Il caso della narrazione voice-over in Blade Runner e della sua spiegabile scomparsa

By Giovanni Vito Distefano (Università di Cagliari, Italy)

Abstract

English:

Following the methodological prescriptions of Gideon Toury’s Descriptive Translation Studies (DTS) approach, as he defined it in his 1995 homonym book, this paper investigates the use of voice-over narration in Ridley Scott’s Blade Runner, well-known film adaptation from Philip K. Dick’s Do Androids Dream of Electric Sheep?. In an acceptability-oriented translation, as the case studied is likely to be regarded, VO narration – usually considered a characteristic solution of film adaptation – is shown to be ruled by no fidelity constraints induced by the literary source, and rather to be adopted in accordance with norms originated in the target cultural system – quite binding and all-pervading in the case of the Hollywood cinema system and its genre subsystems. The dynamics over time of these relations, as the target cultural system evolves and the observed work describes its trajectory in it, accounts for the changes concerning VO narration, which occurred in Blade Runner 1982 first edition – and to a larger extent in earlier material then discarded – and was eliminated in 1992 and 2007 second and third editions.

Italian:

Condotto secondo la proposta metodologicale prescrizioni previste dalla definizione metodologica di Gideon Toury dei Descriptive Translation Studies (DTS), così come essa è sintetizzata e illustrata nel testo omonimo del 1995 da Gideon Toury, lo studio è dedicato all’adozione della narrazione voice-over in Blade Runner di Ridley Scott, adattamento cinematografico, com’è noto, del romanzo di Philip K. Dick Do Androids Dream of Electric Sheep?. Viene mostrato come in una traduzione acceptability-oriented, quale appare poter essere considerato il caso in oggetto, la narrazione VO, che pure è tra le soluzioni espressive più tipiche degli adattamenti, risponda non a vincoli di fedeltà o invarianza indotti dal romanzo-source, quanto piuttosto a norme vigenti nel sistema culturale d’arrivo, quanto mai condizionanti almeno per il caso del sistema cinematografico holliwodiano e dei sui sottosistemi “di genere”. La dinamicità di tali rapporti nel corso del tempo, sulla base della storia evolutiva del sistema culturale stesso e soprattutto della traiettoria in esso dell’opera studiata, permette di rendere conto della storia delle varianti che investono la narrazione voice-over, presente nella prima edizione del film del 1982 – e ancor più ampiamente nel materiale prodotto in vista di questa prima edizione e scartato – e successivamente eliminata nelle riedizioni del 1992 e del 2007.

Keywords: descriptive translation studies, film adaptation, voice-over narrator, noir, blade runner, adattamento cinamatografico, narratore fuori campo, audiovisual translation, traduzione audiovisiva

©inTRAlinea & Giovanni Vito Distefano (2009).
"Il caso della narrazione voice-over in Blade Runner e della sua spiegabile scomparsa"
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1. Do Androids Tell of Electric Sheep?

The script opened with a hoary voice-over that went something like, “It was a dirty town. It was a dirty job. Somebody had to do that job. I was that somebody. My name’s Rick Deckard” I mean, my God! (Sammon, 2007: 253)

Così Philip Dick, in una dichiarazione del 1980, descriveva l’incipit della sceneggiatura di Blade Runner, manifestando un giudizio nettamente negativo su questa prima versione che “overrelied on the old cliché-ridden Chandleresque figure”(2007: 253). L’autore di Do Androids Dream of Electric Sheep?, che allora per la prima volta[1] si trovava alle prese con un progetto, al quale non contribuì mai direttamente, di adattamento cinematografico di una sua opera, arrivò a comunicare pubblicamente attraverso la stampa[2] la sua contrarietà ad un’operazione che minacciava di ridursi ad un banale appiattimento del soggetto del suo romanzo ai più scontati cliché dei film noir americani, “on the level of ‘Philip Marlowe Meets the Stepford Wives’” (2007: 254)[3], ma ebbe modo in seguito, sulla base di una più tarda versione della sceneggiatura e soprattutto della visione in anteprima dei primi spezzoni ultimati del film, di correggere radicalmente la propria opinione e di riconoscere, con sincera ammirazione e non scontata gratitudine, il rivoluzionario valore del film.

The impact of BLADE RUNNER is simply going to be overwhelming, both on the public and on creative people—and, I believe, on science fiction as a field. [...] In all candor I must say that our field has gradually and steadily been deteriorating for the last few years. Nothing that we have done, individually or collectively, matches BLADE RUNNER. [...] What I am saying is that all of you collectively may have created a unique new form of graphic, artistic expression, never before seen. And, I think BLADE RUNNER is going to revolutionize our conceptions of what science fiction is and, more, can be. [...] I can only say that I did not know that a work of mine or a set of ideas of mine could be escalated into such stunning dimensions.[4]

Dick dava prova così della sua serena generosità nel riconoscere i meriti altrui e, tanto più a noi che giudichiamo ex post, di un giudizio acutamente premonitore sugli sviluppi della fantascienza. Tale capovolgimento della sua valutazione complessiva dell’opera di Ridley Scott e dei suoi collaboratori non rende però meno valida e corrispondente al vero la sua descrizione della narrazione voice-over (VO nel seguito) che accompagna la comparsa sulla scena di Blade Runner del protagonista Rick Deckard nella prima edizione del film del 1982.

They don’t advertise for killers in a news paper. That was my profession. Ex-cop. Ex Blade Runner. Ex-killer.(Scena 4).[5]

Così recita la voce di Harrison Ford, che interpreta sullo schermo il personaggio di Deckard, mentre il protagonista appare per la prima volta sullo schermo, intento ad ammazzare il tempo leggendo il giornale in attesa che si liberi un posto ad un affollatissimo fast food all’aperto su una strada battuta dalla pioggia ma non meno affollata. La scena – che segue la prima sequenza narrativa di istallazione del contesto funzionale composta, in successione, dai titoli in sovrimpressione, cui è affidata l’introduzione delle coordinate (pseudo)storiche e spazio-temporali della vicenda, dalla rappresentazione del primo omicidio commesso dai Replicanti, gli oppositori dell’eroe qui introdotto, e da un lungo piano sequenza descrittivo della futuristica babelica metropoli in cui è ambientato il racconto – è un incipit “in VO” decisamente “di genere”. Essa rappresenta il primo dei tanti cambiamenti rispetto al testo sorgente attuati in questo adattamento decisamente libero[6] del romanzo di Dick e, proprio per la sua scontata riconoscibilità,  è funzionale a chiarire in apertura al lettore l’appartenenza del film al ricco filone del noir americano.

Questo lavoro sarà dedicato allo studio della narrazione VO condotta, fin dalla sua prima apparizione come si è visto, dal protagonista Deckard. Una tale definizione del corpus è motivata, oltre che dalla rilevanza propria di questa specifica soluzione espressiva in Blade Runner e più in generale nei film noir e negli adattamenti cinematografici, dalla storia delle varianti del film che hanno preceduto e che hanno seguito la prima distribuzione del 1982. La narrazione VO, infatti, caratterizza numerose scene che furono poi escluse in fase di montaggio, è presente, in misura più oculata e calibrata, nella versione del 1982 ed è stata infine eliminata nelle successive edizioni del 1992 e del 2007, presentate rispettivamente come Director’s Cut e Final Cut. L’indagine della rilevanza della narrazione VO, prima in presentia e poi in absentia, nella complessiva idea di traduzione (“overall CONCEPT OF TRANSLATION”, Toury, 1995: 85) che soggiace all’adattamento cinematografico di Do Androids Dream of Electric Sheep? potrà permettere di formulare qualche ipotesi esplicativa (“explanatory hypothesis”, 1995: 85) sia del caso specifico, e della particolare evoluzione temporale del testo filmico segnata dalle diverse tappe del processo creativo che sono state indicate, sia delle caratteristiche strutturali e funzionali di questa soluzione espressiva atta alla ricostruzione, o alla costruzione ex novo, nell’adattamento cinematografico delle istanze narratoriali del testo sorgente.

In vista di questi obiettivi, adottando la proposta metodologica dei Descriptive Translation Studies (DTS) compiutamente esposta da Gideon Toury nel suo testo omonimo del 1995, la ricerca muoverà dall’adattamento (target) per tentare retrospettivamente, assunta l’ipotesi della sua natura derivata, innanzitutto (par. 2) di spiegare i termini della sua collocazione all’interno del sistema di arrivo, gli adattamenti cinematografici e i noir di produzione holliwoodiana nel nostro caso; poi (par. 3) di illustrare i suoi rapporti con il romanzo (source), privilegiando gli elementi del testo letterario che si prestano ad una lettura in termini di replaced segments accoppiabili con replacing segments del testo di arrivo; e infine (par. 4) di trarre le conclusioni sullo specifico processo traduttivo ipotizzabili ad un più alto livello di generalizzazione. In buona sostanza, i prossimi due paragrafi saranno dedicati a rendere conto della narrazione VO che compare nella prima edizione del 1982, valutando le influenze determinanti il ricorso a questo espediente filmico e le sue caratteristiche strutturali e funzionali che possono essere attribuite, rispettivamente, al contesto di arrivo (requisiti di acceptability della traduzione, Toury, 1995: 56-57) o al testo di partenza (requisiti di adequacy, 1995: 56); nell’ultimo, alla luce della disanima del processo evolutivo intercorso dalla prima lavorazione alle edizioni seriori del 1992 e del 2007 e conclusosi con la eliminazione della VO, si tenterà di formulare un’ipotesi plausibile che globalmente connetta le caratteristiche esaminate limitatamente alla narrazione in VO ad una conveniente idea dinamica di adattamento cinematografico, valida complessivamente per Blade Runner così come esso si manifesta nel proprio sistema culturale di appartenenza e lungo la storia della sua ricezione e delle sue edizioni.

La scelta di adottare per lo studio di un adattamento cinematografico un metodo di ricerca sviluppato per lo studio della traduzione interlinguistica, o, in altre parole, di includere l’adattamento cinematografico (e in generale, nella classificazione di Jakobson, la “traduzione intersemiotica”, 1959: 53) entro l’ambito d’interesse dei Translation Studies[7], si basa sulla convinzione che possa essere euristicamente vantaggioso assumere l’ipotesi “di lavoro” –  in quanto tale valutabile soltanto a posteriori sulla base della potenzialità euristica dimostrata –  che l’oggetto studiato sia una traduzione, come per altro vengono normalmente considerati gli adattamenti cinematografici nel contesto reale della loro fruizione (Toury, 1995: 31-32). Il metodo proposto da Toury per i DTS non presuppone d’altronde che i sistemi di arrivo e di partenza siano letterari, e si presta perciò all’osservazione e allo studio di testi di natura semiotica diversa[8]. Il paradigma dei DTS, inoltre, ha il pregio di muovere verso un approccio interdisciplinare e multilaterale allo studio degli adattamenti cinematografici e dei fenomeni traduttivi (Cattrysse, 2000: 257- 260). Lo sforzo di accordare (tuning up) metodi e risultati di discipline diverse – “semiotics, film studies, photography, narratology, theatre, acting, literature, music, history, sociology, politics, etc,” (2000: 260) ¬– può permettere di rendere conto adeguatamente della complessità di tali fenomeni culturali, a partire, per non fare che un solo esempio di importanza cruciale in merito agli adattamenti, dalla necessità di integrare nello studio della traduzione filmica di un testo letterario gli elementi verbali e gli elementi audiovisivi, per interpretare rispettosamente la globalità sincretica del testo cinematografico (cfr. 2000: 260-261). Complementarmente, superando l’approccio bilaterale source-target, lo studio del testo tradotto è arricchito dalla considerazione della pluralità

[of] different types of modelling source material, such as models on the level of narrative, acting style, setting, photography, music, sound, but also on the level of the surrounding cultural, political, social and economic norms and conventions. (2000: 258)

2. La narrazione voice-over nel cinema holliwoodiano e in Blade Runner

Probabilmente la principale, e sicuramente la più nota, prescrizione metodologica di Toury è quella di considerare che

translations are facts of target cultures; on occasion facts of a special status, sometimes even constituting identifiable (sub)systems of their own, but of the target culture in any event (Toury, 1995: 29)

Ciò significa che per una traduzione, in maniera non dissimile da quanto valido per un testo qualunque appartenente allo stesso sistema culturale, “the strongest principles” che possono essere indicati come determinanti le caratteristiche osservabili del testo in esame “originate in the target system itself, the one where – semiotically speaking – the act of translation is initiated and whose needs it is designed to satisfy” (1995: 147). Tali principi, e i processi che essi inducono e i prodotti di tali processi, fanno emergere, man mano che si procede nella comprensione dei fenomeni complessi relativi all’oggetto studiato, una rete di relazioni che modellizza complessivamente il sistema culturale all’interno del quale esso è attivamente collocato.

Conseguentemente a questo assunto, il primo passaggio della procedura metodologica proposta da Toury per lo studio di una data traduzione o di determinati elementi di essa consiste nell’indagine di tale sistema di relazioni, mirata a rendere conto della collocazione della traduzione all’interno del sistema d’arrivo. In questa sezione, provvederemo a ciò per il caso di Blade Runner e della narrazione VO che vi compare. Nella terminologia messa a punto dallo studioso israeliano, ciò corrisponde a determinare il valore della traduzione in questione dal punto di vista della sua acceptability, ossia della sua facoltà di essere “a text in a certain [target] language, and hence occupying a position, or filling in a slot, in the appropriate culture, or in certain section thereof” (1995: 56). Così definita,  l’accettabilità di una traduzione normalmente, ma non necessariamente, si oppone al suo valore di adequacy, definita come la capacità di una data traduzione “[of] constituting a representation in that language/culture of another preexisting text in some other language, belonging to some other culture and occupying a definite position within it” (1995: 56).

Più in particolare, il caso degli adattamenti cinematografici, e soprattutto di quelli hollywoodiani, date le eccezionali autonomia e solidità delle modalità creative e produttive che contraddistinguono questo specifico settore artistico-culturale, rientra normalmente nella categoria delle traduzioni acceptability-oriented, caratterizzate dal fatto che in esse “norm systems of the target culture are triggered and set into motion” (Toury, 1995: 56) al punto che le soluzioni espressive in esse adottate a qualsivoglia livello testuale sono frequentemente la manifestazione di “no source-induced constraint[s] at all, but [of] norm[s] which originated in the target pole”, valide per i testi del sistema d’arrivo anche indipendentemente dal fatto che essi siano traduzioni o meno, “and [were] designed to serve its own needs” (1995: 110).
È in questo senso che di Blade Runner è normalmente riconosciuto il valore in quanto opera filmica – cioè è ottimamente integrato entro il sistema cinematografico[9] americano e mondiale, indipendentemente dal fatto di essere un adattamento –  e insieme il fatto di essere una traduzione “libera” o “infedele” di Do Androids Dream of Electric Sheep?, come si può già a prima vista giudicare sulla base degli evidenti cambiamenti, numerosi e di vario genere[10], che lo allontanano dal romanzo, a partire dal titolo.

Blade Runner potrebbe addirittura apparire un’opera la cui connessione con il romanzo source sia dichiarata più per espletare gli obblighi previsti dalle normative vigenti sul copyright che per affermare una cogente corrispondenza tra il romanzo, nel sistema artistico culturale di partenza della letteratura, e il film, in quello d’arrivo del cinema. Le scelte espressive che lo caratterizzano possono tanto più, come ci apprestiamo ad argomentare per il caso specifico della narrazione VO, essere vantaggiosamente interpretate come volte ad assicurare, nel rispetto dei modelli canonici del sistema d’arrivo in cui l’adattamento di Do Androids Dream of Electric Sheep? deve, e doveva, collocarsi, il suo successo nel panorama della produzione cinematografica americana e mondiale.

Alla luce di queste considerazioni si procederà preliminarmente all’indagine delle norme attive nel sistema artistico-culturale del cinema holliwoodiano in merito all’adozione della narrazione VO, per poi, in maniera complementare, vagliare la narrazione VO in Blade Runner sulla base di tale riferimento canonico, in modo da misurarne l’adesione e gli eventuali scostamenti.

Sarah Kozloff, nell’unica monografia interamente dedicata allo studio della narrazione VO di cui abbiamo notizia[11], fornisce sulla base delle osservazioni condotte su una filmografia “of roughly four-hundred English-language feature films that use voice-over narration” (Kozloff, 1988: 141) un’esaustiva descrizione degli elementi che, sui piani strutturale e funzionale, costituiscono il modello normativo – in senso, ovviamente, descrittivo e non prescrittivo – per l’uso della narrazione VO. Sulla base di questa griglia, confrontando il caso in esame alle osservabili pertinenti che essa comprende, sarà possibile descrivere la narrazione VO che compare nella edizione del 1982 di Blade Runner.

Come si può giudicare fin dall’incipit descritto nella sezione precedente, si tratta, secondo le categorie genettiane, di un narratore di livello extradiegetico in rapporto omodiegetico con le vicende narrate (cfr. Genette, 1972: 291-300). L’applicazione delle categorie narratologiche al testo filmico si deve in linea di principio confrontare con la complessa questione delle diverse istanze narratoriali, connessa alla natura sincretica (cfr. la voce “sincretismo” in Courtés, Greimas, 1979: 325) del linguaggio cinematografico, che, a differenza di quanto accade nel racconto scritturale, coesistono in una struttura gerarchica alla quale il narratore verbale – l’istanza responsabile della VO – partecipa in una posizione di strutturale subordinazione (cfr. Gaudreault, 1988: 181-194 e Kozloff, 1988: 45-48). Con questa avvertenza, e rimandando ai testi segnalati in nota per ulteriori approfondimenti, si può affermare che Blade Runner si uniforma alla scelta espressiva più tipica nei film holliwoodiani secondo la quale, con una attenta organizzazione degli elementi e dei rapporti strutturali che toccano la narrazione omodiegetica VO, “there are powerful inducements for viewers to bend over backwards to accept the voice-over as the teller of the film”(Kozloff, 1988: 48) “as if he or she has generated not only what he is saying but also what we are seeing” (1988: 45), facoltà a rigore esclusiva dell’istanza narrativa sovraordinata al complesso del testo narrativo filmico.

Le tre osservabili strutturali cui Kozloff riconduce questa strategia complessiva nell’uso della narrazione VO omodiegetica ricorrono puntualmente in Blade Runner. Innanzitutto rilevanti sono le soluzioni tramite le quali “the film emphasizes the character’s claim to be telling the story” (1988: 45). Esse includono tipicamente scene topiche in cui il personaggio si qualifica come narratore – ripreso nell’atto di narrare a un eventuale narratario finzionale o direttamente a noi stessi, allora volgendo gli occhi alla macchina da presa, per poi lasciare in dissolvenza la scena alle immagini del racconto che egli passa a condurre in VO – cui è equipollente in Blade Runner la scena iniziale già descritta. In essa il lungo piano ravvicinato di Deckard e la coincidenza fonica – sancibile a posteriori, soltanto dopo le prime battute di dialogo – che si manifesta tra le voci del personaggio e del narratore che esordisce in prima persona (“my profession [...] my ex-wife”) inducono lo spettatore ad identificare il primo con il secondo e, sulla base delle regole di lettura più o meno consapevolmente acquisite dalla visione di innumerevoli incipit analoghi, presumere l’avviarsi dell’atto linguistico di una narrazione, di cui non è esplicitamente rappresentato il contesto comunicazionale, ma del quale egli ha già potuto individuare il soggetto emittente – Deckard, cioè la stessa persona apparsa sullo schermo – e iniziare a fruire il messaggio – le battute della VO e, per estensione, l’intero film. L’assenza in Blade Runner di scene in cui l’attività di narratore di Deckard sia mostrata esplicitamente è d’altronde ovviamente connessa, nella storia della lavorazione e delle varianti editoriali del film, alla possibilità di eliminare la VO senza dover modificare la colonna visiva del film né perdere in efficacia narrativa e valore artistico, una soluzione già considerata durante le fasi iniziali della lavorazione del film, e poi attuata nelle edizioni successive alla prima.
Una seconda variabile strutturale è costituita dalla frequenza e dalla distribuzione nel corso del film degli interventi del narratore. Non è, precisa la Kozloff, tanto il valore quantitativo della frequenza a determinare, in una ipotetica relazione di proporzionalità diretta, la rilevanza della narrazione VO nell’economia globale del film (1988: 45-46), quanto la cura nella distribuzione degli interventi narratoriali nei luoghi topici dell’opera. In particolare, sono sempre tali l’incipit del film, perché “once the presence of the voice-over narrator has been established, the entire film serves as a sort of linguistic event, as the narrator’s speech even when there is none” (Smoodin, 1983: 19), e l’explicit, in cui il regime narrativo omodiegetico inaugurato in partenza viene confermato in chiusura. Blade Runner è pienamente uniformato a questi principi strutturali, la vicenda del protagonista – dopo i titoli in sovraimpressione e gli iniziali piani vuoti che fungono da establishing shot– comincia con la prima battuta della narrazione in VO:

They don’t advertise for killers in a news paper. That was my profession. Ex-cop. Ex Blade Runner. Ex-killer (Scena 4)

Il narratore interviene in seguito una mezza dozzina di volte concentrate nella prima metà del film, in cui sono compresi tutti gli interventi in VO tranne gli ultimi due. L’ultimo intervento, in particolare, realizza una chiusura del film simmetrica all’incipit, formando un chiasmo dai membri antitetici: campo vuoto lunghissimo di avvicinamento alla città / VO di introduzione del personaggio // VO di congedo / campo vuoto lunghissimo sulle valli boscose in cui fuggono dalla città i due protagonisti[12]:

Gaff had been there and let her live. Four years, he figured. He was wrong. Tyrell had told me Rachael was special. No termination date. I didn’t know how long we’d have together. Who does? (Scena 35)

Blade Runner mostra di essere costruito sulla base di una sapiente uniformazione alle regole di produzione holliwoodiane anche per quanto riguarda il terzo parametro strutturale che la Kozloff prende in considerazione, ossia “the kind and degree of coordination between the first-person narration and the represented action of the narrative” (Kozloff, 1988: 45). Mentre in generale la corrispondenza tra i due elementi può essere allentata e alterata tanto da compromettere agli occhi dello spettatore lo status del narratore VO, con effetti di ironia o perfino di aperta messa in discussione della sua affidabilità (Fink, 1982: 23-26; Kozloff, 1988: 102-126; Smoodin, 1983: 25-26), nel cinema holliwoodiano e in Blade Runner gli interventi del narratore sono perfettamente coordinati con quanto rappresentato attraverso la colonna visiva e il sonoro intradiegetico in termini sia di coerenza che di coesione narrativa, con un effetto di totale armonia di insieme che mira a coinvolgere e dirigere lo spettatore piuttosto che ad indurre l’apprezzamento da parte sua degli specifici contributi all’insieme. Con coerenza narrativa della narrazione VO indichiamo la sua qualità di comunicare informazioni che non contraddicono quanto mostrato e anzi lo avvalorano, eventualmente con effetti di ridondanza; si consideri in merito, per esempio, la scena della perquisizione dell’appartamento di Leon da parte di Deckard, in cui la coincidenza tra VO e immagini è portata all’estremo della corrispondenza puntuale tra le azioni mostrate e raccontate:

I didn’t know whether Leon gave Holden a legit address but it was the only lead I had, so I checked it out.
[Deckard entra nell’appartamento aprendo la porta d’ingresso.]
Whatever was in the bathtub was not human. Replicants don’t have scales.
[Deckard trova e raccoglie una scaglia dal fondo della vasca da bagno.]
And family photos? Replicants didn’t have families either.
[Deckard scopre delle fotografie dentro un cassetto.] (Scena 8)

Ad un livello più generale nella struttura testuale del film, costituisce inoltre un’importante ragione di coerenza narrativa il fatto che la gran parte delle scene rappresentate presentano una netta focalizzazione interna (Genette, 1972: 236-242 e Rondolino, Tomasi, 1995: 140-148) centrata sul personaggio di Deckard, a cui per l’appunto è in capo anche la narrazione omodiegetica VO.

Con coesione narrativa indichiamo, complementarmente, la rispondenza degli interventi del narratore VO alla disposizione sintattica della narrazione complessiva, per cui, per esempio, internamente alla singola sequenza appena descritta la narrazione verbale e la rappresentazione visuale avanzano con lo stesso ritmo e alla stessa velocità, o ancora, al livello della successione ordinata delle diverse sequenze del film, è più probabile che un intervento riflessivo del narratore verbale si collochi in corrispondenza di una momento di rilassamento del ritmo diegetico, frapposto ad altri maggiormente concitati. Così accade quando Deckard, subito dopo aver drammaticamente confermato a Rachael i dubbi che essa iniziava a nutrire in merito alla sua identità di replicante e appena prima di scoprire tra le foto di Leon l’indizio che lo metterà sulle tracce di Zhora, riflette:

Tyrell really did a job on Rachael. Right down to a snapshot of a mother she never had, a daughter she never was. Replicants weren’t supposed to have feelings. Neither were Blade Runners. What the hell was happening to me? Leon’s picture had to be as phony as Rachael’s. I didn’t know why a Replicant would collect photos. Maybe they were like Rachael, they needed memories (Scena 11)

La sapiente convenzionalità delle scelte espressive che caratterizzano la narrazione VO in Blade Runner, nel senso di una adesione puntuale al modello canonico vigente nel sistema artistico culturale di appartenenza, appare anche ad una sua analisi sotto il profilo funzionale. Negli studi già citati di Guido Fink e Sarah Kozloff sono unanimemente indicate in particolare tre funzioni che tipicamente sono espletate dalla narrazione VO omodiegetica nei film americani in cui essa è adottata. Una prima funzione è quella di ricreare o evocare nel film, eventualmente riferendosi direttamente a quella effettivamente presente nel romanzo-source, come è il caso in molteplici adattamenti, una sorta di voce narrativa di tipo scritturale, che assecondi la tendenza, generalizzata al punto da divenire uno standard, secondo la quale “often audience are supposed to accept the stories as having been written” (Kozloff, 1988: 51). Le caratteristiche della narrazione VO, insomma, – lo stile, il tono, i contenuti – riproducono quelle di un narratore “per iscritto” romanzesco o, se si vuole, quelle dei numerosi narratori VO precedentemente manifestatisi con questa caratterizzazione e assurti a modello canonico. Il narratore omodiegetico di Blade Runner non è tratto, come si vedrà più approfonditamente nella prossima sezione, direttamente da Do Androids Dream of Electric Sheep? né da alcun altro romanzo, ma è decisamente, si consideri anche soltanto l’incipit già più volte citato, informato al modello letterario chandleresco della narrazione in prima persona tipica del noir letterario e cinematografico. Si tratta di una norma effettivamente riscontrabile nel sistema cinematografico e specificatamente caratterizzante il sottosistema del noir, così esplicitata dalla Kozloff:
Adaptations of Eric Ambler’s, James M. Cain’s, or Raymond Chandler’s novels rank among the most well known voice-over films [...] Even noirs that came from original screenplays imitated the detective novels’ distinctive narrative style. (Kozloff, 1988: 39-40)

Una seconda importante funzionalità assegnata alla narrazione VO consiste nella trasmissione di informazioni utili ad agevolare la comprensione della vicenda, in modo da renderla più definita e precisa di quanto non possa risultare sulla base delle sole scene rappresentate. La scelta – non obbligata, ché non è basata su nessuna supposta limitazione inerente le potenzialità semiotiche di uno dei due linguaggi – di affidare parte del contenuto informativo alla VO e parte alle immagini e ai dialoghi rappresentati può comportare tipicamente l’intervento del narratore per agevolare la lettura di una singola sequenza – fornire dati supplementari su un personaggio appena apparso sullo schermo, chiarire la natura di un gesto o di un’azione potenzialmente ambigua etc. – o della successione sintatticamente composta delle diverse scene, come spesso accade nel caso di complesse cronologie e topologie. Nel caso di Blade Runner le informazioni trasmesse dalla VO non sono strettamente necessari alla comprensione, come dimostrano in modo inequivocabile le edizioni del film in cui essa è stata soppressa; esse, però, confortano le deduzioni dello spettatore e agevolano i suoi tentativi di afferrare il significato, non sempre esplicito e immediatamente perspicuo, delle scene rappresentate. Nell’explicit, già citato, del film, per esempio, Deckard confida al lettore la sua deduzione, rimasta implicita nella scena precedente in cui ha scoperto un piccolo origami nel pianerottolo del suo appartamento, che “Gaff had been there and let her live” (Scena 35); le misteriose e intriganti identità dei personaggi noir che popolano il film sono parzialmente illuminate dalle descrizioni condotte da Deckard in VO, per esempio su stesso, come accade fin nell’incipit in ogni passaggio in cui il narratore menziona qualcosa del suo passato di personaggio o illustra il suo modo di pensare e agire, o, ancora, su Gaff, decisamente il personaggio fra tutti più sfuggente ed enigmatico, come in questo intervento che segue la sua prima apparizione:

The charmer’s name was Gaff. I’d seen him around. Bryant must have upped him to the Blade Runner unit. That gibberish he talked was Cityspeak, gutter talk. A mishmash of Japanese, Spanish, German, what have you. I didn’t really need a translator. I knew the lingo. Every good cop did. But I wasn’t gonna make it easier for him (Scena 4)

Infine, la terza funzione di cui è tipicamente investita la narrazione VO, e forse quella maggiormente rilevante in Blade Runner, è, con le parole della Kozloff, quella di “affect the viewer’s experience of [the narration in] the text by ‘naturalizing’ [‘humanizing’ or ‘socializing’] the source of the narrative” (Kozloff, 1988: 41). Il fatto di ricondurre la narrazione complessiva ad un atto comunicativo realistico, per quanto solo evocato, in cui il pubblico venga chiamato in causa in qualità di narratario, permette al film di arricchirsi degli effetti “di simpatia” che legano lo spettatore al protagonista-narratore e, con la sua mediazione, agli altri personaggi. Ciò consente, inoltre, di sfumare i particolari indecifrabili di una vicenda fumosa ed equivoca, non meno della babelica metropoli in cui è ambientata, in una rappresentazione esplicitamente soggettiva della realtà finzionale, che completa e compete con la supposta oggettività delle immagini. Deckard, futuristico Philip Marlowe, sa come conquistare e affascinare lo spettatore e nel rapporto esclusivo che stringe con esso tramite la VO non risparmia a se stesso nessuna esposizione, neanche quelle apparentemente meno “eroiche”:

I’d quit because I’d had a bellyful of killing. But, then, I’d rather be a killer than a victim and that’s exactly what Bryant’s threat about little people meant. So I hooked once more, thinking that if I couldn’t take it, I’d split later. I didn’t have to worry about Gaff. He was brown-nosing for a promotion, so he didn’t want me back anyway (Scena 6)

Ancora, egli sa, di sfuggita, quasi involontariamente, inserire nei suoi interventi le giuste allusioni alla sua interiorità più profonda e, allocutivamente, alla nostra. Si considerino, per esempio, due passaggi in cui ciò avviene tramite due domande retoriche, le quali, mantenendo parte del loro valore illocutorio e perlocutorio, ci chiamano in causa e, l’ultima particolarmente, richiedono la nostra attiva partecipazione. Nel primo caso Deckard, si abbandona nel mezzo delle sue elucubrazioni investigative ad un inciso – “Replicants weren’t supposed to have feelings. Neither were Blade Runners. What the hell was happening to me?” (Scena 11) – che scopre l’emergere del suo sentimento per Rachael; nel secondo, al momento del congedo finale, chiama il pubblico a condividere la serena accettazione dell’ignoranza dell’uomo sulla sua sorte e su quella delle persone e delle cose, come la relazione appena cominciata con Rachael, più care, convincimento che egli mostra di aver saputo dopo tante avventure maturare: “I didn’t know how long we’d have together. Who does?” (Scena 35).

Sulla base di quanto esposto possiamo affermare quindi la piena uniformazione della narrazione VO in Blade Runner al modello vigente nel sistema cinematografico holliwoodiano, così come esso è stato definito sul piano strutturale e funzionale nell’opera della Kozloff. Da essa si può ancora, infine, ricavare qualche preziosa indicazione sulle norme che riguardano l’adozione della narrazione VO al livello degli specifici sottosistemi del complessivo sistema cinematografico americano. La studiosa indica, infatti, specifici generi e settori cinematografici in cui l’adozione della narrazione VO risulta essere così diffusa da poter essere debitamente considerata come una norma costitutiva di quei sottosistemi, attiva nel determinare le forme e le caratteristiche delle opere che in tali settori si collocano. In particolare, “First-person narration [omodiegetica] is the more common form of voice-over in fiction films [...] In particular, however, it is a staple in literary adaptations and film noirs” (Kozloff, 1988: 41)[13].

Ciò suggerisce che l’adozione, nei modi e nelle forme esaminati, della narrazione VO in Blade Runner sia riconducibile alla sua piena e riconoscibile collocazione all’interno dei sottosistemi degli adattamenti cinematografici e di quello, codificato, “di genere” dei noir. In altre parole, la presenza del narratore VO è conseguente all’influenza sul film, cioè sul risultato del processo di traduzione scaturito da Do Androids Dream of Electric Sheep?, dei canoni degli adattamenti, indipendentemente dal fatto che la narrazione VO non provenga direttamente dal suo romanzo-source, e dei film noir, carattere quest’ultimo che sembra doversi imputare specificatamente a Ridley Scott[14].

La narrazione VO in Blade Runner appare quindi, come era lecito aspettarsi sulla base delle considerazioni premesse all’inizio di questa sezione sulla generalità degli adattamenti cinematografici holliwoodiani, rispondente a “norm[s] which originated in the target pole” (Toury, 1995: 110), valide per i testi del sistema d’arrivo anche indipendentemente dal fatto che essi siano traduzioni o meno. Essa supporta l’ipotesi di una complessiva qualità acceptability-oriented di tale processo traduttivo.

3. Relazioni target-source

Una volta provveduto alla messa-in-contesto della traduzione in oggetto all’interno del sistema culturale d’arrivo, il metodo dei DTS prevede, come già abbiamo anticipato, l’indagine delle relazioni che intercorrono tra l’adattamento e il romanzo-source. L’obiettivo di questo secondo passaggio è quello di completare la comprensione dei fenomeni traduttivi in esame aggiungendo gli elementi esplicativi che pertengono al rapporto di derivazione supposto con il testo di partenza a quelli, già rilevati, riconducibili invece alle relazioni del testo tradotto con il sistema d’arrivo. Conservando l’impostazione retrospettiva e target-oriented del metodo,

mapping each assumed translation onto its assumed source would thus result in assigning the status of outright translation SOLUTIONS to various constituents of the target text, which would so far have been considered, rather vaguely, as “translational phenomena”. Due to this procedure, which yield a series of (ad hoc) coupled pairs of replacing + replaced segments, a target-text solution would never just imply the existence of a corresponding PROBLEM in the source text. Rather, the two should be conceived of as determining each other in mutual way. The kind of problems which are relevant for a retrospective study are therefore reconstructed rather than given: like the appropriateness of the source text itself, they have to be established in the course of a comparative analysis rather than on the basis of the source text alone, let alone its initial translatability into the target language in question (Toury, 1995: 77-78)

In questo capitolo dunque, supposta la traducibilità di Do Androids Dream of Electric Sheep? nel linguaggio cinematografico e la liceità e funzionalità dell’ipotesi di assumerlo come source di Blade Runner, a partire retrospettivamente dalla narrazione VO si provvederà a vagliare le possibili relazioni che legano questo specifico segmento del complesso testuale del film, in sé sufficientemente coerente e ben individuato, a corrispondenti elementi del romanzo, secondo il rapporto tra supposte soluzioni a plausibili problemi che struttura, nell’elaborazione di Toury, una coppia di replacing + replaced segments.

Ad una prima osservazione la narrazione VO in Blade Runner non sembra avere alcuna diretta corrispondenza rintracciabile nel romanzo. In particolare, per esempio, il narratore omodiegetico del film non trae i suoi interventi dal romanzo, come tipicamente accade negli adattamenti spesso anche con citazioni testuali[15], né corrisponde ad una analoga istanza narratoriale presente in esso.

In Do Androids Dream of Electric Sheep? è presente, abbastanza convenzionalmente, un unico narratore eterodiegetico, non esplicitamente qualificato, che tende, spesso tramite forti focalizzazioni interne della narrazione, a realizzare un’illusione di trasparenza della narrazione, per cui egli passi piuttosto inosservato al lettore. Nel caso degli adattamenti cinematografici, specie in virtù delle considerazioni sulla generale impostazione acceptability-oriented delle strategie traduttive già rilevata e fermo restando la natura subordinata dell’eventuale narratore verbale cinematografico alle istanze narrative di livello superiore attive nel testo filmico, non sono d’altronde così infrequenti i casi in cui si registrino variazioni di questo tipo tra la struttura narrativa del romanzo e quella del film, sia da narratore eterodiegetico a narratore omodiegetico, com’è il caso di Blade Runner, che in senso inverso. Sarah Kozloff, per esempio, cita in merito il caso di Berry Lyndon di Stanley Kubrick, adattamento tratto dal romanzo del 1844 The Luck of Berry Lyndon di William Makepeace Thackeray, del quale, descrivendo la narrazione VO che vi compare, afferma:

what is particularly interesting about this film’s voice-over is that Kubrick does not use it to recreate the narrative structure of the novel. Thackeray wrote his Barry Lyndon in the first person: Barry narrates from the vantage point of his destitute old age in Fleet Street Prison. [...] Now as Lolita (1961) and A Clockwork Orange (1971) indicate, Kubrick was no stranger to unreliable first-person voice-over. But Barry does not narrate the film – instead an anonymous, heterodiegetic voice (Michael Hordern) assumes this duty. Rather than having the voice-over serve as a window into the principal character and as inadvertent self-revelation, Kubrick uses it for ironic commentary upon the hero and eighteenth-century aristocratic society. And this commentary plays a crucial role in our experience of the film (Kozloff, 1988: 117)

Allo stesso modo, in Blade Runner lo scarto dalla struttura narrativa del romanzo è votato alla realizzazione di valori funzionali specifici attribuiti alla narrazione VO, quelli indicati ed esaminati nella scorsa sezione, che non provengono al film dal suo rapporto con il romanzo-source.
La narrazione VO non è forse, però, del tutto un’addizione nell’adattamento di elementi estranei al romanzo. Se è vero che non appare possibile rinvenire in Do Androids Dream of Electric Sheep? dei riscontri testuali puntuali, né delle corrispondenze strutturali che riguardino, ad un più alto livello nella gerarchia testuale, la voce della narrazione, è possibile ipotizzare una relazione di tipo traduttivo tra l’elemento della narrazione VO in Blade Runner e, per utilizzare ancora le categorie genettiane, il modo del racconto dominante in esso.
Do Androids Dream of Electric Sheep? è un romanzo il cui modo narrativo prevalente è quello della focalizzazione interna variabile. Il narratore eterodiegetico del romanzo assume prevalentemente il punto di vista di Deckard e, con minore intensità di focalizzazione – o, se si vuole, con più frequenti infrazioni al modo focalizzato, plausibilmente in connessione con le subnormali facoltà cognitive del personaggio – e in misura quantitativamente minore ma non trascurabile, quello di J.R. Isidore. Il romanzo intero, in effetti, consiste di due distinti fili narrativi che convergono verso la fine del romanzo al momento dell’eliminazione da parte di Deckard degli androidi che si erano nascosti nell’appartamento dello “speciale”[16]: la storia di Deckard e la storia di Isidore, ciascuna delle quali viene narrata dal punto di vista del rispettivo protagonista.

Si consideri, per esempio, nel primo capoverso del romanzo l’inciso con cui il narratore giustifica la sua iniziale descrizione dello stato d’animo del protagonista (“Surprised”) riconducendola immediatamente – a costo di una intromissione di tipo iterativo in un contesto testuale a regime singolativo – alle percezioni del personaggio, “Surprised – it always surprised him to find himself awake without prior notice –”, o ancora, di seguito, il dialogo iniziale tra Deckard e la moglie Iran, nel quale vengono puntualmente riferite dal narratore le condizioni e le reazioni interiori del primo, ma soltanto quelle esteriori, reperibili attraverso la percezione del protagonista, della donna:

Friendlily, because he felt well-disposed toward the world [...] he patted her bare, pale shoulder.
“Get your crude cop’s hand away,“ Iran said.
“I’m not a cop.” He felt irritable, now, although he hadn’t dialed for it.
“You’re worse,” his wife said, her eyes still shut. “You’re a murderer hired by cops.”
“I’ve never killed a human being in my life.” His irritability had risen now; had become outright hostility.
Iran said, “Just those poor andys.”

Analogamente a quelle che abbiamo visto essere le funzioni espletate dagli interventi del narratore VO in Blade Runner, la narrazione focalizzata nel romanzo è funzionale alla rappresentazione della realtà interiore del protagonista, all’espressione dei suoi interessi e delle sue riflessioni malinconiche e disincantate sulla vita, su cui sia il libro che il film, fatta salva la differenza nel ritmo narrativo che distingue i romanzi dai film, indugiano piuttosto lungamente. Si veda per esempio in merito il seguente passo tratto dall’inizio del nono capitolo, in cui sulla narrazione focalizzata (“As he entered he recognized [...]” “no one appeared to notice him”) si innesta la trasposizione mimetica del suo discorso interiore che passa con continuità dall’indiretto trasposto (“he wondered if Mozart had had [...]”) al discorso riferito (con passaggio ai tempi del sistema del presente e alla prima persona singolare: “I have” “can evade me” “I get” etc.) (cfr. Genette, 1972: 216-232 e Grosser, 1985: 112-134):

As he entered he recognized The Magic Flute [...] What a pleasure, he loved The Magic Flute. He seated himself in a dress circle seat (no one appeared to notice him) and made himself comfortable. Now Papageno in his fantastic Pelt of bird feathers had joined Pamina to sing words which always brought tears to Rick’s eyes, when and if he happened to think about it [...] Well, Rick thought, in real life no such magic bells exist that make your enemy effortlessly disappear. And Mozart, not long after writing The Magic Flute, had died – in his thirties – of kidney disease. And had been buried in an unmarked pauper’s grave.
Thinking this, he wondered if Mozart had had any intuition that the future did not exist, that he had already used up his little time. Maybe I have, too, Rick thought as he watched the rehearsal move along. This rehearsal will end, the performance will end, the singers will die, eventually the last score of the music will be destroyed in one way or another; finally the name “Mozart” will vanish, the dust will have won. If not on this planet then another. We can evade it awhile. As the andys can evade me and exist a finite stretch longer. But I get them or some other bounty gets them. In a way, he realized, I’m part of the form-destrying process of entropy. The Rosen Association creates and I unmake. Or anyhow so it must seem to them.
On the stage Papageno and Pamina engaged in a dialogue. He stopped his introspection to listen

Passi di introspezione come questo sono decisamente frequenti lungo tutto il romanzo ed esclusivamente riservati a Deckard e, in misura minore, a Isidore. Ancora, spesso, come farà nel film la VO, è attraverso l’accesso alle percezioni e alle elucubrazioni del protagonista che vengono comunicate al lettore le informazioni necessarie alla comprensione della vicenda, come la descrizione delle caratteristiche dell’ambientazione – coordinate (pseudo)storiche e spazio-temporali, fatti e circostanze salienti etc. – o dei personaggi. Nell’introduzione dei temibili androidi Nexus-6, nella seconda metà del terzo capitolo, ad esempio, l’inizio di ciascun capoverso contiene spie esplicite del fatto che il narratore sposi nel dare queste informazioni il punto di vista di Deckard, come del resto esprime chiaramente, tirando le somme, l’ultimo esordio di capoverso riportato nella citazione:

The Nexus-6 android types, Rick reflected, surpassed several classes of human specials in terms of intelligence. In other words [...]
He had wondered, as had most people at one time or another, precisely why an android bounced helplessly about when confronted by an empathy-measuring test. Empathy, evidently, existed only within the human community [...]
Empathy, he once had decided, must be limited to herbivores or anyhow omnivores [...] Oddly, it resembled a sort of biological insurance [...]
Evidently the humanoid robot constituted a solitary predator.
Rick liked to think of them that way; it made his job palatable

Concludendo, possiamo affermare che il conferimento a Deckard, in Blader Runner, dello status di narratore omodiegetico in VO trasferisce nel film l’esclusiva posizione riconosciuta al protagonista da parte del narratore eterodiegetico del romanzo[17]. La narrazione VO, pur connotata secondo modelli estranei al romanzo di Dick – quelli dei film noir holliwoodiani, mentre il protagonista del romanzo non brilla per particolare arguzia o fascino hard-boiled ed è, in maniera certo meno scontata e forse più efficace, piuttosto un paradossale ragioniere della polizia anti-androidi che un avventuroso private eye del futuro –, può cioè essere considerata come il segmento testuale del film che corrisponde in risultanza del processo traduttivo (replacing segment) a quello della focalizzazione interna della narrazione (replaced segment) nel romanzo-source[18].

4. Generalizzazioni ed ulteriori spunti di ricerca

Lo studio fin qui condotto sulla narrazione VO in Blade Runner potrebbe completarsi in due modi. Da un lato, (a) finalizzandolo alla formulazione di una ipotesi di spiegazione dell’idea complessiva di traduzione soggiacente all’adattamento di Do Androids Dream of Electric Sheep?, si dovrebbe provvedere a sviluppare globalmente le considerazioni sui rapporti che mediano l’inserimento del film nel sistema culturale d’arrivo, analogamente a quanto fatto qui in merito alla sola narrazione VO, e a predisporre, iterando la procedura di individuazione di coupled pairs svolta nella terza sezione, una mappatura completa del testo filmico sul romanzo, di cui rendere conto sulla base delle regolarità in essa riscontrabili. Dall’altro, (b) concentrando invece lo studio non sul caso di Blade Runner ma sulle specificità, qualità e funzionalità caratteristiche della narrazione VO nell’ambito dei processi o fenomeni traduttivi di un dato sistema culturale, occorrerebbe estrarre, a partire da un largo campione di adattamenti cinematografici che adottino questo elemento espressivo e stanti le caratteristiche generali in merito all’adozione della VO rilevate nel secondo capitolo, una serie di coupled pairs in cui la narrazione VO sia il replacing segment e quindi formulare, osservando le caratteristiche e le eventuali regolarità di tale serie, delle plausibili ipotesi di spiegazione.
Qui ci limiteremo, però, ad indicare soltanto, rimandandone l’esecuzione, queste possibili direzioni di sviluppo della ricerca e a precisare che sulla base di queste considerazioni le nostre conclusioni non saranno che delle supposizioni o delle indicazioni che potranno al più valere da conferme parziali di affermazioni generali non formalizzate.

Come si è visto nella seconda sezione, l’adozione della narrazione VO in Blade Runner si conforma per qualità strutturali e funzionali al modello canonico vigente nel sistema cinematografico holliwoodiano e particolarmente nel sottosistema dei film noir. Essa, secondo quanto proposto nella terza sezione, non sembra potersi connettere a segmenti specifici del romanzo-source, ma introduce ex novo un’istanza narratoriale omodiegetica, corrispondente alle qualità modali di focalizzazione interna della narrazione eterodiegetica adottata nel testo letterario.

Sulla base di questi dati si può quindi, in merito alle due complementari prospettive indicate, concludere:
(a) che i risultati dell’indagine compiuta sulla sola, fra tutti gli elementi costitutivi di quell’oggetto complesso che è un film, narrazione VO, induce e avvalora l’ipotesi della natura acceptability-oriented dell’idea di traduzione soggiacente a Blade Runner. Prevalgono in essa le norme del sistema d’arrivo in grado di assicurare la sua piena inclusione nel sistema del cinema noir e in generale holliwoodiano – e quindi ragionevolmente un successo commerciale commisurato ai capitali investiti – a discapito della rispondenza dell’adattamento al romanzo-source;
(b) che il caso della narrazione VO in Blade Runner testimonia come l’adozione di questa soluzione espressiva negli adattamenti cinematografici possa essere piuttosto il risultato della adesione a modelli canonici inerenti il sistema cinematografico d’arrivo che non, come spesso sostenuto dai sostenitori di una supposta non desiderabile qualità letteraria della narrazione VO (cfr. Kozloff, 1988: 8-22), un modo, più o meno indebito, di rendere nel testo filmico invarianze semantiche o strutturali rispetto al romanzo-source.

Queste conclusioni sulla natura della complessiva idea di traduzione soggiacente a Blade Runner e sulle modalità con cui essa è connessa alla narrazione VO – ne prevede o meno l’adozione, ne determina le caratteristiche strutturandola e finalizzandola entro il progetto complessivo del film-adattamento – possono proficuamente essere valutate alla luce della storia delle varianti, in senso filologico, che, dai materiali risalenti a fasi di lavorazione precedenti all’edizione del 1982 fino agli sviluppi nelle successive edizioni del film, investono specificatamente questo elemento espressivo. Accade, infatti, che la narrazione VO fosse ben più ampiamente presente, nell’iniziale progetto di inclusione risalente alle prime fasi di postproduzione del film, di quanto non accada nell’edizione del 1982 e che essa venga infine completamente eliminata nelle edizioni del film del 1992 (Director’s Cut) e del 2007 (Final Cut).
Delle 23 scene inedite e alternative che, non incluse nelle edizioni del film distribuite, sono state successivamente diffuse tra i contenuti speciali dell’edizione in DVD del 2007, soltanto 5 non riguardano cambiamenti nell’adozione della narrazione VO, il che dimostra la rilevanza che il processo di perfezionamento e progressiva riduzione della VO ha avuto all’interno della complessiva lavorazione del film[19]. Dei 18 casi pertinenti di scene alternative che prevedevano la VO, una minoranza sono quelli riguardanti scene completamente escluse dal film (una scena più parte di un’altra) o scene che sono state incluse nel film con la narrazione VO modificata o ridotta (3 in tutto), mentre la restante maggioranza dei casi consiste di scene che sono state incluse nella prima edizione del film senz’altro cambiamento che l’eliminazione della narrazione VO.

In generale, le caratteristiche strutturali e funzionali della narrazione VO in queste scene non differiscono da quelle, già esaminate, che essa riveste nell’edizione del film del 1982 e le informazioni utili alla comprensione globale che nelle varianti escluse venivano trasmesse tramite la VO sono derivabili, con un grado di esplicitazione minore e conseguente minore ridondanza complessiva del messaggio filmico, da elementi della colonna visiva del film o del sonoro intradiegetico – scene rappresentate e dialoghi dei personaggi. Per inciso, merita forse una menzione particolare una sola tra le scene che sono state incluse nel film eliminando la VO, nella quale Leon e Roy Batty, alla ricerca di informazioni su Tyrell, si incontrano per andare a minacciare e poi uccidere lo specialista in occhi Chew e la voce di Deckard recita fuori campo:

Leon must have found Hannibal Chew’s address in the personnel files at Tyrell. Chew was a cottage-industry genius who sold genetic research to outfits like Tyrell on a contract basis. His specialty was eyes. He loved eyes[20]

La scena fornisce l’unico caso di un intervento in VO del narratore-Deckard senza che Deckard-personaggio sia presente sullo schermo, una soluzione che esplicita il rapporto strutturale di inclusione della storia rappresentata entro la cornice extradiegetica della narrazione del narratore omodiegetico, mai attuata nel film edito.

Esaminando, invece, le fasi più recenti della storia filologica del film, si può osservare come l’eliminazione della narrazione VO rappresenti il principale fra i cambiamenti effettuati nelle edizioni del film distribuite nel 1992 e nel 2007 che investano aspetti strutturali della diegesi [21]e che essa, con un effetto complessivo di maggiore rarefazione e diffusione dell’informazione narrativa trasmessa allo spettatore, sia stata effettuata senza modificare la colonna visiva né il sonoro intradiegetico del film.

Complessivamente, quindi, la storia delle varianti della narrazione VO in Blade Runner dimostra una netta progressiva diminuzione della rilevanza di questo elemento espressivo che, a partire da una presenza massiccia in un anteriore progetto di film non realizzato, passa per l’adozione moderata ed equilibrata dell’edizione del 1982 e giunge alla completa eliminazione nelle edizioni più recenti.

Toury contempla nella sua elaborazione teorica la possibilità che, in generale, una traduzione dimostri nel tempo delle qualità dinamiche di evoluzione, in quanto “translations, which retain their status as facts of the target culture, may nevertheless change their position in it over time” (Toury, 1995: 30). Nel caso specifico, non approfondito da Toury, delle produzioni artistiche e culturali di massa, nelle quali rientrano gli adattamenti cinematografici holliwoodiani, le relazioni di feedback che agiscono sulla traduzione in virtù della sua inclusione nel sistema culturale d’arrivo sono massimizzate da fatti specifici quali la natura collettiva dell’istanza autoriale, per cui in caso di divergenze interne si può determinare la successiva affermazione di preferenze diverse – quelle del registra o quelle del produttore, per esempio –, o ancora la rilevanza della circolazione commerciale dell’opera, che può motivare e rendere tecnicamente ed economicamente sostenibile una riedizione modificata che risponda ad una nuova domanda sorta nel pubblico di riferimento. Tali relazioni di feedback possono dunque determinare non soltanto un’evoluzione della percezione dell’opera entro il sistema in cui essa si colloca, ma una materiale trasformazione di una data idea di traduzione e della traduzione stessa, che assume in questo modo una significativa profondità temporale.

Alla luce di queste considerazioni, si può trovare una plausibile spiegazione della singolare storia delle varianti della narrazione VO in Blade Runner sulla base della traiettoria di affermazione e ricezione del film all’interno del sistema cinematografico. Brevemente, Blade Runner fu proposto nel 1982 con una campagna pubblicitaria di grande impatto, secondo le strategie di marketing usuali per le grandi produzioni delle major holliwoodiane. Dopo un esordio deludente al botteghino, il film si impose progressivamente negli anni immediatamente successivi, grazie alla diffusione homevideo, prima come film di culto di ristretti gruppi sociali e culturali – come il movimento culturale del cyberpunk emergente in quegli anni[22] – e finalmente presso il grande pubblico come un vero e proprio classico contemporaneo.

Allora, plausibilmente, le variazioni nell’adozione della VO possono essere spiegate nei termini di una manifestazione della complessiva evoluzione del progetto testuale sottostante il film, in quanto tale e in quanto adattamento di Do Androids Dream of Electric Sheep?, che passa da un più alto livello di adesione alle regole del sistema e del sottosistema culturale cui è destinato e in cui si inserisce – negli anni precedenti alla prima edizione e fino alla sua conclusiva affermazione, con l’obiettivo rilevante di garantire un successo commerciale sufficiente a giustificare e gratificare gli investimenti della produzione – ad uno più basso, esercitando la maggiore autonomia espressiva resa possibile dalla garanzia, per un film ormai divenuto un cult, del successo presso un pubblico sufficientemente vasto. Non sorprende, in questa prospettiva, che la narrazione VO, la quale come abbiamo mostrato costituiva un elemento riconoscibile di esplicita adesione ai canoni, sia stata – insieme all’happy end di altrettanto forzata canonicità e altrettanto facilmente espungibile senza conseguenze – senza sconti né rimpianti eliminata.

In una traduzione acceptability-oriented, quale appare poter essere considerato Blade Runner in quanto adattamento di Do Androids Dream of Electric Sheep?, la narrazione VO, che pure è tra le soluzioni espressive più tipiche degli adattamenti, ha potuto essere eliminata essendo rispondente non tanto a vincoli di fedeltà o invarianza indotti dal romanzo-source, quanto piuttosto a norme vigenti nel sistema culturale d’arrivo, quanto mai condizionanti, almeno per il caso del sistema cinematografico holliwodiano e dei sui sottosistemi “di genere”, ma, come si è visto, variabili.

Nota ai testi

Per Blade Runner (1982, 1991, 2007, Ridley Scott) e per il materiale filmato escluso dalle edizioni distribuite e risalente alla fase di lavorazione del film si è fatto riferimento all’edizione Blade Runner. Ultimate Collector’s Edition in 5 dischi, Warner Bross - The Blade Runner Partnership, 2007.

Per Do Androids Dream of Electric Sheep?, pubblicato per la prima volta negli Stati Uniti da Philip K. Dick nel 1968 presso l’editore Doubleday and Company, si è utilizzata l’edizione Blade Runner. (Do Androids Dream of Electric Sheep?), New York, Del Rey, 2007.

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Note

[1] Ed unica, Dick morì infatti il 2 Marzo 1982, pochi mesi prima dell’uscita nelle sale di Blade Runner, e non potè assistere ai numerosi successivi adattamenti cinematografici tratti dalle su opere, giunti ad oggi a nove, e con ulteriori titoli già opzionati da produttori cinematografici, da Total Recall (1990) a Minority Report (2002) ad A Scanner Darkly (2007). (Dove non diversamente indicato, le informazioni sulla biografia dell’autore e sull’“universo Philip Dick” sono tratte dal sito internet ufficiale del Philip K. Dick Trust [url=http://www.philipkdick.com/www.philipkdick.com]http://www.philipkdick.com/www.philipkdick.com[/url] .)
[2] “In an article published in the February 15, 1981, issue of the Los Angeles-area Select TV Guide” (Sammon, 2007: 253).
[3]Definizione attribuita a Dick da Paul Sammon, coniata in occasione di una sua intervista del tempo allo scrittore.
[4] Dalla lettera di Dick a Jeff Walker, della casa di produzione The Ladd Company che coprodusse il film, datata 11 Ottobre 1981, pubblicata su [url=http://www.philipkdick.com/new_letters.htmlhttp://www.philipkdick.com/new_letters.html]http://www.philipkdick.com/new_letters.htmlhttp://www.philipkdick.com/new_letters.html[/url] . Le parti in maiuscolo e sottolineate sono conformi all’originale.
[5] La numerazione delle scene che utilizziamo qui e nel seguito per riferire l’origine delle citazioni tratte dal film è quella adottata nella “Ultimate Collector’s Edition in 5 DVD” del 2007.
[6] Cfr. nella precedente citazione della lettera di Dick, “a work of mine or a set of ideas of mine”.
[7] Un dettagliato resoconto del dibattito teorico e metodologico sugli adattamenti cinematografici, è svolto da Dusi (2003), il quale ripercorre le più significative posizioni sull’argomento, da Jakobson alle più recenti, a supporto di una proposta di ricomposizione delle problematiche connesse allo studio della traduzione intersemiotica entro il paradigma più generale della semiotica testuale interpretativa. In merito all’integrazione degli adattamenti entro il campo di interesse dei Translation Studies si vedano, ancora, Cattrysse (1992 e 2000), Diniz (2003), Venuti (2007).
[8] Si consideri per esempio la sintesi proposta da Toury per il concetto di “assumed translation”, invariante per sostituzione dei sistemi letterari con diversi sistemi artistico-culturali: “an assumed translation would be regarded as any target culture text for which there are reasons to tentatively posit the existence of another text, in another culture and language, from which it was presumedly derived by transfer operations and to which it is now tied by certain relationships, some of which may be regarded – within that [the target] culture – as necessary and/or sufficient” (Toury, 1995: 35).
[9] Adopero, come forse è ovvio, l’espressione “sistema cinematografico” in analogia con quella, più usuale, di “sistema letterario”.
[10] Secondo le categorie proposte da Cortellazzo e Tomasi (1998: 21-25) per le procedure che caratterizzano gli adattamenti, in Blade Runner sono numerose ed evidenti le soppressioni (il Penfield mood organ; il messia Mercer e il Mercerism e l’onnipresente dittatore radiotelevisivo Buster Friendly che con lui compete ed è a lui complementare nel controllo massmediatico dei terrestri superstiti; il corpo di polizia parallelo controllato dagli androidi), le addizioni (la narrazione VO; l’indagine da manuale di Deckard attraverso i bassifondi e i quartieri più equivoci della città sulla base degli indizi individuati nelle foto di Leon e della squama di serpente sintetico trovata nel bagno dell’alloggio del replicante; lo sfuggente Gaff e il suo Cityspeak), le condensazioni (la vicenda della estinzione degli animali e del prestigio sociale del possederne uno, reale o posticcio / il gufo meccanico nello studio della Tryell Co. e il serpente posticcio di Zhora; la rigida stratificazione delle classi sociali definite su basi biologiche e la discriminazione degli “speciali” patita da J.R. Isidore / la solitudine di J.F. Sebastian e la sua malattia, Methuselah syndrome, che pure è funzionale ad instaurare nell’economia delle simmetrie del film una nuova opposizione con la limitata durata programmata dei replicanti, per cui egli non può essere giovane così come i replicanti non possono invecchiare), le espansioni (il doloroso dilemma dell’eventuale diritto dei replicanti alla vita, e il mirabile atteggiamento di fronte alla morte di Roy Batty, così come appare nel suo celebre monologo finale), le variazioni (androide / replicante; S. Francisco / Los Angeles; eliminazione dell’androide Luba Luft, cantante lirica all’Opera House / del replicante Zhora, spogliarellista in un night club; Rachael, androide consapevole, spietata e ingannatrice / replicante inconsapevole, prima vittima, salvata dall’eroe, della spregiudicata manipolazione genetica umana; relazione sentimentale tra Deckard e Rachael, torbida e carnale, condotta da Rachael in combutta con gli altri androidi / romantico coinvolgimento affettivo di entrambi e favolesco happy end).
[11] Altri studi sull’argomento in forma di articoli saranno citati nel seguito.
[12] A riprova della simmetria rilevata vale, per inciso, far notare che le riprese utilizzate per la sequenza finale furono selezionate all’interno del materiale filmato e scartato da Kubrick per la sequenza di apertura di The Shining del 1980.
[13] La Kozloff indica soltanto altri due “types of films” in cui, fin dagli anni ‘40 che costituiscono la golden age dell’utilizzo della narrazione VO nel cinema americano, il suo utilizzo sia stato reso standard in misura paragonabile a quanto accada per gli adattamenti e per i noir, “war films and semi-documentaries [...] which model their narration on that of newsreels and documentaries” (Kozloff, 1988: 34) ed aggiunge, ma con minore enfasi, in riferimento agli sviluppi in epoche più recenti le “domestic comedies (which were striving for a certain tongue-and-check aura) and extremely low-budget science-fiction films (wich would try anything to straighten out their disjointed continuity)” (1988: 37). Sullo stesso argomento cfr. Fink, 1982: 8.
[14] “Scott also decided, early on, to fuse the conventions of an old-style film noir onto Fancher’s Sheep adaptation, while cross-pollinating it with a futuristic extrapolation on contemporary urban life” (Sammon, 2007: 250-251).
[15] Cfr. Kozloff, 1988: 18-19. E, ancora, il caso, molto noto e studiato, forse estremo di questa tendenza costituito da Jules et Jim e Les deux anglaises di Truffaut, tratti dai romanzi e dai diari di Roché.
[16] Può essere interessante notare che, con uno spettacolare effetto di ribaltamento puntuale delle gerarchie stabilite lungo il romanzo, la narrazione dell’incontro fra i due – si leggano le prime pagine del diciannovesimo capitolo – è focalizzata su Isidore:
“What did you do?” The man holding the flash light [Deckard, in effetti] asked.
“I put down a spider,” he said, wondering why the man didn’t see [...]
La prospettiva torna essere quella di Deckard nel successivo incontro tra i due che, nell’ultima pagina dello stesso capitolo, segue immediatamente l’eliminazione degli androidi e il compimento da parte di Deckard della sua impossibile missione.
[17] Si noti come lo stesso trattamento viene radicalmente negato, nella struttura diegetica debitamente semplificata e accentrata sull’eroe-protagonista imposta dai canoni holliwoodiani, a Isidore, che da secondo protagonista del romanzo, eletto anch’egli per ampie parti a punto di vista del narratore, è ridotto nel film ad un ruolo decisamente più marginale.
[18] O comunque la parte preponderante di tale segmento del testo filmico. Infatti, nel caso, come è per gli adattamenti cinematografici, del passaggio da un codice unidimensionale ad un linguaggio sincretico e pluridimensionale e tanto più se i segmenti considerati si collocano ad un grado elevato della gerarchia di complessità testuale com’è per la modalità della narrazione, non si possono escludere effetti di “diffusione” di un dato segmento coerente del testo di partenza (replaced segment) in più luoghi, coerenti o meno, del testo d’arrivo. In considerazione di ciò occorrerebbe, allora, valutare la necessità di includere nel corrispondente replacing segment – che continuiamo a chiamare così per comodità, stante che esso può non rispettare le caratteristiche di coerenza connaturate all’idea di segmento – elementi appartenenti a livelli, strati e parti diversi del testo filmico. Nel caso in esame, possono corrispondere alla focalizzazione interna della narrazione scritturale, oltre alla narrazione vo, elementi del testo filmico di tipo rappresentativo, della colonna visiva e del sonoro intradiegetico, quali la focalizzazione narrativa, già rilevata nel precedente capitolo, di molte scene o particolari soluzioni visuali di composizione accentrata e focalizzata sul protagonista ricorrenti al livello delle singole immagini.
[19] Testimonianze in merito da parte degli autori e dei produttori del film, di cui non si è tenuto conto in questo studio, sono raccolte in Sammon 1996, nonché negli extra dell’edizione in 5 DVD di cui nella Nota ai testi.
[20] Nell’elenco delle scene inedite e alternative incluse negli extra dell’edizione in 5 DVD di riferimento, la scena è titolata “La specialità di Chew”.
[21] Altre variazioni di questo tipo sono la soppressione dell’happy end o l’introduzione della, brevissima, scena onirica dell’unicorno al galoppo; cambiamenti di diversa natura ed interesse sono invece quelli concernenti la risoluzione, grazie a tecniche evolute di elaborazione delle immagini in movimento e del sonoro, di alcuni errori tecnici contenuti nella prima edizione.
[22] Cfr. la pagina dedicata a Blade Runner nel sito The Cyberpunk Project dedicato alla cultura cyberpunk, su [url=http://project.cyberpunk.ru/idb/bladerunner.htmlhttp://project.cyberpunk.ru/idb/bladerunner.html]http://project.cyberpunk.ru/idb/bladerunner.htmlhttp://project.cyberpunk.ru/idb/bladerunner.html[/url] .

About the author(s)

Giovanni Vito DISTEFANO nasce il 29/1/1981 a Nuoro.
Dopo una prima Laurea in Fisica, conseguita con lode nel 2003 presso l'Università di Pisa, mi sono rivolto agli studi letterari iscrivendomi alla Facoltà di Lettere dell'Università di Cagliari. Ho conseguito la Laurea in Lettere con lode nel Febbraio del 2008 con una tesi, discussa con Marina Guglielmi, dal titolo Percorsi del mito nell'immaginario contemporaneo: Silver Surfer. Saggio di critica letteraria sistemica. Essa affronta il problema della riformulazione metodologica degli studi letterari sulla base dell'approccio transdisciplinare della teoria del Sistema Generale, giungendo all'elaborazione di una proposta operativa che, nella seconda parte del lavoro, viene adottata per effettuare l'indagine delle qualità mitopoietiche di un'opera letteraria di massa, e specificatamente della prima serie di Silver Surfer, supereroe fumettistico pubblicato dalla Marvel a partire dal 1968.

Faccio parte della redazione di Portales, rivista letteraria del Dipartimento di Filologie Moderne dell'Università di Cagliari, per la quale è in corso di pubblicazione un saggio su Baha Taher, romanziere egiziano contemporaneo.

In corso di pubblicazione da parte dell'Istituto Etnografico della Sardegna il carteggio di Grazia Deledda con Pietro Ganga, a cura di Giovanna Cerina, per l'edizione del quale mi sono occupato della trascrizione e dei problemi di datazione e commento degli originali manoscritti.

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©inTRAlinea & Giovanni Vito Distefano (2009).
"Il caso della narrazione voice-over in Blade Runner e della sua spiegabile scomparsa"
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