Alcune riflessioni su fortuna e attualità di Hans J. Vermeer: quando la teoria illumina la pratica
By Danio Maldussi (University of Bologna, Italy)
Abstract
English:
This essay begins from the presupposition that Skopostheory is an intuition that unveils and produces its own consequences in the long run. The article then focuses on major contributions of Skopostheory to translation, among which is the well-known distinction inherent in legal translation between instrumental and documentary translation; the new concept of equivalence; the definition of translator competence; and finally maybe one of its most representative products, namely localisation.
English:
Il saggio Alcune riflessioni su fortuna e attualità di Hans J. Vermeer: quando la teoria illumina la pratica parte dal presupposto che la teoria dello skopos è un’intuizione che svela e produce i propri effetti nel lungo periodo. Successivamente l’articolo si focalizza sui maggiori contributi della teoria dello skopos alla traduzione. Tra essi, la nota distinzione in ambito giuridico tra traduzione strumentale, con valore giuridico, e traduzione documentale, con funzione di servizio; il nuovo concetto di equivalenza in traduzione; la definizione di competenza del traduttore, ed infine uno dei suoi prodotti forse più rappresentativi: la localizzazione.
Keywords: skopostheory, equivalence, legal translation, traduzione giuridica, equivalenza
©inTRAlinea & Danio Maldussi (2009).
"Alcune riflessioni su fortuna e attualità di Hans J. Vermeer: quando la teoria illumina la pratica"
inTRAlinea Special Issue: Specialised Translation I
Edited by: Danio Maldussi & Eva Wiesmann
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/1733
Forse la teoria dello skopos non è solo una teoria della traduzione strictu sensu, come correttamente ha sottolineato Viaggio nel suo Skopostheorie: a revolution celebrated [1]. È molto di più. Oltre ad essere, citando lo stesso Vermeer, una teoria generale, non culturospecifica, ma non per questo extraculturale bensì iperculturale ossia valida per tutte le culture (1996: 22-24), la teoria dello skopos - “admittedly a subtheory of action theory as applied to translating” (1996: 65) - ha il merito di infondere la consapevolezza della pratica traduttiva come azione, dei suoi processi e degli esiti che ne conseguono. In altri termini, di effondere una progettualità consapevole. Lungi dall’essere un’etichetta da apporre ad atti e comportamenti, la teoria dello skopos rappresenta piuttosto una chiave per interpretare il presente e tracciare un futuro ancora informe.
Skopós, scrive Vermeer, è una parola greca che significa “purpose, aim, goal, finality, objective; intention” (1996: 4) ma, come ricorda anche Galimberti (2009), “[c]onnesso a skopos è il verbo skopeo, che significa ‘pensare in anticipo’, ‘pro-(v)-vedere’, quindi ‘pro-gettare’”. Vermeer insegna inoltre che il traduttore è un
bi-cultural expert who knows how to “produce” (or “design”, as Holz-Mänttäri would say), a text for a certain purpose and for target-culture addressees (the intended recipients). The translator is the target-text “producer”. Commissioner and translator have to agree upon the purpose and the “strategy” for designing the translation. The purpose for which a translator designs a translation (“translatum”) in agreement with his commissioner is called the “skopos” of the text (Vermeer 1996: 7).
E ancora, “the skopos of translational acting determines the strategy for reaching the intended goal”, così come esiste uno skopos “for each translational act” (1996: 15).
Tuttavia, come Vermeer sottolinea, “it is not the source-text and/or its surface-structure which determines the target-text and/or its surface-structure, but the skopos” (1996: 15). Ovviamente ciò non esclude che sia talvolta la struttura del testo fonte a determinare quella del testo di arrivo. Si tratta in ogni caso di verificare se a variare è lo skopos.
Viaggio, nel suo omaggio a Vermeer, Skopostheorie: a revolution celebrated, scrive:
In this new light, then, Skopostheorie empowers the professional translator as a true professional: someone who must know best - and act accordingly. His competence is thus expected to go well beyond understanding texts in the original and being able to reproduce their propositional content, and imitate or manipulate their form in the target language. Indeed, a translator’s linguistic competence must be such as to be able to produce all manner of re-writings, in different styles and registers, catering to different tastes and dispositions and abilities to understand, serving all manner of different purposes. And indeed, his bi-cultural competence must be such as to foresee and overcome, or at least palliate, cultural obstacles to comprehension. But this dual competence is itself at the service of an overriding metacompetence: that of determining and taking stock of the metacommunicative purposes of the different parties to communication and to choose from his performing arsenal the best tools and the best way to serve those of the commissioner who has hired him. His is still a service, but a comprehensively expert one. If the client’s brief is inept, it behoves the truly professional translator to help him see the light. If the client insists, of course, the translator has the same choices as a physician whose patient refuses to heed his advice: “cheat”, throw up his arms in despair and make the best of it, or send him packing.
L’utilizzo, da parte di Viaggio, del verbo to empower ha forti implicazioni. Il concetto di empowerment è tra i più complessi e variegati: indica, in senso più generale, responsabilizzazione, proattività, capacità di istituire il nuovo sull’esistente, consapevolezza di sé, competenza. E una delle definizioni più felici, anche a detta di Federica Scarpa, di competenza traduttiva è quella delineata da Pym:
capacità di generare una serie di testi di arrivo accettabili per un dato testo di partenza; capacità di selezionare dalla serie solo uno di questi testi di arrivo, velocemente e con giustificata sicurezza (1991: 541 citato da Scarpa 2007: 257).
nella quale è possibile riconoscere il debito verso la teoria funzionalista in generale che annovera Reiss, Holz-Mänttäri, Nord e Vermeer tra i suoi esponenti più prestigiosi. La definizione di Pym ha il pregio di rispecchiare una delle richieste più pressanti dell’odierno universo professionale: la duttilità.
Alla teoria funzionalista si deve anche un importante contributo al concetto di equivalenza funzionale. Scrive in proposito Vermeer:
In spite of its claim to be functional, it is possible, I think, to understand the theory as “retrospective” [...] that is, one starting from or looking back, so to speak, to the source-text, which thus becomes the hierarchically dominant factor in translating (Vermeer 1996: 49).
E ancora, poco più avanti, “Skopos theory strictly regards translating from the point of view of a text functioning in a target-culture for target-culture addressees” (1996: 50) e pertanto l’equivalenza viene postulata “not between source- and target-text but between a (one) source-text interpretation and target-text” (1996: 76). Il concetto tradizionale di equivalenza al quale, dalla nascita delle prime riflessioni fino, in certi casi, ai giorni nostri, la traduzione è fortemente ancorata, conferma che le lingue non collimano, ha il merito di fare esplodere le contraddizioni delle stesse con ricadute didattiche significative ma rimane prevalentemente un concetto retrospettivo, osservabile ex-post. Stretta tra i due poli del testo fonte e del testo di arrivo, come in una sorta di ping pong interminabile, la traduzione si dibatte tra equivalenza totale, equivalenza parziale e talvolta nulla. Le ipotesi di Vermeer sono invece fortemente prospettiche, rendendo ancora più urgente una rivisitazione e aggiornamento del concetto di equivalenza. Al pari di quello di fedeltà, che diventa fedeltà a un patto, preventivamente stipulato, con qualcuno e qualcosa.
La traduzione giuridica, a sua volta, ha un debito incommensurabile nei confronti della teoria funzionalista. È proprio da un’applicazione di quest’ultima al dominio giuridico (in particolare grazie a Nord (1997) a cui si deve anche la proposta di contemperare lo skopos con l’imperativo della “loyalty”)) che deriva la nota distinzione tra traduzione strumentale, con valore giuridico, e traduzione documentale, con valore informativo o di servizio[2]. Si pensi inoltre ai frequenti casi di Funktionsveränderung, cambi di funzione in base ai quali il testo di partenza svolge una funzione normativa a fronte della funzione prettamente informativa affidata al testo d’arrivo. Tuttavia, conclude Megale, “il traduttore deve controllare preventivamente se il translation brief preveda un cambio della funzione fra il testo di partenza e il testo di arrivo” (Megale: 147). Non è forse stato lo stesso Vermeer a scrivere che committente e traduttore devono concordare preventivamente skopos e strategia traduttiva?
L’ambito in cui l’orientamento al destinatario trova la sua massima espressione è quello della localizzazione di siti e contenuti per il web. Tale attività, comunemente nota con l’abbreviazione L10N, che più che come acronimo si configura come “numeronym”, ossia una “number based word” [3], prevede che un software sia adattato
for a specific region or language by adding locale-specific components and translating text. [...] Usually, the most time-consuming portion of L10N is the translation of text. Other types of data, such as sounds and images, may require L10N if they are culturally sensitive. The formatting of dates, numbers, and currencies also must conform to local requirements. The effort required for the L10N of a system heavily depends on how much I18N has been taken into account when building the system[4].
La localizzazione, la cui crescita esponenziale ne fa uno dei settori più interessanti dal punto di vista occupazionale, è forse l’espressione più visibile della fattiva applicazione dell’approccio funzionalista alla realtà professionale. Che dire inoltre delle molteplici richieste avanzate al traduttore settoriale: traduzione-adattamento di testi tecnici, pubblicitari e commerciali, redazione di riassunti di testi originali, pre e post-editing, copywriting ecc.?
Una delle critiche maggiori rivolte a Vermeer ha riguardato l’applicabilità della teoria dello skopos alla traduzione letteraria:
The usual objection to skopos theory [...] is that a literary text must be translated “faithfully”, because the purpose of such a translation [...] is to provide an approach for target-culture recipients to a foreign author and his work, his intentions [...] and style (or “text surface-structure”) (Vermeer 1996: 38).
Lungi dal replicare, Vermeer scrive:
For brevity’s sake I shall not deal here with all possible objections to this objection [...] and take the charge for what it is meant to be: the affirmation that a literary text is a text of a special type and that no one is allowed to tamper with it. Admittedly, we do accept violations of this “rule”, e.g. when we translate and accept translations of A Thousand and One nights for children etc. (1996: 38).
Ora, si perdonerà l’intrusione ma lo spunto deriva da un interessante articolo di Parks, critico e saggista, Il libro? Vale solo se tradotto, pubblicato nell’inserto domenicale del Sole 24 ore. Scrive Parks: “Uno scrittore si sente ‘grande’ quando diventa un fenomeno internazionale”. Nulla da eccepire se con questo si allude alla comprensibile ricerca di un riconoscimento che travalichi i confini domestici. Ma la tesi di Parks va oltre: dopo una disamina in chiave storica della percezione dello scrittore e delle conseguenze della globalizzazione - per cui parliamo di un mercato mondiale della letteratura - Parks scrive che a essere a rischio è proprio “il romanzo che scava nelle sfumature della lingua. Gli ostacoli alla comprensione vengono eliminati: vince la semplicità”. Gli esempi citati sono quelli di Ishiguro che “ha più volte parlato dell’importanza di evitare giochi di parole e allusioni in modo da facilitare il compito del traduttore” o di quello scrittore scandinavo che “scarta tutti quei nomi per i suoi protagonisti che potrebbero rivelarsi troppo difficili per il lettore straniero”. Tra le varie strategie adottate dagli scrittori, Parks allude anche a quella che consiste nel “dispiegamento di tropi altamente visibili e immediatamente riconoscibili come “letterari” e “fantasiosi”“, finalizzata alla ricerca di una lingua franca dello scrivere internazionale, una sorta di think global… act global. Gli scrittori giungerebbero addirittura al punto di sfoggiare una certa sensibilità politica pur di essere annoverati tra gli autori che “si adoperano per la pace nel mondo”. Ora, se i numeri forniti da Parks, da un punto di vista prettamente statistico, non consentono ancora di parlare di una tendenza ben attestata e consolidata, registriamo come in fondo l’industria editoriale, a fronte e in vista della globalizzazione del mercato, tenda a favorire un tipo di scrittura ‘funzionalista’ per la quale i testi sono riconcepiti per una traduzione ‘veloce’, in quanto privata di asperità culturospecifiche, che lascia trasparire in filigrana una prospettiva di tipo target-oriented. La teoria dello skopos finisce così per gettare nuova luce su alcuni effetti della globalizzazione: un nuovo codice di scrittura in nome di un uso funzionalista alla scrittura e di uno skopos prestabilito (il consenso, attraverso stilemi internazionali), dove il traduttore vede facilitato il proprio compito. Prestiamo però attenzione a non confondere la causa con l’effetto: l’approccio funzionalista getta nuova luce su quest’ultimo, non è la causa. Proprio per questo è limitativo valutarlo solo in ambito traduttivo e in questo senso è rivelatore del presente. Vermeer ha delineato una teoria generale la cui attendibilità e validità non sono inficiate dalle presunte criticità di applicazione alla traduzione letteraria.
A conclusione di queste brevi riflessioni, è importante sottolineare ancora come Vermeer non finisca di sollecitarci e di interrogarci. I geni, insegna De Bono, padre fondatore del pensiero laterale, procedono a salti, il loro pensiero è generativo, stimolatore, probabilistico[5]. I geni, quelli veri, però. Per il genio e la creatività di Vermeer mai definizione fu più brillante di quella offerta dal matematico Poincaré, secondo il quale “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. Novità e utilità, ci ricorda De Bono, sono concetti imprescindibili: essere creativi significa rompere le regole esistenti per crearne altre migliori. Il verbo ‘creare’, vale la pena ricordarlo, appartiene alla classe dei verba efficiendi ovvero di quei verbi che instaurano un oggetto inesistente prima dell’atto creativo. Non quindi lo sguardo etereo e incantato del genio estemporaneo e improvvisato. Piuttosto l’impegno e la serietà che a loro volta accompagnano e accondiscendono la genialità. La teoria dello skopos può essere, a giusto titolo, considerata un prodotto del pensiero laterale. Essa è, nel contempo, proattiva e prospettica.
Vermeer è questo e altro, la sua intuizione è un’idea seminale che svela e produce i propri effetti nel lungo periodo. È la sua eredità.
A Hans Joseph Vermeer, con riconoscenza, un grazie di cuore.
Bibliography/Bibliografia
Bocquet, Claude (2008) La traduction juridique. Fondement et méthode. Bruxelles: De Boeck Université.
De Bono, Edward (1996) Essere creativi. Come far nascere nuove idee con le tecniche del pensiero laterale. Milano: Il Sole 24 ORE.
Galimberti, Umberto (1988) “Le metamorfosi di Crono”. Il Sole 24 Ore [3 gennaio].
Megale, Fabrizio (2008) Teorie della traduzione giuridica. Fra diritto comparato e “Translation Studies”. Napoli: Editoriale Scientifica.
Nord, Christiane (1997) Translating as a Purposeful Activity. Functionalist Approaches Explained. Manchester - Northampton: St. Jerome Publishing.
Parks, Tim (2010) “Il libro? Vale solo se tradotto”. Il Sole 24 ORE [21 febbraio]
Pym, Anthony (1991) “A Definition of Translational Competence applied to the Training of Translators”, in M. Jovanovic (ed. by), Translation: A Creative Profession. 12th World Congress of FIT Proceedings. Belgrade: Prevodilac, 541-546.
Scarpa, Federica (2007) “Lingue speciali e didattica della traduzione”, in G. Garzone, R. Salvi (a cura di), Linguistica. Linguaggi specialistici. Didattica delle lingue. Studi in onore di Leo Schena. Roma: CISU, 255-267.
Vermeer, Hans Joseph (1996) A skopos theory of translation (Some arguments for and against). Heidelberg: TEXTconTEXT-Verlag.
Viaggio, Sergio (2009) Skopostheorie: a revolution celebrated. Online: [url=http://sergioviaggio.com/?cat=7]http://sergioviaggio.com/?cat=7[/url] (ultima visita: 25 febbraio 2010).
Notes/Note
[1] L’articolo è disponibile online al seguente indirizzo: [url=http://sergioviaggio.com/?cat=7]http://sergioviaggio.com/?cat=7[/url]
[2] Cfr. Megale pp. 143-147 che su questa distinzione cita anche i lavori di Nord, Dullion, Cao e Garzone. Si veda in proposito anche il volume di Bocquet La traduction juridique. Fondement et méthode.
[3] La definizione è tratta dal sito I18n Guy dedicato alla tecnonologia e consultabile al seguente indirizzo: [url=http://www.i18nguy.com/origini18n.html]http://www.i18nguy.com/origini18n.html[/url]
[4] La definizione è tratta dal sito Web and XML Glossary disponibile al seguente indirizzo: [url=http://dret.net/glossary/i18n]http://dret.net/glossary/i18n[/url]
[5] Sulla distinzione tra pensiero laterale e pensiero verticale, oltre che sul concetto di creatività, si veda il volume di De Bono Essere creativi. Come far nascere nuove idee con le tecniche del pensiero laterale.
©inTRAlinea & Danio Maldussi (2009).
"Alcune riflessioni su fortuna e attualità di Hans J. Vermeer: quando la teoria illumina la pratica"
inTRAlinea Special Issue: Specialised Translation I
Edited by: Danio Maldussi & Eva Wiesmann
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
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