©inTRAlinea & Flavia Di Battista (2020).
"Tradurre Hofmannsthal nell’Italia del secondo dopoguerra: i paratesti delle edizioni Cederna e Vallecchi"
inTRAlinea Special Issue: La traduzione e i suoi paratesti

inTRAlinea [ISSN 1827-000X] is the online translation journal of the Department of Interpreting and Translation (DIT) of the University of Bologna, Italy. This printout was generated directly from the online version of this article and can be freely distributed under Creative Commons License CC BY-NC-ND 4.0.

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Tradurre Hofmannsthal nell’Italia del secondo dopoguerra:

i paratesti delle edizioni Cederna e Vallecchi

By Flavia Di Battista (Università di Roma Tor Vergata, Italy)

Abstract & Keywords

English:

Based on a study of the paratexts of the published volumes and of archival materials, this article tells the story of the long and ambitious project of translating Hugo von Hofmannsthal’s complete works into Italian. The project was launched soon after the end of WWII by the newly-founded publishing house, Cederna, and was carried on without being completed, by Vallecchi. The aim is to illustrate the function of a paratext of a translation, especially in a case such as with Hofmannsthal, where the target readers are not familiar with the author.

Italian:

Attraverso una lettura dei paratesti dei volumi pubblicati, integrata con materiali d’archivio, il contributo ricostruisce la storia del lungo e ambizioso progetto di tradurre l’opera completa di Hugo von Hofmannsthal in italiano, avviato nel secondo dopoguerra dalla neonata casa editrice Cederna e proseguito, anche se non portato a termine, da Vallecchi. L’obiettivo è far risaltare alcune delle funzioni assolte dal paratesto di una traduzione, specialmente laddove l’autore tradotto è poco noto al pubblico di riferimento, come nel caso di Hofmannsthal.

Keywords: editoria italiana, secondo dopoguerra, Hugo von Hofmannsthal, Cederna, Vallecchi, paratexts, paratesti, post-WWII, Italian publishing

1. Le Edizioni Cederna e la scelta di tradurre Hofmannsthal

Nel 1945 a Milano il diciottenne Enrico Cederna, insieme all’amico e coetaneo Gianni Antonini, inaugura una casa editrice alla quale dà il suo nome, investendovi parte dei proventi del cotonificio di famiglia. Non si tratta di un esperimento isolato, anzi, è un caso esemplare della vivacità della piccola editoria milanese del secondo dopoguerra (Sullam 2015). Forti di una grande ambizione benché privi di contatti o esperienze pregresse nell’industria letteraria, i due giovani mirano ad affermarsi come editori di cultura. Per riuscirvi, puntano su un catalogo composto interamente di opere tradotte e su un’estrema attenzione per l’aspetto tipografico delle edizioni.

Come testa di ponte, i fondatori della Cederna selezionano l’austriaco Hugo von Hofmannsthal, di cui si ripromettono di pubblicare l’opera completa in traduzione italiana. Poiché puntano a differenziarsi rispetto all’editoria di massa, è per loro essenziale scegliere un autore connotato come elegante, difficile, non commerciale. Su questo punto, Cederna insiste in vari momenti del carteggio con quello che diventerà il suo principale consulente, Leone Traverso, affermando di confidare che l’interesse per Hofmannsthal basti a dimostrare ‘la serietà dei [suoi] intendimenti culturali ed editoriali’ (Cederna 1946a) e la sua collocazione agli antipodi dell’editoria commerciale (Cederna 1946c).

C’è però da chiedersi come mai a Hofmannsthal vengano ascritte tali qualità. Per rispondere, può essere utile lasciare da parte i testi (troppo eterogenei per essere ridotti a un’unica formula e comunque non tali, presi per sé, da giustificare una simile attribuzione) per concentrarsi invece sulla loro ricezione e sui paratesti che la orientano.

Cederna e Antonini scoprono Hofmannsthal grazie a una raccolta di poesie e drammi in versi curata da Traverso per Sansoni nel 1942:

Ho finito ora di leggere per l’ennesima volta il Suo volume Sansoniano. Quel che io pensi di questa sublime poesia è inesprimibile; e il merito è in gran parte Suo; la rivelazione per me di Hof. [fu] dovuta appunto all’uscita delle “Liriche e Drammi” (Cederna 1946b).

Quello presentato in Liriche e drammi, attraverso versioni ermetizzanti e nell’introduzione che le accompagna, è uno scrittore mistico, raffinato e complesso. Questa marcatura si innesta, integrandola, sull’altra principale etichetta tradizionalmente apposta accanto al nome di Hofmannsthal in territorio italiano: quella di epigono dannunziano[1].

Nel momento in cui la Cederna apre i battenti, Hofmannsthal è per l’Italia uno scrittore aristocratico e oscuro, ancora sconosciuto non solo al grande pubblico ma persino a molti lettori colti non esperti di letteratura tedesca. Prima di Leone Traverso, nessun mediatore gli dedica un interesse costante[2] e le sole traduzioni di un certo peso apparse prima del 1945 sono i Piccoli drammi curati da Ervino Pocar per Carabba nel 1922 e il già citato Liriche e drammi. Ciò giustifica un disegno di importazione massiccio come quello che si propone di attuare la Cederna: “il fatto che questo autore è poco noto e male qui da noi, mi rende ora sempre più deciso a pubblicare di Lui il maggior numero di cose possibili” (Cederna 1946b).

Infine, a indirizzare ulteriormente i due giovani milanesi è la presenza di Hofmannsthal nel catalogo dello Insel Verlag[3], uno dei loro principali modelli per via della ricercata veste tipografica che ne contraddistingue le pubblicazioni. Pur avendo come interlocutore principale ai fini della realizzazione del progetto il Fischer Verlag (l’editore con cui Hofmannsthal ha intrattenuto il rapporto più continuativo), le Edizioni Cederna, nell’interessarsi a questo autore, continuano a guardare più che altro a Insel, in quanto appare loro un’azienda di impronta più fortemente artigianale.

La direzione dell’impresa di traduzione, avviatasi tra mille difficoltà nel 1946, viene conferita a Leone Traverso, mediatore di punta dell’ermetismo fiorentino e figura catalizzatrice, a partire dagli anni Trenta, della fortuna di Hofmannsthal in Italia. È lui a chiamare a raccolta, cercandoli principalmente tra sodali, discepoli ed ex compagni di università, la squadra di traduttori che nella sua composizione finale –  quella cioè rintracciabile nei frontespizi delle opere arrivate a stampa – comprenderà Gabriella Bemporad (laureata in germanistica e prolifica traduttrice dal tedesco), Giovanna Bemporad (all’epoca ancora molto giovane, ma già apprezzata per le sue versioni), Tommaso Landolfi (attivo, oltre che come scrittore, come mediatore, soprattutto di letteratura slava, in seno alla compagine ermetica e non solo), Vittoria Guerrini (poi nota con il nom de plume Cristina Campo, con il quale firmerà le sue opere di scrittrice) e Giorgio Zampa (allora germanista in erba).

L’avventura Cederna, però, dura poco: nel 1950 la fiorentina Vallecchi ne rileva il catalogo e ne fa una sofisticata collana di traduzioni. Molte delle versioni commissionate nel periodo milanese usciranno sotto questa nuova gestione.

2. Andrea o i ricongiunti: un lancio fallito

Con Hofmannsthal, le Edizioni Cederna vorrebbero farsi conoscere dal pubblico e, almeno nelle intenzioni[4], il primo volume dell’opera omnia dovrebbe essere una presentazione non solo dell’autore, ma anche della casa editrice nel suo complesso. Quest’ultima funzione è assolta dal paratesto, da subito oggetto di concertazione tra i mediatori coinvolti. Poiché gran parte dei collaboratori risiede a Firenze mentre la Cederna è basata a Milano, le contrattazioni avvengono soprattutto per lettera e sono a tratti piuttosto accese.

Pur riconoscendosi inesperto, l’editore chiarisce di volersi riservare una parte attiva nella messa a punto dell’edizione e il terreno su cui più di tutti rivendica il diritto a un ruolo attivo è, naturalmente, il confezionamento del libro.

Uno dei primi motivi di discussione è la copertina, o meglio, il titolo da stampare sulla sovraccoperta. La traduttrice del volume designato come uscita d’apertura, Gabriella Bemporad, avrebbe voluto che vi comparisse il titolo del romanzo (Andrea o i ricongiunti, in originale Andreas oder die Vereinigten), Cederna invece vi appone soltanto la dicitura Opere, oltre al nome dell’autore. In questo modo desidera mandare un segnale alla concorrenza: timoroso di non essere l’unico ad aver individuato la lacuna nel mercato editoriale, per tutto il 1946 è impegnato a sincerarsi che nessuno voglia sottrargli l’idea e tenta di riscattare le versioni già in catalogo o in via di pubblicazione presso altre case italiane. Presentando subito la traduzione di tutto Hofmannsthal come un progetto organico, Cederna spera di scoraggiare potenziali contendenti, mentre la traduttrice di Andreas, ragionando più nell’immediato, ritiene che il solo titolo Opere possa confondere e allontanare i potenziali lettori (Bemporad 1948).

C’è invece pieno accordo sull’opportunità di aprire la collezione con la narrativa, ‘cosa ghiottissima e da invogliare il lettore italiano a conoscere il resto della produzione di Hof.’ (Traverso 1946a). La decisione di partire con un genere giudicato accessibile contiene un messaggio rivolto non più ai produttori (gli editori concorrenti) o ai lettori specializzati che hanno già un’idea di chi sia Hofmannsthal (e su questa base dovrebbero riconoscere la qualità della nuova casa editrice), ma vorrebbe intercettare il bacino più ampio e più redditizio del pubblico dei romanzi, di cui neppure un’impresa che guarda programmaticamente alla cultura alta anziché al mercato può fare a meno.

Il libro che inaugura le Opere Cederna è l’unico romanzo di Hofmannsthal e a posteriori pare inverosimile la pretesa di utilizzarlo per catturare il grande pubblico. Se non altro perché è incompiuto. Gabriella Bemporad basa la sua versione su Andreas oder die Vereinigten (Hofmannsthal 1932), edizione postuma contenente una prima selezione dei circa 500 frammenti variamente connessi al travagliato disegno romanzesco hofmannsthaliano, portato avanti dall’autore per vent’anni e reso interamente disponibile soltanto nell’edizione critica (Hofmannsthal 1982). Quella che doveva essere una mossa volta a catturare i lettori di romanzi si trasforma così, per forza di cose, in un’operazione ad alto tasso filologico. La traduzione di Gabriella Bemporad dovrà necessariamente appoggiarsi a un paratesto che ricostruisca le problematiche legate alla restituzione di un testo frammentario. Secondo le parole della stessa traduttrice,

una nota che spieghi al lettore impreparato e certo un po’ stupefatto della strana presentazione del volume, come e perché il romanzo sia rimasto incompiuto e il fatto degli appunti per la continuazione (Bemporad 1947).

Su questo punto, Cederna e Gabriella Bemporad dissentono nuovamente. Pur convenendo sulla necessità di corredare il romanzo di un’introduzione, l’editore rifiuta l’idea della traduttrice di riprodurre in italiano la postfazione di Jakob Wassermann all’edizione Fischer. Si tratta, in effetti, di uno scritto molto personale e radicato nel contesto culturale di partenza, redatto da una figura che non possiede in Italia la stessa fama di cui gode in ambito germanofono e per cui, in aggiunta, andrebbero pagati a parte i diritti. Dell’inquadramento del romanzo e dell’autore si incarica dunque la stessa Gabriella Bemporad. L’editore, tuttavia, si confesserà insoddisfatto della nota, a suo parere non propedeutica alla lettura bensì impostata come un saggio critico che presupporrebbe una conoscenza pregressa dell’opera di Hofmannsthal (Cederna 1948a).

La manovra, in effetti, non riesce: Andrea o i ricongiunti è “un notevole insuccesso di vendita” (Cederna 1948c) e insieme ad altre disfatte simili trascina l’editore verso la bancarotta. Il secondo volume, dedicato ai racconti di Hofmannsthal ancora tradotti da Gabriella Bemporad, esce per Vallecchi nel 1955. La veste grafica rimane immutata, ma sulla sovraccoperta, stavolta, compare direttamente il titolo di una delle novelle, La donna senz’ombra, e non più Opere. L’investimento, ormai, è sul singolo libro e non più sull’importazione globale. 

3. Elettra: una traduzione per il teatro?

Il terzo volume, che segue i due di narrativa, va in stampa nel 1956: è la traduzione Elettra, approntata da Giovanna Bemporad. A essere trasposta in italiano è la prima Elektra di Hofmannsthal, cioè la Fassung pensata per il teatro e non la successiva rielaborazione librettistica messa in musica da Strauss. La versione è accompagnata da una nota in fondo al volume (non firmata ma da attribuire a Gabriella Bemporad[5]) che colloca il dramma all’interno della produzione teatrale hofmannsthaliana e, più in generale, europea. Inoltre, tra il testo vero e proprio e questo breve intervento critico sono inserite le Note sceniche per “Elettra” dello stesso Hofmannsthal, in traduzione italiana, quasi a suggerire l’utilizzo del libro come base per una rappresentazione. In questo, il paratesto sembrerebbe essere in contraddizione con la traduzione. La resa di Giovanna Bemporad è infatti mirata a ottenere effetti stilistici apprezzabili soprattutto tramite la lettura: quasi ogni periodo è costruito su un’inversione sintattica, abbondano le inarcature, sono frequenti le allitterazioni e così via. La presenza delle Note sceniche va forse interpretata piuttosto come la manifestazione di un desiderio di completezza: saremmo allora di fronte a una questione di correttezza filologica e non a un tentativo di aggancio al mondo teatrale. Questa ipotesi appare più verosimile, dal momento che né Cederna, che commissiona la traduzione, né Vallecchi, che la pubblica, hanno rapporti organici con personaggi del campo del teatro, come quelli che in quegli stessi anni animano l’attività di uno dei principali concorrenti della Cederna, Rosa e Ballo (cf. Sisto 2019).

4. Viaggi e saggi, Il Cavaliere della Rosa e Le nozze di Sobeide: paratesto e capitale simbolico

La struttura dei volumi hofmannsthaliani editi da Cederna e poi da Vallecchi si mantiene stabile fino alla terza uscita per poi essere modificata nella quarta. Quest’ultima raccoglie, sotto l’etichetta Viaggi e saggi, alcune prose di Hofmannsthal variamente ascrivibili al genere del resoconto di viaggio o del saggio critico[6]. I testi sono preceduti da un’introduzione di Traverso, che firma anche la maggior parte delle traduzioni. Il momento interpretativo, già presente nei primi tre volumi, cambia dunque di segno: non più una Nota relegata in fondo al libro ma una ben più prestigiosa Prefazione. Traverso può mettere in campo un capitale simbolico di cui le Bemporad non dispongono (almeno non a questa altezza temporale), in quanto donne, con un numero decisamente inferiore di lavori alle spalle, cui la traduzione è stata demandata perché il coordinatore dell’impresa non aveva un interesse specifico per quei testi[7]. Tuttavia, questa ristrutturazione può essere spiegata anche in un altro modo, non in contraddizione con quanto già affermato. Viaggi e saggi sancisce una volta per tutte l’accantonamento di un progetto votato a una certa completezza: al lettore è offerta solo una campionatura delle prose di Hofmannsthal, frutto di un assemblaggio avvenuto nel contesto di ricezione. Il prefatore, insomma, con la sua autorità deve dotare di senso la giustapposizione di testi concepiti separatamente e mai pubblicati insieme e in quest’ordine nel sistema culturale di partenza. L’introduzione, in cui Traverso fa ricorso ai suoi tratti stilistici più riconoscibili[8], accenna al lungo percorso dell’importazione di questi saggi in Italia e li interpreta secondo i concetti cardine dell’ermetismo. Allo Hofmannsthal saggista è infatti assegnata la stessa caratteristica che contraddistingue la critica ermetica: una visione dell’oggetto critico come occasione per una riflessione più ampia sulla vita, identificata con l’arte. Non è difficile, ad esempio, scorgere un richiamo al manifesto dell’ermetismo, Letteratura come vita di Carlo Bo, nella constatazione: “è ancora arte, cioè vita moltiplicata, che [Hofmannsthal] persegue sotto l’apparenza del pretesto critico” (Traverso 1958: 8).

Il quinto volume ospita le commedie Le nozze di Sobeide (Die Hochzeit der Sobeide) e Il cavaliere della rosa (Der Rosenkavalier), tradotte da Tommaso Landolfi. Legato a Traverso da un lungo sodalizio, Landolfi si siede al tavolo delle traduzioni di Hofmannsthal controvoglia, spinto da esigenze eminentemente economiche (Landolfi 1996: 9-10) e non certo da un’intenzionalità paragonabile a quella che sta dietro le sue opere di scrittore. Nondimeno, attraverso i paratesti, queste sono presentate come traduzioni d’autore, in anticipo su quelle che saranno accolte nella celebre collana einaudiana “Scrittori tradotti da scrittori”[9]. Sparisce qui ogni riga di commento ai testi, secondo una retorica diffusa per cui il lettore dovrebbe essere lasciato libero di fruire di un fatto d’arte senza essere appesantito da ulteriori annotazioni, e secondo la quale, d’altra parte, la traduzione di un bravo scrittore sarebbe già di per sé la migliore forma di critica. Ed è probabilmente con lo scopo di rimarcare la pretesa autonomia artistica della traduzione di Landolfi che viene omessa dalla terza pagina la menzione del curatore della collezione, che invece vi compariva negli altri volumi.

È come se confessare la presenza di un qualsiasi intervento esterno (che pure c’è stato dal momento che Traverso ha rivisto passo dopo passo la traduzione dell’amico Tommaso) potesse inficiare l’attribuzione della versione al solo genio creativo di Landolfi. Gli studiosi (A. Landolfi 2005, Farina 2015) hanno in seguito sottolineato la buona riuscita di queste traduzioni nonostante l’antipatia nutrita da Landolfi verso Hofmannsthal. Ma il dato che qui preme registrare è un altro: il peso simbolico di uno scrittore in proprio (Landolfi) si dimostra tale da superare quello di uno stimato traduttore di professione (Traverso) persino sul terreno che dovrebbe essere appannaggio di quest’ultimo, cioè proprio quello della traduzione.

5. Il libro degli amici: da Vallecchi a Adelphi

Con l’uscita delle traduzioni di Landolfi, il progetto dell’opera omnia avviato da Cederna all’indomani della guerra si può dire concluso. O meglio, sono arrivate a stampa una dopo l’altra molte delle traduzioni da lui commissionate tra il 1946 e il 1947. La collezione hofmannsthaliana rimane silente per qualche tempo, i libri già usciti si vendono male (Spina 2002: 39) e nessun editore si fa avanti con nuove pubblicazioni di testi dello scrittore austriaco. Tra il 1962 e il 1963 qualcosa si muove sul fronte critico: si susseguono ben tre monografie italiane incentrate su Hofmannsthal (Dell’Agli 1962; Marianelli 1963a, Marianelli 1963b). Nello stesso periodo, il progetto delle Opere della collana Cederna sembra prendere nuovo slancio con un volume che raccoglie Il libro degli amici, Appunti e diari, Ad me ipsum ancora tradotti da Gabriella Bemporad. Tali versioni non erano previste nell’impianto iniziale dell’opera omnia della Cederna, benché Bemporad avesse cominciato a lavorarci già sul finire di quell’esperienza (Cederna 1948b). Il paratesto segnala questa parziale discontinuità: rispetto ai libri precedenti restano immutati formato e copertina (distintivi dell’intera collana Cederna), ma il frontespizio ha una veste grafica rinnovata.

Anche la struttura è nuovamente modificata: la funzione introduttiva è svolta, come nei primi due volumi, da un breve intervento in fondo al libro di Gabriella Bemporad, cui si aggiungono undici pagine di note riferite a luoghi puntuali del testo. Infine, se ancora il volume landolfiano riportava la dicitura “Opere di Hofmannsthal. Volume quinto”, qui non si trova più alcun rimando alla collezione hofmannsthaliana nel suo complesso.

Contrariamente a quanto i (pochi) lettori affezionati di Hofmannsthal avrebbero potuto sperare, questo non è il punto di partenza di una nuova serie, quanto piuttosto il colpo di coda di una stagione di studi cominciata ancor prima della Cederna, con le lezioni di Guido Manacorda a Firenze negli anni Venti, e portata avanti a lungo da Leone Traverso e dalla sua cerchia.

Quello che l’ermetismo non ha potuto fare per Hofmannsthal, ovvero garantirgli l’ingresso nel canone della letteratura di lingua tedesca in Italia, lo farà la casa editrice Adelphi negli anni Settanta. Recuperando molte delle versioni messe in cantiere qualche decennio prima dalla Cederna, ma inserendole in una diversa cornice paratestuale (dal progetto editoriale alla collana, alle prefazioni, fino ai titoli), è Adelphi che consacra definitivamente Hofmannsthal agli occhi del pubblico italiano. Non a caso, rievocando nel 1973 i suoi studi fiorentini con Manacorda, Rodolfo Paoli (1971: 526) dichiarerà:

Ci animava uno sviscerato amore per i poeti moderni, specie per quelli tedeschi che allora (1925!) erano ancora poco noti e poi son divenuti celebri come George, Rilke, Hofmannsthal. Soprattutto a quest’ultimo rimanemmo fedeli tutti. Traverso con le sue molte e ben note versioni, Zamboni con quella di Ognuno, Gabriella Bemporad presentando in veste italiana Il libro degli Amici, La donna senz’ombra e, recentemente, Andrea o i ricongiunti, io con la versione di alcune liriche e col carteggio con Strauss (ancora non uscito).

Paoli si riferisce ad Andrea o i ricongiunti come a una recente fatica di Gabriella Bemporad non perché non sia al corrente della parentesi Cederna (lo stesso lavoro sul carteggio Hofmannsthal-Strauss cui allude gli era stato commissionato in quell’occasione). Semplicemente, quella traduzione, così come quella de Il libro degli amici, più volte riproposta da Adelphi, entra davvero nello spazio pubblico solo nel momento in cui è confezionata nell’efficace paratesto ispirato alla categoria di Mitteleuropa e al progetto culturale avviato da Bobi Bazlen.

6. Decodifica del paratesto come analisi del progetto traduttivo

Se li si mette fisicamente uno accanto all’altro, i sei libri di Hofmannsthal usciti sotto l’insegna Cederna-Vallecchi rivelano subito il loro apparentamento e danno l’impressione di essere il frutto di un piano editoriale dai contorni ben definiti. Solo a uno sguardo più attento si palesano quelle variazioni nei paratesti, a volte davvero minime, che diventano spie eloquenti proprio a fronte di una generale omogeneità.

Nella vicenda che abbiamo descritto, il paratesto, “luogo per eccellenza della dimensione pragmatica di un’opera” (Elefante 2012: 12), si rivela essenziale in tutte le fasi del processo di mediazione.

Non potendo leggere i testi integralmente e in originale, Cederna e Antonini si affidano più che altro a indizi di natura paratestuale (l’eleganza tipografica dei libri Insel e l’introduzione orfico-misticheggiante di Traverso a Liriche e drammi) per decidere di investire in un’impresa impegnativa come la traduzione di un’opera completa. Ed è in buona sostanza l’incisività del paratesto a fare la differenza tra l’insuccesso dell’Andrea o i ricongiunti Cederna e il successo della riedizione Adelphi.

Il potere consacrante di un determinato mediatore (editore, curatore, traduttore e così via) dipende dalla scala di valori vigente in un dato momento. Tali rapporti di forza si manifestano in maniera privilegiata nei paratesti. Landolfi, Traverso, Gabriella e Giovanna Bemporad sono dotati, in quest’ordine, di capitale simbolico decrescente: ciò si riflette non solo negli spazi paratestuali che vanno a occupare ma anche nella loro possibilità di intervenire nella messa a punto del paratesto stesso (e di farsi ascoltare).

Il tentativo di individuare destinatore e destinatario (Genette 1989) dei paratesti deve spesso scontrarsi con l’opacità dell’intenzione che presiede alla loro configurazione. Senza il ricorso alla documentazione d’archivio, i messaggi inviati dalle Edizioni Cederna con l’uscita del primo volume delle Opere in direzione degli addetti ai lavori e dei lettori non sarebbero immediatamente comprensibili – e forse per questo motivo non hanno sortito gli effetti desiderati.

Senza arrivare a dire (come fa provocatoriamente Pym 1998: 61-65), che sono i paratesti a segnare il confine tra cosa è una traduzione e cosa non lo è, si può senz’altro affermare che essi forniscono informazioni preziose sul tipo di operazione in atto. Certo, per riconoscere il progetto che sta alla base di una traduzione non ci si può affidare esclusivamente ai paratesti, i quali, per esempio, ci potrebbero indurre a definire, senza possibilità di sfumature, l’Elettra di Giovanna Bemporad una traduzione per il teatro e Il cavaliere della rosa e Le nozze di Sobeide di Landolfi traduzioni d’autore. Ma resta evidente, nel nostro caso, che Vallecchi non sposa con altrettanta passione il desiderio, che aveva ispirato Cederna, di restituire a Hofmannsthal il posto di rilievo che gli sarebbe stato ingiustamente negato all’interno del panorama italiano: il paratesto marca questa differenza.

Bibliografia

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–––––– (1948a) Lettera a Leone Traverso 26 febbraio 1948, Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio Casa editrice Cederna, serie 1, unità archivistica 137, fasc. 1948.

–––––– (1948b) Lettera a Leone Traverso 7 giugno 1948, Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio Casa editrice Cederna, serie 1, unità archivistica 137, fasc. 1948.

–––––– (1948c) Lettera a Gabriella Bemporad 20 ottobre 1948, Università degli Studi di Milano, Apice, Archivio Casa editrice Cederna, serie 1, unità archivistica 11, fasc. 1948f

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–––––– (1982) Andreas; Der Herzog von Reichstadt; Philipp II. und Don Juan d’Austria. Sämtliche Werke kritische Ausgabe Bd. XXX, a cura di Manfred Pape, Frankfurt am Main, Fischer.

Note

[1] I primi commentatori italiani dell’opera di Hofmannsthal si mostrano molto inclini a istituire un parallelo con D’Annunzio, basandosi tanto su affinità stilistiche e di postura (ad esempio, in Caprin 1912: 27 si legge che “la signorilità verbale [di Hofmannsthal] era un adattamento germanico di quella italiana del D’Annunzio”) quanto su attestati legami intertestuali e contatti intercorsi tra i due (tra i primi a trattare l’argomento in maniera estesa Traverso 1939 e Begozzi 1941).

[2] Fanno parzialmente eccezione Guido Manacorda, che gli consacra due contributi (Manacorda 1912, 1927), e Lavinia Mazzucchetti, che lo ricorda con una certa frequenza nella sua rubrica “I libri del giorno”.

[4] In realtà, a causa dei numerosi ritardi, il primo e unico volume delle Opere di Hofmannsthal delle Edizioni Cederna apparirà soltanto nel 1948, quando la casa editrice avrà già avviato le pubblicazioni da più di un anno. A inaugurare la serie è Rilke, di cui nel 1947 Cederna pubblica ben tre titoli (Elegie Duinesi, Lettere da Muzot, Lettere a un giovane poeta). Hofmannsthal resta comunque il progetto di punta della casa editrice.

[5] Gran parte di questa nota verrà ristampata nell’edizione Garzanti del 1981 e porterà la firma di Gabriella Benci, pseudonimo già utilizzato da Gabriella Bemporad durante gli anni del fascismo per dissimulare le proprie origini ebraiche.

[6] Più complesso, in realtà, lo statuto delle prose miste di narrativa e saggistica cui la critica hofmannsthaliana si riferisce come agli Erfundene Gespräche und Briefe (lettere e dialoghi inventati, fittizi), cf. Rispoli 2016.

[7] Nella personale gerarchia dei generi di Traverso, la lirica occupa il primo posto, seguita a stretto giro dalla prosa degli epistolari d’autore e di una certa saggistica vicina ai canoni ermetici. Restano invece più in ombra narrativa e teatro (benché non manchino controesempi nella stessa produzione del Traverso traduttore).

[8] Oltre a quelli individuati da Oreste Macrì (1971: 46) in sintonia con i moduli dell’ermetismo (“paratassi asindetica […]; riduzione degli attualizzatori; ellissi di articoli; congiunzioni comparative […] e verbi interi o servili […]; aggettivi predicativi prolettici; iperbati di complementi; citazioni proposizionali; incisi e costruzioni assolute”), va ricordata anche la tendenza di Traverso a costruire gli interventi critici attraverso il montaggio di citazioni di brani tradotti: la tecnica riduce notevolmente gli spazi in cui il commentatore prende la parola in prima persona, ruolo in cui Traverso ha spesso confidato di sentirsi scomodo.

[9] Lo Hofmannsthal di Landolfi non è la sola operazione di questo tipo messa in cantiere dalle Edizioni Cederna, che nel 1949 si assicurano un Amleto tradotto da Montale. In quel caso, il nome del traduttore campeggiava sulla copertina in grandi caratteri, a fronte del ben più modesto spazio lasciato alla menzione del titolo e dell’autore.

©inTRAlinea & Flavia Di Battista (2020).
"Tradurre Hofmannsthal nell’Italia del secondo dopoguerra: i paratesti delle edizioni Cederna e Vallecchi", inTRAlinea Special Issue: La traduzione e i suoi paratesti.
Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/2478