Ipertestualità e ipertesti elettronici

Il termine "relazione ipertestuale" puó essere utilizzato per caratterizzare il tipo di relazione che unisce un testo (letterario) tradotto al testo "originale". I testi legati tra loro da una relazione di questo tipo possono essere definiti come "ipertesti" e "ipotesti".

Il concetto di ipertestualità come tipo di relazione transtestuale (cfr. intertesti e ipertesti) va naturalmente distinto da quello di ipertesto elettronico. La prima attestazione del termine "ipertesto" viene fatta risalire a Ted Nelson:

Let me introduce the word hypertext to mean a body of written or pictorial material interconnected in such a complex way that it could not conveniently be presented or represented on paper[1]

Come si evince dalla citazione, il concetto di ipertesto è il prodotto in primo luogo di un'evoluzione tecnologica, che individua nel passaggio dalla carta ad un altro tipo di supporto una condizione opportuna se non necessaria alla sua realizzazione. Ted Nelson elabora la sua definizione a partire dagli studi compiuti negli anni '40 da Vannevar Bush che, in epoca pre-informatica, immaginava il Memex, una "macchina per leggere" costituita da una serie di microfilm che scorrevano sotto uno schermo ai comandi di un sistema di leve manovrate dal lettore (Bush 1945). Il Memex non venne mai realizzato, ma è facilmente intuibile come dal punto di vista pratico introducesse quella modalità di lettura tramite l'interazione con uno schermo, che successivamente all’avvento dei personal computer e della rete Internet è nota come "navigazione" ipertestuale (Cadioli 1998). Come l'ideale utilizzatore del Memex avrebbe dovuto costruire i propri percorsi all'interno del "corpus" di conoscenze racchiuso nei microfilm (la tecnologia di archiviazione più avanzata esistente all'epoca), chi naviga in un ipertesto elettronico vede scorrere sullo schermo del computer testi tra loro collegati non in base a un percorso di lettura predeterminato ma attraverso una logica associativa determinata dall'utente, che stabilisce la sequenzialità temporale di lettura scegliendo tra una serie di opzioni che gli vengono offerte sotto forma di parole o simboli che collegano i documenti tra loro. Il formato digitale dei testi elettronici implica inoltre la possibilità di accedere non solo a testi scritti, ma anche a testi orali e a testi visivi. È in questo senso si parla perciò di ipermedia piuttosto che di ipertesti.[2]

Il termine coniato nel 1965 da Ted Nelson in riferimento a un insieme di testi elettronici posti in relazione tra loro in maniera non sequenziale attraverso una serie di riferimenti incrociati, si è diffuso al di fuori dell'ambito strettamente tecnologico ed è stato utilizzato dalla critica letteraria per concettualizzare un sistema di relazioni tra testi e una modalità di fruizione degli stessi. Dato che un ipertesto elettronico permette di rendere espliciti dei collegamenti tra testi, in quanto all'interno dell'ambiente di lettura costituito dalle finestre sullo schermo si possono ordinare e ridisporre diversi frammenti di testo, interconnettendo parole, immagini e frammenti testuali di diversa origine e natura, esso costituisce "an almost embarassingly literal embodyment of a principle that had seemed particularly abstract and difficult when read from the vintage point of print" (Landow 1992: 53). Landow definisce le relazioni intertestuali esplicitate in un ipertesto elettronico come "intertestualità ipertestuale". Il critico americano, che parla a questo proposito di convergenza tra tecnologia informatica e teoria critica, rappresentata principalmente dagli scritti di autori come Barthes e Derrida, estende la discussione più in generale a quel complesso di idee conosciute come "critica postmoderna", "poststrutturalismo" e "decostruzionismo". Un ipertesto elettronico fornisce, a suo parere, gli strumenti per attualizzare quelle teorie che pongono l'accento su nodi, legami e reti di relazioni in contrapposizione a un tipo di analisi che privilegia la linearità, la gerarchia, il centro in contrapposizione alle periferie. In tale prospettiva l'oggetto dell'analisi critica si sposta dal testo come depositario di un significato unico e incontrovertibile al testo come un elemento nella costruzione di una pluralità di significati possibili. La natura stessa del supporto elettronico, proprio in quanto inserito in una rete di nessi intertestuali, favorirebbe la consapevolezza dell'indeterminatezza del senso di un testo. 

Per utilizzare la terminologia di Genette (1997 [1982], cfr. intertesti e ipertesti), si può affermare che un ipertesto elettronico permette di presentare e rendere esplicite le diverse relazioni transtestuali di un determinato testo. Le relazioni transtestuali rese esplicite in un ipertesto traduttivo come IperGrimus sono in primo luogo quella ipertestuale tra traduzione e testo "originale" e in secondo luogo quel complesso di relazioni che costituisce la base intertestuale per un'interpretazione critica del testo di Rushdie e di una sua traduzione.

 



[1] Dalla voce "Hypertext" dello Hypertext Webster Dictionary [online]http://www.fin.gov.nt.ca/webster.htm.

[2] Cfr. Zanettin (1999b).