La visibilità dell’interprete televisivo in sola voce
Il caso del talk show Che tempo che fa
By Antonella Sannolla, Natacha Niemants & Gabriele Mack (Department of Interpreting and Translation of the University of Bologna, Italy)
Abstract
English:
Research in Talkshow Interpreting has traditionally studied interpreters’ participation and coordinating activity in talk shows where they share the stage with primary participants and translate in the consecutive mode. This article focuses on the only-in-voice presence of a simultaneous interpreter in the Italian talk show Che tempo che fa and illustrates through three excerpts drawn from a corpus of 11 of its interpreter-mediated interviews his active participation (or ‘visibility’) in interactions, which is driven by primary participants' verbal and non-verbal behaviour or by his own translating and coordinating actions. The first and second excerpts will illustrate how direct and indirect references to the off-screen interpreter contribute to making him an active co-participant. The first and third excerpts also analyse how the off-screen interpreter himself contributes to the topic and turn-taking management, in either competitive or collaborative coordination with the host. The quantitative analysis of the participants’ speaking time in the interactions transcribed with ELAN confirms the active participation of the off-screen interpreter in simultaneously interpreted talk show interviews.
Italian:
La ricerca sul Talkshow Interpreting ha tradizionalmente indagato l’attività di coordinamento e la partecipazione dell’interprete in talk show in cui l’interprete condivide la scena con i partecipanti primari e traduce in consecutiva. Questo articolo si concentrerà sulla partecipazione attiva (o ‘visibilità’) dell’interprete simultaneista nel talk show italiano Che tempo che fa e illustrerà tramite tre esempi estratti da un corpus di 11 delle sue interviste tradotte come questa possa essere indotta dal comportamento verbale e non verbale di intervistatore e intervistato, nonché dall’attività di coordinamento dell’interprete stesso. I primi due esempi analizzati mostrano come i riferimenti diretti e indiretti di intervistatore e intervistati al servizio di interpretazione/all’interprete in sola voce contribuiscano a renderlo un co-partecipante attivo dell’intervista tradotta in simultanea. Il primo e il terzo esempio illustrano inoltre come l’interprete contribuisca a gestire la progressione tematica e l’alternanza dei turni dei parlanti primari in coordinamento competitivo o collaborativo con il conduttore, pur traducendo in simultanea. Anche l’analisi quantitativa del tempo di parola per partecipante nelle interazioni trascritte con ELAN conferma la partecipazione attiva dell’interprete in sola voce nelle interviste del talk show tradotte in simultanea.
Keywords: talkshow interpreting, simultaneous dialogue interpreting, off-screen simultaneous interpreter, verbal and non-verbal behaviour, coordinating activity, participation, direct and indirect references to the off-screen interpreter, competitive and collaborative coordination, interpretazione dialogica simultanea, interprete simultaneista in sola voce, comportamento verbale e non verbale, attività di coordinamento, partecipazione, riferimenti diretti e indiretti al servizio di interpretazioneall’interprete, coordinamento collaborativo e competitivo
©inTRAlinea & Antonella Sannolla, Natacha Niemants & Gabriele Mack (2025).
"La visibilità dell’interprete televisivo in sola voce Il caso del talk show Che tempo che fa"
inTRAlinea Special Issue: Interpreting in interaction, Interaction in interpreting
Edited by: Laura Gavioli & Caterina Falbo
This article can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/2708
1. Introduzione
Questo contributo, come quello di Harari, Amato e Mack in questo stesso volume, nasce da una tesi di laurea magistrale (Sannolla 2023) che deve molto a Francesco Straniero Sergio. Per questo motivo abbiamo deciso di introdurli con due sguardi tra loro complementari (e per questo più ampi di quanto sarebbe richiesto per introdurre l’oggetto trattato nel singolo contributo) sulla ricerca di questo grande studioso, scomparso oltre 12 anni fa, che è stato uno dei pionieri del ‘“going video” (of) interpreting studies […] in terms of technical as well as conceptual research tools’ (Pöchhacker 2020: 40). La ricerca in interpretazione per i media in generale e in/per la televisione in particolare è oggi più che mai attiva; qui ci limiteremo a una rapida panoramica su ambiti di indagine vecchi e più recenti, per abbozzare l’evoluzione delle linee di ricerca e identificare le nuove strade battute a partire dal 2012 sia nell’ambito degli studi orientati alla percezione e ricezione del prodotto dell’interpretazione nei media, sia in quello degli studi che utilizzano gli strumenti dell’analisi del discorso e della conversazione per indagare relazioni tra i partecipanti e dinamiche interazionali nella comunicazione mediata sullo schermo. Per motivi di spazio restringeremo il focus alla ricerca all’interpretazione consecutiva e simultanea tra lingue vocali, cercando di raggruppare e categorizzare in vario modo ambiti, metodologie e approcci degli oltre 240 lavori di ricerca da noi censiti relativi al periodo dal 2012 alla metà del 2024, tra cui oltre 65 tesi di laurea. Saranno pertanto escluse l’interpretazione televisiva in lingua dei segni (garantita in molti paesi per obbligo di legge nel quadro degli access services), le applicazioni del respeaking (con interpreti impegnati a produrre sottotitoli in tempo reale) e l’interpretazione alla radio, come pure le applicazioni didattiche di materiali e studi in questo ambito.
L’interprete nei media e i vari fruitori della sua traduzione sono stati categorizzati in vario modo (cf. ad esempio Mack 2002; Falbo 2012; Pöchhacker 2010, 2018). Prescindendo dai dettagli delle classificazioni proposte, i principali elementi di discrimine sono tre: le tipologie di fruitori dell’interpretazione, il modo di interpretazione adottato, e la presenza dell’interprete soltanto come voce o anche in video. All’interno della medesima trasmissione questi elementi possono essere variamente combinati, dando luogo a una notevole varietà di configurazioni. Oltre all’imprescindibile pubblico ‘a casa’ che segue la trasmissione dal vivo oppure la fruirà in differita, l’interprete (da solo o in équipe con altri) può infatti fungere da tramite in contemporanea anche per gli interlocutori (e l’eventuale pubblico) presenti ‘sul set’. Può lavorare in consecutiva o in simultanea/chuchotage, e può anche alternare questi modi, oppure usarli in maniera differenziata a seconda degli interlocutori, traducendo ad esempio simultaneamente ma sottovoce (in chuchotage appunto) per l’ospite straniero e in consecutiva per il conduttore e il pubblico. Secondo le scelte della regia può infine comparire in video oppure essere solo udibile, come voce che si sovrappone a o sostituisce del tutto quella del parlante straniero. Un caso particolare è quello, contemplato qui solo marginalmente, in cui la figura del conduttore/presentatore/intervistatore coincide con quella dell’interprete.
A prescindere dalle categorizzazioni adottate, l’interprete presente in video e l’attività che vi svolge continuano ad attirare interesse per vari motivi:
- il suo lavoro è qui percepibile per il grande pubblico come in nessun altro contesto, contraddicendo con l’evidenza dei fatti l’idea di interprete ‘invisibile’;
- comportamenti e scelte sue e dei suoi interlocutori rivelano le norme interiorizzate in relazione a cos’è e cosa dovrebbe fare l’interprete;
- l’occhio esterno di utenti e pubblico può rivelare in svariati modi come utilizzatori e media vedono, rappresentano e giudicano il ruolo e l’operato dell’interprete;
- l’interpretazione per i media è una palestra e vetrina per nuove forme di mediazione linguistica;
- e, non da ultimo, il mezzo usato spesso consente un accesso relativamente agevole e ripetibile non solo a registrazioni, ma anche a dati complementari di varia natura, come informazioni sui partecipanti o sull’evento trasmesso.
Nonostante il ritmo abbastanza sostenuto con cui si sono susseguite le pubblicazioni in questo ambito dopo il 2012, non si intravedono per ora singoli autori che si siano dedicati all’interpretazione per i media con l’assiduità di Straniero Sergio, anche se nella bibliografia recente si incontrano nomi prestigiosi che si sono occupati ripetutamente all’argomento, come Merlini (2017; Merlini e Picchio 2019 sull’interpretazione nei festival cinematografici trasmessi in streaming), Pöchhacker (2018, sulla ricezione dell’interpretazione nei media da parte del pubblico), e soprattutto Schäffner (2012a,b, 2015a, 2017), che ha portato avanti la sua rigorosa ricerca su discorso politico, visibilità della traduzione e norme applicandola anche all’analisi di conferenze stampa interpretate. Englund Dimitrova (2019) ha invece descritto un esempio di dual-role mediator in un talk show svedese che Straniero Sergio (1999) avrebbe censito come ‘mediatore antagonista’ (una figura indagata anche da Ghignoli e Torres Díaz (2015) nell’interpretazione di interviste in ambito sportivo per la televisione spagnola). Un interessante rovesciamento di questa prospettiva emerge invece dalle ricerche di Arzık Erzurumlu (2016, 2019a) sulla figura dell’interprete-redattore-commentatore in alcuni canali di news turchi.
Pure l’idea precorritrice di Straniero Sergio di superare l’approccio parziale e ‘impressionistico’ del case study con la costruzione di un corpus inteso come sforzo collettivo e risorsa condivisa è stata ripresa in vari casi e, nonostante le diverse condizioni di oggi, si sta dimostrando ancora impresa affamata di risorse e irta di difficoltà tecniche. CorIT, il lascito di Francesco Straniero Sergio, è stato custodito nella sua Trieste da Caterina Falbo (2012, 2018) e utilizzato per numerose tesi di laurea nonché per le ricerche collegate al progetto di dottorato di Dal Fovo (ad esempio 2014, 2018) sull’interpretazione di dibattiti presidenziali pre-elettorali (e, in minore misura, di discorsi di personaggi politici più o meno carismatici), genere questo molto studiato soprattutto da laureandi, non solo triestini, e da ricercatori come Boyd (2016) e Arzık Erzurumlu (2019b). Un altro corpus è SIREN, composto da interpretazioni tra il russo e l’inglese tratti dalla web tv delle Nazioni Unite e da materiali trasmessi dall’agenzia di video news Ruptly, costruito ed esplorato da Dayter in una serie di pubblicazioni (ad esempio 2018, 2021a, 2021b). Uno dei corpora più grandi e noti di interpretazioni ‘mediatiche’ in senso lato (cf. la discussione nell’introduzione a Harari, Amato e Mack, in questo volume) è EPIC, il European Parliament Interpreting Corpus realizzato a partire dal 2004 in quello che è oggi il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione (DIT) dell’Università di Bologna. Il corpus, che comprende registrazioni e trascrizioni di discorsi e interpretazioni in italiano, inglese e spagnolo, dal quale hanno preso le mosse iniziative analoghe in Polonia (TIC, Kajzer-Wietrzny 2012 e PINC, Chmiel, Janikowski e Koržinek 2023) e in Belgio (EPIC-G, Defrancq 2015), nel frattempo è stato ampliato alla traduzione scritta, il che permette indagini in prospettiva intermodale (EPTIC) (cf. Russo, Bendazzoli e Sandrelli 2012; Bernardini, Ferraresi e Milicevic 2016; Kajzer-Wietrzny et al. 2023).
Anche l’archivio interpreti di Forlì, molti dei cui contenuti risalgono a registrazioni su cassette VHS effettuate negli anni Novanta proprio su sollecitazione di Straniero Sergio, pur non costituendo un corpus, ha fornito e sta fornendo materiali per molte delle numerose tesi di laurea discusse sull’argomento presso il DIT, che sono almeno una quindicina tra il 2012 e il 2024[1]. Corpora più piccoli relativi all’interpretazione nei media in Italia sono quelli raccolti per le tesi di dottorato di Picchio sul festival del cinema di Giffoni (2023) e il corpus FOOTIE di Sandrelli (2015, 2017, 2018) sulle conferenze stampa in ambito calcistico. Di conferenze stampa, in questo caso con interpretazione inglese-giapponese, è costituito anche il Japan National Press Club Corpus (JNPCC), uno dei più importanti realizzati in Asia, che nasce dal tradizionale interesse degli studiosi giapponesi per l’interpretazione nell’ambito dell’informazione (news interpreting; cf. Tsuruta 2015). Video originali, registrazioni audio, metadati e trascrizioni relative a circa 77 ore di conferenze stampa interpretate in simultanea e consecutiva sono disponibili online e possono essere visualizzati utilizzando il software gratuito ELAN (Matsushita, Yamada e Ishizuka 2020: 87). Nella sua seconda fase questo progetto è stato esteso anche a combinazioni linguistiche che non comprendono l’inglese (Matsushita, Furukawa e Yoshida 2022).
La percezione del lavoro e del ruolo dell’interprete da parte dei suoi interlocutori e del pubblico televisivo, un argomento tematizzato spesso da Straniero Sergio, è stata ripresa da Chevalier (2019) nella sua tesi di dottorato incentrata sui commenti a estratti di interpretazioni trasmesse in televisione o sul web. Un tentativo diverso e molto peculiare di indagare la percezione dei fruitori è quello di De Gregoris (2015), che si è servito di un questionario basato sulla teoria gestaltica per una valutazione olistica dell’interpretazione simultanea televisiva. Un filone di ricerca che si interseca con questo e relativo a un tipo di evento di cui già Straniero Sergio aveva raccolto assiduamente le registrazioni, pur senza mai dedicarvi un lavoro specifico, è l’interpretazione in occasione dell’annuale conferimento dei premi dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences (AMPAS). Alle numerose tesi di laurea su questo argomento si è aggiunto di recente un interessante studio di Arzık Erzurumlu e Yilmaz (2023) sui tweet di commento alle dirette televisive degli Oscar interpretate in turco dal 2010 al 2020 e le loro ripercussioni sul lavoro e il reclutamento degli interpreti. Un altro lavoro di Arzık Erzurumlu (2019c) riguarda l’ampia discussione sulla stampa turca relativa a un presunto errore fatto da un interprete in occasione della conferenza stampa congiunta tra il presidente americano Trump e quello turco Erdoğan.
Il filone di ricerca probabilmente più ricco di Straniero Sergio è però quello dedicato al talk show, indagato principalmente con gli strumenti dell’analisi della conversazione (AC) (cf. Harari, Amato e Mack in questo volume), di cui fa parte anche la tesi di laurea forlivese da cui nasce questo contributo. Sannolla (2023) si inserisce infatti negli studi sui talk show con un lavoro che riprende alcuni concetti elaborati da Straniero Sergio (1999, 2007, 2012) per l’analisi di casi in cui l’interprete è al servizio di partecipanti primari con cui condivide la scena; li applica però a Che Tempo che fa, un programma di infotainment in cui l’interprete lavora in simultanea e non è visibile sullo schermo.
2. Il corpus Che Tempo che fa: premesse, dati e strumenti di analisi
Il talk show Che Tempo che fa è stato oggetto di diverse tesi di laurea (ad esempio Zangoli 2008; Campi 2011; Sicari 2011; Sinniah 2020). Straniero Sergio nel suo libro gli dedica un solo esempio (2007: 231-232), dove è però già evidente che, pur essendo il contributo dell’interprete in sola voce, i partecipanti lo considerano un interlocutore a tutti gli effetti. Sannolla (2023) affronta l’argomento sotto il profilo, solo apparentemente incongruo, della ‘visibilità’ dell’interprete televisivo che lavora in simultanea da una cabina e quindi non viene mai inquadrato dalle telecamere. Segue in questo una strada già indicata da Straniero Sergio (2007: 529-534) in due dei paragrafi conclusivi della sua monografia, intitolati Visibilità e coinvolgimento spettacolare e Visibilità e gestione dei turni. Straniero Sergio non mette in campo il concetto di agency (agentività), che, negli studi sull’interpretazione, vedremo sviluppato in anni successivi anche sulla scia di Inghilleri (2005) e Schäffner (2008, 2015b), ma la sua osservazione che ‘[l]a visibilità dell’interprete si manifesta […] nello stabilire la lunghezza dei turni dell’ospite, nell’iniziare etero-riparazioni e nell’attivazione di strategie di cessione, mantenimento e appropriazione del turno’ (Straniero Sergio 2007: 531, corsivo nell’originale) è di particolare pregnanza in quanto sembra anticipare il concetto di agency e merita di conseguenza di essere ripresa e approfondita.
Rifacendosi a distinzioni utilizzate da Straniero Sergio (2003) e Falbo (2012), Caniglia e Zanettin (2021: 160) puntualizzano che l’interpretazione in praesentia può avvenire in due diverse situazionalità: quella che chiamano shared setting, dove il discorso tradotto è sussurrato all’ospite straniero o pronunciato a voce alta da un interprete presente in scena e dunque visibile ai partecipanti e al pubblico televisivo, e quello che chiamano displaced setting[2], dove l’interprete lavora da una postazione remota ed è presente solo come voce udibile dai partecipanti primari e dal pubblico. Un ulteriore elemento importante, di cui pochi studi hanno tenuto finora conto esplicitamente, è il fatto che gli interpreti che lavorano in simultanea possono essere uno o due: nel primo caso l’interprete traduce da e verso la lingua straniera a beneficio di tutti i partecipanti, pubblico televisivo compreso; nel secondo caso, un interprete traduce l’ospite in italiano e la sua voce viene sovrapposta a quella dell’ospite, l’altro lavora a beneficio del solo ospite, e il pubblico televisivo raramente ne avverte la presenza. Straniero Sergio (2007: 231) si riferisce a quest’ultimo fenomeno come a ‘turni prodotti non “in chiaro”’.
Il fatto che l’interprete in praesentia nel setting condiviso partecipi attivamente alla conversazione in studio e contribuisca anche lui a definire i turni di parola dei partecipanti primari, sostenendo di volta in volta i progetti comunicativi di intervistatori o intervistati, era già stato osservato da diversi autori, ad esempio da Wadensjö (2008) in un celebre studio su un’intervista interpretata di Gorbachev trasmessa dalla BBC. Come Straniero Sergio, anche la studiosa svedese ha fatto ampio uso dei concetti di footing e participation framework di Goffman (1981), aggiungendo al quadro anche la prospettiva dell’ascoltatore (Wadensjö 1998: 91-92). Caniglia e Zanettin (2021) hanno rintracciato la medesima partecipazione attiva dell’interprete in due talk show di confrontainment (dove il dibattito – generalmente politico – si basa su una spettacolarizzazione del confronto/conflitto tra persone con posizioni diverse) con interpretazione simultanea in situazionalità dislocata (Dimartedì e 8 e mezzo), dimostrando così la validità dell’apparato teorico-metodologico dell’AC anche in questo caso. Sannolla (2023) ha ripreso questa scelta metodologica applicandola al talk show Che tempo che fa per analizzare come l’interprete simultaneista e i partecipanti primari co-costruiscono l’interazione.
Il corpus di Sannolla (2023), usato anche in questo studio, si compone di 11 interviste in cui lo stesso interprete, Paolo Maria Noseda, traduce dal francese, dall’inglese o dallo spagnolo all’italiano, selezionate su un totale di 153 puntate lungo un arco temporale che va dal 2004 al 2022. Le interviste sono state interamente trascritte con ELAN[3], scelto essenzialmente per tre motivi. Il primo è che si tratta, ad oggi, di uno dei software più utilizzati negli Interpreting Studies che consente la condivisione con altri ricercatori che ne facciano uso (come per il corpus JNPCC di cui sopra, o per il corpus AIM, cf. Corradini, Urlotti e Gavioli 2024). In secondo luogo, ELAN offre la possibilità di un duplice sguardo sui dati: da un lato quello qualitativo, con un’analisi conversazionale dei contributi – essenzialmente verbali e paraverbali – nel nostro caso dell’intervistatore o host (sempre Fabio Fazio, HFF negli esempi), degli intervistati o guests (di volta in volta segnalati con G e le iniziali di nome e cognome) e dell’interprete (sempre Paolo Maria Noseda, IPN negli esempi, attraverso cui renderemo ampiamente conto di questo sguardo qualitativo); dall’altro lo sguardo quantitativo, in questo articolo solo marginalmente trattato nella sezione 3.4, con l’estrazione di dati numerici sulla partecipazione di intervistatore, intervistati e interprete nelle singole interviste del corpus (cf. Figura 1). Da ultimo, ma non per ordine di importanza, ELAN consente di ampliare e rifinire i dati inserendo un numero potenzialmente illimitato di righe (tiers) per aggiungere in corso d’opera la trascrizione e/o la codifica di fenomeni che inizialmente non si erano presi in considerazione. Il vantaggio non è di poco conto, visto che codificare non è più considerato un approccio eretico nell’AC (Stivers 2015), dove già negli anni Ottanta si era assistito a un cambiamento di rotta verso un paradigma anche quantitativo, come ben espone Orletti (2023).

Fig. 1: Estrazione di dati quantitativi (a sinistra) e qualitativi (a destra) in ELAN
Alla luce dei primi risultati ottenuti in Sannolla (2023) e di studi che valorizzano la dimensione incarnata delle interazioni (Nevile 2015; Mondada 2019) e mostrano i promettenti risultati di analisi multimodali di interpretazioni (Davitti 2019), anche televisive (Li, Liu e Cheung 2023), si è deciso di aggiungere alle prime trascrizioni un secondo livello a granularità più fine, con l’inserimento di fotogrammi e di un tier dedicato agli elementi non-verbali pertinenti per l’analisi (riportati in grigio negli esempi che seguiranno). Questo ha permesso di rendere conto di come si possano esprimere anche tramite gesti, movimenti della testa e direzionalità dello sguardo di chi è visibile in studio e sullo schermo tutta una serie di riferimenti diretti al servizio di interpretazione, all’interprete e al setting da cui lavora (Straniero Sergio 1999: 311-314), il controllo tecnico e la spettacolarizzazione di problemi audio (Straniero Sergio 2007: 135-144), e il comportamento collaborativo o competitivo del conduttore rispetto all’interprete (Straniero Sergio 2012: 72). Sarà così possibile documentare come anche le azioni non- o co-verbali dell’intervistatore, e in misura minore degli intervistati, contribuiscono a costruire e a modulare l’identità partecipativa dell’interprete e a renderlo ‘visibile’, pur essendo presente in sola voce.
Prima di introdurre gli esempi, richiamiamo brevemente alcuni studi che si sono occupati di forme di conversazione asimmetrica come quella in analisi, dove il conduttore Fabio Fazio funge sempre da ‘figura guida’ o ‘regista’ di un’interazione fortemente diseguale (Orletti 2000: 13) e come tale gode di diritti conversazionali impari rispetto agli altri partecipanti, esercitando diversi tipi di dominanza. Dei quattro tipi individuati da Orletti richiamiamo qui solo i due che sono direttamente pertinenti per la nostra analisi, ossia la dominanza quantitativa, che è la ‘differenza esistente fra i partecipanti in termini di quantità di spazio interazionale a disposizione’ (Orletti 2000: 14), e la dominanza interazionale, che Orletti definisce come il potere che un parlante ha di compiere mosse ‘forti’, come ad esempio le domande, che danno avvio a sequenze di turni e determinano così le azioni successive dell’altro parlante. Pertinente per la nostra analisi si è dimostrata anche la distinzione che l’autrice propone tra due diverse pratiche di glossa: le ‘glosse verbali’, che tra le principali funzioni hanno quella di riformulare quanto un altro parlante ha detto[4]; e le ‘glosse corporee’, un insieme di elementi multimodali quali la postura, l’orientamento del corpo e il contatto visivo che ‘concorrono con le parole a definire la situazione in corso, e permettono di arrivare a una definizione concertata di attività e situazioni’ (Orletti 2023: 21-22). L’importanza delle glosse corporee, che Orletti (2000) aveva già intuito prima che gli studi sulla multimodalità prendessero piede, emerge chiaramente nei suoi studi del 2022 e 2023, dove l’autrice mostra come sguardi e posture del medico contribuiscano a definire il quadro partecipativo della visita e a costruire un’attività di ‘spiegazione’ a cui partecipa anche la paziente. Entrambe le tipologie di glosse si rivelano utili, seppure in un contesto completamente diverso, per rendere conto delle risorse semiotiche messe in campo da intervistatore e intervistati nelle puntate analizzate di Che tempo che fa.
Tra gli sviluppi più recenti dell’AC, oltre alle svolte quantitativa e multimodale di cui sopra, vi è anche il programma epistemico promosso da Heritage (2011) che, esplorando i cosiddetti ‘territories of knowledge’, caratterizza le interazioni come un monitoraggio costante di quello che i partecipanti sanno. Heritage e Raymond (2005) mostrano ad esempio come l’autorità epistemica venga negoziata in ambito medico, dove le moderne forme di comunicazione centrata sul paziente possono mettere in discussione la tradizionale distribuzione gerarchica dell’autorità (e di conseguenza dei turni di parola) che si basa sul primato del medico. Come ben riassumono Baraldi e Luppi (2015: 583), sottolineando che medico e paziente contribuiscono entrambi, con le loro (ri)formulazioni, alla negoziazione dell’autorità epistemica, ‘in a hierarchical form of communication, providers’ epistemic authority is upgraded by providers’ actions that claim their primary rights and responsibilities in knowledge. In a patient-centred form of communication, by contrast, providers’ epistemic authority is downgraded by patients’ active participation in the production of knowledge’.
Gli ultimi concetti teorici che qui richiamiamo brevemente, poiché complementari a quello goffmaniano di footing che tanta fortuna ha avuto negli studi sull’interpretazione, sono la succitata agency (Diriker 2021; Baraldi 2023) e il positioning (Harré e van Langenhove 1999; Mason 2023). Il termine agency in discipline diverse rinvia a oggetti di studio diversi, che non abbiamo qui lo spazio di approfondire: rimandiamo a Bazzanella (2009) per una trattazione sinottica e a Delizée (2021) per un’integrazione metodologica di footing e positioning in un duplice focus analitico. Nelle nostre interviste l’agency viene intesa come il diritto di parola e di partecipazione attiva all’interazione in corso, e può essere determinata dai ruoli istituzionali e conversazionali di cui i parlanti sono investiti (Bazzanella 2009: 254). Pur riconoscendosi reciprocamente l’agency, i partecipanti possono a tratti contendersela, oppure cercare di sottrarla al proprio interlocutore. Un conflitto temporaneo di questo tipo diventa visibile in prossimità delle sovrapposizioni (Bazzanella 2009: 254-255), ovvero quei casi di ‘affollamento di turno’ (Straniero Sergio 2007: 235) che violano le norme basilari della conversazione, in primo luogo quella di parlare uno alla volta. L’agency, molto studiata nell’interpretazione per i servizi pubblici, dove l’analisi di dati autentici ha mostrato che gli interpreti prendano iniziative e producano conoscenza (Baraldi 2023: 47), è stata rilevata meno frequentemente nell’interpretazione simultanea. Diriker (2021) ha però mostrato che l’interprete collabora alla costruzione del significato (dando così prova di agency) anche quando, come nel nostro caso, lavora in simultanea. Il concetto di positioning, strettamente collegato a quello di agency, ugualmente rinvia ad ambiti disciplinari diversi dagli Interpreting studies. Mason lo ha approfondito e applicato alle interazioni mediate e ha mostrato che l’idea del ruolo dell’interprete, che la letteratura ha lamentato essere insufficiente a descrivere la dinamicità delle attività che lo vedono coinvolto (cf. Leanza 2005; Merlini 2009; Llewellyn-Jones e Lee 2014), può essere sostituita con la nozione di posizionamento. Applicando la positioning theory di Harré e van Langenhove (1999), Mason (2009: 53) osserva infatti che i partecipanti a un’interazione mediata ‘position themselves and others and are in turn positioned by others’ moves’ e mette in evidenza come l’interprete agisca in uno spazio condiviso e co-costruito con gli altri partecipanti, che con le loro azioni possono determinare posizionamenti diversi da quelli traduttivi idealmente associati all’interprete.
3. Analisi dei dati: tre esempi di visibilità dell’interprete in sola voce
I primi due esempi che discuteremo qui mostrano il modo in cui le mosse conversazionali del conduttore e dell’ospite in studio contribuiscono a costruire e a modificare l’identità partecipativa dell’interprete, a ratificarne la presenza e a renderlo ‘visibile’, benché egli non venga mai inquadrato da nessuna telecamera. Si osserverà che conduttore e ospite posizionano l’interprete come partecipante all’interazione con glosse verbali, sotto forma di riferimenti diretti al servizio di interpretazione o all’interprete, e con glosse corporee, sotto forma di riferimenti indiretti al luogo in cui si trova l’interprete, che in Che tempo che fa sappiamo essere una cabina di traduzione collocata ‘in alto’ (Noseda 2012: 248). Sollecitato da intervistatore e intervistato, l’interprete è indotto a parlare per sé e non per conto terzi e così agisce in uno spazio co-costruito con i partecipanti primari, contribuendo non solo a plasmarne l’identità partecipativa, ma anche alla progressione tematica dell’interazione.
Il primo e il terzo esempio illustreranno, inoltre, due casi antitetici di coordinamento del parlato dialogico in simultanea da parte dell’interprete. Con l’analisi del comportamento di conduttore e interprete all’occorrere di un caso di affollamento di turno nell’esempio 1 e di un caso di co-produzione del turno traduttivo nell’esempio 3, si mostrerà come, pur traducendo in simultanea e da un luogo dislocato da dove l’intervista avviene, l’interprete contribuisca alla gestione dei turni di parola tra intervistatore e intervistato e a gestire l’andamento dell’interazione in coordinamento rispettivamente competitivo e collaborativo con il conduttore.
Per facilitare la visualizzazione dei fenomeni osservati, nelle trascrizioni useremo il grassetto per i turni che commenteremo e indicheremo in grigio gli elementi non-verbali pertinenti per l’analisi, rimandando tramite il segno # ad alcuni fotogrammi che seguiranno ciascun estratto. Si sottolinea che è stato trascritto solo l’inizio del turno di ogni ospite straniero perché il resto non era udibile, data la sovrapposizione della voce dell’interprete a quella dell’ospite e l’abbassamento del volume della voce di quest’ultimo previsti dal programma. In ciascuno degli estratti presentati, il turno sovrapposto viene riportato immediatamente sotto al turno al quale si sovrappone e il prosieguo dopo la parentesi quadra del turno interrotto viene riportato nel turno successivo alla sovrapposizione. Inoltre, ogni turno di parola dell’ospite (in inglese, spagnolo o francese) è seguito dalla traduzione in italiano in corsivo[5].
3.1 ‘Paolo non prenderti libertà’
L’esempio 1 è tratto da una puntata andata in onda il 20 marzo 2011, e l’intervista da cui è estratto dura 19 minuti[6]. I partecipanti sono il conduttore Fabio Fazio (HFF), l’interprete Paolo Maria Noseda (IPN) e lo scrittore statunitense Jonathan Franzen (GJF). L’esempio si colloca a metà dell’intervista, subito dopo un turno molto lungo di GJF interamente tradotto da Noseda. Concluso il proprio turno e in attesa che l’interprete finisca di tradurlo, Franzen sembra intenzionato a lasciare la parola a Fazio, affinché questo possa porre la domanda successiva. Lo si evince dal fatto che, proprio in quel momento, lo scrittore prende in mano una bottiglietta d’acqua. L’estratto si apre con il turno 1 di HFF in cui il conduttore, immediatamente dopo la fine del turno traduttivo, tenta di porre una domanda a GJF, senza però riuscirci, perché inaspettatamente l’ospite riprende a parlare.
Esempio 1

Fig. 2: GJF alza l’indice (turno 2)
Fig. 3: HFF distoglie lo sguardo e gesto della mano (turno 10)
Sovrapponendosi all’inizio del turno 1 del conduttore, nel turno 2 GJF afferma ‘he’s really good’, riferendosi con ogni evidenza all’interprete (la cui traduzione in italiano era appena terminata). Si verifica così un caso di affollamento di turno che vede intervistatore e intervistato competere per il turno. Mentre pronuncia queste parole, Franzen alza l’indice destro come per chiedere ancora la parola, oppure, per indicare il punto da cui proviene la traduzione in italiano e, dunque, l’interprete, mentre il corpo e lo sguardo di Fazio sono rivolti verso l’ospite (Figura 2). Alla traduzione di IPN (turno 3), che conferma l’appropriazione del turno da parte di Franzen, segue un silenzio di 1,6 secondi nel quale il conduttore ride prima di reclamare il proprio turno di parola con un ‘allora’ (4) - presumibilmente per introdurre un’altra domanda, ma ancora una volta senza riuscirci. Infatti, nel turno 5, anche GJF mostra di voler prendere la parola, e la traduzione dell’interprete gli consentirà nuovamente non solo di appropriarsene a discapito del conduttore, ma anche di mantenere come topic della conversazione quello introdotto da lui stesso, ovvero l’interprete. Seguono un’altra risata del conduttore, l’applauso del pubblico e un silenzio di 0,6 secondi, che configura un nuovo punto di rilevanza transizionale. Il conduttore tenta una terza volta di riappropriarsi del proprio ruolo di intervistatore e di prendere la parola per dettare i temi di conversazione (7), ma è nuovamente Franzen (8) ad avere la meglio, tradotto puntualmente da Noseda (9). Questi tre casi di ‘attempted controlling action’ (Straniero Sergio 2012: 72) falliti da parte del conduttore mostrano come, anche in simultanea, l’interprete contribuisca a coordinare l’interazione gestendo l’alternanza dei turni dei parlanti primari e come la sua attività di coordinamento entri qui in competizione con quella del conduttore. Traducendo infatti i tentativi di appropriazione del turno da parte di GJF, IPN svolge la sua funzione primaria, ma contribuisce al contempo a far prevalere GJF sul conduttore, privando quest’ultimo di due sue prerogative: quella di gestire l’allocazione dei turni all’interno dell’interazione e quella di avere il controllo sul suo sviluppo tematico. Con il suo primo intervento, Franzen non prende infatti la parola per completare quanto aveva detto nel proprio turno precedente, ma per introdurre un topic del tutto nuovo, ovvero la bravura dell’interprete.
In corrispondenza del turno 10, Fazio distoglie lo sguardo dal suo ospite, guarda dritto nella telecamera (Figura 3) e accompagna la sua raccomandazione all’interprete di non prendersi libertà con un gesto di vago distanziamento della mano destra, presumibilmente conscio del fatto che l’interprete vede quello che succede in studio dal monitor che ha in cabina. Il suo indirizzare lo sguardo alla telecamera è quindi un modo per rivolgersi direttamente all’interprete. L’impiego dello sguardo, unito all’uso del nome dell’interprete e della seconda persona singolare per rivolgersi a lui sono i mezzi di cui il conduttore si serve per selezionare l’interprete come suo interlocutore diretto, posizionandolo come ‘ratified participant’ (Goffman 1981: 131) ed equiparandolo temporaneamente ai partecipanti primari dell’intervista. Tale posizionamento dell’interprete da parte del conduttore produce un cambiamento sia del suo ‘production format’ (Goffman 1981: 145) che della sua ‘speaker-position’ (Diriker 2021: 484) abituale. Questo cambiamento si manifesta nel turno 11 di IPN, in cui, accettato il posizionamento del conduttore, l’interprete produce un turno che non è traduttivo, ma nel quale egli parla per sé (‘principal’) e non più a nome di GJF (‘animator’) (Goffman 1981: 144), utilizzando la prima persona singolare ‘no no io sto qua’. L’accettazione del posizionamento del conduttore da parte dell’interprete non determina, però, solo un cambiamento dell’identità partecipativa di IPN, bensì anche di GJF, che nei turni 10-11 viene escluso temporaneamente dall’interazione e posizionato come ‘bystander’ (Goffman 1981: 132) dalle mosse conversazionali di conduttore e interprete.
Nel turno 10 (‘Paolo non prenderti libertà’), HFF ‘sanziona’ bonariamente (Straniero Sergio 2007: 118) Noseda, segnalandogli che il suo tradurre i commenti dell’ospite sul servizio di interpretazione è ‘un’insubordinazione’ (Orletti 2000: 26) alle regole tacite dell’interazione: in qualità di ‘regista dell’interazione’ dovrebbe essere il conduttore a scegliere gli argomenti di conversazione, mentre l’ospite risponde e l’interprete si limita a tradurre ciò che è funzionale agli scopi dell’interazione. In risposta a tale ammonimento, nel turno 11 Noseda, anche lui con una punta di ironia, motiva il suo agire (‘no no io sto qua’), segnalando che sta semplicemente svolgendo il proprio lavoro. Lo fa in prima persona, ma solo dopo essere stato direttamente interpellato da Fazio, e puntualizzando che, trovandosi in una cabina dislocata dal luogo in cui l’interazione tra i partecipanti primari avviene (‘sto qua’), egli non possa intervenire direttamente nell’interazione – cosa che però, di fatto, sta facendo.
3.2 ‘Se ha muerto’
L’esempio 2 è tratto da una puntata andata in onda il 27 aprile 2014, e l’intervista da cui è estratto dura circa 30 minuti[7]. Questo esempio vede coinvolti Fazio (HFF), Noseda (IPN) e l’attore Antonio Banderas (GAB) e si colloca a circa 10 minuti dall’inizio dell’intervista. L’esempio si apre con HFF che chiede a GAB se gli esordi della carriera siano stati difficili anche per lui.
Esempio 2

Fig. 4: HFF ha il corpo e lo sguardo orientati verso GAB (turno 8)
Fig. 5: HFF gesto della mano (turno 8)
Fig. 6: HFF distoglie lo sguardo (turno 10)
Fig. 7: HFF alza l’indice (turno 11)
Fig. 8: HFF distoglie lo sguardo da GAB (turno 11)
Nei turni 2 e 6[8] GAB risponde alla domanda di HFF raccontando l’inizio della propria carriera. Nei turni 3 e 5 IPN traduce il racconto di GAB e inizia a farlo anche nel turno 7, prima di essere bruscamente interrotto dal ‘clic’ di un microfono che viene spento. Segue un silenzio di 0,9 secondi. In questo momento dell’intervista la posizione del corpo di intervistatore e intervistato è quella riportata nella Figura 4, in cui Fazio guarda Banderas, come se volesse portare avanti la conversazione con il suo interlocutore diretto. Cosa che di fatto fa, ma spostando l’argomento di conversazione dalla carriera di Banderas al problema di interruzione dell’audio della traduzione, che Fazio inizia a ‘spettacolarizzare’ (Straniero Sergio 2007: 135-144). La sua battuta ‘è è caduto il traduttore’ (turno 8) è accompagnata da un gesto della mano che scende dall’alto verso il basso (Figura 5). Prosegue con ‘è se è svenuto però al di là del’, riprendendo le ultime parole dell’interprete prima dell’interruzione (9). Poi porta avanti il turno con ‘e (xxx) è caduto e è caduto (lui)’, parlando dell’interprete in terza persona e accompagnando la battuta con un gesto della mano analogo a quello fatto prima. HFF fornisce così una sua spiegazione della traduzione rimasta incompleta, ma allo stesso tempo rende IPN il ricevente non ratificato della sua preoccupazione celata da una presa in giro (‘teasing’, Straniero Sergio 1999: 314) e gli attribuisce l’identità partecipativa di ‘bystander’ (Goffman 1981: 132). L’interprete diventa quindi l’oggetto della conversazione in corso tra intervistatore e intervistato, ma non prende ancora parte all’interazione come ‘ratified participant’ (Goffman 1981: 131). Infatti, mentre pronuncia queste parole, il conduttore ha corpo e sguardo rivolti verso Banderas, che è ancora il suo interlocutore diretto.
Nel turno 10, HFF cambia invece atteggiamento e si rivolge direttamente all’interprete chiamandolo per nome. Mentre domanda ‘no va bè se Paolo?’, Fazio distoglie lo sguardo dal suo ospite e sembra guardare in direzione della telecamera, le cui immagini vengono plausibilmente proiettate sul monitor da cui Noseda vede il conduttore, fino ad assumere la posizione raffigurata nella Figura 6. Sembra insomma che il conduttore si rivolga direttamente all’interprete per accertarsi che non ci siano problemi tecnici prima di proseguire con l’intervista. Il suo contributo verbale e non verbale contribuisce a rendere l’interprete il suo interlocutore diretto (‘ratified participant’).
Non ricevendo ancora una risposta da Noseda, il conduttore produce un turno lungo e molto complesso (11): prima si scusa con l’ospite (‘no scusa eh’), riportando lo sguardo su GAB e collocandolo così ex novo come suo interlocutore diretto; poi giustifica il suo interloquire direttamente con l’interprete (‘perché mi son preoccupato’) mentre alza l’indice, presumibilmente per indicare il punto in cui si trova la cabina da cui proviene la traduzione in italiano (Figura 7); infine si rivolge nuovamente all’interprete con ‘non vorrei Paolo?’, distogliendo ancora una volta lo sguardo dall’ospite per puntarlo verso la telecamera (Figura 8) e posizionando così di nuovo l’interprete come ‘ratified participant’.
Dopo un silenzio di 1,6 secondi, nel turno 12 si sente una voce femminile che chiede ‘Paolo, ci sei?’. Non sappiamo se si tratti dell’interprete che traduce dall’italiano a beneficio dell’ospite o di qualcuno dalla regia. Finalmente arriva la voce di Noseda (13) che, ripristinato il canale audio, in risposta al turno della collega e alla sollecitazione di Fazio, conferma di esserci. Lo fa in prima persona (‘sì ci sono ci sono’), accettando così il posizionamento attribuitogli dal conduttore.
Il conduttore prende la parola in parziale sovrapposizione con il ‘ci sono’ dell’interprete (13-14), mentre GAB, restato fino quel momento escluso dalla conversazione, tenta di ri-posizionarsi come interlocutore primario del conduttore facendo da spalla a Fazio con la domanda ‘se ha muerto?’ (15), alla quale, però, non riceve subito risposta. Non è dato sapere se l’ospite risponde in questo modo perché capisce l’italiano e ha inteso il ‘è svenuto’ di Fazio (9), oppure perché il collegamento con la traduzione in cuffia all’ospite non si è interrotto e l’interprete gli ha tradotto la battuta di Fazio o lo ha comunque informato di quanto stava accadendo.
Il conduttore, che nel turno 11 aveva selezionato l’interprete come suo interlocutore diretto, aspetta dapprima la risposta di quest’ultimo ‘no no’ (17) e solo in seguito riporta lo sguardo a Banderas e lo ricolloca come suo interlocutore primario con la risposta ‘no no non è morto è qu- quasi morto ma non è mor-’ (18). Quest’ultimo turno del conduttore suscita l’ilarità del pubblico in studio e viene interrotto da un fragoroso applauso.
L’interprete diventa, dunque, uno degli attori di un teatrino montato dai partecipanti primari, e in modo particolare dal conduttore, su un problema audio. Il ‘siparietto’ (Straniero Sergio 2007: 146) appena presentato permette però di concludere anche che, limitatamente alle occorrenze da noi raccolte di riferimenti all’interprete o al servizio di interpretazione, l’interprete non decide in autonomia quando e come intervenire nell’interazione, e tanto meno interviene in prima persona a titolo personale. Lo fa solo per rispondere a precise sollecitazioni dei partecipanti primari che lo usano come risorsa discorsiva o lo interpellano in prima persona e ne determinano così il grado di partecipazione all’interazione e, conseguentemente, la maggiore o minore visibilità.
3.3 ‘I sandaletti’
L’esempio 3 è tratto da una puntata andata in onda il 22 novembre 2015 e l’intervista da cui è estratto, della durata di 13 minuti circa[9], vede la partecipazione di Fazio (HFF), Noseda (IPN), il regista e sceneggiatore cinematografico belga Jaco Van Dormael (GJVD) e il regista e attore belga Benoît Poelvoorde (GBP). I due ospiti sono stati invitati da Fazio a parlare del film Dio esiste e vive a Bruxelles (Le Tout Nouveau Testament)[10] di Van Dormael, in cui Poelvoorde interpreta un Dio non convenzionale, alquanto egoista e bisbetico, che governa il mondo da un pc, applicando all’umanità delle leggi che si diverte egli stesso a inventare a mano a mano. L’episodio che discuteremo si verifica poco prima della metà dell’intervista e si apre con i turni 1 e 3 di Poelvoorde, nei quali l’attore dichiara che si sarebbe annoiato a interpretare un Dio convenzionale e noioso. I due turni di parola dell’ospite, che in questo caso sono perfettamente udibili anche dal pubblico, vengono tradotti uno per uno da Noseda (2 e 4). Nel turno 5, Van Dormael suggerisce a voce bassa a Poelvoorde il nome dell’attore Charlton Heston, che aveva interpretato Mosè nel film I dieci comandamenti[11], come esempio di un personaggio biblico troppo buono e, pertanto, anche noioso, secondo il regista e l’attore. Nei turni successivi (6, 10 e 17), GBP spiega i motivi per i quali il Mosè di Heston può essere considerato un personaggio monotono in confronto al Dio interpretato da Poelvoorde, che beve, fuma e indossa una vestaglia. Dal turno 11 fino al 19, interprete e conduttore collaborano alla produzione della traduzione dei turni 10 e 17 dell’attore.
Esempio 3

Fig. 9: GBP si tocca il pollice (turno 10)
Fig. 10: GBP indica le sue scarpe (turno 10)
Fig. 11: GBP indica i vestiti che indossa (turno 10)
Fig. 12: GBP traccia con le mani un sorriso sul volto (turno 10)
Nel turno 10, mentre pronuncia per la seconda volta la parola ‘sandalettes’, Poelvoorde si tocca il pollice (Figura 9), come a enumerare il primo degli elementi che andrà a elencare. Subito dopo, nello stesso turno, produce il terzo ‘sandalettes’ muovendo il braccio destro e lo sguardo verso il basso (Figura 10), come per indicare le sue scarpe. Mentre dice ‘les lourdes robes’ indica i vestiti che indossa (Figura 11), e quando dice ‘il est toujours toujours content toujours content’ si disegna con le mani un sorriso sul volto (Figura 12). L’attore si serve quindi ampiamente di elementi non verbali per aiutare anche gestualmente la (inter)comprensione di quello che sta dicendo da parte del conduttore e del pubblico, o magari nel tentativo di farsi capire direttamente da Fazio senza passare per la traduzione (come vedremo in seguito, il conduttore ha infatti un’ottima comprensione del francese). Dal turno 11 al 19, conduttore e interprete si sovrappongono per ben quattro volte co-partecipando alla produzione dei turni traduttivi.
Nel primo caso, IPN traduce ‘les sandalettes’ di GBP (10), con ‘e poi i sandaletti’ (11) a cui il conduttore si sovrappone con ‘i sandali sì’ (12). Subito dopo aver sentito ‘les lourdes robes’ di Poelvoorde (10), Fazio afferma ‘sì certo i vestiti lu-’ (13) e Noseda in sovrapposizione traduce ‘poi le i grandi tuniche’ (14). I ‘sì’ e ‘sì certo’ di Fazio, in accompagnamento alle restituzioni delle parole dell’ospite, talvolta fornite ancora prima che l’interprete abbia prodotto la traduzione, segnalano direttamente all’ospite l’avvenuta comprensione delle sue parole ma lasciano anche intendere che egli non vuole entrare in competizione con l’atto traduttivo dell’interprete. La natura non competitiva dei turni traduttivi di Fazio si evince anche dal fatto che, nel turno 13, il conduttore interrompe il suo ‘i vestiti lu-’ non appena sente il traducente ‘tuniche’ scelto da Noseda (14), cedendo in questo modo all’interprete il turno traduttivo. Nel portare avanti il turno 14, Noseda sceglie invece il termine ‘sandaletti’, variando quello proposto dal conduttore nel turno 12 (‘sandali’). Ristabilisce così la propria autorità epistemica in materia di traduzione, anche se aggiunge l’hedge ‘insomma’, forse per rendere la sua traduzione meno categorica e rendere plausibile anche quella proposta da Fazio.
Nel turno 15, HFF incalza con ‘sempre contenti’, che questa volta IPN integra nella propria traduzione non ancora conclusa ‘sono co- sono sempre contenti’ (14 e 16), validando così la versione del conduttore e, al contempo, mitigandola di nuovo con ‘insomma così’. Sul finire del turno 18, quando sta traducendo la descrizione del Dio interpretato da Poelvoorde, Noseda, che a questo punto forse già si aspetta l’intervento traduttivo di Fazio, inizia a produrre una traduzione un po’ vaga ‘vestirmi così in relax’, servendosi del mitigatore ‘così’. Quasi contemporaneamente (19), Fazio formula prima ‘co- con la vestaglia’, e poi prosegue validando l’intervento di Noseda con un ‘sì’ e ne riprende il contributo con parole diverse ‘un po’ dégagé’.
Contrariamente ai due esempi precedenti, questo estratto illustra come il grado di partecipazione dell’interprete all’intervista di un talk show in una situazionalità dislocata non dipenda soltanto dalle mosse conversazionali dei partecipanti primari, ma anche da quelle che l’interprete sceglie di compiere. Nei casi di co-produzione del turno traduttivo da parte di conduttore e interprete, come nelle occorrenze mostrate nell’Esempio 3, le scelte dell’interprete di fornire traduzioni alternative alle proposte del conduttore o di integrare nella propria resa i termini usati da quest’ultimo per tradurre le parole dell’ospite, gli consentono di collocarsi all’interno dell’interazione come esperto linguistico che esercita la propria autorità epistemica. Le sue mosse conversazionali gli permettono, in altre parole, di esercitare la sua agency, ovvero il suo diritto di partecipazione conversazionale in qualità di ‘colui che traduce’ (Bazzanella 2009: 259) e, dunque, di partecipare ancora una volta attivamente all’interazione in corso, nonostante traduca in simultanea e non venga mai ripreso in video.
3.4 Il riscontro dell’analisi quantitativa
I tre esempi discussi sopra sono rappresentativi di dinamiche inerenti alla dominanza quantitativa e interazionale in interazioni istituzionali asimmetriche che si osservano nell’intero corpus e che abbiamo, almeno in parte, anche quantificato. L’utilizzo di ELAN (e in particolare della sua funzione per l’estrazione di dati numerici sul tempo di parola dei partecipanti a ogni interazione trascritta), ci ha infatti permesso di ‘misurare’ lo spazio interazionale dei partecipanti in termini di tempo di parola e numero di turni (Sannolla 2023). Com’era prevedibile, è l’ospite a godere di un maggiore spazio interazionale misurato in minuti, in linea con gli scopi comunicativi del genere mediale del talk show. Analogamente, il conteggio dei turni di parola per partecipante e dei turni contenenti una domanda (intesa come richiesta di informazioni o invito a compiere un’azione da parte di un parlante) evidenzia che, almeno nel nostro corpus, il potere di compiere mosse conversazionali ‘forti’ (Orletti 2000: 14-15) è senza dubbio esercitato dal conduttore.
Nelle interviste da cui sono stati tratti i tre estratti analizzati in questo articolo, l’ospite parla più a lungo di Fazio in un caso su tre (Intervista esempio 1) e quanto lui nei restanti due (Intervista esempio 2 e esempio 3) (Tabella 1). Il parlante che pone più domande, in tutte e tre le interviste è il conduttore, mentre due dei tre ospiti non ne formulano neppure una (Tabella 2).
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Tempo di parola complessivo per parlante (Total Annotation Duration) in ogni intervista, in minuti |
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Intervista Esempio 1 (Franzen) |
Intervista Esempio 2 (Banderas) |
Intervista Esempio 3 (Poelvoorde e Van Dormael) |
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HFF |
7 min |
HFF |
11m |
HFF |
5m |
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GJF |
10 min |
GAB |
11m |
GBP + GJVD |
5m |
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IPN |
11 min |
IPN |
11m |
IPN |
3m |
Tab. 1: Dati sulla dominanza quantitativa dei parlanti nelle interviste da cui gli estratti sono tratti
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Numero di turni contenenti una domanda/numero di segmenti di parlato annotati per parlante (Number of Annotations) in ogni intervista |
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Intervista Esempio 1 (Franzen) |
Intervista Esempio 2 (Banderas) |
Intervista Esempio 3 (Poelvoorde e Van Dormael) |
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HFF |
10/29 |
HFF |
30/50 |
HFF |
7/44 |
|
GJF |
0/24 |
GAB |
5/102 |
GBP + GJVD |
0/57 |
|
IPN |
0/23 |
IPN |
4/77 |
IPN |
0/28 |
Tab. 2: Dati sulla dominanza interazionale dei parlanti nelle interviste da cui gli estratti sono tratti
L’interprete è per lo più fedele al proprio compito di restituire gli interventi dell’ospite che è chiamato a tradurre. L’apparente eccezione dell’intervista esempio 1, in cui l’interprete parla per 11 minuti e ha dunque un tempo di parola maggiore di quello dell’ospite (10 min), è ascrivibile a un suo scambio con il conduttore in cui l’interprete produce un turno (11) autonomo svincolato da quello del parlante primario (Tabella 1). Se l’interprete pone domande, sono parte di quelle formulate dall’ospite (Tabella 2)[12].
4. Conclusioni
Questo contributo ha ripreso alcuni concetti elaborati da Straniero Sergio per l’analisi dei talk show, collocandoli negli sviluppi più recenti della ricerca in interpretazione (in generale e nei/per i media) e in linguistica applicata (con un focus particolare AC e le sue svolte quantitative, multimodali ed epistemiche). Abbiamo presentato alcuni risultati di questi filoni di ricerca che quindici anni fa erano solo agli inizi, nonché dimostrato la validità della scelta di applicare uno stesso apparato teorico a varie tipologie di programmi televisivi (ad esempio infotainment vs. confrontainment), modalità di interpretazione adottata (ad esempio simultanea vs. consecutiva) e modalità di presenza dell’interprete (su schermo vs. in sola voce).
Le conclusioni tratte dagli esempi discussi, confortate anche dai dati quantitativi, confermano che, pur traducendo in simultanea da una cabina lontana dal luogo in cui si svolge l’intervista tra intervistatore e intervistato, e pur non essendo mai ripreso dalle telecamere, l’interprete simultaneista – almeno in questo talk show – partecipa a tutti gli effetti alle dinamiche conversazionali dell’interazione tra i parlanti primari. Ligio al suo compito primario, non prende mai spontaneamente l’iniziativa, ma non si sottrae al gioco della televisione-spettacolo, rispondendo alle sollecitazioni che gli vengono lanciate dagli interlocutori principali ed intervenendo se del caso anche in prima persona.
Questo risultato incoraggia ad analizzare in questa chiave e in maniera più approfondita l’intera raccolta delle registrazioni di questo talk show, ancora in programmazione, che coprono un arco temporale eccezionalmente esteso. L’utilizzo di strumenti di nuova generazione come ELAN permette di raccogliere e valorizzare ulteriormente l’eredità di Straniero Sergio, incrociando analisi qualitative e quantitative di corpora di crescenti dimensioni e granularità e favorendo il confronto e l’interdisciplinarietà degli studi in interpretazione televisiva.
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Notes
[2] Si noti qui che l’accezione del termine è diversa da quello che Straniero Sergio (2007: 13) intende per ‘situazionalità dislocata (non condivisa)’, in cui l’interprete non traduce per i partecipanti primari, bensì esclusivamente per il pubblico televisivo, come ad esempio nelle cerimonie di conferimento degli Oscar.
[3] Cf. ELAN (2023)
[4] Sono quindi riconducibili all’ampiamente studiata categoria analitica della ‘formulation’ (Heritage e Watson 1979; Heritage 1985; Beach e Dixson 2001; Gafaranga e Britten 2004; Antaki, Barnes e Leudar 2005), che la ricerca europea in lingue romanze ha generalmente reso con ‘riformulazione’ (Orletti 2023: 21, cf. anche Traverso 2017).
[5] Le convenzioni di annotazioni adottate, tratte da Jefferson (2004), Mondada (2004) e Davitti (2019) sono riportate in Appendice.
[6] Cf. Rai - Radiotelevisione Italiana S.P.A. (2011).
[7] Cf. Rai - Radiotelevisione Italiana S.P.A. (2014).
[8] Il ‘no’ di GAB nel turno 6 non indica una negazione. Dall’intonazione con cui lo pronuncia si evince che si tratta piuttosto di un intercalare che usa per riformularsi in questo passaggio e la resa dell’interprete al turno 7 conferma questa interpretazione.
[9] Cf. Rai - Radiotelevisione Italiana S.P.A. (2015).
[10] Cf. www.mymovies.it (2020).
[11] Cf. www.mymovies.it (2016).
[12] Nell’esempio 2 la domanda non tradotta da IPN è il turno 15 di GAB ‘se ha muerto?’
Appendice
Convenzioni di trascrizione adottate
|
#1 |
Numero dell’immagine che ritrae il non verbale indicato dall’enunciato corrispondente |
|
hff (conduttore HFF) pub (pubblico) mic (microfono) ??? (n.n.) gjf (Jonathan Franzen GJF) gbp (Benoît Poelvoorde GBP) |
In minuscolo, autore del non verbale in grigio |
|
*bla-bla* (simbolo per il conduttore HFF) ~bla-bla~ (simbolo per l’ospite di ciascun estratto) ˆbla-blaˆ (simbolo per il pubblico)
|
Intervallo dell’enunciato corrispondente all’indicazione del non verbale riportata nella riga sotto |
|
[abc] |
Sovrapposizione allineata alle parole della riga inferiore |
|
(1.6) |
Durata della pausa in secondi |
|
(xxx) |
Segmenti non comprensibili per il trascrittore |
|
abc- |
Parole tronche |
|
abc? |
Intonazione ascendente |
©inTRAlinea & Antonella Sannolla, Natacha Niemants & Gabriele Mack (2025).
"La visibilità dell’interprete televisivo in sola voce Il caso del talk show Che tempo che fa"
inTRAlinea Special Issue: Interpreting in interaction, Interaction in interpreting
Edited by: Laura Gavioli & Caterina Falbo
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