L’estremo è un po’ più vicino

Traduzioni estreme

Franco Nasi (2015)

Macerata, Quodlibet, , coll. “Quodlibet Studio”, p. 165, € 18.

Reviewed by: Fabio Regattin

Attenzione, lettore: il recensore di questo libro potrebbe non essere del tutto obiettivo. Da quando, alcuni anni fa, ho scoperto Franco Nasi leggendo La malinconia del traduttore (2008), pregusto l’uscita di ogni suo nuovo lavoro. L’interessante Traduzioni estreme (Macerata, Quodlibet, 2015) non faceva eccezione, e non ne sono rimasto deluso. Frutto di una riflessione e di un’esperienza (Berman 2003) pluriennali,l’agile volume raccoglie casi di pratica e critica, offrendone una sistematizzazione possibile alla luce del concetto di vincolo (Palumbo 2010); come spesso accade con i lavori di Nasi, tuttavia, il come è importante almeno quanto il cosa. Nelle righe che seguono cercherò di concentrarmi sul primo aspetto, il come – quello che ogni volta mi fa leggere d’un fiato i suoi libri – pur non rinunciando, com’è ovvio, a fornire una rapida panoramica dei temi trattati nel volume.

Obiettivi dichiarati di Traduzioni estreme sono l’osservazione e il resoconto critico degli incontri dell’autore con alcuni testi particolari, e con le loro possibili traduzioni. In cinque capitoli, cui si aggiungono un’introduzione e una conclusione, Nasi affronta diversi tipi di testi che richiedono, a chi volesse cimentarsi nella loro resa in altra lingua, un surplus di attenzione o di creatività.

Proprio il concetto di creatività costituisce forse l’aspetto più interessante sviluppato nell’introduzione (pp. 11-21): sulla scorta di quanto affermato da Emilio Garroni (2010), questa è vista come “creatività secondo regole [ovvero] creatività sottoposta a una legalità generale”. È immediatamente ravvisabile dunque una lettura in un certo senso oulipiana della creatività e, per suo tramite, della traduzione; lungi dal tarpare le ali dello scrivente, la contrainte è vista come un tonico in grado di favorirne l’ispirazione.

Il primo capitolo (“Traduzioni estreme e sci fuori pista”, pp. 23-34) tratta di traduzione delle allusioni, testi doppi per definizione, e di brevi testi parodici. Tutto il capitolo è permeato da un’analogia: le esperienze traduttive insolite raccolte nel volume stanno alle traduzioni canoniche come gli sport estremi stanno agli sport normali – da qui, anche, il titolo dell’opera – e la traduzione stessa viene accostata alla parodia (p. 33), nel senso etimologico di “canto a lato, canto parallelo”.

Il secondo capitolo (“Lipogrammi, pangrammi e anagrammi”, p. 35-54) consiste in un’ampia panoramica su alcune traduzioni italiane di opere lipogrammatiche (dalla Disparition di Georges Perec à Ella Minnow Pea di Mark Dunn, dove al lipogramma si aggiunge il pangramma – elementi, questi, resi non senza difficoltà dai rispettivi traduttori), cui segue il resoconto di un’esperienza di traduzione personale, quella della poesia Anagrammer dell’americano Peter Pereira.

Quest’ultimo caso mi sembra di particolare interesse, perché racconta nel dettaglio l’inevitabile, perenne insoddisfazione del traduttore e il suo avvicinamento progressivo a una resa “efficace” di alcuni scogli traduttivi, come quello – quasi cabalistico – dell’equivalenza tra due semplici addizioni, 11+2 e 12+1. Niente di strano dal punto di vista aritmetico, non fosse che l’uguaglianza si riflette, in inglese, nell’anagramma perfetto “eleven plus two / twelve plus one”; Nasi racconta come, per venire a capo del problema, ricorra all’aiuto di Stefano Bartezzaghi, che propone “diciotto più tre / tredici più otto”. Il vincolo è così rispettato? Non del tutto, perché successivamente una studentessa, nel corso di un workshop, noterà (aspetto sfuggito, con tutta probabilità, anche allo stesso Pereira) che “eleven plus two” è anche formato da 13 lettere, come la somma che rappresenta; si giunge così a una nuova, e forse definitiva, soluzione: “il tredici sommato a otto” (21 lettere per una somma pari a 21). Ancora una volta, si possono notare coincidenze significative e interessanti con l’Oulipo. Come accade nel gruppo francese e nelle sue varie incarnazioni, l’interesse sembra infatti spostarsi dalla creazione (qui, dalla pratica della traduzione) alla regola che la ispira: più importante ancora della soluzione a cui si giunge è così l’esplorazione del vincolo che dà senso alla traduzione.[1] Oulipiano mi pare anche lo spirito di collaborazione di Nasi, che – tutt’altro che geloso delle proprie soluzioni – non esita a sollecitare alternative da più parti, integrandole poi al proprio lavoro, e rendendone conto nel lato riflessivo della propria produzione.

Il terzo capitolo (“Acrostici alfabetici e inversi”, p. 55-76) torna alla descrizione di lavori altrui; gli esempi spaziano dal Salmo 119 (ogni strofa del quale è composta da versetti che iniziano con un’unica lettera dell’alfabeto ebraico), di cui Nasi mostra diverse strategie traduttive possibili – e realmente adottate – in italiano e in francese, alla resa del “Contracrostipunctus” presente in Gödel, Escher, Bach di Douglas Hofstadter, fino ad alcuni acrostici presenti all’interno della Divina Commedia, in Boiardo e nell’Amorosa visione di Boccaccio.

Con il quarto capitolo (“Filastrocche e nonsense”, p. 77-116) l’autore torna a esperienze di traduzione personali; si concentra su alcune versioni possibili di opere di Roger McGough e di Gianni Rodari, introducendo una nuova metafora sportiva, quella del coefficiente di difficoltà presente in alcuni sport di figura, come i tuffi o la ginnastica. In questi casi, “non solo il corpo deve raggiungere la meta, ma deve farlo anche in modo elegante” (p. 85): lo stesso accadrebbe con la traduzione, che non deve solo “portare una figura da un testo a un altro, ma fare in modo che in questo trasporto siano esaltate e, se possibile, mantenute tutte le peculiarità di quella figura […] che la rendono esteticamente preziosa” (ibid.); si parla, qui, di giochi di parole nel senso ristretto dell’inglese pun, così come di espressioni metaforiche lessicalizzate che vengono rivitalizzate da un uso poetico.[2]

Proprio la metafora – creativa – sembra uno dei fili conduttori di Traduzioni estreme; molteplici sono quelle sulla traduzione, altro modo, mi pare, di avvicinare la pratica traduttiva al lettore: “La poesia scritta in una lingua che non si conosce è come una torta. Se la tieni così com’è non la mangi. Se la mangi, si trasforma radicalmente, diventando parte di te. Il dilemma, se si vuole, è tra poesia intradotta e poesia introdotta”[3] (p. 97). Lo stile di Nasi, almeno in parte ludico quanto i testi trattati, contribuisce a fare di questo libro una lettura sempre piacevole.

Il capitolo 5 (“Creatività, carcerati, vincoli”, p. 117-134) fornisce una soluzione – che è anche l’aspetto più teoricamente esportabile del lavoro – ai dilemmi posti dai testi qui raccolti: l’individuazione dei vincoli traduttivi, di cui si espone una interessante tipologia. Dopo averci attratti col miele degli esempi, ecco che l’autore ci offre così, nelle battute conclusive, anche un capitolo che va oltre la “semplice” (e piacevole, e istruttiva) descrizione, e che sistematizza quanto raccontato nelle pagine precedenti.

L’autore parte da un accostamento permesso dalla polisemia del verbo tradurre, non solo “volgere in un’altra lingua”, ma anche “condurre da un luogo in un altro, soprattutto carcerati” (riprendo qui le definizioni fornite dalla versione online del Dizionario Treccani).

Anche il termine vincolo, più sovente associato al gioco (massime quello oulipiano) è nutrito da questa polisemia; per chi traduce, uno dei principali problemi consiste nella “individuazione dei vincoli traduttivi, ovvero dei ceppi che garantiscono che il carcerato arriverà a destinazione, non prenderà il volo, non verrà meno alle regole” (p. 119). Sulla scorta dell’abbondantemente citato Giuseppe Palumbo (2010), Nasi individua diversi tipi di vincoli: intratestuali, relativi alle caratteristiche del testo-fonte con cui il traduttore deve confrontarsi (a loro volta, divisi in vincoli formali, linguistici e semantici); paratestuali, relativi in particolare al rapporto testo-immagine; intertestuali (nel senso kristeviano del termine); infine, extratestuali – relativi cioè ad aspetti quali il progetto traduttivo, le norme del sistema letterario di arrivo, l’ideologia in esso dominante, le condizioni lavorative del traduttore. Il mio sterile riassunto della proposta di Nasi semplifica una posizione molto più complessa, che va nel senso della negoziazione echiana (espressa per esempio in Eco 2003) ma vi aggiunge una serie di strategie effettivamente utilizzabili nella pratica quotidiana della traduzione. Pur centrato, nel caso di specie, su una serie di testi per l’infanzia, il discorso portato avanti da Nasi in questo capitolo mi sembra facilmente esportabile anche ad altri ambiti – da qui, di conseguenza, la sua utilità.

Traduzioni estreme è innanzitutto un bel giro nella letteratura di molti luoghi e molte epoche; è, inoltre, un bel giro nella mente di un traduttore, particolarmente interessante perché, come spesso accade con i libri di Nasi, gli esempi raccolti invitano a ripercorrerne le tracce e a (ri)mettersi a tradurre, cercando qua e là, perché no,di misurarsi con i testi presentati, di dare il proprio contributo (pur solitario), di “migliorare” le versioni offerte. L’autore ci aveva già abituato a questo tipo di esortazione (esplicita, in quel caso) nella sua prefazione a Bestiario immaginario di Roger McGough (Nasi 2013), in cui spronava i giovani lettori a tradurre a loro volta, spiegando loro i giochi linguistici sui quali l’autore inglese basava le poesie originali. Anche qui, seppure in maniera più implicita, i resoconti delle esperienze traduttive di Nasi sono un costante invito a seguire le sue orme: a tradurre, a ritradurre, a confrontarci con lui.

Riferimenti bibliografici

Berman, Antoine (1985) La traduzione e la lettera, o l’albergo nella lontananza, Macerata, Quodlibet. Tr. it. Gino Giometti.

Eco, Umberto (2003) Dire quasi la stessa cosa, Milano, Bompiani.

Garroni, Emilio (2010) Creatività, Macerata, Quodlibet [1985].

Nasi, Franco (2008) La malinconia del traduttore, Milano, Medusa Edizioni.

Nasi, Franco (2013) “Traduzioni aperte”, in Roger McGough, Bestiario immaginario, Roma, Gallucci.

Palumbo, Giuseppe, a cura di (2010) Sui vincoli del tradurre, Roma, Officina.

Prandi, Michele (2010) Typology of metaphors: implications for translation, in «Mutatis mutandis», 3(2), pp. 304-332.

Note

[1]Approfitto di queste pagine per segnalare una proposta interessante che va in un certo senso nella stessa direzione, quella dell’Outranspo (“Ouvroir de Translation Potencial”), i cui germi – in mancanza di una pagina dedicata – si trovano su Google Groups, all’indirizzo http://tinyurl.com/jy74nv8.

[2] Merita di essere riportata anche qui una bella citazione di Michele Prandi, tratta da pagina 91: alla metafora morta mancherebbe “la irreversibilità della morte vera: come la bella addormentata della fiaba, una metafora morta può venire resuscitata a nuova vita in ogni momento” (Prandi 2010, p. 310).

[3] Di fronte a certi brani, viene da pensare che un’interessante sfida sarebbe anche tradurre questo Traduzioni estreme in altra lingua…

©inTRAlinea & Fabio Regattin (2016).
[Review] "L’estremo è un po’ più vicino", inTRAlinea Vol. 18
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Stable URL: https://www.intralinea.org/reviews/item/2177

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