“Qui in nessun luogo” per Giovanni Nadiani

Per Giovanni Nadiani

By Gianfranco Miro Gori

Per questa giornata dedicata a Giovanni Nadiani ho scelto di leggere quattro poesie che mi sembrano esemplari. Due sono tratte da TIR (Prefazione di Gianni D'Elia, Fotografie di Gottfried Achberger, Mobydick, 1994): si tratta di invel e lizir. Altre due da aNmarcurd, scritto così con la a minuscola e n maiuscola (Prefazione di Alberto Bertoni, L'arcolaio, 2015), ultima raccolta pubblicata in vita: si tratta di Notte rosa e XV nòun a sém. Ho scelto queste due raccolte, nella assai vasta e notevole produzione poetica di Nadiani, perché, al di là della loro riconosciuta qualità letteraria, mi paiono aprire e, per così dire, chiudere il suo percorso poetico. Se è vero, infatti, che TIR è stato preceduto da e' sèch, poesie (1977-88) (Presentazione di Gianni D'Elia, Fotografie di Gottfried Achberger, Mobydick, 1989,) e ad aNmarcurd è seguita la plaquette, Brènda d'Abril. Déjeuner sur l'herbe (Traduzione di Loris Rambelli, Disegno di Pietro Lenzini, La Vecchia Stamperia, 2016), è in TIR che si manifesta appieno una voce poetica assai originale, mentre aNmarcurd rappresenta una specie di testamento. Cè anche un'altra ragione. In esse, come preciserò più avanti, anche se non solo in esse,  Nadiani elabora un lemma centrale nella sua poesia.

Per leggere le poesie di Giovanni ho dovuto tradurle nel mio dialetto: quello di San Mauro Pascoli appartenente alla cosiddetta isoglossa del dittongo che si stende, con varianti di poco conto sopratutto nella formazione dei dittonghi (per esempio: oi, ei, ai oppure ou, eu), sulla costa: da Torre Pedrera di Rimini a Gatteo Mare, e nell'entroterra insiste su San Mauro Pascoli, Savignano sul Rubicone, Gatteo, Santarcangelo di Romagna, Torriana, Verucchio, Montiano, lambendo Longiano. Ciò ha comportato nella traduzione un aumento delle vocali. Non manca qualche lemma con significato diverso (per esempio masé nel dialetto di area ravennate sta per  “riparare” mentre in sammaurese significa “nascondere”). Qui si seguito la mia traduzione di invel (In nessun luogo)

invel

rubé e' témp me sòn
na srè un òc par gnént
stè in campèna sa gli urèci
parchè u n's'sa mai
che própri alòura...

(tót quèl ch'a vlém l'è
andè dla par stavólta
travarsè sti dè d'miséria
zcurdè la sòida d'stè què)

andè senza savòi duò
(u n s'aspèta niséun)
arivé invél da duò
ch'a s'simi invié un'ènta vólta...

Rubare il tempo al sonno / non dormire affatto/ stare all'erta con le orecchie / perché non si sa mai che proprio allora... // (tutto ciò che vogliamo è andare di là / per una volta / attraversare questi giorni di miseria / scordare la sete di esistere) // andare senza conoscere la meta / (e nessuno ci attende) / arrivare in nessun luogo da dove / eravamo partiti già un'altra volta...

Questa poesia ci introduce al preannunciato lemma centrale: invel appunto, “in nessun luogo”. Che aleggia su TIR, anche se direttamente compare non più di quattro volte, oltre che nella poesia omonima citata, in: 2. XI. 199...: “pr andêr invel  (per andare in nessun luogo)”; in un zir (una gita): “… u n's'va piò invel (non si va più da nessuna parte)”; in vènar (venerdì), in clausola: “… invel...”. Un invel dove ci si perde, in una campagna anonima solcata dai Tir e dalle loro merci

Passano tre anni e Nadiani pubblica (sempre da Mobydick, la casa editrice del compianto Guido Leotta) il suo primo cd coi Faxtet. Si chiama Invel, che è il titolo del poemetto d'apertura. La scena è collocata  in una piazza-parcheggio: un invel della modernità anonima e dovunque uguale a se stessa; dove è impossibile comunicare, immersi in quel mondo che è - per dirla con Marx - “un'immane raccolta di merci”. Leggo l'incipit: “... un pöst a vaion pr e' mond a cve invel / in sta piaza d'sera l'è zà nöt... (… un posto a zonzo per il mondo qui in nessun luogo in questa piazza di sera è già notte...)”.

Quasi vent'anni dopo - nel frattempo, com'è noto, la creatività di Nadiani ha partorito molte opere di valore - esce aNmarcurd. Invel vi compare cinque volte. Farò un solo esempio, tratto dalla poesia (Noi), tre versi in clausola: “par nö scòrar de' sens / d'fê chi cvel / ch'a n'l'avden piò invel... (per non parlare del senso di fare quelle cose che non lo vediamo più da nessuna parte...)”. Non mancano termini affini, per altro, assai diffusi nella bottega di Nadiani: “nessuno” compare nella forma inson (tre volte) e nella forma incion (diciotto volte), totale ventuno; gnînt (niente) sette volte; gnânca (neppure) tre volte, e una l'equivalente gnânch.

Se nel citato e' sèch il lemma non compare, in Brènda d'Abril. Déjeuner sur l'herbe, l'ultima plaquette di Giovanni Nadiani riporta nella poesia omonima, la prima di tre, che dà il titolo all'opuscolo, questa clausola: “e pu / a m'amol  pr invel... (poi  spicco via verso nessun altrove...”, traduce Loris Rambelli).

Invel parola dialettale al di là di ogni ragionevole dubbio, appartenente a tutte le parlate romagnole o quasi, ingloba la modernità, una modernità che a sua volta la ingloba. Così una lingua di sopravvissuti da un'altra era del passato diventa miracolosamente e paradossalmente lingua di apolidi, esuli, senza patria, senza radici se non quelle dialettali.

About the author(s)

Ho ideato e diretto la cineteca di Rimini. Mi sono occupato soprattutto di cinema, organizzando festival e pubblicando saggi e ricerche. Ho pubblicato quattro libri di versi in
romagnolo (Strafocc, 1995; Gnént, 1998; Cantèdi, 2008; E' cino la gran bòta la s-ciuptèda, 2015) oltre a monologhi per il teatro (La s-ciuptèda, 2018)

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©inTRAlinea & Gianfranco Miro Gori (2019).
"“Qui in nessun luogo” per Giovanni Nadiani Per Giovanni Nadiani"
inTRAlinea Commemorative Issue: Beyond the Romagna Sky
Edited by: Roberto Menin, Gloria Bazzocchi & Chris Rundle
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