La traduzione di Barezzo Barezzi del Poema trágico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo, di Don Gonzalo de Céspedes y Meneses

By Federica Zoppi (Universidad de Zaragoza, Spain)

Abstract

English:

In the framework of the PRIN 2008 research project “Barezzo Barezzi’s workshop: an example of cultural mediation between Spain and Italy in the beginning of XVII century Venice”, I aim to examine the Italian translation by Barezzo Barezzi of Gonzalo Céspedes y Meneses’s novel, Poema trágico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo: the first part was published in Madrid in 1615, and it was then reprinted in 1618, with the second part. Barezzi translated only the first part of this work and published it in Venice in 1630. Through the comparison among the Spanish editions issued prior to 1630, we will try to identify on which edition Barezzi supposedly worked on, and, therefore, we will examine the characteristics of this translation, verifying its relation with the other translations that Barezzi realized, which were, for the most part, picaresque novels of the Spanish Golden Age.

Italian:

Nel quadro della ricerca PRIN 2008 “L’officina di Barezzo Barezzi: un laboratorio di mediazione culturale fra la Spagna e l’Italia nella Venezia del primo Seicento”, mi propongo di esaminare la traduzione italiana, realizzata da Barezzo Barezzi, dell’opera di Gonzalo Céspedes y Meneses intitolata Poema trágico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo, la cui prima parte viene pubblicata a Madrid nel 1615, poi ristampata nel 1618 assieme alla seconda parte. Barezzi tradusse solo la prima parte dell’opera e la pubblicò a Venezia nel 1630. Attraverso un confronto tra le edizioni spagnole anteriori al 1630, si intende risalire a quella su cui il Barezzi ha, più probabilmente, lavorato, per poi passare ad esaminare le caratteristiche di questa traduzione, verificandone la collocazione tra le altre traduzioni barezziane, che ebbero, in gran parte, come oggetto i romanzi picareschi del Siglo de Oro.

Keywords: Barezzo Barezzi, Español Gerardo, Céspedes y Meneses, relazioni letterarie tra Italia e Spagna, traduzione letteraria, literary translation, literary relations between Italy and Spain

©inTRAlinea & Federica Zoppi (2019).
"La traduzione di Barezzo Barezzi del Poema trágico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo, di Don Gonzalo de Céspedes y Meneses"
inTRAlinea Special Issue: Le ragioni del tradurre
Edited by: Rafael Lozano Miralles, Pietro Taravacci, Antonella Cancellier & Pilar Capanaga
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Nel 1630 si pubblicò la traduzione italiana[1] del Poema trágico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo di Gonzálo Céspedes y Meneses, opera del traduttore e stampatore cremonese Barezzo Barezzi. Non si tratta certo del lavoro che gli ha conferito maggiore fama, trattandosi di un’opera poco conosciuta e studiata già nell’originale spagnolo, ma in qualità di ultima opera tradotta dal Barezzi, merita attenzione per poter tracciare in modo più completo l’evoluzione delle sue strategie traduttive e dei suoi interessi. Lo Spagnuolo Gerardo uscì nel 1630, dopo la traduzione del Guzmán de Alfarache, uscita nel 1606 limitata alla prima parte, nel 1615 con l’opera completa, del Lazarillo de Tormes nel 1622, e della Pícara Justina, risalente al 1624-25. L’Español Gerardo viene pubblicato per la prima volta a Madrid nel 1615, limitatamente alla Prima Parte. Ne abbiamo poi una nuova edizione nel 1618, che coincide in gran misura con la princeps ma si arricchisce anche di una Seconda Parte che il Barezzi non tradusse. Si produssero anche altre edizioni dell’opera completa, tra cui una nel 1621 e una nel 1625, che sono essenzialmente uguali tra loro, in cui si possono, invece, riscontrare delle modifiche e delle revisioni rispetto alle due edizioni antecedenti.[2] L’autore, infatti, cerca di evitare l’accumulazione di aggettivi, ma non solo, anche di sostantivi, assottigliando l’effetto di ridondanza.

B(1630)

CyM(1615)/CyM(1618)

CyM(1621) / CyM (1625)

…come di libero mi fé[3] soggetto, di allegro malinconico, di affabile selvaggio, e di felice disgratiato[4].

[f 19]

…como de libre me hize sujeto, como de alegre melancólico, como de tratable intratable, y como de dichoso desgraciado.

[f 13v/f 9v]

…como de libre me hize sugeto, como de alegre melancólico, como de dichoso desgraciado.

[f 7r/f 6r]

…che furono bastanti, e sufficienti a ridurmi…

[f 57]

…que fueron bastantes u suficientes a reducirme…

[f 40v/f 27v]

…que fueron bastantes a reducirme…

[f 20v/f 17r]

…mettendo mano alle nostre spade, e brocchieri

[f 60]

…poniendo mano a nuestras espadas y broqueles

[f 42r/f 28v]

…poniendo mano a nuestras espadas…

[f 21r/ f 17v]

…e di sospiri, di affanni, di angoscie, di lacrime, e di dolori…

[f 75]

…y de suspiros, ansias, congojas, lágrimas y dolores…

[f 53v/36r]

…y de suspiros, lágrimas y dolores…

[f 26v/f 22r]

…e insieme della sua qualità, nobiltà, e doti: e al fine seppe, e intese queste esser…

[f 146]

…y juntamente de su calidad, nobleza, y partes, y al fin supo y entendió ser…

[f 104v/f 70r]

…y juntamente de su nobleza y partes, y al fin entendió ser…

[f 51v/f 42v]

…con una bianca, e accesa candela…

[f 289]

…con una blanca y encendida vela…

[f 211r/f 141r]

…con una vela…

[f 103r/f 86r]

Lo stesso effetto si ottiene anche modificando con frequenza il grado degli aggettivi, eliminando i superlativi oppure ricorrendo ad un aggettivo dal significato più mite; altre volte, omettendolo del tutto:

B(1630)

CyM(1615)/CyM(1618)

CyM(1621)/CyM(1625)

…ritornare a godere di quella amabile bellezza…

[f 20]

…volver a gozar de su agradable belleza…

[f 14v/f 10v]

…volver a gozar de su belleza…

[f 7v/f 6r]

…al tocco di una sonora arpa…

[f 134]

…al son de una sonora harpa…

[f 95r/ f 64v]

…al son de una harpa…

[f 47v/f 39r]

…favorito con tenerissime lettere, e con delicatissimi concetti…

[f 146]

…favorecido con ternísimos papeles, y delicadísimos conceptos…

[f 104r/f 70r]

…favorecido con tiernos papeles, y delicados conceptos

[f 51v/f 42v]

…coprire di spessi, e oscurissimi nuvoli l’azurro Cielo…

[f 278]

…cubrir de espessos y escurísimos nublados el turquesado cielo…

[f 202v/f 135v]

…cubrir de espessos y escuros nublados el cielo…

[f 99r/f 82v]

…il suo diletto Gerardo…

[f 357]

…a su querido Gerardo…

[f 264r/f 176v]

…a su Gerardo…

[f 129r/f 107r]

…guadagnata con ricchi doni…

[f 359]

…grangeado con ricas dádivas…

[f 265v/f 177v]

…grangeado con algunas dádivas…

[f 129v/f 107v]

A questi, si aggiungono altri cambiamenti, sempre volti a sintetizzare il testo, tagliando ciò che, a quanto pare, non veniva più sentito come necessario, sostituendo un dialogo con un discorso indiretto, oppure, ancora, cambiando l’ordine del periodo per renderlo più chiaro:

B(1630)

CyM(1615)/CyM(1618)

CyM(1620)/CyM(1625)

…verrà ad apportarmi l’ultimo rimedio, pigliando per antidoto la volontaria morte del veleno, che mi abbrucia, e consuma.

[f 27]

…vendrá a ser el último remedio tomando por antídoto la voluntaria muerte del veneno que me abrasa y consume.

[f 19r/f 13v]

…vendrá a ser el último remedio, tomando del veneno que me abrasa y consume, por antidoto la voluntaria muerte.

[f 9v/f 8r]

…accompagnato da Leoncio, e da’ due diletti fratelli, e da altri molti cavalieri…

[f 309]

…acompañado de Leoncio, y de los dos queridos hermanos, y otros muchos cavalleros…

[f 226r/f 151r]

…acompañado de Leoncio, y de otros muchos cavalleros…

[f 110v/f 92r]

…che vi prometto, e per quel Dio, che adoro, vi giuro, che bisognando non guardarò d’arrischiare per voi honore, vità, facoltà, patria, e riputazione.

[f 16]

…que os prometo, y al Dios que adoro juro de arriesgar, siendo necessario por vos y vuestra venganza, honra, vida, hacienda, patria y reputación…

[f 11v/f 8r]

…que os prometo de arriesgar, siendo necessario por vos y vuestra venganza, honra, vida, hacienda, patria y reputación…

[f 6r/f 5r]

Nel levarsi dalla finestra s’appressò tanto alla ferrata, che vedendo io le sue candide mani fermate nell’antipetto del balcone m’arrischiai di dirle: Non è, vaga Signora, sicura la durezza di questi ferri nel versi favorita dal tocco di quelle mani di neve, se a caso esse participano della virtù de’ vostri lucidissimi occhi; poichè con quelli intenerite, e ammollite gli più duri, e adamantini cuori. Dette da me (benchè con molta turbazione) queste, e altre simili amorose parole, rimettendo ella la sua risposta ad un grazioso sorriso, e facendo una riverenza grande in corrispondenza di quella, che noi tutti le avevamo fatto, seguì la sua compagnia.

[f 21-22]

Llegose al levantar tan cerca de la reja, que me hube de aventurar, viendo sus blancas manos puestas en el antepecho del balcón, a dezirla: No está hermosa señora segura la dureza de essos hierros de verse ablandada de vuestras nevadas manos, si a caso ellas son participantes de la virtud de vuestros claros ojos, pues con ellos enternecéis los mas duros y empedernidos corazones.

Estas y otras amorosas razones, aunque turbado la dije, remitiendo su respuesta a una graciosa risa, y haciendo una gran cortesía a la que todos habíamos hecho, siguió su compañía.

[f 15r-15v/f 10v-11r]

Llegose al levantar cerca de la reja, que me hube de aventurar, viendo sus blancas manos puestas en el antepecho del balcón, a dezir al tema hermoso que me ofreció su vista en tan peregrino asiento ya en parte ponderando la firmeza del bronce duro a quien estaba asida, y ya a la nieve y marfil que en el estaba incorporado, muchas de las amorosas razones que mis nuevos deseos y voluntad supieron entonces formar y prevenir; si bien la respuesta que tuve fue remitirme con agradable silencio a una graciosa risa, y cortesía devida a la que todos le habíamos hecho, con que siguió su compañia.

[f 7v/f 6v]

Da un confronto di queste quattro edizioni mi sembra ragionevole concludere che la traduzione del Barezzi segua quella del 1615 o del 1618; difficile è determinare con esattezza quale delle due, trattandosi di testi sostanzialmente identici. Elisa Aragone (1961: 305) ritiene più probabile che il traduttore sia partito proprio dalla princeps: non ci sarebbe, infatti, ragione apparente della scelta di non tradurre la Seconda Parte dell’opera se il Barezzi l’avesse avuta a disposizione, come avvenne nel caso del Guzmán, anche a distanza di anni; sembrerebbe, quindi, ragionevole ipotizzare che il Barezzi non avesse avuto modo di conoscere la Seconda Parte. Alcuni indizi disseminati nel testo, tuttavia, fanno pensare altrimenti, e portano a concludere che Barezzi abbia tradotto proprio la versione del 1618. Ad un primo confronto delle due edizioni, salta all’occhio un caso che mi porta a propendere proprio per questa ipotesi:

B(1630)

[f 266]

CyM(1615)

[f 193v]

CyM(1618)

[f 129v]

CyM(1621)/CyM(1625)

[f 94v/f 78v]

La famosa Città, la quale con le sue cristalline acque Guadalquivir furioso irriga in distinte parti, è mia patria, e quivi io nacqui…

La famosa ciudad, a quien con sus cristales Guadalquivi famoso rompe en distintas partes, es mi naturaleza, y allí nací…

La famosa ciudad, a quien con sus cristales Guadalquivi furioso rompe en distintas partes, es mi naturaleza, y allí nací…

La famosa ciudad, a quien Guadalquivir rompe en partes distintas con sus aguas, es mi naturaleza, y allí nací...

Sarebbe sicuramente opportuno avvalorare questa ipotesi con altri esempi, tuttavia ritengo che quello preso in esame sia sufficientemente significativo, dal momento che “furioso” nella versione spagnola potrebbe essere anche un errore di stampa per “famoso”, il quale è a sua volta ripetizione di un aggettivo appena usato, e quindi “errore” di autore. È interessante notare anche come nelle edizioni del ‘21 e ‘25 questo problematico passaggio si risolva tramite l’omissione dell’aggettivo: abbiamo già visto che è una scelta adottata di frequente da Céspedes y Meneses, quindi potrebbe trattarsi di una ennesima espressione di questa tendenza alla sintesi, ma potrebbe anche essere la correzione di un errore, avvalorando l’ipotesi che “furioso” fosse errore di stampa.

Dopo essersi a lungo dedicato alla letteratura picaresca, Barezzi passa ad un testo che ha per alcuni versi caratteristiche opposte a quello picaresco, anche se non mancano tratti in comune con esso. Dal punto di vista formale, infatti, l’opera di Céspedes y Meneses rientra a pieno titolo nel genere che è stato definito novela corta o novela cortesana.[5] La narrazione si concentra sulle vicende, principalmente amorose, ma intervallate da duelli, prigionie, rapimenti ed altri episodi avventurosi, vissute da gentiluomini e dame, che hanno per sfondo l’ambiente di città, in una sorta di riscrittura in veste di romanzo della celeberrima comedia de capa y espada. Nonostante si tratti di un mondo opposto a quello della picaresca, popolato da personaggi di estrazione sociale superiore, sfondo di avventure più nobili e “oneste”, che non si mescolano con la malavita e con l’inganno, lo scheletro compositivo, dal punto di vista della strategia letteraria, non si discosta affatto da quello del genere picaresco. Si tratta sempre del racconto, svolto in prima persona, di una serie di avventure indipendenti l’una dall’altra, tanto da poter sembrare una collezione di novelle tenute insieme dal denominatore comune dello stesso protagonista e da una sorta di cornice che si genera con l’avvenimento iniziale, l’incontro tra il cavaliere Leriano e un giovane moribondo, Gerardo appunto, che narra al nuovo amico le sue avventure sentimentali.[6]

Lo sviluppo di questo filone letterario sembra riprendere quello tradizionale dei romanzi cavallereschi, per intrecciarlo all’esperienza picaresca, che, infatti, si muove verso la disgregazione degli elementi che appartengono al registro basso e umile, tanto nello stile, quanto nel contenuto della vicenda. La struttura, quindi, rimane la stessa, ma il contesto si rovescia. Se la scelta di tradurre quest’opera rappresenta una novità rispetto alla direzione intrapresa negli anni precedenti, non si può, tuttavia, affermare che si tratti di un radicale cambio di rotta. Anzi, data l’attenzione del Barezzi verso le tendenze del mercato editoriale e i generi più in voga, la scelta di quest’opera ha perfettamente senso nel contesto letterario italiano, che, ancora sul modello del Decameron di Boccaccio, accordava ampio spazio alle raccolte di novelle, alle forme narrative brevi rese coese da una cornice unitaria. Questa struttura episodica e frammentaria si ritrova nei romanzi picareschi – che pure lasciano tracce molto lievi nella letteratura italiana – così come nella novela cortesana. D’altronde il Seicento è l’epoca in cui per la produzione letteraria, così come accadeva per gli allestimenti teatrali, il riscontro presso il pubblico diventa determinante, al punto da diventare uno dei fattori che condizionano le scelte estetiche degli autori.

Nonostante questo legame di continuità, è anche vero che la diversità della materia trattata ha portato, con ogni probabilità, ad intraprendere una nuova direzione traduttiva. Le traduzioni del Lazarillo e della Pícara Justina e, in misura minore, quella del Guzmán subiscono una serie di manipolazioni tali da rendere difficile considerarle a tutti gli effetti delle traduzioni.[7] È Barezzi stesso, ad esempio, ad esplicitare la sua intenzione di accrescere il testo del Lazarillo, tanto da dilatare i sette tratados dell’originale in ben trentaquattro capitoli, risultato dell’accumulazione di digressioni, riflessioni, rimaneggiamenti di varia natura, molti dei quali con obiettivo censorio, a cui si aggiungono innumerevoli proverbi e sentenze del patrimonio tradizionale, che accentuano l’esemplarità dell’opera. Si arriva anche all’inserimento di un testo completamente allotrio, la prima traduzione italiana, sempre ad opera di Barezzi, della Gitanilla di Cervantes. La stessa tendenza si riscontra anche nella traduzione della Pícara Justina, a riprova del fatto che, come già è stato osservato altrove,[8] Barezzi considerava questi romanzi come un corpus unitario che presentava caratteristiche omogenee e che gli consentiva di muoversi tra essi con una certa libertà. La natura frammentaria ed episodica del genere permetteva facilmente inserti di varia natura: se il romanzo picaresco già si considera come una raccolta di testi brevi tenuti insieme da una cornice, viene da sé che questa struttura si presta ad essere dilatata, allargando la cornice per fare spazio a nuovi inserti allotri, a nuovi commenti e proverbi. In questo senso, si ha l’impressione che l’interesse del Barezzi per queste opere non si legasse in modo particolare al valore delle stesse, quanto, piuttosto, alla loro struttura e alle possibilità che essa offriva ad un traduttore che operava, per molti versi, anche come autore.

Con lo Spagnuolo Gerardo, siamo di fronte ad una traduzione diversa, che possiamo, ad onor del vero, chiamare traduzione a tutti gli effetti. Mancano le macro-manipolazioni a cui Barezzi ci aveva abituato; gli interventi che troviamo sono minimi, ma, in conformità con il modo di agire del cremonese, sono quasi sempre arbitrari, dal momento che non hanno valore immediatamente funzionale, ma chiariscono alcuni dettagli o esplicitano dei sottintesi. Tuttavia, Barezzi non rinuncia a sottolineare nella traduzione del proemio un intento moralizzante che nel corrispondente appello Al Lector di Céspedes y Meneses non è messo in rilievo con la stessa forza:

B(1630)

CyM(1618)

…mira a che termini si suole estendere la loro [dei Giudici] giurisdizione; e passano anco più oltre, se l’emulazione de’ nimici gl’inclina, e sospinge a peggio. Il mio scopo particolare è stato d’incitarti a fuggire la peste mortifera dell’amor lascivo. Questo solo pezzo ho voluto muovere, perché non altro, che una Dama, è stata la principale origine dei miei gravissimi martiri…

…que a semejantes terminos suele estenderse su jurisdición, y a mayores, si la emulación de los enemigos los divierten, o inclinan. No es mi intento jugar más desta pieza; pues aun no habiendo sido más que la de una dama la principal origen de tan largos trabajos…

 

Che si tratti di una traduzione di natura diversa lo si capisce anche confrontando il suo frontespizio con quello delle altre traduzioni barezziane. Il frontespizio del Gerardo è più sintetico, e accenna solo ad «avvenimenti amorosi accaduti a questo Cavaliero nel corso della sua vita»; per il Picariglio, invece, oltre a descrivere la sua versione come “accresciuta”, dichiara anche la presenza di «vivaci discorsi e graziosi trattenimenti, ammaestramenti saggi, avvenimenti mirabili, capricci curiosi, facezie singolari, sentenze gravi, fatti egregi, detti piacevoli, e proverbi sentenziosi». Varietà che si ha anche nella presentazione della Vita del Picaro Gusmano d’Alfarace: nonostante non vi intervenga altrettanto abbondantemente, elenca «ragionamenti nobili, detti singolari, avvertimenti economici, documenti orali», mentre nella Vita della Picara Giustina dichiara che si leggeranno «sentenze gravi, documenti morali, precetti politici, avvertimenti curiosi, e favole facete, e piacevoli». Già in questo possiamo rintracciare, se non proprio una prova, almeno un indizio del fatto che con il Gerardo ci si trova davanti ad una traduzione diversa, in cui l’accumulazione di materiali è notevolmente contenuta e limitata alle intenzioni originarie dell’autore, senza che il traduttore vi abbia sovrapposto in modo rilevante anche le proprie.

D’altronde, come già si è accennato in precedenza, quello di Céspedes y Meneses è un testo diverso da quelli a cui il Barezzi si era dedicato in precedenza: anche se si struttura in modo non dissimile dal romanzo picaresco, il contenuto se ne distanzia considerevolmente, soprattutto nel tono. Nella novela cortesana si muovono, tradizionalmente, personaggi di una certa levatura sociale, che si riferiscono a valori e cultura tipiche del mondo aristocratico. Il protagonista diventa sempre più un avventuriero piuttosto che un autentico picaro, ha origini più rispettabili e il suo contatto con il mondo criminale e truffaldino è solo marginale, oltre che funzionale ad una critica di questo mondo di disonesti a cui alcuni dei personaggi appartengono a pieno titolo. Dopo essere passati dall’eroe cavalleresco all’antieroe picaresco, si compie ora il percorso inverso, tornando all’immagine di un eroe a cui, però, mancano tutti i tratti interiori fondamentali: si tratta di sembrare un eroe, o meglio, un cavaliere, di parlare come un cavaliere, di provenire dalla famiglia giusta e dalla giusta classe sociale, ma il tutto viene esaltato attraverso una serie di avventure sterili, patetiche, di duelli insulsi in nome dell’amore effimero di donne traditrici. Al posto dell’effetto comico-grottesco, domina l’effetto patetico, ma si tratta sempre di esasperare le situazioni, il che dà come risultato un quadro che non ha nulla di realistico. Anche gli scenari non sono più quelli meravigliosi di Amadigi o Palmerino, ma quello cittadino in cui si muove anche il picaro. Cavaliere e picaro hanno dato vita ad un anello di concatenazione che li unisce, il gentiluomo, che sintetizza, come afferma Paolo Getrevi, «l’irrisolta dicotomia culturale e letteraria dell’onore e della furbizia» (1986: 275) entro cui l’orizzonte culturale spagnolo si è sempre mosso.

Come i romanzi picareschi, quindi, siamo di fronte ad una struttura che procede per accumulo oltre che per dilatazione, a cui si possono aggiungere racconti potenzialmente all’infinito; un romanzo unitario, che, tuttavia, potrebbe facilmente essere visto come la somma di racconti più brevi: quattro avventure con quattro donne diverse, l’episodio della prigionia ad Algeri, con l’inserto di altri undici racconti de sobremesa.

Se accogliamo l’ipotesi che Barezzi abbia considerato i romanzi picareschi che ha tradotto come un corpus unitario, comprenderemo anche che l’opera di Céspedes y Meneses non poteva fare parte a pieno titolo di questo gruppo di testi e, di conseguenza, Barezzi doveva sentirsi a disagio nell’introdurre lo stesso tipo di manipolazioni a cui aveva sottoposto gli altri romanzi precedentemente affrontati. Gli interventi che compie nel Lazarillo, nella Pícara Justina e, in misura minore, nel Guzmán sembrano essere, in molte occasioni, intercambiabili e sembrano essi stessi fare parte di una sorta di corpus – basato, soprattutto, su una saggezza popolare moralizzante – a cui Barezzi può attingere in piena libertà; si tratta, tuttavia, di interventi che non si potrebbero amalgamare in modo coerente allo stile e al tono del Gerardo, che proprio in queste sue caratteristiche si discosta maggiormente dalla picaresca. La novela cortesana si configura come un genere meno “trasgressivo” rispetto alla picaresca, sia nello svolgimento delle avventure, sia nella morale proposta e, di conseguenza, quegli interventi di tipo censorio e moralizzante non troverebbero, in questo caso, una giustificazione di coerenza rispetto al contenuto dell’opera. Di conseguenza, anche le note ai margini, che nel Picariglio, oltre a porzionare il testo, si costituiscono di espressioni proverbiali e sentenziose, che esplicitano il valore esemplare della narrazione, nel Gerardo si limitano a suddividere l’opera tramite didascalie laterali. Se nei romanzi prettamente picareschi gli inserti del traduttore vanno nella direzione di annotazioni di carattere erudito – moraleggiante e sentenzioso – lo stesso non avviene con il Gerardo, che forse è già colto come testo di per sé sufficientemente elevato da non aver bisogno di essere né censurato, nè “ripulito” da elementi scabrosi. L’intervento sui testi picareschi può essere considerato un’operazione per elevarne il tono, per rendere più visibile la mano di un traduttore colto che si cela dietro il mondo di semplicità e bassezza che compongono il romanzo, di modo che il lettore non si scordi mai che non si tratta di un ritratto sociale realistico, ma di quell’espressione del gusto colto di guardare il mondo umile dall’alto al basso.

La dilatazione che si riscontra altrove nel Gerardo viene a mancare, a favore di ampliamenti di misura minore, tra cui il più frequente consiste nella duplicazione, soprattutto di un aggettivo, di un nome o un verbo:

B(1630)

CyM(1618)

…e erano così gravi e vehementi le sue angoscie…

[f 4]

…era tan grave su congoja…

[f 2v]

…al più grave, e lento passo de’ nostri cavalli…

[f 20]

…al passo más gallardo de nuestros cavallos…

[f 10v]

…nelle acute corna del bravo, e terribil toro…

[f 114]

…los agudos cuernos del bravo toro…

[f 54v]

A questo si sommano brevi aggiunte e dilatazioni del testo:

B(1630)

CyM(1618)

Mosse gli Pastori a gran compassione il miserabile, e sfortunato spettacolo, e accompagnarono alla compassione le pietose lagrime, le quali no puotero essere trattenute dal rigore della rusticità, e della selvatichezza.

[f 3]

A gran compasión y llanto les movió el mísero y desdichado espectáculo, y con piadosas lágrimas lo celebraron.

[f 2v]

…con general contento godendo sommamente della essaltatione del nostro genitore.

[f 17]

…y todos con general contento por llevarle nuestros padres.

[f 9r]

…rivolgendosi al noble Cavaliero, che mai usciva dalla sua camera, nè dal capezzale del letto si dipartiva, con parole non meno interrotte di dolorosi ohimé, e da languidi sospiri, che fiacche e tremanti lo pregò, che gli dicesse…

[f 12]

…volviendose al noble cavallero que nunca de la quadra salía a ni de su cabecera se apartava, le rogó le dijese…

[f 6r]

…e non volendo interromperle il trattenimento suo virtuoso, e aggradevole

[f 15]

…y no queriendo interrumpirle…

[f 8r]

L’obiettivo principale di questi interventi sembra essere la dilatazione fine a se stessa, dal momento che il contenuto non viene quasi mai arricchito, contrariamente a quanto avviene tramite le amplificatio che Barezzi opera altrove. Quello di spiegare e di chiarire è atteggiamento che accomuna tutto il lavoro di Barezzi: la traduzione del Lazarillo è preceduta da due tavole, una dei capitoli ed un’altra «delle cose più memorabili»; le annotazioni in margine ai capitoli permettono di utilizzare con facilità queste tavole. Anche il Gerardo ha una propria Tavola dei capitoli, ma con i cappelli di presentazione che precedono ciascun capitolo anziché con le annotazioni a margine, che comunque hanno la stessa funzione di riassumere i momenti salienti della vicenda.[9] All’interno di questo obiettivo di spiegare il testo, si può inserire anche la suddivisione in unità minori compiuta dal traduttore: oltre a rispondere al consueto obiettivo chiarificatore, mette in luce anche il tentativo di contenere una materia narrativa forse percepita come eccessiva, debordante, che ha bisogno di essere ordinata (Cros 1967: 110). Da una sequenza narrativa unitaria, ripartita solamente in tre ampi discursos, l’opera arriva ad assumere le vesti di una miscellanea, di una raccolta di racconti e novelle brevi, tenute insieme da una cornice. Ogni capitolo ha un proprio titolo, e tutti i titoli sono raccolti nella tavola finale che funge da indice; inoltre il testo è costellato da una serie di note a margine che segnalano gli episodi principali e creano, simultaneamente, una sorta di riassunto dell’opera.

Un’altra caratteristica che vale la pena mettere in risalto in questa traduzione ad opera del Barezzi, che la distingue da altre, è l’attenzione rivolta agli inserti poetici. Numerosi sono i momenti in cui uno dei personaggi si ferma a cantare o a recitare componimenti anche di lunghezza significativa, generalmente d’amore, al punto che la Prima Parte dell’opera si conclude con un lunghissimo componimento poetico che supera i duecento versi. Dove Barezzi si era dovuto misurare con la poesia, non era stato altrettanto accurato, o meglio, non aveva dimostrato un particolare interesse verso questo tipo di traduzione nell’affrontare il testo della Pícara Justina, né quello della Gitanilla di Cervantes. Aveva, infatti, scelto di non tradurre le parti in poesia, ritenute irrilevanti ai fini del racconto. Non si tratta di una scelta unica del Barezzi, né fuori del comune, bensì di una tendenza condivisa anche da altri, ma non tanto da ritenersi generalizzata.[10] Per quanto riguarda la Picara, invece, Barezzi si concede un’altra scelta, ancora di tipo arbitrario, vale a dire quella di inserire diciassette sonetti all’interno del secondo volume, divisi in due gruppi distinti, uno di quattro (dal titolo Sonetti capricciosi in lode dell’Autore e della Picarescha Turba), e uno di tredici (dal titolo Sonetti in Stile Asinino, graui, e sententiosi, del Principe dell’Accademia di Mansiglia). Si tratta, però, sempre di testi scritti in spagnolo, dal tono burlesco, spesso basso e scurrile, che hanno per protagonisti animali parlanti[11]. Contrariamente a quanto aveva fatto fino a questo punto, nel caso del Gerardo Barezzi traduce anche i versi. Nella maggior parte dei casi si tratta di versioni che rimangono piuttosto fedeli all’originale, in linea con la tendenza generale che adotta in questa sua traduzione. Propongo di seguito un esempio di traduzione che rimane vicina all’originale:

B(1630)

CyM(1618)

Di bronzo il petto, e l’alma di diamante

ebbe, chi con ardire unico, e solo

diè casa mobil all’instabil suolo,

cardini all’aria, e letto all’acqua errante.

Frenetico furor, zelo arrogante

ebbe, che diesi a temerario volo;

e molto più chi con infausto crolo

precipitò col carro fiammeggiante.

Gentil osare, e celebre ardimento

fu all’Erebo callarsi, e qui domare

la trifauce custodia in lacci presa.

Ma l’amar donna di bellezze rare

senza alcun pegno di maggior contento

è stoltitia maggior, maggior impresa.

[f 39]

De bronce el pecho, el alma de diamante

tuvo sin duda aquel, cuyo desvelo

casas movibles dio al instable suelo,

y sus quicios al aire y agua errante.

Frenetico furor, zelo arrogante

tuvo el que alzó su temerario buelo,

y mucho mas el joven, que del cielo

precipitó su coche rutilante.

Gentil osar, y celebre ardimiento,

fue descender el Erebo, y domalle

su trifauce custodia (en lazos presa;)

Pero atrevese a un bello rostro y talle,

sin prendas de mayor merecimiento,

es locura mayor, mayor empresa.

[f 27r-v]

Tuttavia, il Barezzi non rinuncia a prendersi delle libertà: può ricorrere ad una vera e propria riscrittura del testo poetico spagnolo, sostituendo, ad esempio, una lunga canzone di sei strofe di tredici versi ciascuna, con un sonetto,[12] oppure sceglie, in una occasione, di omettere il testo.[13] Nella direzione opposta, ossia quella della dilatazione, spesso aggiunge all’interno di un componimento versi nuovi sparsi, oppure, nel caso di una lunga sequenza di tercetos encadenados, interviene con l’inserimento di un blocco di ben quaranta versi.[14] I componimenti lunghi, evidentemente, concedono a Barezzi maggiore libertà di manipolazione di quanto avvenga con strutture poetiche più brevi e rigide come il sonetto, che è sempre tradotto fedelmente, con le uniche eccezioni dei casi già menzionati. Dal punto di vista metrico, il traduttore ricalca con precisione l’originale e trasferisce in italiano la stessa struttura metrica e strofica impiegata in spagnolo, riproducendo, dove possibile, anche il medesimo schema rimico.[15]

Si ha l’impressione, quindi, che Barezzi abbia utilizzato quest’opera come palestra di prova per la traduzione poetica, applicando ad essa le stesse strategie che era abituato ad attuare nelle opere in prosa, ossia traducendo a volte in modo letterale, altre volte in modo molto libero, inserendo a volte nuovi versi, tagliandone altri in alcuni casi. Si potrebbe trattare di un nuovo interesse del Barezzi, che raccolta l’esperienza necessaria per muoversi e per spaziare nella traduzione di prosa, si dedica anche alla poesia, non rinunciando alla sua tendenza principale, che è quella di interpretare piuttosto che tradurre, di assumere il ruolo di autore, che esercita la propria creatività senza limitarsi a ricalcare la produzione di altri. Ciò che non avviene con la prosa, nel Gerardo avviene nella poesia: gli inserti poetici assumono molto spesso il valore di opere originali piuttosto che di traduzioni. Questo approccio nei confronti della poesia è un altro esempio della tendenza del traduttore e stampatore cremonese di appropriarsi attivamente delle opere su cui lavora.

Testimoni

B (1630)

Lo Spagnuolo Gerardo, Felice, e sfortunato, Historia Tragica; In cui con dilettevole, e fruttuosa narrazione si spiegano gli auuenimenti amorosi accaduti à questo Caualiero nel corso della sua vita: Descritta in lingua Spagnola da Don Gonzalo di Cespedes, e Meneses: Et hora trasportata nella fauella Italiana Da Barezzo Barezzi; E da lui dedicata all’Illustrissimo Signore Il Sig. Pio Enea Obici In Venetia, MDCXXX. Appresso il Barezzi.

CyM (1615)

Poema tragico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo. Por don Gonzalo de Cespedes y Meneses, vezino y natural de Madrid. A don Gomez Svarez de Figueroa y Cordoua, Duque de Feria, Marques de Villalua, señor de las casas de Saluatierra, Comendador de Segura de la Sierra, Virrey y Capitan General del Reyno de Valencia. Año 1615. Con privilegio. En Madrid, Por Luis Sanchez. A costa de Iuan Berrillo.

CyM (1618)

Poema tragico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo. Por don Gonzalo de Cespedes y Meneses, […]. Con licencia. En Barcelona, Por Sebastian de Cormellas, y a su Costa, Año, 1618.

CyM (1621)

Poema tragico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo. Nvevamente corregido y emendado en esta segunda impression por don Gonçalo de Cespedes y Meneses, vezino y natural de Madrid, su mismo Autor. A don Gomez Svarez de Figveroa y Cordova […]. Año 1621. Con privilegio. En Madrid, por Luis Sanchez impressor del Rey N.S. A costa de Iuan Berrillo Mercader de libros.

CyM (1625)

Poema tragico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo. Primera y segunda parte. Nvevamente corregido y emendado en esta ultima impression por don Gonçalo de Cespedes y Meneses, vezino y natural de Madrid, su mismo Autor. […] Con todas licencias, y approuaciones necessarias. En Lisboa. Por Antonio Aluarez. Y a su costa.

Bibliografia

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Note

[1] L'opera è conservata presso la Biblioteca Civica Bertoliana di Vicenza (Palazzo San Giacomo, 1v., Colloc. D.005.002.007); ne esiste anche una versione digitalizzata.

[2] Le quattro edizioni qui prese in esame sono consultabili presso la Biblioteca Nacional de Madrid, che fornisce anche digitalizzate tre di esse, quella del 15, del 21 e del 25.

[3]  potrebbe essere errore di traduzione di me hize, che trasforma la terza persona in prima.

[4] Per una descrizione dettagliata dei criteri di trascrizione dall’italiano e dallo spagnolo si veda la pagina web [url=http://cervantes.cab.unipd.it/nosoloquijote/introduzione.jsp?lingua=it]http://cervantes.cab.unipd.it/nosoloquijote/introduzione.jsp?lingua=it[/url].

[5] La definizione del genere è stata oggetto di dibattito: la denominazione di novela cortesana si fa risalire a Amezúa y Mayo (1929: 11), secondo cui tipiche del genere sarebbero avventure amorose di dame e gentiluomini, le quali hanno come sfondo una grande città e, in particolare, la corte durante i regni di Filippo III e Filippo IV. A questa classificazione costumbrista si oppongono altri studiosi (Taléns 1977, Rodríguez Cuadros 1979, Román 1981, Del Río 1982) che preferiscono parlare più genericamente di novela corta, dal momento che il termine cortesana farebbe riferimento ad elementi contenutistici più che strutturali. Altri ancora, primo fra tutti Valbuena Prat (1978), ritengono che la novela cortesana sia un’interpretazione idealizzata in chiave aristocratica della novela picaresca.

[6] Per un riassunto puntuale e dettagliato delle vicende del romanzo si veda lo studio di Scudieri Ruggieri (1958-1959).

[7] A proposito della Pícara Justina in particolare, Ventura (2012) ha rintracciato opere e autori da cui sono tratti gli inserti che compaiono all’interno della versione barezziana dell’opera, in una vera e propria operazione di plagio; la stessa ricerca delle fonti dei materiali allotri si è recentemente sviluppata anche rispetto alla traduzione del Lazarillo (Ventura, 2016). Si veda anche Ventura (2013, 2015a). Per quanto riguarda il Guzmán si segnala invece Ventura (2015b).

[8] «Dalla lettura delle tre traduzioni si evince che per Barezzi i racconti picareschi costituiscono un corpus coeso. Egli dimostra di possedere, come avremo modo di vedere, un fortissimo senso dell'unità di genere delle tre opere che traduce; al punto da attuare, attraverso differenti strategie di scrittura, una forte riduzione della loro radicale eterogeneità; così il Guzmán, tradotto in maniera sufficientemente fedele ma quasi imprigionato nel complesso apparato paratestuale che il traduttore gli impone, finisce per costituire modello per la traduzione delle altre due opere». (Masala 2004: 14)

[9] La Tavola delle cose più memorabili del Picariglio è un elenco alfabetico di più di 350 nomi propri, virtù, difetti, proverbi e detti, che registra il materiale interpolato e dà chiaramente l'idea della sua accumulazione. In Gerardo non c'è, né può esserci, proprio perché mancano le interpolazioni da catalogare. D'altronde, «Las listas que ordenan las referencias en el texto a personajes y autores son típicas de esa abundante producción de silvas, thesauri, jardines y misceláneas a que la portada quiere remitir. Pero no exclusivas de ella: se remontan a la práctica pedagógica, aconsejada por las retóricas, de acumular alfabéticamente en un índice de conceptos todas las citas de autores que aparecen en un libro». (Colomer 1991: 401)

[10] Si veda in qualità di esempio l’edizione sinottica bilingue delle Novelas Ejemplares di Cervantes (Progetto scientifico e introduzione di Donatella Piniprogetto informatico di Luigi Tessarolo, testi a cura di Carmen Castillo Peña e Anna Vencato, per la cui consultazione si rimanda al sito [url=http://cervantes.cab.unipd.it/nosoloquijote/lingua_it.jsp]http://cervantes.cab.unipd.it/nosoloquijote/lingua_it.jsp[/url]) comprensiva delle traduzioni di G.A. Novilieri Clavelli (1626) e D. Fontana (1627), da cui si può notare come in una delle versioni, quella di Novilieri, gli inserti poetici della Gitanilla – così come quelli delle altre novelas – non siano stati tradotti, mentre ciò è avvenuto nell’ambito della traduzione portata a termine da Fontana. L’edizione di Clavelli, d’altra parte, era uscita a Venezia proprio presso il Barezzi, che forse aveva preferito questa alternativa proprio alla luce anche delle esperienze di altri traduttori che aveva conosciuto nel corso del suo lavoro di editore e stampatore. Masala aggiunge anche Franciosini alla lista dei traduttori che hanno l’abitudine di tralasciare i versi, «non solo ritenuti da tutti difficili da tradurre, ma soprattutto letti in funzione puramente ornamentale e fondamentalmente ininfluenti ai fini della comprensione del testo» (2004: 118).

[11] Si tratta di un altro plagio ad opera di Barezzi, la cui fonte sarebbe l’Asneide di Cosme de Aldana (Ventura 2015a): si tratta, pertanto, di composizioni “asinine” ritenute da Barezzi consone ad essere integrate al testo principale, fondendo assieme due tendenze letterarie molto in voga all’epoca.

[12] Si confronti f 353 di B(1630) con f 173r-174r di CyM(1618).

[13] Si tratta del sonetto in f 186r di CyM(1618).

[14] Si confronti f 196v-201v di CyM(1618) con f 401-412 di B(1630).

[15] Le strutture dei componimenti sono piuttosto varie, si spazia tra la décima espinela, la redondilla, il sonetto, la silva, con alcuni tercetos e cuartetos.

 

About the author(s)

Federica Zoppi holds a PhD in Linguistic, Philological and Literary Sciences (Classical and Modern Philologies and Literatures) from the Università degli Studi di Padova (Italy). She studied the Italian sequels of the chivalric cycles, with the Progetto Mambrino of the Università di Verona. His research interests include Cervantes, Don Quixote and chivalric novels. She is currently working at the University of Zaragoza with a Marie Sklodowska-Curie fellowship within the Horizon 2020 framework project, on Comic Motifs in Romances of Chivalry of Spanish Golden Age (Project ID: 794868).

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©inTRAlinea & Federica Zoppi (2019).
"La traduzione di Barezzo Barezzi del Poema trágico del español Gerardo, y desengaño del amor lascivo, di Don Gonzalo de Céspedes y Meneses"
inTRAlinea Special Issue: Le ragioni del tradurre
Edited by: Rafael Lozano Miralles, Pietro Taravacci, Antonella Cancellier & Pilar Capanaga
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