacerdos magnus; ma prestolus è più elegante e più adatto, poiché sapete che il prete porta la stola. Be’, ora, ditemi ‘un gatto’ in latino”. (Il curato aveva visto un gatto vicino al fuoco.) Il giovane rispose: “Catus, felis, murilegus.” Il curato, per dimostrare al padre che ne sapeva più di quelli di Parigi, disse al giovane: “Caro amico, penso che i maestri ve lo hanno insegnato così, ma c'è una parola migliore, è mitis, poiché sapete che nessuno è schivo quanto un gatto; e la coda, che è così soave quando la tocchiamo, si chiama suavis. Be’, ora, com’è ‘il fuoco’ in latino?” Il giovane risponde: “Ignis.” — “No, no”, disse il curato, “è gaudium, poiché il fuoco rende allegri. Non vedete come stiamo bene vicino al fuoco? Be’, ora ‘l’acqua’. Come si chiama in latino?” - Aqua - rispose il ragazzo. - È molto meglio abundantia, poiché sapete che niente è più abbondante dell'acqua. Be’, ora, ‘un letto’ - disse il curato. - Lectus - disse il ragazzo. - Lectus? Voi conoscete solo il latino volgare, persino un bambino saprebbe dire altrettanto. Non ne conoscete altre? - chiese il curato. - Thorus - rispose il ragazzo. - Non ci siamo ancora! Non ne sapete altre? - chiese il curato. - Cubile - disse il ragazzo. - Ancora non ci siamo - disse il curato. Alla fine, quando il giovane non aveva più niente da rispondergli, il curato disse: “Accidenti al letto e al latino, Jan, ve lo dirò io, è requies, amico, perché ci si dorme e ci si riposa.” Mentre il curato lo interrogava con i suoi “Be’, ora”, il poveruomo mostrava di non essere molto contento e avrebbe volentieri battuto suo figlio, pensando di avere sprecato il suo denaro. Il curato, vedendolo arrabbiato, gli disse: “No, no, compare, non ha sprecato il suo tempo; so bene che glielo hanno insegnato così come lo dice. Non risponde troppo male, ma c'è latino e latino, perbacco! Io so delle parole di cui non hanno mai sentito parlare a Parigi. Mandatelo da me spesso, gli insegnerò quello che non sa ancora e vedrete che in meno di tre mesi, sarà completamente diverso.” Nel frattempo il giovane non osava rispondere, perché aveva timore e vergogna, ma tuttavia continuava a riflettere. Alcuni giorni dopo, il curato fece uccidere un maiale grasso e invitò a cena il padre del ragazzo per offrirgli della carne alla brace e del sanguinaccio, raccomandandogli di non dimenticare di portare il figlio. Arrivarono e mangiarono. Il ragazzo, ricordandosi bene il latino che gli aveva insegnato il curato, aveva già pensato al modo di metterlo in pratica. Si alza presto dalla tavola e con delicatezza prende il gatto; dopo avergli attaccato delle stoppie di paglia alla coda, dà fuoco alla paglia e lascia libero il gatto, che inizia a scappare come se avesse il fuoco al culo. Il gatto va subito a nascondersi sotto il letto del curato che prende fuoco immediatamente. Non appena il ragazzo capì che era il momento di fare uso del suo latino, andò dal curato e gli disse: “Prestole, mitis habet gaudium in suavi; quod si abundantia non est, tu amittis tuum requies.” Il curato dovette correre in fretta vedendo che il fuoco era già alto. Con quello stratagemma il ragazzo utilizzò il latino che aveva imparato dal curato, per insegnargli a non farlo più vergognare davanti al padre. Un laboureur riche, après avoir tenu son filz quelques années à Paris, le manda querir, par le conseil de son curé. Quand il fut venu, le père, qui estoit jà vieulx, fut joyeux de le veoir, et ne faillit à envoyer incontinent querir monsieur le curé à disner pour luy faire feste de son filz. Le curé vient, qui veid le jeune enfant, et luy dit : Vous soyez le bien venu, mon amy; je suis bien aise de vous veoir. Or çà, disnons, et puis nous parlerons à vous. Ilz disnèrent très-bien. Après disner, le père dit au curé : Monsieur le curé, vous voyez ce garson; je l’ay fait venir de Paris, comme vous m’aviez conseillé. Il y aura trois ans à ceste Chandeleur qu’il y alla. Je voudrois bien savoir s’il ha prouffité, mais j’ay grand peur qu’il ne veuille rien valloir. J’en voulois faire un prestre. Je vous prie, Monsieur le curé, de l’interroguer un petit pour sçavoir comment il ha employé son temps. — Ouy dea, mon compère, dit le curé, je le feray pour l’amour de vous. Et sus le champ et en la presence du bon homme, fit approcher le jeune filz. Or çà, dit-il, vos regens de Paris sont grands latins; que je voye comme ils vous ont appris. Puisque vostre père vous veult faire prestre, j’en suis bien aise; mais dictes-moy un peu en latin un prestre; vous le devez bien sçavoir. Le jeune filz luy respondit : Sacerdos. Eh bien! dit le curé, ce n’est trop mal dict, car il est escript : Ecce sacerdos magnus; mais prestolus est bien plus elegant et plus propre, car vous sçavez bien qu’un prestre porte l’estolle. Or çà, dictes-moy en latin un chat (le curé voyoit le chat au long du feu). L’enfant respond : catus, felis, murilegus. Le curé, pour donner à entendre au père qu’il sçavoit bien plus qu’ilz ne sçavoient à Paris, dict au jeune filz : Mon amy, je pense bien que vos regens vous ont ainsi monstré; mais il y ha bien un meilleur mot : c’est mitis, car vous sçavez bien qu’il n’est rien si privé qu’un chat; et mesme la queue, qui est si souefve quand on la manie, s’appelle suavis. Or çà, comment est-ce en latin du feu? L’enfant respond ignis. Non, non, dict le curé : c’est gaudium, car le feu resjouit. Ne voyez-vous pas comme nous sommes ici à nostre ayse auprès du feu? Or çà, de l’eau,comment s’appelle-elle en latin? L’enfant lui dict aqua. C’est beaucoup mieulx dit abundantia, dit le curé, car vous sçavez qu’il n’y ha chose plus abondante que l’eau. Or çà, un lict? L’enfant dict lectus. Lectus? dict le curé; vous ne parlez que le latin tout vulgaire : il n’y ha enfant qui n’en dict bien autant. N’en sçavez-vous point d’aultre? L’enfant luy respond thorus. Encores n’y estes-vous pas, dict le curé; n’en sçavez-vous point d’aultre? L’enfant dit cubile. Encores n’y estes-vous pas. A la fin, quand il n’eut plus rien à luy dire : Pour le latin d’un lict, Jan! je le vous vois dire, dit le curé, c’est requies, mon amy, pour ce qu’on y dort et qu’on y prend son repos. Ce pendant que le curé l’interrogoit ainsi avec ses Or çà, le bon homme de père ne faisoit pas guères bonne chère et eut volentiers battu son filz, et pensoit qu’il avoit perdu son argent. Mais le curé, le voyant fasché, luy dit : Non, non, non, compère, il n’ha pas mal proufité; je sçay bien qu’on luy ha ainsi montré comme il dict. Il ne respond pas trop mal, mais il y ha latin et latin, dea! Je sçay des motz dont ilz n’ouyrent jamais parler à Paris. Envoyez-le-moy souvent, je luy apprendray choses qu’il ne sçait pas encores; et vous verrez que, devant qu’il soit trois mois, je l’auray rendu bien aultre qu’il n’est. Le jeune enfant ce pendant n’osoit pas repliquer, parce qu’il estoit craintif et honteux; mais il n’en pensoit pas moins pourtant. De là à quelques jours, le curé fit tuer un pourceau gras et envoya querir à disner le bon homme de père pour luy donner des charbonnées et des boudins, et luy manda qu’il ne faillist pas à mener son filz. Ils vindrent et disnèrent. Le jeune filz, qui avoit bien retenu le latin que luy avoit enseigné le curé et qui avoit des-jà songé la manière de le mettre en execution pratique, s’estant levé de table de bonne heure, va gentiment prendre le chat, et, lui ayant attaché un bouchon de paille à la queue, met le feu dedans la paille avec une allumette et vous laisse aller ce chat, qui se print à fouir comme s’il eust eu le feu au cul. Le premier lieu où il se fourre, ce fut soubz le lict du curé, là où le feu fut tantost espris. Quand le jeune filz congneut qu’il estoit temps d’adoperer son latin, il s’en vint vistement au curé et luy dit : Prestole, mitis habet gaudium in suavi : quod si abundantia non est, tu amittis tuum requies. Ce fut au curé à courir voyant le feu des-jà grand; et par ce moyen le jeune filz approufita le latin que luy avoit appris monsieur le curé, pour luy apprendre à ne le faire plus infame devant son père.
Della vita e dell’opera di Bonaventure Des Périers molti aspetti restano ancora sconosciuti; è certo che egli collaborò con il gruppo diretto da Olivétan alla traduzione francese della Bibbia (1535) e con Etienne Dolet alla redazione del primo volume dei Commentarii linguae latinae (1536 tomo primo, 1538 tomo secondo); sappiamo inoltre che per qualche tempo fu “valet de chambre” di Margherita di Navarra. Risulta invece controversa l’attribuzione all’umanista delle traduzioni di alcune commedie di Terenzio e dei dialoghi di Platone (Sozzi, 1965). Egli scrisse sicuramente il dialogo Cymbalum Mundi (1537); l’opera fu stampata anonima a Parigi, ma venne sequestrata e bruciata perché dichiarata empia. Anche la paternità della raccolta Les nouvelles récréations et joyeux devis, pubblicata postuma (1558), [1] viene messa in dubbio; tuttavia recenti studi critici, non escludendo la possibilità di aggiunte, hanno dimostrato che l’opera, nel complesso, è dovuta a Des Périers (Sozzi, 1965). È certo che egli sia l’autore delle 90 novelle della prima edizione, non è invece altrettanto certa la paternità delle altre 39 novelle aggiunte nell’edizione del 1568 (Sozzi, 1965). L’opera fu molto apprezzata al momento della pubblicazione e durante tutto il XVI e il XVII secolo ; in seguito cadde in un oblio che durò fino alla metà del XIX secolo quando, nella nota introduttiva all’edizione dei Contes, [2] Charles Nodier rende omaggio all’opera e all’autore, segnando l’inizio della riabilitazione del “talent le plus naïf, le plus original et le plus piquant de son époque”. Nei racconti, la tradizione dei fabliaux si intreccia con la tradizione letteraria italiana del XV e del XVI secolo (Poggio Bracciolini, Ariosto, Castiglione…), come dimostrano una serie di evidenti analogie. Oltre a sottolineare il debito nei confronti della tradizione, bisogna riconoscere gli elementi di originalità introdotti da Des Périers nella raccolta, sia nelle innovazioni apportate al genere (l’eliminazione della cornice e le intrusioni della voce narrante nella narrazione), sia nella creazione degli effetti comici. Le situazioni comiche sono generate quasi sempre da procedimenti verbali: sono soprattutto i giochi di parole, le espressioni figurate e il latino, storpiato o corrotto dai diversi personaggi, a suscitare il riso. Come nella Novella XIV nella quale l'avvocato parla una lingua costituita da uno strano miscuglio di latino e volgare oppure nella Novella XXI nella quale un prete si vanta addirittura di conoscere “des motz dont ilz [les regens] n’ouyrent jamais parler à Paris”. Nel ritrarre i personaggi di diverse professioni e ambienti sociali, il narratore conserva un tono ironico, irriverente e disincantato, ed è proprio quell’allegria leggera di chi non vuole pronunciare massime o lezioni morali a fare di Des Périers un autore che esprime pienamente lo spirito rinascimentale. Nota al testo La traduzione è fondata sull’edizione: Bonaventure Des Périers (1965). Les nouvelles récréations et joyeux devis. Conteurs français du XVIe siècle, a cura di Pierre Jourda. Paris: Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard. 361-594. La versione italiana presenta una maggiore articolazione del testo in paragrafi rispetto a quella originale che ha, invece, una struttura più compatta. Nella punteggiatura e nel discorso diretto si sono seguiti i criteri moderni, introducendo, ad esempio, le virgolette all’inizio e alla fine di ogni replica, ma le repliche non sono state divise l’una dall’altra con l’introduzione degli a capo (ad eccezione della Novella XXI). Non sembrano esistere traduzioni dell'intera raccolta di novelle successive al 1932, non essendo attestate dai cataloghi bibliografici consultati [3]. Traduzioni Studi Chenevière, A. ( 1886). B. Des Périers, sa vie, ses poésies. Thèse de Sorbonne, Paris: Plon. Frank, F., Chenevière, A. (1889). Lexique de la langue de B. Des Périers. Paris: L. Cerf. Kasprzyk, K. (1980). Nouvelles récréations et joyeux devis, I-XC. Paris: Champion. Nodier, C.(1841). B. Des Périers, Cyrano de Bergerac. Paris: Techener. Pertile, L. (1967). "Bonaventure Des Périers e la novella francese del Cinquecento". Studi di letteratura francese, I. 151-155. Sozzi, L. (1965). Les Contes de Bonaventure Des Périers. Contribution à l’étude de la nouvelle française de la Renaissance. Torino: Giappichelli. (riediz. Genève, Slatkine Reprints,1998) Sozzi, L. (1981). La nouvelle française à la Renaissance. Genève: Slatkine. -------------------------------------------------------------------------------- [1] Les Nouvelles Recreations et Joyeux Devis de feu Bonaventure Des Periers valet de chambre de la Royne de Navarre, A Lyon, de l’Imprimerie de Robert Granjon, 1558 [B.N. Rés. Y2. 735]. [2] Les Contes, ou Les Nouvelles Récréations et Joyeux Devis (1841) avec un choix des anciennes notes de B. de La Monnoye et de Saint-Hyacinte, revue et augmentée par P.L. Jacob, et une notice littéraire par Ch. Nodier. Paris: Gosselin. [3] Sono stati esaminati l’Index Translationum (1932-1986), il catalogo della Biblioteca Nazionale di Firenze e le bibliografie: Bogliolo Giovanni, Carile Paolo, Matucci Mario, a cura di (1992). Francesistica. Bibliografia delle opere e degli studi di letteratura francese e francofona in Italia 1980-1989. Bari: Schena-Slatkine; Bogliolo Giovanni, Carile Paolo, Matucci Mario, a cura di (1996). Francesistica. Bibliografia delle opere e degli studi di letteratura francese e francofona in Italia 1990-1994. Bari: Schena-Slatkine.

©inTRAlinea & Nicolina Pomilio (2001).
"Novella XXI: Del giovane che fece uso del buon latino che il curato gli aveva insegnato". Translation from the work of Bonaventure Des Périers (Arnay-le-Duc, 1510 ca. — Lyon, 1544 ca.).
This translation can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/translations/item/992

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