La formazione in traduzione fra competenze, professione e civismo

Alcune riflessioni sul service-learning

By Paolo Scampa, Gaia Ballerini & Silvia Bernardini (Università di Bologna, Italia)

Abstract & Keywords

English:

In the past two decades there has been a substantial increase in the number of translator education programmes, that has gone hand in hand with intense reflection on translation competences and on the pedagogic approaches needed to acquire them. An important role has been played by network initiatives such as the EMT (European Master's in Translation), which have strengthened collaboration among higher education institutions that educate future language professionals. Particular attention has been devoted, especially in the latest years, to professional competences. In this contribution we survey the main competence frameworks and pedagogic approaches proposed for the acquisition of such competences. Based on these premises, we argue for the introduction of a new pedagogic approach known as service-learning, which is being tested and used in higher education settings internationally, but that is still not widely employed in translation pedagogy. We conclude with some practical suggestions for the implementation of service-learning in an Italian university translation programme.

Italian:

La formazione in traduzione ha avuto un rapido sviluppo negli ultimi venti anni ed è stata accompagnata da un'intensa riflessione sulle competenze e sugli approcci pedagogici necessari per acquisirle, anche sulla spinta di iniziative come la rete EMT (European Master's in Translation), che hanno favorito i contatti fra istituzioni di istruzione superiore che formano traduttori/rici professionisti/e. Particolare attenzione è stata posta, soprattutto nell'ultimo periodo, sulle competenze più strettamente legate alla professione. Questo contributo intende offrire una panoramica dei principali quadri delle competenze e dei principali approcci pedagogici proposti per lo sviluppo di tali competenze (informazioni non sistematicamente disponibili in lingua italiana). Su questa base propone poi l'introduzione di un approccio pedagogico noto come service-learning, attualmente sperimentato in diversi contesti universitari, in Italia e all'estero, il cui valore per la formazione in ambito traduttivo risulta ancora inesplorato. L'intervento si conclude con alcuni suggerimenti pratici per la sperimentazione di un'esperienza di service-learning in un contesto universitario italiano.

Keywords: competence models, competenze professionali, didattica della traduzione, modelli delle competenze, professional competences, service-learning, translation competence, translation pedagogy

©inTRAlinea & Paolo Scampa, Gaia Ballerini & Silvia Bernardini (2022).
"La formazione in traduzione fra competenze, professione e civismo Alcune riflessioni sul service-learning", inTRAlinea Vol. 24.

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1. Introduzione

Il fiorire di corsi di laurea magistrale nell'area della traduzione specialistica in Europa e nel mondo negli ultimi venti anni ha portato ad un'intensa riflessione sulle competenze, sugli approcci pedagogici più utili per favorirne lo sviluppo e sui metodi di valutazione più adeguati a testarne l'avvenuta acquisizione. Pur nella loro diversità, tutti i modelli di competenze, in particolare i più recenti, si soffermano sulle competenze interpersonali e di offerta dei servizi linguistici. Nello stesso modo, gli approcci pedagogici più influenti (come il socio-costruttivismo o l'apprendimento situato) e le sperimentazioni più interessanti (come quelle relative alla simulazione di progetti collaborativi), pongono l'enfasi sull'importanza di offrire alle future traduttrici e ai futuri traduttori[1] occasioni di apprendimento in situazioni reali(stiche), in cui possano confrontarsi con la complessità della realtà professionale, pur senza le pressioni di quest'ultima. Vista la direzione in cui si sono mosse le riflessioni didattiche nel mondo della traduzione, appare sorprendente che non abbia trovato spazio al loro interno una pratica di grande interesse e attualità in ambito socio-psico-pedagogico, quale quella del service-learning, che unisce il servizio di volontariato e l'apprendimento di quelle competenze strategiche, interpersonali e professionali tanto centrali per la didattica della traduzione.

In questo contributo intendiamo presentare le motivazioni per cui riteniamo che il service-learning possa contribuire ad innovare le pratiche didattiche in ambito traduttivo, innestandosi perfettamente sulle riflessioni e sulle sperimentazioni proprie di questo ambito. A questo scopo, nella sezione 2 riassumiamo brevemente i principali modelli di competenze sviluppati a partire dai primi anni 2000; successivamente, nella sezione 3, descriviamo le principali proposte pratiche per una pedagogia della traduzione ancorata alla  professione, per poi passare a considerare le caratteristiche del service-learning più rilevanti per la didattica della traduzione (sezione 4) e a riflettere infine sui modi in cui i due mondi possono incontrarsi tramite un'attività formativa universitaria che combini spirito volontario e apprendimento collaborativo situato (sezione 5). Raccogliendo in un unico contributo in lingua italiana la descrizione dei modelli di competenze, degli approcci pedagogici, dei metodi di valutazione e delle sperimentazioni di progetti collaborativi, e introducendo gli studi sul service-learning in ambito linguistico, questo contributo offre altresì una solida base di partenza teorico-pratica per ulteriori sperimentazioni didattiche.

2. La formazione alla professione e le competenze del traduttore

Le competenze[2] richieste al traduttore per svolgere in modo soddisfacente la gamma sempre più ampia di compiti previsti dal mercato dei servizi linguistici sono state oggetto negli ultimi anni di intensa riflessione. La convergenza fra ricerca accademica e impegno istituzionale (in particolare da parte della rete dello European Master’s in Translation (EMT), ma anche tramite progetti di innovazione dell'istruzione superiore come OPTIMALE)[3] ha portato ad un vero e proprio fiorire di modelli, il cui scopo è andare oltre definizioni ristrette (e restrittive) di competenza traduttiva. Tali sono, ad esempio la definizione di competenza traduttiva come l'insieme di competenza linguistica, testuale, contenutistica, culturale e di trasferimento (Neubert 2000: 6), o come la combinazione della competenza bilingue e della capacità semantica (intralinguistica) di parafrasare un testo (Englund Dimitrova 2005: 1). In questi nuovi modelli la competenza traduttiva in senso stretto si inserisce invece in un quadro ben più ampio e articolato che punta a definire le competenze del traduttore, quelle competenze indispensabili, cioè, non solo per tradurre, ma per operare professionalmente nel settore dei servizi linguistici.

Al fine di comprendere meglio i modi in cui le priorità formative di stampo professionale possono essere declinate nei corsi di laurea magistrale dedicati, è dunque innanzitutto necessario presentare brevemente i principali modelli che descrivono le competenze. Nell'impossibilità di affrontare l'argomento in modo esaustivo, ci soffermeremo sui 4 modelli maggiormente influenti e completi, rimandando per approfondimenti all'eccellente introduzione di Hurtado Albir (2017, capitolo 1)[4].

Kelly (2005:33–34), pur non proponendo un modello vero e proprio, elenca le seguenti competenze come desiderabili per un laureato magistrale in traduzione: 1. competenze comunicative e testuali in almeno due lingue; 2. competenze (inter)culturali; 3. competenze in specifiche aree di specialità; 4. competenze professionali e strumentali (deontologia, strumenti IT); 5. competenze attitudinali e psico-fisiologiche (concentrazione, memoria); 6. competenze interpersonali (lavoro di gruppo, leadership, negoziazione); 7. competenze strategiche (risoluzione di problemi, autovalutazione). Kelly stessa (2005:34) sottolinea come molte di queste competenze (4–7) ricadano sotto l'ombrello delle competenze generali o trasversali, anche note come soft skills, definendo questa caratteristica come 'a striking idiosyncrasy of our field’s' (una sorprendente idiosincrasia del nostro settore). Sebbene questa idiosincrasia possa giocare a vantaggio dei laureati e delle laureate in traduzione, vista la trasferibilità delle competenze per la traduzione ad altri ambiti, non vi è dubbio che l'acquisizione di tali competenze costituisca una sfida per una didattica universitaria di tipo tradizionale. Sfida che si riflette anche sulla valutazione delle competenze acquisite. A tale proposito Kelly propone un metodo di valutazione che esalta l’autonomia e la presa di coscienza del discente: il dossier di traduzione. Nel dossier il discente è libero di inserire, motivandole opportunamente, fino a quattro attività relazionate con la traduzione che, presentate e commentate, riflettano al meglio quanto appreso. In questa concezione della valutazione cambia anche la figura del valutatore, non più necessariamente il docente ma i compagni di corso, lo studente stesso o esperti esterni.

Nel secondo modello, risultato del lavoro del gruppo PACTE (PACTE 2003 in Hurtado Albir ed. 2017), la competenza traduttiva è strutturata in 5 sotto-competenze, ovvero: 1. sotto-competenza bilingue, 2. sotto-competenza extralinguistica; 3. conoscenza dichiarativa della traduzione (come processo e come professione); 4. sotto-competenza strumentale; 5. sotto-competenza strategica, a cui si aggiungono particolari componenti psico-fisiologiche e attitudinali (memoria, attenzione, creatività). In questo modello gioca un ruolo fondamentale la sotto-componente strategica, tramite la quale si pianifica e monitora l'intero processo traduttivo. È il possesso di questa sotto-competenza olistica e trasversale a distinguere il traduttore professionista da un soggetto bilingue dotato di un'eventuale innata capacità di tradurre.

Un terzo modello, fortemente influenzato dal modello PACTE, è stato proposto da Göpferich (2009). Le competenze a grandi linee sovrapponibili a quelle del modello PACTE proposte da Göpferich sono la competenza bilingue, tematica, strumentale, psico-motoria e strategica. A queste si aggiunge la competenza relativa all'attivazione di procedure di routine, mentre vengono meno le conoscenze dichiarative sulla traduzione. Il modello di Göpferich si distingue però soprattutto per l'inclusione di alcuni fattori situazionali che regolano l'applicazione del modello stesso, ovvero: lo scopo della traduzione e le norme applicabili; la consapevolezza del traduttore circa il suo ruolo professionale e sociale; le capacità individuali. Si nota quindi come nel modello di Göpferich la competenza traduttiva sia fortemente ancorata alla situazione comunicativa specifica, tanto che lo sviluppo di comportamenti competenti, tipici dell'esperto, non può che avvenire attraverso metodi di apprendimento/insegnamento situati (Vienne 1994, Risku 2002).

Infine, il modello più influente, per ovvie ragioni, è quello adottato dall'EMT, che costituisce di fatto uno standard a cui tendere per le lauree magistrali che intendono entrare a far parte di questa rete di eccellenza. Nella sua versione più recente, rilasciata nel 2017, il modello comprende 5 aree (EMT 2017). La prima, relativa alle conoscenze linguistiche e culturali, è sotto-specificata in quanto si presuppone costituisca un prerequisito già posseduto dagli studenti al momento dell'ammissione. Le altre quattro aree riguardano la competenza traduttiva in senso stretto (dall'analisi del testo di partenza al controllo di qualità finale), la competenza tecnologica (relativa a tutti gli strumenti del mestiere), la competenza personale e interpersonale (che comprende ad esempio il rispetto delle scadenze e le capacità di lavorare in gruppo e di apprendere nuove competenze) e la competenza relativa alla fornitura di servizi (che riguarda, fra l'altro, i rapporti con i clienti, la deontologia professionale e la gestione dei progetti). Di particolare interesse è l'importanza riconosciuta alle ultime due aree in questo nuovo quadro delle competenze. Rispetto alla versione precedente (EMT 2009), a fronte di un ridimensionamento di alcune aree (ad esempio quella tematica e di acquisizione delle informazioni, ora ricomprese sotto la competenza traduttiva), le aree maggiormente legate alla dimensione professionale hanno infatti acquisito un maggiore peso e una maggiore visibilità, meritando lo status di aree di competenza indipendenti.

Kelly (2005)

Göpferich (2009)

PACTE (2017)

EMT (2009)

EMT (2017)

Bilingual communicative and textual competence

Communicative competence in at least 2 languages

Bilingual sub-competence

Language competence

Language and culture

Cultural and intercultural competence

Extralinguistic sub-competence

Intercultural competence

Subject area competence

Domain competence

 

Thematic competence

 

Attitudinal or psycho-physiological competence

Psychomotor competence

Psycho-physiological components

 

 

Interpersonal competence

 

 

 

Personal and interpersonal

Strategic competence

Strategic competence

Strategic sub-competence

Translation service provision competence

Service provision

Professional and instrumental competence

Tools and research competence

Instrumental sub-competence

Technological competence

Technology

 

 

Translation routine activation competence

Knowledge of translation sub-competence

 

Translation

 

 

 

Information mining competence

 

Tabella 1. Le competenze (o sotto-competenze) che costituiscono
la competenza di traduzione/del traduttore in 5 modelli proposti nella letteratura,
allineate secondo corrispondenze necessariamente approssimative

3. Approcci didattici e proposte per l'acquisizione delle competenze legate alla professione

3.1 Introduzione: dalle competenze alla formazione

La chiara indicazione contenuta nei modelli delle competenze relativamente alla necessità di una formazione superiore più orientata alla professione ha portato a numerosi tentativi di integrare questa componente all'interno dei corsi universitari per traduttori. Studiosi e docenti di traduzione come González Davies (2004), Gouadec (2005), Kiraly (2000) e Zucchini (2012) hanno enfatizzato la necessità di armonizzare la pratica didattica e gli standard di un universo professionale in costante e radicale mutamento, caratterizzato da crescita esponenziale della conoscenza, accorciamento del ciclo di vita delle competenze e innovazioni tecnologiche dirompenti (Ballerini 2016; Buysschaert et al. 2018).

I modelli descritti nella sezione precedente sottolineano tutti, in modo più o meno esplicito, come le competenze che contraddistinguono il traduttore siano eminentemente trasversali e interconnesse ed evidenziano la difficoltà di conciliare le rigide strutture dei corsi accademici con obiettivi formativi difficilmente scomponibili in singole attività formative. Questo è tanto più vero per le competenze maggiormente rilevanti a livello professionale, ovvero quelle legate alla sfera della fornitura di servizi e delle relazioni interpersonali. Per rispondere alle richieste dell’industria della traduzione e consentire ai neolaureati di inserirsi con successo e a lungo termine nel mercato della traduzione (scopo principale del Processo di Bologna, recepito dall'EMT), è necessario sviluppare metodologie che vadano oltre il mero esercizio traduttivo guidato e corretto dal docente, quello che Kiraly (2005:11) definisce 'the "who’ll take the next sentence" (WTNS) approach' (o approccio chi legge la prossima frase?).  

A tale proposito, a partire dagli anni 1980 sono stati elaborati approcci teorici e teorico-metodologici (Nord 1991, Gile 2009, Vienne 1994, Risku 2002, Kiraly 2000) e proposte concrete di tipologie di attività (González Davies 2005, Gouadec 2005, Buysschaert, Fernandez-Parra and van Egdom 2017, Way 2008, Krüger and Serrano Piqueras 2015) il cui scopo è spiccatamente professionalizzante. Tali proposte hanno in comune il tentativo di simulare, all'interno di un contesto didattico di formazione universitaria, le attività, gli standard e l'interazione propri dell'ambito lavorativo. A queste si aggiungono metodologie che prevedono l’integrazione di progetti autentici di traduzione nei corsi di studio (Kiraly 2005) grazie ai quali gli studenti hanno la possibilità di confrontarsi con gli stessi standard richiesti dal mondo professionale.

3.2 Approcci teorico-metodologici per una pedagogia della traduzione ancorata alla professione

Fra i precursori di una pedagogia della traduzione ancorata alla professione non si può non citare Christiane Nord. Nord (1991) ritiene che la formazione del traduttore debba simulare la pratica professionale e per questo ogni traduzione proposta debba avere uno scopo realistico. Al fine di promuovere tale pratica Nord prende in prestito dalla New Rethoric una serie di domande in grado di guidare lo studente nel processo traduttivo[5]. La proposta, basata su un modello funzionalista, è un chiaro passo verso una formazione student-centred il cui focus è sia sul processo traduttivo che sul prodotto della traduzione. Sebbene non consideri altri aspetti rilevanti, quali ad esempio la fornitura di servizi traduttivi, può comunque essere definito come un approccio che porta 'professional realism in the classroom' (Kelly 2010: 391).

Al pari di Nord, Gile (1995/2009) considera fondamentale che il docente si focalizzi sul processo prima che sul prodotto. Piuttosto che commentare le traduzioni prodotte dagli studenti sottolineando se le proposte siano corrette o meno, dovrebbe identificare e analizzare i problemi che emergono nel processo e suggerire procedure per gestire le difficoltà che emergono nel processo traduttivo. La capacità di gestire le difficoltà in autonomia rappresenta d'altronde una delle competenze richieste al traduttore in ambito professionale. Un ulteriore elemento di armonizzazione di formazione e professione riguarda la valutazione della qualità secondo una prospettiva professionale, quindi più olistica, non basata esclusivamente sulla ricerca di equivalenze linguistiche e testuali.

Nel 1994 Vienne applica l’approccio dell’apprendimento situato alla didattica della traduzione prevedendo 'translation of texts in their real communicative situation' (1994: 51) e facendo così avanzare le riflessioni su formazione e professione. Il metodo proposto si basa su fondamenti teorici che descrivono l’operazione traduttiva come un’attività che richiede una varietà di competenze, dall’analisi della situazione traduttiva alla descrizione del prodotto della traduzione passando per le fasi di pianificazione delle risorse e ricerca di testi paralleli, uso delle fonti e cooperazione con il committente, in questo caso il docente stesso. La classe viene divisa in gruppi e ad ognuno viene fornito un testo precedentemente tradotto dal docente in una situazione traduttiva autentica. Il docente-committente fornisce le risposte alle domande rivolte dagli studenti nella fase di negoziazione, fornendo così un contesto di riferimento in base al quale svolgere la traduzione.

Proponente principale dell'approccio socio-costruttivista in ambito traduttivo, Kiraly pone al centro della propria proposta metodologica l’apprendimento collaborativo e lo svolgimento di progetti di traduzione autentici per clienti autentici (Kiraly 2000: 60). Lo scopo è aiutare gli studenti a raggiungere livelli di autonomia semiprofessionali attraverso esperienze reali, ossia confrontandosi con incarichi di traduzione che il docente riceve da contatti professionali personali. L’approccio socio-costruttivista di Kiraly comporta la divisione del lavoro per lo svolgimento di un compito specifico che deve essere completato congiuntamente, in modo che i membri del team possano costruire insieme i significati e sviluppare conoscenze culturali e professionali. Si verifica così un’evoluzione da una didattica incentrata sul docente, che è considerato fonte principale della conoscenza, a una in cui lo studente diviene l’agente centrale del processo di apprendimento, mentre il docente diviene informatore, consigliere e valutatore.  A proposito di valutazione, Kiraly (2005), come Kelly (2005), propone il dossier di traduzione come valida alternativa alle modalità di valutazione tradizionali.  Nella sua proposta gli studenti selezionano una serie di traduzioni svolte nel corso del semestre andando a unire la valutazione formativa e sommativa a quella ipsativa, ossia l’abilità degli studenti di saper valutare la progressione della propria competenza nel corso del semestre. Elemento che, una volta entrati a far parte del mondo della traduzione professionale, consentirà loro di stabilire se saranno in grado di completare l’incarico nei tempi stabiliti e rispettando gli standard qualitativi concordati.

3.3 Proposte pratiche per una pedagogia della traduzione ancorata alla professione

In seguito a un intenso lavoro di ricerca che ha unito trasversalmente riflessioni sulla didattica della traduzione e sui cambiamenti in seno alla professione in termini di competenze richieste e applicazioni tecnologiche, sono stati progettati e attuati approcci che mirano a ricreare in aula la realtà professionale del traduttore, mettendo in pratica i suggerimenti descritti in 2.2. Di seguito si analizzeranno le principali proposte fatte.

Sulla scia dell’Enfoque por tareas (Hurtado Albir 1999), González Davies propone in Multiple Voices in the Translation Classroom (2004) una metodologia basata sui principi dell’apprendimento cooperativo e sul socio-costruttivismo. Le modalità di lavoro prevedono attività (brevi esercizi volti a sviluppare aspetti specifici di natura linguistica, enciclopedica, traduttiva o professionale), tareas (catene di attività che si sviluppano per più sessioni e prevedono la consegna di un prodotto finale) e progetti, che implicano una partecipazione ancora più attiva dello studente nella fase decisionale e nella valutazione del prodotto finale, potenziando al massimo la cooperazione tra gli studenti. Per González Davies (in Galán Mañas 2009), il momento della valutazione è particolarmente rilevante: dovrebbero partecipare tutti gli attori (docenti, studenti, traduttori, esperti esterni); la valutazione pedagogica dovrebbe essere combinata con la valutazione professionale e mano a mano che il processo di apprendimento progredisce le due valutazioni dovrebbero arrivare a coincidere.

Krüger e Serrano Piqueras (2015) sono gli ideatori del Translation Project Using Translation Tools presso la University of Applied Sciences di Colonia. L’obiettivo del corso è di riprodurre in aula l'ambiente che gli studenti incontreranno nella loro futura carriera di traduttori. Il quadro teorico di riferimento è duplice: da una parte la 'traduzione in situazione' di Risku (1998, 2004), dall’altra il modello delle competenze traduttive di Göpferich (tabella 1). Il corso, della durata di un semestre, consente agli studenti di completare in autonomia progetti complessi avvalendosi di software di traduzione assistita e di gestione terminologica. Durante il corso viene dato spazio a applicazioni e metodi non strettamente traduttivi ma importanti nella routine professionale dei traduttori, quali opzioni di configurazione di email, uso di motori di ricerca e strumenti di costruzione e analisi di corpora, visti come 'performance-enhancing tool[s]' (Krüger and Serrano Piqueras, 2015: 20).

Daniel Gouadec, promotore della pedagogia della traduzione per progetto, fonda il proprio approccio, sviluppato presso l’Université de Rennes 2, su due idee chiave: avvicinare le situazioni pedagogiche a modelli professionali e introdurre tutte le modifiche necessarie all’organizzazione della formazione per permettere tale professionalizzazione (Gouadec 2005: 33). Il risultato è la messa a punto di una metodologia didattica che incorpora incarichi di traduzione autentici per clienti autentici nei programmi universitari. Il modello, nato nel 1984, prevede che a ogni nuovo incarico vengano nominati un capo progetto e un assistente che dovranno scegliere i traduttori, negoziare i termini di consegna e le condizioni della prestazione, stabilire le specifiche del progetto e il calendario di produzione. Si tratta di un meccanismo in cui tutti i partecipanti conoscono i propri ruoli e le proprie mansioni. I nuovi arrivati vengono integrati come traduttori e seguiti da capo progetto e assistente; una volta compreso il sistema, possono accedere progressivamente a nuove responsabilità passando dallo status di stagisti a quello di capo-progetto di ambito e, infine, diventando a loro volta capo-progetto generali. Una tappa fondamentale dal punto di vista pedagogico è quella del controllo qualità. Il responsabile della fase di post-traduzione unisce le traduzioni svolte individualmente per creare la versione finale: questo obbliga i traduttori a giustificare le proprie proposte, ad auto-valutarsi e a considerare i consigli dei colleghi. Inoltre, il fatto che la qualità del progetto venga controllata sistematicamente dal responsabile di post-traduzione e da quello della qualità riduce notevolmente l’intervento del tutor, senza nuocere alla qualità delle valutazioni. Fra i molti vantaggi di questo approccio vale la pena di sottolineare in primo luogo come la creazione di strutture di lavoro collettivo rafforzi la motivazione e il senso di solidarietà tra i partecipanti: gli studenti più avanzati condividono i loro saperi con i compagni e tutti sono responsabili in modo solidale della qualità del risultato finale.

La pedagogia per progetto ha assunto un ruolo centrale nella didattica della traduzione grazie a due importanti iniziative europee, i progetti OTCT e INSTB. Dal 2014 al 2016 sette università europee[6], con a capo l’Università di Rennes, hanno promosso e sviluppato il progetto OTCT (Optimising Translator Training through Collaborative Technical Translation), un partenariato strategico Erasmus+ il cui obiettivo era di agevolare l’integrazione delle pratiche professionali nella formazione del traduttore, migliorare l’occupabilità degli studenti e intensificare i rapporti tra le università europee. Le sessioni Tradutech promosse da OTCT erano simulazioni di progetti collaborativi di traduzione tecnica multilingue svolte in condizioni professionali, grazie alle tecnologie collaborative online. Prima della sessione vera e propria, gli studenti partecipavano ad un evento di formazione in traduzione tecnica, project management, controllo qualità e tecnologie di traduzione. Le sessioni, della durata di cinque giorni, prevedevano la creazione e gestione di una propria agenzia di traduzioni. Ogni team, composto di 8–12 studenti con responsabilità e ruoli specifici (titolare d’agenzia, project manager, capo terminologo, traduttore), si occupava di progetti di traduzione tecnica su ampia scala seguendo le specifiche e le deadline dei clienti, al fine di ricreare situazioni semi-professionali. Inoltre gli studenti provenienti da tutte le istituzioni venivano coinvolti in un progetto terminologico condiviso in modo da promuovere la cooperazione a distanza.

Sulla scia del progetto OTCT, nel 2015 è stato ufficialmente lanciato INSTB[7], l’International Network of Simulated Translation Bureaus. Si tratta di una partnership di università europee che integrano nei loro corsi di studio attività formative che prevedono la creazione di agenzie di traduzione simulate, i cosiddetti 'simulated translation bureaus' (STB) o 'skill labs'. INSTB è un progetto ambizioso che si pone numerosi obiettivi strategici, fra i quali aumentare il volume del lavoro pratico di traduzione nei programmi di formazione dei traduttori, in linea con l'invito del mondo professionale, delle organizzazioni di accreditamento e del Master europeo in traduzione (EMT); fornire agli studenti esperienza traduttiva prima che si laureino in modo da aumentarne le opportunità occupazionali; contribuire a migliorare la qualità delle traduzioni degli studenti con un’attenzione particolare ai requisiti di qualità professionale; contribuire alla standardizzazione delle competenze e ai criteri di valutazione delle traduzioni. Attualmente le università che hanno aderito al progetto sono 13[8]; le caratteristiche salienti di alcuni STB attivi presso le università della rete sono descritti in Buysschaert, Fernandez-Parra and van Egdom (2017) e in van Egdom et al. (2020).

4. Il service-learning

4.1 La via accademica all'impegno civile

Avendo presentato i principali contributi teorici e le principali esperienze nel campo della formazione del traduttore alla professione (modelli di competenze, approcci pedagogici, valutazione), è ora possibile comprendere il potenziale offerto da un approccio che risulta ancora non valorizzato nella letteratura e nella prassi didattica della traduzione, ovvero il cosiddetto service-learning.

Per service-learning si intende un corso metodologico di educazione civica alla cittadinanza partecipe i cui crediti accademici vengono conseguiti dagli studenti progettando, espletando e rendicontando un servizio “volontario” alla comunità e nella comunità. Sebbene possa essere erroneamente confuso con il volontariato, in quanto ne condivide l’elemento di gratuità, la valenza sociale, gli obiettivi civici e il legame con la comunità, il service-learning determina in realtà un’evoluzione e segna il passaggio da partnership transazionali (quali quella del volontariato) a trasformative, in cui l’attività si fonda sull’unione di due scopi mirati a beneficio reciproco delle due parti coinvolte, la comunità e i discenti. Ben diverso quindi da attività di volontariato nelle quali il focus è posto unicamente sul servizio e sul suo destinatario generando un processo unidirezionale in cui uno solo dei due attori coinvolti, in questo caso il discente, si avvicina all’altro, la comunità.

A differenziare service-learning e volontariato vi sono due ulteriori elementi, i principi di reciprocity (reciprocità) e reflexivity (riflessività), che insieme a respect (rispetto) e relevance (rilevanza) rappresentano le 4R fondanti e specifiche del service-learning. Reciprocity è una delle basi dell’impegno civico e consiste in ‘the recognition, respect, and valuing of the knowledge, perspective and resources that each partner contributes to the collaboration’ (Carnegie Foundation, 2011). Include uno scambio di vantaggi, risorse e azioni; un processo di influenza a livello sociale, personale e ambientale e la generativity, un processo trasformativo che fa sì che i partecipanti della relazione diventino e/o producano qualcosa di nuovo (Dostillo, 2012). La reflexivity, invece, è ‘a critical reflection on the community-university relationship and on [service-learning] activities’ (Guarino et al., 2019) ed è una componente fondamentale del percorso degli studenti attraverso il lavoro sul campo quando vengono incorporate attività di service-learning.

Da un punto di vista pedagogico, etico e ideologico il service-learning ha come ideale la diffusione di nutrimenti intellettuali e degli strumenti operativi per sensibilizzare le giovani generazioni al civismo attivo, sostenendone il coinvolgimento collegiale e cooperativo nel campo aperto dell'universo no-profit. Con il service-learning gli studenti escono dal campus universitario per farvi ritorno dopo essersi cimentati sul campo nel ruolo di attori sociali della loro comunità e aver sperimentato con spirito cooperativo e intento di risoluzione dei problemi la complessità del reale (Eyler and Giles 1999, Fiorin 2016).

Ispirato alla filosofia politica partecipativa di Dewey (1938), il service-learning è stato ampiamente adottato a partire degli anni Ottanta nei programmi curricolari dei college e degli atenei statunitensi (Furco and Root 2010) ed è attualmente in fase di espansione nelle università italiane ed europee (Guarino and Zani 2017). Configura un rinnovato approccio pedagogico nel quale il tradizionale insegnamento nozionale e frontale dell’educazione civica si coniuga attivamente ad un concreto impegno dei discenti a favore della società civile. Promuove lo spirito solidale, la responsabilità sociale e l’azione civica coordinata dei discenti, offrendo loro un’occasione di apprendimento dinamico sul campo. Prestando un servizio socialmente utile e in quanto tale gratificante, si ricava un nuovo senso di identità e di appartenenza, sia alla società civile che alla propria comunità professionale.

Nome composto di un edificio composito, il service-learning si propone da un lato di rispondere in modo concreto a certi bisogni sociali della comunità e dall'altro al bisogno didattico degli studenti di sapere sfruttare ed applicare diligentemente in un contesto sociale reale le conoscenze teoriche e tecniche acquisite in aula, nutrendole criticamente in un dialogo multidisciplinare con le osservazioni sul campo. Intelletti socialmente attivi, aperti e collaborativi, gli studenti rivestono così un ruolo decisamente centrale in questa formazione che apre in maniera curriculare l’accademia alla società civile e associativa. Questo comporta anche una rimodulazione dei criteri di valutazione dell'operato dei discenti.

4.2 Service-learning traduttivo e formazione del traduttore

Se l’area dell’impegno civico e della risposta alle esigenze della comunità costituiscono campi d’intervento centrali per il service-learning, la rimozione delle barriere linguistiche che frenano la circolazione delle informazioni e l’incontro delle diversità culturali ne costituisce un altro potenzialmente non meno importante. D'altro canto l'insegnamento e la formazione degli insegnanti di lingue straniere sono due ambiti ai quali il service-learning è stato proficuamente applicato (Ping 2014; Salgado-Robles (a cura di) 2018). Viceversa in ambito traduttivo è forte l'impegno di tipo volontario di traduttori professionisti e in formazione, che offrono gratuitamente il proprio lavoro in associazioni come Translators without borders, Traduttori per la pace o Translation Commons[9]. Ciò nonostante, le esperienze di service-learning universitario in ambito traduttivo rimangono limitate, perfino nel contesto accademico statunitense, nel quale il service-learning è particolarmente sviluppato (Tocaimaza-Hatch 2018).

Alcuni esempi recenti dimostrano però le potenzialità dell'approccio non solo per favorire lo sviluppo delle competenze di trasferimento linguistico e culturale, ma anche per aumentare la motivazione e favorire l'acquisizione delle capacità di negoziare con diversi interlocutori, di applicare conoscenze accademiche in situazioni reali e di utilizzare le risorse a disposizione in modo mirato, per un pubblico e uno scopo specifici (Thompson and Hague 2018). Ulteriori vantaggi non immediatamente evidenti riguardano lo sviluppo della cosiddetta auto-efficacia, ovvero la fiducia di una persona nelle proprie competenze. Il raggiungimento di questo obiettivo di apprendimento, ritenuto essenziale anche nella formazione dei traduttori (van Egdom et al. 2020) è uno dei risultati accertati del service-learning (Yorio and Ye 2012).

Date le premesse, è del tutto naturale che all'interno di un corso di studi dedicato alla traduzione si mettano le competenze in materia di mediazione linguistica e culturale al servizio della comunità, o meglio al servizio delle comunità (trattandosi di intermediazione linguistica). D'altra parte, destinare risorse umane motivate e preparate al service-learning traduttivo non è soltanto atto di nobiltà, artefice di proficui avvicinamenti tra le culture e le entità d’impegno civico o di utilità pubblica. Data l’ideale coincidenza tra il campo comunicativo d’azione civica e il campo curriculare specializzato della formazione superiore in traduzione, l'attività che stiamo descrivendo è anche per i cittadini-studenti un’occasione professionalizzante unica di perfezionamento e di arricchimento delle competenze traduttologiche personali, paragonabile ad una vera e propria esperienza lavorativa, riconoscibile in quanto tale con crediti formativi e indubbiamente gradita al mercato del lavoro.

In situazione, questi giovani traduttori senza frontiere dovranno infatti gioco forza confrontarsi con tutta la catena organizzativa che va dalle relazioni umane interne ed esterne alla revisione e all’edizione dei testi, passando per la gestione amministrativa e la programmazione delle scadenze. In breve si troveranno ad affrontare in modo olistico, multidisciplinare e pragmatico il processo traduttivo nella sua integralità produttiva. Nella realtà lavorativa la traduzione non si limita in effetti mai all’unica operazione di traslazione testuale da una lingua all’altra, per quanto centrale questa sia: comprende sempre a monte e a valle tutta una serie di processi da governare. D'altronde l'attenzione riservata alla competenza personale e interpersonale e alla competenza relativa alla fornitura di servizi nel più recente modello dell'EMT (2017), di cui ci siamo occupati nella sezione 2, conferma la necessità di momenti formativi che escono dalle logiche dell'esercizio traduttivo fine a se stesso, come accade nelle simulazioni proposte dalla rete INSTB e in generale nelle esperienze descritte in 3.3.

L’aula da sola, per mancanza più di tempo e condizioni che d’intento, non è infatti in grado di soddisfare queste esigenze, demandandone il soddisfacimento principalmente agli indispensabili tirocini esterni, ad iniziative singole (incontri con le aziende, workshop pratici) e nella migliore delle ipotesi ai translation bureaus. Il service-learning traduttivo costituisce una forma ulteriore di sviluppo delle competenze descritte in 2, che in più valorizza e nutre la dimensione dell'impegno civile degli studenti. L'integrazione di translation bureaus e translation as service potrebbe costituire una struttura parallela rispetto al sistema dei tirocini in azienda. Con più ambizione, potrebbe inoltre dar vita ad un auspicabile servizio consociato offerto dagli studenti delle lauree magistrali in traduzione d'Europa (parte dell'EMT o di altre realtà associative, come le alleanze universitarie europee in via di formazione), accogliendo le sollecitazioni dei progetti Europe Engage e UNICORN[10], sostenuti dall’Unione europea.

A beneficio di entrambi gli obiettivi formativi, civico e professionale, nonché di utilità alla società civile, il service-learning traduttivo è in definitiva un’educazione civica applicata alla comunicazione interlinguistica, in proficua armonia disciplinare con la specifica formazione curriculare degli studenti delle lauree magistrali in traduzione specializzata. Coerente con le priorità formative specifiche della disciplina, il service-learning traduttivo si propone quindi da un lato come ramo settoriale del service-learning generale e dall'altro come integrazione, più socialmente sostenibile, alle simulazioni e ai tirocini professionali.

5. Competenze professionali, apprendimento esperienziale e servizio attivo: 5 principi guida per il service-learning in ambito traduttivo

Sulla scorta delle riflessioni e teorizzazioni presentate nelle sezioni precedenti, non sfuggirà il grande potenziale formativo e sociale del service-learning applicato ai servizi linguistici, soprattutto se messo in relazione ai modelli delle competenze, agli approcci pedagogici e alle proposte didattiche concrete formulate nel mondo della formazione alla traduzione negli ultimi vent'anni. Per avviare un confronto e una collaborazione su questi temi, in questa sezione conclusiva vorremmo descrivere un progetto per implementare, all'interno dell'orizzonte teorico-metodologico del service-learning, una sorta di agenzia di traduzione studentesca senza fini di lucro e istituita con spirito di servizio alla comunità, che integri al suo interno occasioni di riflessione esplicita sull'apprendimento esperienziale legato alla responsabilità civile e all'impegno del singolo e dell'istituzione universitaria per il rafforzamento delle comunità.

Gestita in autonomia dagli studenti con la supervisione di docenti e tutor, questa agenzia si rivolge in particolare, ma non necessariamente in esclusiva, alle associazioni no-profit contribuendo a rinvigorire dal basso le relazioni internazionali informali a livello sociale e lo spirito di integrazione culturale transnazionale tra le cittadinanze dei vari paesi, d’Europa e non solo. Collocate al di fuori dei circuiti commerciali, produttivi o istituzionali, queste entità associative civiche tutelate dagli ordinamenti legislativi sono delle figure relazionali trasversali vitali nei loro territori e costituiscono dei nodi comunicativi influenti sul piano culturale e informativo, sia in loco che in rete. Le competenze chiave di cittadinanza che si sviluppano grazie alle interazioni generate da questa collaborazione vengono poi rafforzate attraverso le occasioni di auto-riflessione e riflessione guidata (diari, laboratori, incontri di restituzione) propri del service-learning.

i. Bilanciare professione e servizio

Le esperienze di service-learning non presuppongono necessariamente la prestazione di servizi negli ambiti formativi propri degli studenti che le svolgono, ma non le escludono a priori. Nel caso dei servizi linguistici, come abbiamo visto, l'aspetto di volontarietà è già ampiamente presente nella società: l'introduzione di un modulo specifico all'interno di un corso di laurea/laurea magistrale non fa che rafforzare e istituzionalizzare questa realtà, contribuendo allo stesso tempo allo sviluppo di competenze e capacità richieste dal mondo del lavoro. Nel momento in cui l'attività di servizio diventa parte integrante di un curriculum di studi, è però necessario formalizzarne le caratteristiche e i ruoli dei partecipanti. Dal punto di vista dei contenuti, il service-learning traduttivo si compone di quattro parti. Le prime due riguardano specificamente il service-learning: una prima componente di riflessione sulle competenze chiave di cittadinanza e sulla consapevolezza sociale e personale si svolge nella parte iniziale del modulo, per creare le condizioni di consapevolezza necessarie affinché il lavoro successivo si svolga nel rispetto dei principi di questo approccio socio-psico-pedagogico. La seconda componente, di fondamentale importanza per distinguere il service-learning da altri modi di apprendimento collaborativo, consiste nella rilevazione dei bisogni specifici della comunità individuata: una volta instaurato il dialogo e svolta la needs analysis, gli studenti discuteranno con la comunità quali, tra i bisogni indicati, saranno in grado di soddisfare tenendo conto delle competenze e delle conoscenze da loro possedute e di tempi e modalità. Questa prima consultazione darà il via alla co-costruzione del progetto che vedrà la comunità e gli studenti impegnati in incontri regolari al fine di definire gli obiettivi a breve, medio e lungo termine, discutere dell’andamento delle attività e attuare degli aggiustamenti, se necessario. La fase successiva, più propriamente professionalizzante, è dedicata alla strutturazione del gruppo di lavoro e successivamente alla fornitura dei servizi veri e propri. A metà tra service-learning e professione si pone, infine, l’approfondimento delle questioni legate alla deontologia professionale e al ruolo sociale del traduttore, che si svolge per l’intera durata del modulo.

ii. Tempi e modalità didattiche

L'attività di service-learning qui descritta dovrebbe avere la durata di almeno un semestre e occupare un minimo di cinque crediti formativi universitari (pari a 125 ore di impegno dello studente, fra lezioni frontali e lavoro autonomo, di cui almeno 25 dedicate al service-learning) se attività formativa autonoma, o un numero paragonabile di ore di impegno da parte dello studente, se si configura come laboratorio/esercitazioni. Per i requisiti di autonomia decisionale, di competenze e capacità (tecnologiche, linguistico-culturali, traduttive, personali e interpersonali e di prestazione di servizi), il suo naturale posizionamento all'interno di un corso di laurea magistrale sarebbe nel secondo anno di corso. L’attività si configurerebbe come esperienza obbligatoria per tutti gli studenti prossimi alla laurea e all’inserimento nel mondo professionale, costituendo il coronamento del percorso accademico.

iii. Contenuti e divisione dei compiti

Come in una vera comunità di pratica, e a differenza di quanto avvenga in classe, non tutti i partecipanti svolgono gli stessi compiti e ricoprono gli stessi ruoli. Fatta eccezione per l'approfondimento dei principi del service-learning, uguale per tutte le coorti, le attività professionali sono determinate dal gruppo stesso e cambiano nel tempo. Infatti il gruppo deve dapprima organizzarsi in un'entità in grado di offrire servizi linguistici di livello professionale a scopo benefico e poi erogare tali servizi nel rispetto degli standard professionali, dei principi deontologici e dell'impegno civico. Il gruppo di studentesse e studenti che porta avanti il progetto dovrà porsi e risolvere problemi che vanno dall'identificazione della committenza, alla definizione delle regole che delimitano le attività di cui il gruppo può legittimamente farsi carico, all'ideazione di strategie di comunicazione via web/social network, all'assegnazione dei ruoli (project management, traduzione, revisione, gestione della terminologia, comunicazione esterna), alla definizione delle modalità di collaborazione. Mentre queste decisioni coinvolgono tutti i partecipanti, ciascuno farà esperienze diverse all'interno del gruppo e idealmente avrà modo di capire quali ruoli gli sono più confacenti.

iv. Valutazione

La valutazione della performance delle studentesse e degli studenti tiene conto dei contenuti di cui al punto precedente. Il soddisfacimento degli obiettivi formativi è garantito da un lato dalla dimostrazione di aver acquisito competenze di impegno civico e sociale e capacità relazionali e dall'altro di aver acquisito tutte le competenze e capacità professionali definite dall'EMT come necessarie per un laureato magistrale in traduzione. Le attività di valutazione avverranno in due momenti distinti, assumendo forme diverse. In un’ottica formativa, al termine di ogni incontro, gli studenti saranno chiamati a riflettere criticamente sulle categorie di crescita personale, impegno civico e valorizzazione del rapporto università-comunità attraverso la redazione di diari personali e il confronto con gli altri membri del gruppo. In una prospettiva sommativa, invece, la comunità partner coinvolta fornirà una valutazione di tutto il gruppo di lavoro attraverso un questionario specifico, mentre gli studenti consegneranno un portfolio delle attività svolte e/o una relazione finale nella quale, specificando il ruolo svolto, valuteranno le competenze civiche e professionali acquisite.

v. Misurare l'impatto

Date le priorità non solo formative ma anche di impegno civico e sociale, l'esperienza di service-learning traduttivo si presta anche ad una valutazione dell'impatto sociale. Le evidenze in questo caso possono riguardare il numero di parole tradotte o gli incarichi svolti, l'eventuale copertura mediatica, le testimonianze/endorsement dei committenti. La visibilità dell'attività e del ruolo sociale del traduttore che ne conseguirebbe andrebbe a vantaggio dell'intera professione, contribuendo a mettere in evidenza il valore sociale insito nella riduzione delle barriere linguistiche.

6. Conclusione: criticità e potenziale del service-learning nella formazione in traduzione

Un’attività formativa che riposa sull'autonomia dello studente e sulla simulazione in ambito accademico di un contesto professionale (seppure non a scopo di lucro), porta con sé alcune inevitabili difficoltà, in particolar modo nella fase di avvio del progetto, in cui si renderà necessario porre le basi dell’agenzia. Per gli studenti si tratterà di intraprendere un percorso ex-novo di progettazione e sviluppo di una ‘impresa a scopo civico’ che andrà ripensato passo dopo passo con incontri che non saranno preparati ad hoc da tutor e docenti ma piuttosto co-costruiti in modalità cooperativa coerente con lo spirito solidale del service-learning. La necessità di redigere e poi rispettare un codice deontologico potrebbe sollevare conflitti interni e costringere i partecipanti a decisioni difficili o impopolari. Le costrizioni proprie dell'ambito universitario potrebbero dal canto loro causare intoppi di tipo amministrativo nei rapporti con l'esterno (ad. es. coperture assicurative nel caso di accesso degli esterni ai locali dell'università) da rimuovere. Il mondo del lavoro potrebbe infine non cogliere immediatamente il potenziale formativo di un'esperienza di service-learning traduttivo per l'acquisizione di competenze professionali, rendendo necessaria una ‘formazione’ dei suoi attori (associazioni di categoria, traduttori, agenzie) attraverso la disseminazione di scopi, obiettivi e traguardi del progetto.

Se l'introduzione di questa nuova pratica didattica non è senza asperità, riteniamo tuttavia che la coerenza di fondo tra service-learning e riflessione teorico-metodologica sulla didattica della traduzione, che risulta dalla panoramica offerta in questo lavoro, sia una motivazione forte per auspicarne una sperimentazione sul campo; a maggior ragione, dato lo stretto legame con l'impegno civico. Se l'esperienza degli Student Translation Bureaus punta sulla simulazione di un'esperienza lavorativa e imprenditoriale realistica, anche ponendo gli studenti in situazioni tali da stimolare la competizione per il successo, nel caso del service-learning gli studenti e le studentesse lavorano insieme verso un obiettivo socialmente utile di cui condividono l'importanza e si formano all'impegno civico come uno degli obiettivi del loro percorso di crescita intellettuale. Speriamo che queste motivazioni e le riflessioni che le accompagnano spingano le istituzioni superiori che formano traduttori ad accettare la sfida di sperimentare una formazione più umana e più solidale, oltre che più efficace.

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Note

[1] Nel prosieguo del contributo usiamo il maschile generico per riferirci a traduttrici e traduttori e a studentesse e studenti. Consapevoli dell’inadeguatezza di questa soluzione, adottata al solo scopo di facilitare la lettura, vorremmo ricordare ai lettori e alle lettrici che le donne costituiscono in realtà la maggioranza delle popolazioni a cui ci riferiamo qui (impropriamente) al maschile.

[2] In questo contributo utilizziamo il termine competenza secondo la definizione del Quadro Europeo delle Qualifiche, ovvero a indicare 'comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale' (https://ec.europa.eu/ploteus/sites/eac-eqf/files/broch_it.pdf; si veda anche EMT 2017: 3); Per brevità ricomprendiamo inoltre nel termine competenza le relative conoscenze, abilità e capacità, fatti salvi i casi in cui la distinzione è significativa.

[4] Nel testo riportiamo la nostra proposta di traduzione in italiano per i nomi delle (sotto)competenze, rimandando alla tabella 1 per i nomi originali in inglese tratti dalle pubblicazioni citate (in qualche caso leggermente adattati per ragioni di spazio).

[5] Who is to transmit/ to whom/ what for/ by what medium/ where/ when/ why / a text with what function? / On what subject matter/ is he to say/ what/ what not/ in which order/ using which non-verbal elements/ in which words/ in what kind of sentences/ in which tone/ to what effect? (Nord, 1991: 144).

[6] Univerzita Karlova v Praze, Swansea University, Universitatea Babes-Bolyai, Universita Ta Malta, Universidad Pablo de Olavid, Université Catholique de Louvain.

[7] http://www.instb.eu/ (visitato il 17 maggio 2021)

[8] Ghent University, UC Leuven Limburg, KU Leuven, Swansea University, Universiteit Antwerpen, Université Charles-de-Gaulle – Lille 3, Université de Mons, Vrije Universiteit Brussel, Zuyd Hogeschool/Maastricht, Turku University, Technology Arts Sciences TH Köln, Utrecht Universiteit e Dublin City University.

About the author(s)

Paolo Scampa è ricercatore confermato in lingua e traduzione, Lingua francese presso il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione dell'Università di Bologna. I suoi interessi di ricerca riguardano la linguistica contrastiva italiano-francese e la didattica della traduzione.

Gaia Ballerini è assegnista di ricerca e docente a contratto presso il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione dell'Università di Bologna. Si occupa di didattica della traduzione nell’ambito del progetto TaS – Translation as Service per le lingue italiano e francese.

Silvia Bernardini (Laurea (Bologna), MPhil (Cantab), PhD (MDX)) è professoressa ordinaria di lingua e traduzione e di lingua inglese. Si occupa di didattica della traduzione e della lingua inglese per traduttori, in particolare con l'ausilio di corpora, da oltre 20 anni.

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©inTRAlinea & Paolo Scampa, Gaia Ballerini & Silvia Bernardini (2022).
"La formazione in traduzione fra competenze, professione e civismo Alcune riflessioni sul service-learning", inTRAlinea Vol. 24.

This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/archive/article/2586

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