©inTRAlinea & Antonio Taglialatela (2011).
"Ozymandias". Translation from the work of Percy Bysshe Shelley.
Stable URL: https://www.intralinea.org/translations/item/2087

inTRAlinea [ISSN 1827-000X] is the online translation journal of the Department of Interpreting and Translation (DIT) of the University of Bologna, Italy. This printout was generated directly from the online version of this translation and can be freely distributed under Creative Commons License CC BY-NC-ND 4.0.

Ozymandias

Translated by: Antonio Taglialatela

Ozymandias by Percy Bysshe Shelley
The Norton Anthology of English Literature, Vol. II, Greenblatt S., Eighth edition, 2006, pag.768

Translation Source Text

Incontrai un viandante di una terra dell’antichità,
Che andava dicendo: “Due enormi gambe di pietra stroncate
Stanno imponenti nel deserto… Nella sabbia, non lungi di là,
Mezzo viso sprofondato e sfranto, e la sua fronte,
E le rugose labbra, e il sogghigno di fredda autorità,
Tramandano che lo scultore di ben conoscere quelle passioni rivelava,
Che ancor sopravvivono, stampate senza vita su queste pietre,
Alla mano che le plasmava, e al sentimento che le alimentava:
E sul piedistallo, queste parole cesellate:
«Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re,
Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate!»
Null’altro rimane. Intorno alle rovine
Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate,
Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine”.

I met a traveller from an antique land,
Who said: -“Two vast and trunkless legs of stone
Stand in the desert… Near them, on the sand,
Half sunk, a shattered visage lies, whose frown,
And wrinkled lip, and sneer of cold command,
Tell that its sculptor well those passions read
Which yet survive, stamped on these lifeless things,
The hand that mocked them, and the heart that fed:
And on the pedestal these words appear:
My name is Ozymandias, king of kings:
Look on my Works, ye Mighty, and despair!
Nothing beside remains.  Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare
The lone and level sands stretch far away.”

Comment

Eredità e stile dell’opera di Percy Bysshe Shelley: il caso di Ozymandias

Autenticamente romantico per l’immaginazione cosmica, per l’uso del linguaggio e per la tensione alla libertà morale e politica, e primo ufficiale contestatore religioso della cultura inglese, cosa che gli procurò non pochi affanni, Shelley (1792-1822) è un personaggio vivo, inquieto e ribelle, celebre per le sregolatezze della sua vita oltre che per la sua opera poetica. È il poeta dell’intelletto e del sentimento razionale ma incontrollato, raramente della passione, sebbene proprio la passione pervada il suo privato: la fuga con la giovane sedicenne Harriet Westbrook e il suo conseguente matrimonio segreto con lei, il trasferimento a Londra e l’innamoramento con Mary Godwin, la sua separazione dalla moglie Harriet e le nuove quasi immediate nozze con Mary, il loro viaggio in Italia, fatti che esemplificano l’intenso turbine sentimentale interiore del poeta.

In poesia è d’obbligo distinguere tra i romantici della prima generazione, nati nel clima degli ideali della rivoluzione francese e ansiosi di rinnovamento poetico, e quelli della seconda generazione, cui Shelley appartiene, cresciuti in un ben diverso clima di disagio economico e di inquietudine, mossi da un’ormai svelata disillusione. E mentre la prima generazione si scaglia contro le convenzioni in letteratura, la seconda si ribella contro la società corrotta, esprimendo idee fortemente personali e talvolta tendenti all’anarchia. Il senso di rivalsa nei confronti di una società incapace di affrontare con determinazione i problemi del disagio sociale, lo spirito di ribellione e la vacuità delle pretese umane permeano i lavori di Shelley ed esplodono spesso in marcato sarcasmo ed ironia, lasciandosi ben percepire tra le righe del sonetto in questione, Ozymandias: sarcasmo ed ironia verbale non sono evidenti, ma comunque fortemente palpabili.

Il sonetto fu scritto nel 1817 in occasione di una gara poetica informale con l’amico John Keats. Il tema da trattare era l’Egitto, a voler celebrare l’arrivo e l’esposizione presso il British Museum di un’imponente statua di Ramesse II il Grande e, più in generale, di reperti archeologici relativi alla dinastia dei Ramesse. Fu un Ramesse, tra gli altri, il re egiziano leggendario che parlò con Mosè all’epoca del grande esodo degli schiavi ebrei dall’Egitto. L’apertura del componimento è affidata al primo dei tre personaggi di Ozymandias, il poeta, il quale compare nel primo verso, accenna al suo incontro fortuito e lascia poi subito la scena al secondo personaggio, un viandante, il quale subentrando al poeta, lo sostituisce nella narrazione e racconta ciò di cui proprio lui, il viandante, aveva fatto esperienza in una terra antica. Dice delle rovine della statua di un faraone (presumibilmente Ramesse II d’Egitto), simbolo di un immenso regno che fu, e dello stato in cui adesso versavano. Tale tema della caducità della realtà, centrale nella poetica del tardo Romanticismo, richiama alla mente la nostalgia per il passato e svela come il tempo e la natura distruggano la vanità delle passioni umane suscitate dal potere.

Il potere porta ad essere superbi, arroganti, egoisti, violenti, ambiziosi, e a volte, tirannici e sprezzanti. Il tempo e la natura annichiliscono queste presunzioni, e nel sonetto il riferimento alla potenza del faraone si pone in contrasto con le rovine della sua stessa statua che mostrano invece l’inesorabile realtà di «una faccia sfranta» e di «pietre senza vita». Ma Re Ozymandias non simboleggia soltanto il potere politico. Egli è metafora dell’orgoglio e della tracotanza dell’umanità di tutti i tempi. Adesso però la sua statua rinvia all’idea che ciò che rimane di lui non è che una scultura con una manciata di parole cesellate su di essa. E così come Shakespeare nei suoi sonetti, Shelley dimostra che arte e linguaggio sono in grado di resistere ben oltre i segni del potere. È la brillante resa che Shelley fa della storia a rendere il componimento memorabile. Strutturando il sonetto come narrazione raccontatagli casualmente da un «viandante», Shelley aggiunge un certo livello di ‘oscurità’ alla posizione di Ozymandias rispetto al lettore: piuttosto che vedere la statua con i nostri occhi, ne sentiamo parlare. L’antico re viene in tal modo reso meno autoritario. Il poeta sembra iniziare la descrizione della statua per costruirne gradualmente la figura. Prima ne menziona il volto ricoperto dalla sabbia per metà, volto consunto dal potere oltre che dal tempo, e successivamente introduce al lettore la figura dello scultore, portando così ad immaginare lo stesso scultore da vivo mentre lavora alla sua opera avendo di fronte a sé il faraone in carne e ossa, la cui faccia, a distanza di millenni, riporta passioni ancora arguibili; poi in maniera non del tutto palese accenna al popolo nel verso 8: «The hand that mocked them, and the heart that fed» (trad.: «Alla mano che le plasmava e al sentimento che le alimentava»). E infine il regno si completa col fiero vanto dato dalla forte affermazione del re: «Look on my Works, ye Mighty, and despair!». Con questa il poeta demolisce la nostra idea del re interponendo secoli di rovina tra noi ed essa: «Look on my Works, ye Mighty, and despair! / Nothing beside remains. Round the decay / Of that colossal wreck, boundless and bare, / The lone and level sands stretch far away» (trad.: «Ammirate, Voi Potenti, le mie opere e disperate! Null’altro rimane. Intorno alle rovine / Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate, Le sabbie solitarie si estendono oltre confine»).

Note sulla traduzione

Nel sonetto originale i 14 versi sono in pentametro giambico e seguono lo schema metrico ababacdcedefef, piuttosto insolito per questo periodo. Esso non si rifà infatti al convenzionale modello petrarchesco (due quartine + due terzine e una metrica del tipo abba abba cdc dcd oppure abba abba cde cde o ancora abba abba cde cde – a,c,e, in assonanza) e collega attraverso la volta del pensiero del verso 8 l’ottava iniziale con la sestina finale, risultando gradualmente nello schema metrico summenzionato. Partendo da uno studio delle versioni finora tradotte e pubblicate [Roberto Sanesi (Mondadori 1983), Franco Buffoni (Bompiani 2002), Paolo Bernardini (Sydney 2000), Gianfranco Palmery (Il Labirinto 2006), Francesco Rognoni (Einaudi-Gallimard 1995)], la traduzione è stata in certe parti ‘osata’ sul piano dell’equivalenza, sempre cercando tuttavia di conservare la pregnanza semantica del testo fonte allo scopo di mantenere possibilmente lo stesso schema metrico e ritmico dell’originale, che in genere nelle traduzioni citate non sono rispettati. A nostro avviso, questo costituisce invece un aspetto assai importante, in quanto l’equivalenza semantica in poesia non è il più delle volte sufficiente a evocare ciò che il poeta desidera trasmettere. La prosodia e il fonosimbolismo giocano un ruolo cruciale in tal senso. Pertanto, ritraducendo il poemetto si è cercato di non tralasciare questi due fondamentali livelli di comunicazione. A seguire viene proposta un’analisi delle scelte traduttive più significative:

Verso 1 (I met a traveller from an antique land – Trad.: Incontrai un viandante di una terra dell’antichità)

  • Nelle versioni finora tradotte, ‘traveller’ viene reso col suo significato precipuo di ‘viaggiatore’. Nel nostro caso preferiamo ricorrere al termine ‘viandante’, che presenta una connotazione maggiormente incisiva, a nostro parere, sul piano del significato, ad indicare proprio chi va per via e, in particolare, chi passa per vie fuori della città, viaggiando a piedi, per raggiungere luoghi anche lontani. La scelta di ‘viandante’ vuole altresì neutralizzare la problematicità in italiano di tradurre  la preposizione inglese ‘from’ con ‘di’ oppure ‘da’, problematicità che nasce certamente con ‘traveller’, nel senso: ‘viaggiatore di o da una terra antica’?
  • ‘An antique land’ letteralmente significa ‘terra antica’ o ‘antica terra’ e tutte le traduzioni analizzate oscillano tra le due rese. Noi abbiamo preferito ricorrere alla sostantivizzazione dell’aggettivo ‘antica’ (‘terra antica’) in ‘antichità’ (‘terra dell’antichità’) per recuperare la rima col verso 3 (‘non lungi di ’) e col verso 5 (‘fredda autorità’), presente nel testo originale, sebbene così facendo la ritmica del verso sia lievemente rallentata, ma ad ogni modo non compromessa.

Verso 2 (Who said: Two vast and trunkless legs of stone – Trad.: Che andava dicendo: Due enormi gambe di pietra stroncate)

  • Nel tradurre ‘who said’ si presenta la difficoltà di dover decidere in italiano tra il passato remoto e il passato prossimo. Volendo noi ricorrere ad un imperfetto descrittivo, che non sta nella descrizione del ‘viandante’ ma in quella del poeta, si è optato per la forma perifrastica ‘che andava dicendo’. Pur incrementando sillabicamente il verso, noi riteniamo che una forma con connotazione di iteratività ben si ricolleghi alla volontà del ‘viandante’ di voler riferire e tramandare ciò che aveva veduto nella terra in cui egli era stato, aspetto tralasciato dalle altre versioni.
  • La nostra scelta del termine ‘stroncate’, a voler significare ‘senza tronco’, desidera rendere intenzionalmente l’ambivalenza semantica che tale termine può presentare in italiano (‘senza tronco’ e ‘stroncate’ dal tempo). La scelta è difatti motivata a livello fonetico per trasporre l’asprezza e le insidie che l’ambientazione desertica presenta, fatto che è iconicamente percepibile nel senso di ‘frattura’ e ‘divisione’ del  fonema ‘str-’ (si pensi anche a termini come ‘strappare’, ‘stralciare’, ‘strozzare’, ‘stringere’, ecc.), ambientazione che può essere in grado di stroncare delle vite umane. Si è tra l’altro deciso di utilizzare l’espressione ‘stroncate’ anche per riproporre nella traduzione il parallelismo semantico presente nell’originale tra ‘vast and trunkless legs of stone’ del verso 2 (‘enormi gambe di pietra stroncate’) e ‘lifeless things’ del verso 8 (‘pietre senza vita’). Non meno importante, nella nostra versione si cerca di conservare l’allitterazione della ‘s’ che è evidente nel testo fonte. Si è pensato poi di abolire nella traduzione la congiunzione ‘and’ presente in ‘vast and trunkless legs of stone’ e di tradurre l’emistichio con ‘enormi gambe di pietra stroncate’ per conferire maggiore coesione testuale alla resa in italiano. Inoltre, il termine ‘stroncate’ ci permette di mantenere l’enjambement con il verbo ‘stanno’ del verso successivo, figura retorica questa presente nel testo di partenza (‘legs of stone’ / ‘stand’). Le traduzioni realizzate hanno preferito ricorrere all’espressione ‘senza tronco’, scelta inequivocabile ma deficitaria del rispetto dell’enjambement.

Verso 3 (Stand in the desert… Near them, on the sand – Trad.: Stanno imponenti nel deserto… Nella sabbia, non lungi di là)

  • Il ricorso a ‘stanno’ per rispettare il verbo ‘stand’ dell’originale ci sembra opportuno, come già accennato, per non disperdere l’effetto dell’enjambement (‘stroncate’ / ‘stanno’). Prediligiamo nella scelta verbale, seppur abolendone la preposizione che riteniamo accessoria, la versione data da Palmery (‘stanno su’), nonostante tuttavia l’enjambement non venga reso poiché interrotto dalla cesura finale del verso precedente (‘due gambe senza tronco, enormi, in pietra, / stanno su nel deserto…’). Ci è parso opportuno, al fine di attribuire al verso una maggiore pregnanza semantica, inserire nella nostra versione l’aggettivo ‘imponenti’ (dunque: ‘stanno imponenti’) in modo da rendere la grandezza dell’opera, rifacendoci in parte alla traduzione di Bernardini (‘Alte si ergono nel deserto’), benché ‘alte si ergono’ sia un po’ ridondante e attribuisca al testo un’ulteriore e superflua connotazione di grandezza già contenuta in sé dal verbo ‘ergersi’. Vale la pena rammentare che il testo fonte riporta semplicemente ‘stand’, letteralmente ‘stanno in piedi’.
  • Nella traduzione del secondo emistichio di questo verso, ci è parso appropriato, in quanto non ne esce alterato il significato, invertire l’ordine delle parole rispetto all’originale per agevolare e rispettare, con l’inserimento di una litote (‘non lungi’ in luogo di ‘vicino’ o ‘accanto’ delle versioni menzionate), la rima del verso in questione con i versi 1 (‘antichità’) e 5 (‘autorità’).

Verso 4 (Half sunk, a shattered visage lies, whose frown – Trad.: Mezzo viso sprofondato e sfranto, la sua fronte)

  • Nella traduzione di questo verso, ci è sembrato opportuno l’ellissi del verbo ‘lies’ (letteralmente ‘giace’), in quanto dal contesto si riesce a percepirne il senso. In tal modo, concordiamo in qualche maniera con le scelte traduttive di Palmery (‘Un po’ accanto / sulla sabbia, una testa spezzata, e il suo cipiglio’) e Rognoni (‘Vicino sulla sabbia, / e il labbro corrucciato, e il sogghigno di gelido comando’), anche se in tali versioni vengono poste in secondo piano la metrica e l’allitterazione della ‘s’, aspetti che al contrario dovrebbero essere mantenuti integri, e anche se dalle loro traduzioni non è immediatamente comprensibile il fatto che metà del volto del rudere sia ricoperto dalla sabbia.
  • Allo scopo di mantenere l’allitterazione della ‘s’ dell’originale, abbiamo preferito ricorrere all’aggettivo possessivo ‘sua’, sebbene non presente, in luogo del pronome relativo ‘la cui’. Ciò permette tra l’altro di ottenere una maggiore pregnanza semantica.

Verso 5 (And wrinkled lip, and sneer of cold command – Trad.: E le rugose labbra, e il sogghigno di fredda autorità)

  • In questo verso, ci allineiamo nella traduzione di ‘wrinkled lip’ alle versioni di Sanesi e Bernardini, dove si utilizza il plurale (‘labbra’) pur essendovi il singolare nell’originale, ma il relativo aggettivo viene da noi qui reso con ‘rugose’ al posto di ‘corrugate’ come in Sanesi e Buffoni o ‘increspate’ come in Palmery.
  • Nella traduzione di ‘command’, non allineandoci ad alcuna delle versioni prese in esame, si è pensato di ricorrere al termine ‘autorità’, in quanto valido equivalente di ‘comando’, poiché autorità e comando si implicano a vicenda. Con tale scelta rispettiamo altresì la rima con i precedenti versi 1 (‘antichità’) e 3 (‘non lungi di là’) data nell’originale.

Verso 6 (Tell that its sculptor well those passions read – Trad.: Tramandano che lo scultore di ben conoscere quelle passioni rivelava)

  • In questo verso, ci è sembrata opportuna nella nostra versione in italiano la resa del verbo ‘tell’ con ‘tramandano’ in luogo di ‘dicono’ come in Sanesi, Bernardini, Palmery e Rognoni o di ‘rivelano’ come in Buffoni, anche per attenerci al senso della nostra versione del verso 2 in merito alla volontà del ‘viandante’ di voler riferire e tramandare ciò che aveva veduto nella terra in cui egli era stato.
  • Abbiamo ritenuto appropriato l’uso dell’imperfetto ‘rivelava’ per il verbo ‘read’ alla fine del verso. In tal modo, siamo facilmente accompagnati nel rispetto della rima col verso 8 (‘alimentava’).

Verso 7 (Which yet survive, stamped on these lifeless things – Trad.: Che ancor sopravvivono, stampate senza vita su queste pietre)

  • A differenza delle traduzioni pubblicate, ci è parsa valida in questo caso l’idea di mantenere una traduzione letterale per il termine ‘stamped’, vale a dire ‘stampate’ invece di ‘impresse’ come in Sanesi, Buffoni, Palmery e Rognoni o ‘scavate’ come in Bernardini, anche al fine di conservare l’allitterazione della ‘s’ e il significato simbolico del fonema ‘st-’, che in genere indica ciò che ‘sta’ e ‘si vede’ così come in ‘stand’, ‘stay’, ‘stymie’, ‘stamp’, ‘stare’ e così via.
  • In riferimento al termine ‘things’ di fine verso, abbiamo preferito in italiano eliminare la proforma ‘cose’ e sostituirla con ‘pietre’, per ridurre la genericità del riferimento e per marcare in maniera più pregnante il significato del modificatore ‘lifeless’ (‘senza vita’), sostenendo probabilmente anche l'intenzione semantica del poeta stesso. E con questo vogliamo aderire alla scelta traduttiva di Bernardini (‘pietre’).

Verso 8 (The hand that mocked them, and the heart that fed – Trad.: Alla mano che le plasmava, e al sentimento che le alimentava)

  • Anche in questo verso abbiamo pensato di ricorrere ad un imperfetto descrittivo, che ci pare indicato per non tralasciare la rima col verso 6 (‘rivelava’), rima non presente in alcuna delle traduzioni già pubblicate.

Verso 9 (And on the pedestal these words appear – Trad.: E sul piedistallo, queste parole cesellate)

  • Trattandosi del riferimento ad una scultura e al fine di mantenere la medesima ritmica dell’originale e di rendere la rima con i successivi versi 11 (‘disperate’) e 13 (‘sterminate’), in questo verso ci è sembrato opportuno utilizzare un participio passato con funzione di aggettivo, ‘cesellate’, in luogo del presente indicativo ‘appaiono’, che rappresenta la traduzione letterale di ‘appear’ del testo fonte, traduzione letterale cui invece preferiscono attenersi Sanesi, Palmery e Rognoni.

Verso 10 (My name is Ozymandias, king of kings – Trad.: Il mio nome è Ozymandias, re di tutti i re)

  • In questo verso, caratterizzato dal discorso diretto del faraone, l’inserimento da parte nostra dell’indefinito ‘tutti’, non presente nell’originale e non tentato nelle traduzioni precedenti, scaturisce dalla considerazione dell’indefinitezza della potenza e della grandezza di Ozymandias, anche allo scopo di stabilire un parallelismo con il verso conclusivo del componimento (‘le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine’): Ozymandias è il re dei re, di tutti i re; e il suo regno è il regno dei regni, di tutti i regni, probabilmente un regno di cui non si intravedono neppure i confini. D’altro canto, è palese la forza di un indefinito come ‘tutti’ pronunciato nella dichiarazione di un sovrano.

Verso 11 (Look on my Works, ye Mighty, and despair – Trad.: Ammirate, Voi Potenti, la mia opera e disperate)

  • Per l’apertura di questo verso, abbiamo fatto ricorso al verbo ‘ammirate’ che ha in sé una forte connotazione di meraviglia e stupore, al contrario delle versioni analizzate ove si preferisce una traduzione letterale con un semplice ‘guardate’ come in Sanesi, Palmery e Rognoni o un improbabile ‘guarda’ come in Bernardini o ancora uno statico ‘contemplate’ come in Buffoni.
  • Con la traduzione della seconda parte del verso, abbiamo preferito allinearci alla resa di Bernardini che traduce con un singolare ‘opera mia’ il plurale ‘my Works’ del testo di partenza. Tale decisione può di fatto creare una duplice ma utile valenza semantica, relativa sia all’enorme scultura in sé sia alle opere realizzate dal faraone. Tuttavia, ci sembra più pregnante semanticamente anticipare il possessivo (‘la mia opera’) piuttosto che posticiparlo (‘l’opera mia’), come fatto appunto da Bernardini.

Verso 12 (Nothing beside remains. Round the decay – Trad.: Null’altro rimane. Intorno alle rovine)

  • In questo verso, abbiamo ritenuto di poter ben rendere la traduzione in italiano di ‘decay’ (letteralmente ‘decadimento, declino’) con il plurale ‘rovine’ e così facendo ci accostiamo alle versioni di Sanesi e Buffoni. Inoltre, ciò ci consente, sebbene Sanesi e Bernardini, e le altre versioni, operando una scelta lessicale differente sul termine conclusivo (‘oltre confine’), manchino il rispetto della rima, di preparare nel nostro caso tale rima col verso 14 (‘rovine’ / ‘oltre confine’), attenendoci così all’originale.

Verso 13 (Of that colossal Wreck, boundless and bare – Trad.: Di quel rudere colossale, spoglie e sterminate)

  • Al contrario delle altre versioni (Sanesi: ‘Le nude e sconfinate / Sabbie deserte e piatte si stendono lontano’; Buffoni: ‘nuda infinita informe la sabbia si distende / Solitaria’; Bernardini: ‘Nuda e senza confini / La sabbia piatta si distende, solitaria, all'infinito’; Palmery: ‘nude, illimitate / sabbie lisce e deserte si stendono lontano’; Rognoni: ‘e attorno sconfinate spoglie / le solitarie e uniformi sabbie si stendono lontano’), in questo verso ci è sembrato conveniente invertire nel processo di traduzione l’ordine degli aggettivi del testo fonte ‘boundless and bare’ (letteralmente ‘sterminate e spoglie’), e rendere l’emistichio con ‘spoglie e sterminate’, soprattutto per questioni di ritmo e di rima col verso 11 (‘disperate’ / ‘sterminate’). Si mantengono ciononostante equivalenza e congruenza con l’originale.

Verso 14 (The lone and level sands stretch far away – Trad.: Le piatte sabbie solitarie si estendono oltre confine)

  • In questo verso, ci è parso ancora una volta opportuno rendere la rima del testo fonte, a differenza delle altre traduzioni, e per far ciò abbiamo preferito l’utilizzo della perifrasi ‘oltre confine’ al posto di un aggettivo come ‘solitaria’ (cfr. Buffoni) e di un avverbio come ‘lontano’ (cfr. Sanesi, Palmery e Rognoni) o ‘all’infinito’ (cfr. Bernardini). Riteniamo che in tal modo l’aspetto semantico non risulti alterato.

 


 

©inTRAlinea & Antonio Taglialatela (2011).
"Ozymandias". Translation from the work of Percy Bysshe Shelley.
Stable URL: https://www.intralinea.org/translations/item/2087

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