Traduzione e paratesto

Chiara Elefante (2012)

Bononia University Press, coll. Studi Interdisciplinari su Traduzione, Lingue e Culture: Bologna, 190 pp. ISBN 978873957867, € 23.

Reviewed by: Francesca Piselli

Muovendo dalle categorie proposte da Gérard Genette in tre studi apparsi tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento, ovvero Introduction à l’architexte (1979), Palimpsestes (1982) e Seuils (1987), il volume di Chiara Elefante propone una rigorosa riflessione su un aspetto trattato in maniera solo incidentale dal critico francese, ovvero gli spazi paratestuali[1] in cui sono coinvolti l’editore e soprattutto il traduttore di un’opera letteraria.

L’importanza di questi luoghi è documentata in un numero crescente di studi traduttologici, nei quali se ne ribadisce il ruolo di fonti di primo piano per individuare le norme o le tendenze prevalenti in un determinato ambito culturale in un dato momento storico. A ciò occorre aggiungere il fatto che è negli spazi peritestuali ed epitestuali che il traduttore restituisce la rappresentazione profonda del suo operato e l’immagine di sé in quanto mediatore e parte attiva di quel ‘patto editoriale’ che coinvolge anche editore e lettore. È in ragione di tutto ciò che Elefante si propone di evincere alcune tendenze concernenti le modalità in cui sono stati rappresentati e concepiti il processo traduttivo e il ruolo del traduttore di opere letterarie negli ultimi tre decenni, periodo che ha visto un notevole incremento nel numero di traduzioni pubblicate, oltre a una profonda mutazione del mondo dell’editoria con l’emergere, tra l’altro, di nuove tendenze di commercializzazione del libro, e – aspetto nient’affatto secondario – un sensibile mutamento dell’immagine del traduttore, sia in termini di valorizzazione esterna che personale.

Per condurre la sua analisi, Elefante si basa su un corpus che raggruppa gli apparati paratestuali di 200 testi di narrativa in lingua francese, compresi tra il 1979 e il 2012, per un totale di 92 autori e 115 traduttori. Gli spazi paratestuali maggiormente interessanti sotto il profilo traduttologico – collana, titolo, note alla traduzione, note a piè di pagina, glossari e quarta di copertina – vengono attentamente esaminati.

Il volume si compone di tre capitoli, preceduti dall’Introduzione e seguiti dalle Conclusioni, oltre che da una ricca bibliografia.

Il primo capitolo getta uno sguardo interdisciplinare sugli studi relativi al paratesto, sia prima che dopo la pubblicazione del saggio Seuils di Genette, con particolare attenzione agli apporti dati dalla sociologia dei processi culturali, dalla critica letteraria e dalla linguistica. Per quanto concerne la prima area, il richiamo è agli studi di Pierre Bourdieu e ai concetti-chiave di legittimità (nozione ripresa peraltro da alcuni critici letterari che hanno scelto di occuparsi di prefazioni allografe in virtù dei loro rapporti con le opere che accompagnano), di campo letterario (la linguistica testuale si è avvalsa di questa nozione bourdesiana per analizzare alcuni spazi come la copertina e la quarta di copertina, senza dimenticare l’approccio linguistico degli spazi peritestuali proposto da Philippe Lane sin dagli anni Novanta) e habitus (il traduttologo Ulf Norberg ha evidenziato come proprio negli spazi peri- ed epitestuali i traduttori di opere letterarie possano incarnare habitus molto diversi).

Limitatamente alla seconda area, la critica letteraria, vengono passati in rassegna sia gli studi sugli spazi paratestuali apparsi negli anni Ottanta che nei decenni successivi, con riferimento ai saggi e numeri monografici dedicati alle prefazioni autoriali, alle epigrafi, ai luoghi paratestuali correlati al processo traduttivo (fenomeno della pseudonimia, titolo dell’opera, spazio riservato al traduttore).

La terza area, ovvero quella dedicata ai contributi della linguistica e dell’analisi discorsiva, prende in esame i contributi di Philippe Lane (1991, 1992, 2006), la cui metodologia d’analisi prevede una chiara distinzione tra peritesto ed epitesto, preconizzando altresì due metodologie d’analisi differenziate, ovvero la linguistica testuale nel primo caso e l’analisi discorsiva nel secondo.

Nella seconda parte del capitolo, Elefante avanza alcune osservazioni sulla voce del traduttore, concetto introdotto da Theo Hermans nell’articolo The Translator’s Voice in Translated Narrative (1996), voce che risuona non solo nel testo tradotto, ma anche «in quegli spazi paratestuali, costruiti grazie all’interazione costante tra editore e traduttore» (Elefante 2012: 54). L’autrice richiama poi il filone di ricerca aperto da studiosi extraoccidentali, in particolare Sathya Rao (2004) e Paul Bandia (2001), sui rapporti tra scritture postcoloniali e le loro traduzioni nelle differenti lingue.

I due capitoli seguenti danno conto dei risultati della ricerca condotta sul corpus. In particolare, nel secondo capitolo, si procede all’analisi dello spazio peritestuale della collana, che permette d’individuare alcuni orientamenti dal punto di vista diacronico (uno tra tutti il passaggio «da un’idea più etnocentrica a un’idea di traduzione sempre più rispettosa dell’altro») (Elefante 2012: 72), per passare poi alla resa del titolo, alla prefazione, alla postfazione, alla nota, ‘noticina’ e, infine, ai casi in cui queste mancano. A tali elementi è riservata la parte più ampia del capitolo, in cui vengono richiamati, tra gli altri, gli studi di Urpo Kovala (1996) sui paratesti finlandesi e di Siri Nergaard (2004) sui testi di narrativa norvegese.

Il terzo capitolo esamina altri spazi peritestuali, quali la nota del traduttore (NdT), il glossario e la quarta di copertina. Limitatamente al primo spazio, viene ben messa in evidenza la tendenza della riflessione traduttologica a non etichettare più la NdT come ‘la honte du traducteur’, né tantomeno a giudicarla in maniera prescrittiva, quanto piuttosto ad analizzarla come «paradigme des possibles» (Sardin 2007: 133-134 cit. in Elefante 2012: 118) e come maniera per dare attenzione alla lettera e alla lingua dell’Altro. I traduttori paiono fortunatamente non sentirsi più gravati dal «fantasma di una doxa traduttiva sistematica» (Elefante 2012: 130) e anche l’opposizione classica tra sourciers e ciblistes sembra superata dalla stessa pratica traduttiva. Per quanto concerne il secondo spazio, ovvero, il glossario, l’analisi del corpus pare confermare l’ipotesi avanzata da Pascale Sardin (2007) riguardo al fatto che voci del glossario rientrano meno in un’ottica traduttiva e suggeriscono più l’idea della possibile coesistenza, all’interno del glossario stesso, di due o più lingue. Questa può rivelarsi, osserva l’autrice, una strada da esplorare per la traduzione di testi che fanno del bi- o plurilinguismo un aspetto fondante. Per quanto riguarda il terzo luogo peritestuale, la quarta di copertina, viene rilevato come questa costituisca una sorta di ponte tra chi ha prodotto il libro e i suoi fruitori, diventando quasi un elemento epitestuale, in virtù del fatto che proietta il testo tradotto «nella sua vita ulteriore e nella sua promozione» (Elefante 2012: 143).

Prima di concludere, alcune riflessioni personali sul volume. Traduzione e paratesto dà un apporto significativo a quel filone di ricerche dei Translation Studies che integra lo studio degli spazi paratestuali nella ricerca sui testi tradotti. La fecondità di tale indirizzo è confermata, come accennato in precedenza,  anche dal crescente numero di pubblicazioni che a esso si richiamano. A titolo puramente esemplificativo, ricordiamo i volumi collettanei Translation Peripheries. Paratextual Elements in Translation (2012), Text, Extratext, Metatext and Paratext in Translation (2013) e Textual and Contextual Voices of Translation (2017). Inoltre, il saggio di Elefante fornisce preziose coordinate per ampliare l’orizzonte degli studi sui paratesti a traduzioni appartenenti a generi testuali e a spazi linguistici diversi. Vanno in queste direzioni alcuni studi recenti, tra cui quello di Garavini (2016), focalizzato sul processo editoriale di traduzione e adattamento del paratesto negli albi illustrati per bambini del finlandese Mauri Kunnas, e di Talento (2017) imperniato sull’analisi dei paratesti nello spazio letterario swahili durante il periodo della dominazione britannica. Inoltre, Rooryck e Jooken (2011, 2013) hanno mostrato come gli studi sui paratesti diano risultati fruttuosi anche quando sono condotti su traduzioni di opere moderne. Ci riferiamo, in particolare, a due ricerche sugli elementi epitestuali e peritestuali in traduzioni verso l’inglese di testi di natura filosofica, quali L’homme machine (1747) di La Mettrie e il primo Discours (1750) di Jean-Jacques Rousseau. Il primo saggio, in particolare, risulta di grande interesse, in quanto, facendo seguire lo studio dei paratesti dalla «textual translation analysis», mostra quella complementarità dei due strumenti di analisi («complementary devices») opportunamente sollecitata da Tahir Gürçağlar (2011: 115). Quest’ultima ha richiamato l’attenzione sul fatto che gli studi incentrati solo sui paratesti rivelano «the mediational features of the paratexts and show how translations are presented, but not how they are» (Tahir Gürçağlar 2011: 115, il corsivo è nel testo). In altri termini, l’esame dei paratesti è un valido principio metodologico per acquisire «information pertaining to translation strategies and the concept of translation operational in the specific work», a cui deve essere affiancata, però, l’analisi del testo tradotto (Tahir Gürçağlar 2011: 115).

Infine, un breve cenno a un aspetto alquanto problematico degli studi sugli spazi peritestuali, vale a dire la difficoltà di determinare quelli in cui opera esclusivamente il traduttore, quelli in cui interviene l’editore, il direttore di collana o altri professionisti del mondo editoriale e quelli che risultano dalla mediazione tra tutti o una parte di questi soggetti. L’approfondimento di tale questione risulta senz’altro uno dei punti di forza del lavoro di Elefante, che mette bene in luce, da un lato, quali sono i luoghi, che allo stato attuale, sono deputati a dar voce al traduttore, e dall’altro, fa emergere la mediazione profonda e fluida tra traduttore e mondo editoriale.

Riferimenti bibliografici

Alvstad, Cecilia, Greenall, Annjo K., Jansen, Hanne, Taivalkoski-Shilov, Kristiina (eds) (2017) Textual and Contextual Voices of Translation, Amsterdam and Philadelphia, John Benjamins.

Bandia, Paul (2001) “Le concept bermanien de l’«Etranger» dans le prisme de la traduction postcoloniale”, TTR 14 (2): 123-139.

Celotti, Nadine (2015) “Traduire des essais : à l’écoute des voix des traductrices et des traducteurs dans les péritextes”, Meta 60 (2): 317.

Garavini, Melissa (2016) “Collane e paratesto nel processo traduttivo: come i libri per bambini assumono una nuova identità nel sistema letterario di arrivo”, Strenæ, 11 . [url=http://strenae.revues.org/1665]http://strenae.revues.org/1665[/url]

Genette, Gérard (1979) Introduction à l’architexte, coll. “Poétique“, Paris, Éd. du Seuil.

Genette, Gérard (1982) Palimpsestes. La Littérature au second degré, coll. “Poétique“, Paris, Éd. du Seuil.

Genette, Gérard (1987) Seuils, coll. “Poétique“, Paris, Éd. du Seuil.

Gil-Bardají, Anna, Orero, Pilar, Rovira-Esteva, Sara (eds) (2012) Translation Peripheries. Paratextual Elements in Translation, Bern, Peter Lang.

Hermans, Theo (1996) “The Translator’s Voice in Translated Narrative”, Target 9 (1): 23-48.

Jooken, Lieve, Rooryck, Guy (2011) “The freedom of expressing one’s Ideas: translating La Mettrie” The Translator 17 (2): 233-254.

Kovala, Urpo (1996) “Translations, paratextual mediation, and ideological closure”, Target. International Journal of Translation Studies 8 (1): 119-147.

Lane, Philippe (1991) “Seuils éditoriaux”, Espaces temps 47 (1): 91-108.

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Lane, Philippe (2006) “Pour une reconception linguistique du paratexte. In P. Lane (ed.) Des discours aux textes, Rouen, Publication des Universités de Rouen et du Havre, 183-205.

Nergaard, Siri (2004) La costruzione di una cultura: la letteratura norvegese in traduzione italiana, Riminia, Guaraldi.

Pellatt, Valerie (ed.) (2014) Text, extratext, metatext and paratext in translation, Cambridge, Cambridge Scholars Publishing.

Rao, Sathya (2004) “Quelques considérations éthiques sur l’invisibilité du traducteur ou les vertus du silence en traduction”, TTR 17 (2): 13-25.

Risterucci-Roudnicky, Danielle (2008) Introduction à l’analyse des œuvres traduites, Paris, Colin.

Rooryck, Guy, Jooken, Lieve (2013) “Le péritexte des traductions anglaises du Discours sur les Sciences et les Arts de Jean-Jacques Rousseau : la voix énarrative du traducteur”, Meta 58 (3): 589-606.

Sardin Pascale (2007), De la note du traducteur comme commentaire : entre texte, paratexte et prétexte, «Palimpsestes», 20, 121-136.

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Talento, Serena (2017) “The Discourse (and Silence) on Literary Translation into Swahili during British rule: Translation and Deconsecration”. In K. Marais, I. Feinauer (eds) Translation Studies beyond the Postcolony, Cambridge, Cambridge Scholars Publishing, 33-72.

Note

[1] Con il termine paratesto, Genette si riferisce a tutto l’insieme delle produzioni (testuali e grafiche), che sono di contorno a un testo letterario e lo prolungano nello spazio e nel tempo. Lo studioso francese distingue poi due tipi di paratesto: il peritesto, che è quella parte del paratesto che si situa intorno al testo come il titolo, il sottotitolo, il nome dell’autore e dell’editore, la data d’edizione, la pre(post)fazione, l’introduzione, le note, le illustrazioni, la quarta di copertina, la collana, e la nota biografica sull’autore, e l’epitesto, ossia qualunque elemento paratestuale che compare all’esterno del volume, come le interviste all’autore, gli epistolari, le pagine di diario, ecc.

©inTRAlinea & Francesca Piselli (2018).
[Review] "Traduzione e paratesto", inTRAlinea Vol. 20
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Stable URL: https://www.intralinea.org/reviews/item/2333

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