©inTRAlinea & Jean Paul Dufiet (2020).
"Il paratesto dei traduttori di teatro contemporaneo dal francese verso l’italiano"
inTRAlinea Special Issue: La traduzione e i suoi paratesti

inTRAlinea [ISSN 1827-000X] is the online translation journal of the Department of Interpreting and Translation (DIT) of the University of Bologna, Italy. This printout was generated directly from the online version of this article and can be freely distributed under Creative Commons License CC BY-NC-ND 4.0.

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Il paratesto dei traduttori di teatro contemporaneo dal francese verso l’italiano

By Jean Paul Dufiet (Università di Trento, Italy)

Abstract & Keywords

English:

In contemporary French theatre translation, the translator’s paratext – be it a note, a foreword, an afterword or a comment – serves two main functions. The first is to state the principles and modalities according to which contemporary playwrights are translated. The second concerns the translator’s ethos. A paratext builds an image of the translator by underscoring their linguistic competence, their cultural role and, most importantly, their literary sensitivity, comparable to that of an author. Contemporary theatre translators do not receive recognition from the world of theatre, from cultural institutions or from literary circles. Paratexts can be better understood in the light of the difference between the translator’s objective situation within the theatre production chain and their subjective hope for recognition. Paratexts, then, are a genuine textual and discursive genre based on a powerful juxtaposition: they carry the pragmatic purpose of a polemic genre – a recognition claim – but are written using the forms and style of a linguistic, artistic and literary reflection.

Italian:

Il paratesto dei traduttori del teatro francese contemporaneo, sia esso una nota, una prefazione, una postfazione o un commento, è caratterizzato da due funzioni principali. La prima consiste nell’esporre delle riflessioni sulle specificità, i principi e le modalità della traduzione di drammaturghi contemporanei. La seconda funzione riguarda l’ethos del traduttore. Il paratesto costruisce un’immagine del traduttore che sottolinea la sua competenza linguistica, il suo ruolo culturale e, soprattutto, la sua sensibilità letteraria, paragonabile a quella di un autore. Ai traduttori di teatro contemporaneo manca il riconoscimento del mondo del teatro, delle istituzioni culturali e dell’ambiente letterario. Il paratesto si capisce alla luce della differenza tra la situazione obiettiva del traduttore nella catena della produzione teatrale e la sua speranza soggettiva di riconoscimento. Si tratta quindi di un autentico genere testuale e discorsivo fondato su un contrasto forte: presenta la finalità pragmatica di un genere polemico (rivendicazione di riconoscimento) ed è scritto nelle forme e nello stile di una riflessione linguistica, artistica e letteraria.

Keywords: paratesti, teatro contemporaneo, lingua, ethos, paratexts, contemporary theatre, translators, traduttori, language

1. Introduzione

La vitalità del teatro italiano, come quella del teatro di tutti i paesi occidentali, dipende anche dalla traduzione delle pièces straniere contemporanee, tra cui numerose sono quelle scritte in lingua francese. Esiste un repertorio drammatico contemporaneo comune a tutte le lingue europee. Per parafrasare Umberto Eco (1993) si potrebbe dire che la vera lingua del teatro europeo è la traduzione. Tuttavia, malgrado la loro importanza, il traduttore e la traduzione di teatro sono raramente presi in considerazione. Questa indifferenza si verifica da tempo (Thiériot 1989: 16-17) e i programmi teatrali e i paratesti editoriali (prefazione, introduzione, commento all’opera) delle pièces contemporanee straniere tradotte in italiano ignorano o sottovalutano la traduzione e il traduttore.

È incontestabile che anche i traduttori degli altri generi letterari subiscono un trattamento simile, come testimoniano il sito Biblit e la vigorosa protesta dei traduttori con la Lettera dei cavalieri erranti (Biblit 2019) inviata alla stampa italiana alcuni anni fa. La traduzione del testo di teatro è tuttavia in una situazione particolarmente difficile per motivi specifici. Prima di tutto poche case editrici pubblicano testi teatrali stranieri e contemporanei perché il teatro non è più il genere letterario importante che era alla fine dell’Ottocento; quindi spesso la pièce tradotta non è pubblicata e rimane un copione per la recita degli attori. In secondo luogo la traduzione teatrale ha spesso la reputazione di essere un adattamento influenzato dal gusto del pubblico e di non essere un testo letterario stabile, definitivo e degno di essere pubblicato. Infine, per il mondo dello spettacolo la traduzione è soltanto un momento secondario del complesso processo di creazione scenica; sono l’autore, il regista e gli attori che occupano il primo piano. Il traduttore si trova quindi in una posizione culturale e professionale debole priva del riconoscimento materiale e simbolico che corrisponde alla sua responsabilità nella diffusione della cultura straniera (Heinich 1984: 265).

Alla luce di questi fattori si capisce perché i traduttori di teatro contemporaneo, quando si esprimono nei loro paratesti, combattano spesso l’emarginazione di cui sono vittime. Essi cercano di coinvolgere “il lettore in un discorso sulla traduzione che lo rende partecipe e consapevole della presenza di un mediatore” (Elefante 2012: 108) e mirano a ottenere una considerazione letteraria, editoriale e culturale all’altezza della loro funzione (Assouline 2011: 101-16).

Il corpus del nostro studio è costituito dai paratesti di importanti traduttori italiani di teatro contemporaneo francese o quebecchese. Gli autori tradotti sono molto noti: Jean-Luc Lagarce, Valère Novarina, Pauline Sales, Joël Pommerat, Daniel Danis, Georges Perec, Olivier Cadiot, Daniel Pennac, Marie NDiaye, Jean-Claude Grumberg, Michel-Marc Bouchard, Alain Badiou. Il corpus è completato da una traduzione dal tedesco (George Tabori) e una dall’inglese (Harold Pinter) verso l’italiano. I paratesti analizzati, sempre brevi[1], si trovano in alcune edizioni commerciali[2] o universitarie (ad esempio la collana Tradurre dell’Università di Bari), sui siti della vita teatrale (Dramma; La Nota del Traduttore) e sui siti personali dei traduttori. Per dare origine a un dibattito sull’importanza del traduttore, i paratesti si rivolgono non solo al lettore appassionato di teatro, ma anche ai professionisti della vita teatrale, agli editori, ai critici letterari e agli studiosi.

Nei paratesti si possono individuare sei problematiche comuni o molto frequenti: la relazione traduttore-autore, la scrittura dell’autore, l’atto del tradurre, la fedeltà della traduzione, il valore teatrale della traduzione e l’ethos del traduttore. Ovviamente alcune di queste problematiche appartengono anche alla traduzione degli altri generi letterari, ma l’insieme dei sei punti costituisce un quadro specifico della traduzione del teatro.

2. La relazione traduttore-autore

Senza essere sistematicamente presente, la relazione tra l’autore e il traduttore è spesso evocata. Come fanno probabilmente tutti i traduttori contemporanei, anche quelli di testi teatrali valorizzano, quando è possibile, il loro rapporto personale con l’autore, mettendo in luce sia la prossimità intellettuale che la singolarità delle persone. Per Gioia Costa, un rapporto stretto è un metodo di lavoro e una condizione della qualità della traduzione: “Con Daniel Danis abbiamo discusso a lungo dell’origine e della genesi delle sue immagini” (Costa 2000). Yasmina Melaouah racconta, con un forte accenno di familiarità, i suoi contatti e incontri diretti con Daniel Pennac che le legge ad alta voce il testo di un monologo e le dà delle spiegazioni sul personaggio, il tono, le allusioni e i riferimenti. Per Laura Forti, invece, il contatto tra autore e traduttore dovrebbe raggiungere una comunione spirituale che va al di là di un semplice rapporto di lavoro. Forti non considera questa relazione soltanto “naturale e importante”, ma auspica che l’autore e il traduttore trovino “il modo per costruire un rapporto, anche psichico” (Forti 2005). Come se il traduttore dovesse creare una forma d’intimità intellettuale e di simbiosi personale con l’autore per produrre una traduzione all’altezza dell’opera originale. In quest’ottica, la riflessione sulla traduzione del testo di teatro non si orienta verso la lingua, la testualità e l’arte drammatica ma verso la personalità del traduttore che sembra tanto importante quanto quella dell’autore.

Sicuramente i traduttori di teatro condividono questa idea con tanti altri traduttori di tutti i generi letterari. Dall’evidenza che nessuno scrittore può essere sostituito da un altro si deduce che nessun traduttore sia sostituibile, al contrario di ciò che pensano alcuni editori o critici. A differenza di quanto accade nel campo della traduzione tecnica, cambiare traduttore nel campo dell’opera letteraria significa necessariamente ottenere una traduzione diversa. È una prima argomentazione proposta dai paratesti per giustificare un riconoscimento autentico del traduttore.

3. La scrittura dell’autore

Spesso il paratesto accorda più spazio al commento letterario che a quello traduttologico. Questo commento, sempre epidittico, non elabora un nuovo discorso critico ma riprende quello diffuso nel paese d’origine per anticipare le difficoltà di ricezione che il testo potrebbe incontrare in Italia. Gioia Costa vuole evitare che il lettore consideri le pièces di Valère Novarina una logomachia incontrollata: “[è] una lingua che non vuole sottostare alle regole della sintassi. E questa libertà genera nuove parole, accordi nuovi e inattesi incontri fra suono e senso” (Costa 1998). La traduttrice avverte il lettore che incontrerà una scrittura ermetica e, per disinnescare le sue potenziali reazioni negative, svela nel paratesto tre strategie linguistiche del drammaturgo: “[…] la nominazione, la numerazione e la ripetizione […]” (Costa 2002). Questa funzione del paratesto vale anche per molti altri autori, quali Jean-Luc Lagarce, Daniel Danis o George Tabori (v. le varie Prefazioni dei libri di Gioia Costa sul sito http://www.gioiacosta.com/prefazioni-dei-libri-gioia-costa). Di conseguenza, i traduttori di teatro contemporaneo appaiono come dei sostenitori convinti dell’innovazione letteraria, il che non può che valorizzare la loro attività di traduzione. Infatti, la caratterizzazione critica di una scrittura originale e complessa mette in rilievo il lavoro traduttologico; ogni fenomeno stilistico dell’originale è implicitamente presentato come un problema risolto dal traduttore. I traduttori insistono su due tipi di fenomeni. Da un lato mettono in evidenza la drammaturgia singolare dell’autore, per esempio la contraddizione tra dialogo e situazione drammatica nel teatro di Harold Pinter perché egli usa “un linguaggio assolutamente realistico, all’interno di situazioni spesso surreali” (Serra 2005). Dall’altro, si soffermano sui registri linguistici e la variazione linguistica che caratterizzano moltissimi drammaturghi francesi (Alain Badiou, Joël Pommerat, Daniel Pennac, per esempio). In questo modo, i paratesti sottolineano la complessità dello stile tradotto e presentano la traduzione come un proseguimento della scrittura letteraria in un altro idioma.

4. L’atto del tradurre

All’interno dei paratesti i traduttori mettono in evidenza alcune difficoltà inerenti all’atto del tradurre. Per Ida Porfido, “tradurre il testo di Joël Pommerat, peraltro, è stata un’impresa tutt’altro che facile” (Porfido 2008: 7). È importante notare che nei paratesti contemporanei le difficoltà non sono mai attribuite alle differenze tra i sistemi linguistici naturali (Giboux 2017: 116).

In realtà sono formulati soltanto dei principi generali, in modo sintetico. I veri processi di traduzione, che uniscono la competenza linguistica, la padronanza delle trasposizioni culturali e la sensibilità letteraria, non sono approfonditi. Questo non sembra dovuto soltanto alla brevità dei paratesti, ma più probabilmente alla volontà di non ridurre l’atto del tradurre a una capacità tecnica. Comunque sia, è lo stile letterario del testo che viene identificato come fonte delle difficoltà di traduzione. Georges Perec ha una maniera di scrivere che è “scoppiettante, flessibile e sinuosa, arricchita da immancabili giochi di parole che rendono il lavoro del traduttore appunto decisamente arduo” (Marinuzzi 2010). A proposito di Infusion di Pauline Sales, Ida Porfido precisa che “il lavoro di preparazione alla traduzione ne ha via via rivelato l’estrema complessità, fino a renderlo un testo misterioso, allusivo, stratificato” (Porfido 2007: 1). Ovviamente, ogni difficoltà di traduzione diventa un argomento utile a valorizzare l’operato del traduttore: “Il fascino di ogni traduzione consiste nelle sue difficoltà: ogni autore ha parole elettive, consonanze, reti di associazioni, invisibili orditi di memoria” (Costa 1996). Ne risulta che il traduttore si presenta come uno specialista che accetta le sfide che impongono i testi teatrali contemporanei.

Di conseguenza la traduzione del teatro contemporaneo, in particolare di quello formalmente innovativo, si presenta con una tensione fondamentale: da un lato rendere l’opera originale leggibile in italiano, dall’altro, non snaturare la novità dello stile. A causa di questa tensione, che esiste sicuramente anche per gli altri generi letterari, la traduzione diventa quasi una prodezza a livello stilistico e linguistico: “Tradurre testi così elaborati e composti […] pone un problema particolare: bisogna trovare l’equivalenza del suono e del senso, del ritmo e dell’invenzione linguistica, degli stili molteplici e della loro visibilità sulla pagina trattata come un palcoscenico” (Costa 2002). Qualche volta vengono spiegate alcune scelte traduttive decisive: “[…] ho scelto un lessico misto, fatto di echi di italiano antico e di spezzoni di italiano attuale molto manipolato, per ottenere una equivalenza di fondo, invisibile ma ascoltabile, fra il francese di Novarina e l’italiano della traduzione” (Costa 2002). La spiegazione si trasforma anche in giustificazione, quando la scelta potrebbe sembrare incomprensibile: “A seconda dei casi ho cercato di rendere i diversi linguaggi utilizzando forme contratte oppure arcaismi o anche inglesismi, ponendomi principalmente l’obiettivo di non cadere nella trappola del regionalismo all’italiana” (Moccagatta 2004).

Non è sorprendente che l’esame delle difficoltà traduttive e le spiegazioni delle scelte linguistiche conducano ai limiti della traduzione. Francesca Moccagatta lo ammette a proposito del teatro del Québec: “Sono consapevole che qualcosa viene comunque perso, come quasi sempre nella traduzione” (Moccagatta 2004).

Quindi il paratesto si avvicina parzialmente al genere del saggio, nel quale i traduttori ammettono che la traduzione è per sua natura incompiuta e che si può soltanto “dire quasi la stessa cosa” (Eco 2003). Tuttavia questa lucidità non mette in discussione né la necessità di tradurre, né la qualità delle traduzioni.

5. La fedeltà della traduzione

Nei loro paratesti, i traduttori di teatro contemporaneo invocano quattro fedeltà diverse. Tre sono testuali: la fedeltà alla struttura (numero e ordine delle scene, presenza dei personaggi); la fedeltà alla forma linguistica (ordine delle parole, strutture sintattiche, suoni, registri linguistici, ritmo); la fedeltà al sottotesto (cioè a ciò che non è esplicitamente detto, come connotazione, implicito, sottinteso). La quarta fedeltà è pragmatica, in quanto riguarda l’effetto dell’opera teatrale sullo spettatore.

Tutti i traduttori vogliono, come Ida Porfido, “giungere a una traduzione quanto più possibile fedele all’originale” (Porfido 2008: 8). Tuttavia queste quattro fedeltà sono estremamente difficili da conciliare e condizionano fortemente la libertà di traduzione.

I traduttori rispettano senza difficoltà la prima fedeltà: non mettono mai in discussione la struttura delle pièces. Anche il rispetto dell’effetto pragmatico, che costituisce la quarta fedeltà, è messo in rilievo in numerosi casi.

Sono invece soprattutto le altre due fedeltà a interessare maggiormente i paratesti, perché sono più difficili da raggiungere. Rispetto alla seconda fedeltà si evidenzia la difficoltà di rispettare la forma della scrittura del quebecchese Michel-Marc Bouchard: “Spesso mi è capitato di contare le sillabe di una battuta e di ripeterne cento versioni in italiano, fino a trovare ‘la’ traduzione che rendesse non solo il senso, non solo l’atmosfera, ma anche il ritmo, la metrica” (Moccagatta 2004). Per un autore come Jean-Luc Lagarce, il cui stile è molto singolare, Ida Porfido compie una “trasposizione della forma grammaticale di partenza” (Porfido 2011: 1). In altre parole, la volontà di fedeltà incontra notevoli ostacoli quando concerne la forma linguistica. Queste difficoltà appaiono tuttavia anche per rispettare la terza fedeltà che riguarda i significati impliciti e sottintesi del testo: “La nostra versione italiana dell’opera di Marie NDiaye, infatti, mira a salvaguardare accuratamente un’infinità di sfumature e connotazioni” (Porfido 2009: 1).

Nei paratesti si delinea così una posizione comune a tutti i traduttori: le scelte traduttive non devono impoverire l’opera originale, “nei limiti del possibile” (Porfido 2011: 1), in nessuno dei suoi aspetti. In questo senso i traduttori arricchiscono la lingua italiana dimostrandone “l’elasticità, [...] la [...] capacità di deformazione in nome dell’accoglienza dell’Altro” (Porfido 2008: 10).

Dal momento che non sempre tutte le fedeltà possono essere rispettate, i paratesti giustificano la libertà dei traduttori che, quando serve, devono avere l’audacia di inventare senza alterare il testo: “Il traduttore […] può concedersi un margine di libertà quando sente che è proprio entro questo margine che si nasconde quell’elemento strategico che assicurerà alla storia una nuova vita?” (Piacentini 2016: 48). La risposta positiva a questa domanda implica che le necessarie invenzioni linguistico-letterarie siano in ogni caso concepite in uno spirito di fedeltà all’originale. In questo modo l’infedeltà testuale non si compie a beneficio del traduttore contro l’opera, ma propone un’altra forma di fedeltà all’originale: “Per ricreare il ritmo della pagina a volte è stato fecondo alterare l’ordine della frase e far affiorare, in italiano, forme dell’imprecazione, della rabbia o dell’intimità che permettessero di sentire, nella traduzione, il movimento originale del francese parlato nel Québec” (Costa 2000).

I paratesti respingono la lunga tradizione europea dell’adattamento teatrale e accettano la problematica contemporanea della traduzione con le sue contraddizioni. Anche se la fedeltà assoluta è impossibile, la traduzione può rispettare il testo originale in modo indiretto. In questa situazione, i paratesti sottolineano l’importanza della traduzione nella rappresentazione scenica del testo.

6. La teatralità della traduzione

Tutti i paratesti sostengono la necessità di conservare la teatralità del testo originale in traduzione, perché da questa dipende la capacità dell’opera di coinvolgere il pubblico. Per i traduttori la principale qualità scenica del testo è la sua oralità; si potrebbe quasi utilizzare il termine musicale (Porfido 2008: 4) di vocalità. Alessandra Serra considera il teatro di Harold Pinter “musica allo stato puro”  (Serra 2005). Gioia Costa pensa che Valère Novarina scriva “con le orecchie” e che il suo stile dia “vita ad una pagina di suoni” (Costa 2004). Questa visione corrisponde a una posizione molto condivisa nella riflessione contemporanea sul teatro. È sicuramente una caratteristica che valorizza l’attività di traduzione, perché la vocalità della versione italiana dipende strettamente dalle qualità fonetiche e ritmiche delle scelte linguistiche. Quindi i paratesti contengono numerose osservazioni sull’attenzione dedicata ai suoni della traduzione: “per tradurre la sua lingua […] bisogna immergersi nel suono”, il “richiamo sonoro […] è il vero protagonista del suo teatro” (Costa 2004). Nella traduzione di Jean-Luc Lagarce, Ida Porfido cerca “di rendere in italiano […] questa qualità sonora così speciale attraverso la ripetizione lancinante di brevi segmenti linguistici equivalenti, tic linguistici, elementi modalizzanti” (Porfido 2011:1). Per i traduttori, la vocalità sembra essere l’essenza della teatralità del testo drammatico. Ricordiamo tuttavia che il linguaggio drammatico si distingue dagli altri linguaggi perché un’azione, e non soltanto una musicalità, è iscritta all’interno di ogni parola del testo.

La conseguenza di questa problematica è che si scopre se la versione italiana preserva veramente la vocalità del pezzo soprattutto quando gli attori cominciano le prove. Così Yasmina Melaouah, per evitare delle scelte poco adeguate al palcoscenico, tenta di anticipare il lavoro dell’attore: “Quando traduco mi metto sempre dal punto di vista dell’attore, mi chiedo ‘questo come lo direbbe?’” (Forti 2005). La traduttrice di Pennac “immagina di recitare le […] frasi” (Melaouah 2004). Per capire ancora meglio se le parole “funzionano in bocca” (Forti 2005) agli attori, altri traduttori partecipano al processo della creazione teatrale. Questa collaborazione consente ai traduttori di verificare quale supporto offre alla recita la loro traduzione. Come è sottolineato in diversi paratesti, la migliore traduzione non è necessariamente quella più “scorrevole e facile da pronunciare” (Porfido 2011: 1). La teatralità non è soltanto fluidità e ad alcuni attori può anche piacere un testo pieno di difficoltà.

I paratesti attribuiscono quindi al lavoro del traduttore un ruolo importante nel processo di creazione teatrale.

7. L’ethos del traduttore

I cinque temi dei paratesti fin qui analizzati definiscono un pensiero, una prassi e una finalità della traduzione del teatro contemporaneo. Ma è anche evidente che si esprime un fondo polemico implicito a proposito della funzione e del riconoscimento dei traduttori. Eccezionalmente la traduttrice Laura Forti svela la polemica: “Per la giornata della memoria, quest’anno su Repubblica è uscito un mega articolo su Tabori, dove si parlava di Mein Kampf, di Cannibali. […] Mi è dispiaciuto […] non venire nemmeno citata. I testi si erano tradotti da soli, evidentemente?” (Forti 2005).

I paratesti evidenziano la contraddizione intensa in cui vivono i traduttori professionali, tra il forte sentimento di essere quasi degli autori e l’insufficiente riconoscimento simbolico e culturale che, ai loro occhi, ricavano da questa attività. Questa contraddizione produce una posizione enunciativa comune a moltissimi traduttori: essi non formulano una rivendicazione esplicita ma costruiscono un ethos positivo del traduttore che si potrebbe definire in questo modo: il traduttore non è un semplice operatore tecnico della lingua e quindi non può essere scambiato con un altro; capisce la natura e l’originalità della scrittura del drammaturgo ed è consapevole del proprio atto di traduzione; è fedele direttamente e indirettamente all’opera tradotta e sa valorizzare la teatralità vocale della pièce.

L’affermazione di questo ethos condiviso in tutti i paratesti dei traduttori nasce dal fondo polemico sottostante. Ne risulta che qualche traduttore possa anche esaltare in modo eccessivo il proprio ruolo quando pensa che “dove la traduzione non funziona c’è forse sempre qualcosa che non funziona nel testo originale” (Melaouah 2004).

8. Conclusioni

I paratesti dei traduttori italiani di teatro contemporaneo francese (e sicuramente delle altre letterature drammatiche europee) tendono a costituire un genere discorsivo definito dall’insieme delle sei tematiche analizzate. Sono testi polemici che non utilizzano le strategie retoriche della polemica aperta perché preferiscono quelle della valorizzazione del proprio operato. Nella sua volontà di appartenere a pieno titolo sia al mondo letterario che al processo di creazione teatrale, il traduttore di teatro contemporaneo è in una posizione di forza e di debolezza: è indispensabile perché la sua traduzione è necessaria ma è sottoposto a difficilissime condizioni editoriali e dipende sempre da altre enunciazioni (quelle dell’autore, del regista, degli attori ecc.) che ne limitano la visibilità e ne riducono l’importanza.

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Note

[1] La media è di due pagine.

[2] Ubulibri, Feltrinelli, Costa & Nolan, Einaudi. La casa editrice Editoria & Spettacolo non fa parte del nostro corpus.

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