Una nota a margine

Giaime Pintor e Rilke: storia delle edizioni

By Gabriella Catalano (Università di Roma Tor Vergata, Italy)

Abstract

English:

In the Translators’ Note which appears in the first edition of his 1942 translation of Rilke, Giaime Pintor defends his right to make arbitrary translational and anthological choices. Placed sometimes at the beginning, sometimes at the end of different editions, the note changes over time, occassionally entering into a dialogue with other prefaces (such as Fortini’s) and implicitly with the editorial presentation of the text which is intended to sanction the poetic voice of the translator, who Vincenzo Mengaldo consecrated as on the Italian poets of the Twentieth Century.

Italian:

Nella nota che accompagna la prima edizione della sua traduzione di Rilke del 1942 Giaime Pintor rivendica l’arbitrio delle scelte traduttive e antologiche reclamando a sé i diritti di una traduzione poetica. Posta in conclusione o a esordio, la nota si trasforma nel corso del tempo interloquendo di volta in volta con altre prefazioni (Fortini) e con la presentazione editoriale del volume, incline a sancire la voce poetica del traduttore che Vincenzo Mengaldo inserisce fra i Poeti italiani del Novecento.

Keywords: storia editoriale, casa editrice Einaudi, Rainer Maria Rilke, Giaime Pintor, publishing history, translator's note, nota del traduttore

©inTRAlinea & Gabriella Catalano (2020).
"Una nota a margine Giaime Pintor e Rilke: storia delle edizioni"
inTRAlinea Special Issue: La traduzione e i suoi paratesti
Edited by: Gabriella Catalano & Nicoletta Marcialis
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Che sia un testo introduttivo, un commento alla traduzione, brevi cenni contenuti in note esplicative oppure solamente un glossario, il paratesto è lo spazio in cui il traduttore può rendersi visibile, agire allo scoperto, testimoniando, ma anche affermando, il proprio diritto alla mediazione (Gil-Dardaji 2012; Elefante 2012). Dalla dedica al mecenate alla vera e propria introduzione traduttiva, codificata nel titolo “il traduttore a chi legge”, l’interprete di opere scritte in un’altra lingua affida la propria voce a quei luoghi che circondano e accompagnano il testo e che, per quanto marginali, gli tornano utili ad attestare la sua presenza. Ma a ben vedere, la dichiarazione della propria autorialità nasce per il traduttore anche nel contesto di un progetto editoriale, interessato a rendere palese il suo ruolo e il suo indispensabile apporto alla diffusione di un’opera straniera. È quanto è accaduto, con buona probabilità, per Giaime Pintor.

Al celebre traduttore di Rilke basta solo qualche riga per presentare ai lettori in tutta la sua novità la proposta antologica di cui si fa garante. (Dorowin 2005, Biasiolo 2012) Lo fa in una nota scarna, apparentemente esplicativa, che la prima edizione del 1942 espone sul recto dell’ultima pagina numerata che precede l’indice:

La scelta delle poesie è libera. Non ho voluto dare ai lettori un compendio dell’opera di Rilke: ho voluto raccogliere quello che per me, in un particolare momento o in una particolare circostanza, è stata scoperta e occasione di poesia. La traduzione è libera, notizia forse inutile per chi sa che ogni traduzione è libera per natura. In alcuni casi è arbitraria: il testo a fronte indicherà questi arbitri e testimonierà a favore di eventuali condanne (Rilke 1942: 72).

Poche righe, collocate solitarie in alto. Poi la pagina è lasciata vuota, come se il resto del foglio dovesse mimare il silenzio, destinato a subentrare alla densità di senso proposta da quelle parche parole. Paratesto eloquente quanti altri mai, si potrebbe dire, e giustamente noto, a cui i recensori si sono volentieri appellati e che Franco Fortini, come vedremo, farà suo. La sosta posta a conclusione in un luogo inappariscente del volume si appella a un metodo che confuta qualsiasi metodo come anche qualunque bilancio a priori. Ma cosa significa quella nota, oltre una captatio benevolentiae elargita, non senza qualche civetteria, a fine lettura? Seppure con un tocco finale, un gesto conclusivo che chiude il libro e apre al tema della traduzione, il traduttore reclama a sé il testo da cui è partito rivendicando così la propria autonomia autoriale. L’assolutezza del presente corrisponde alla soggettività che il lettore/traduttore esibisce: la traduzione coincide con il suo gusto, l’inclinazione affettiva con gli arbitri del momento, sanciti in un impatto emotivo, sapiente e libero, vincolato esclusivamente alla propria esperienza. Recalcitrante verso il compendio, cioè verso una scelta serrata entro i vincoli di un panorama obbligato ad abbracciare didascalicamente e per sintesi l’intero, il ventitreenne Giaime Pintor afferma con la certezza della sua straordinaria maturità la legittimità delle preferenze, cosa che vale per i testi scelti come per il modo in cui affronta la prassi della traduzione. Anche la dedica a Ilse Bessell, la ragazza di Heidelberg conosciuta a Perugia nel 1940 e per la quale Giaime aveva scritto alcune poesie di suo pugno (Calabri 2007: 31), stava a confermare la partecipazione autoriale del traduttore, da cui deriva la legittima esposizione di una sfera privata (la donna amata menzionata con nome e cognome). A partire dall’occasione contingente che ha dato vita a quel Lesererlebnis individuale e privato, una sorta di epifania della lettura che si è riversata a sua volta, attraverso la traduzione, in esperienza di poesia, Pintor dichiarava così il suo credo nella traduzione come presa di possesso che è, a sua volta, lirica e critica insieme, e proprio perciò fondativa di senso. Non può infatti sfuggire, nella nota posta a epilogo, il rimando ironico al testo a fronte che, se sta a misurare lo scarto, ovvero a lasciare chi legge e conosce la lingua d’origine libero di esercitare l’azione del confronto, funzionerà in ogni caso come un richiamo alla duplicità, che è del resto l’ubi consistam di ogni traduzione. D’altronde, nonostante esempi sporadici si registrino già negli anni Venti – era stato Sansoni a varare la prima collana di classici con testo a fronte (Sisto 2018: 72) – a inizio degli anni quaranta l’abitudine a pubblicare testo originale e traduzione uno di fianco all’altro, in modo da marcare contiguità e differenze, non è ancora cosa del tutto ovvia né univocamente in uso. Quindi, pure nell’appello alla soggettività del lettore/traduttore, Pintor accenna a un contesto editoriale, di cui è lui stesso, come si sa, protagonista. Erano gli anni della sua stretta e intensa collaborazione con quella officina delle idee che fu la casa editrice Einaudi degli esordi, “la scuola delle invenzioni”, secondo la felice espressione usata dal giovane consulente in una lettera dell’ottobre del ’41[1] (Pintor 1978: 146, 156, Mangoni 1999: 104, 106). Del resto, il dibattito interno fa parte del bisogno di “vita collettiva” che, a detta di Pintor, accompagnava quella generazione (Pintor 1978: 145). Così, la breve nota collocata a fine testo può essere interpretata come una sorta di difesa interna alla casa editrice, salvaguardia verso le possibili o le già dichiarate critiche che avevano accompagnato la pubblicazione del volumetto rilkiano. In disaccordo con la scelta era stato per esempio Leone Ginzburg, come è riportato in una nota di diario che Pintor scrive il primo dicembre 1941:

[…] visto Ginzburg che mi vuole convincere a non pubblicare Rilke. È straordinariamente persuasivo: vuole che traduca di più e crede che non mi sia impegnato abbastanza. Non so cosa rispondere a queste ragioni morali ed editoriali (Pintor 1978: 164).

Giaime non dà torto al più anziano membro della cerchia einaudiana. Anche se essere “einaudizzati”, secondo l’espressione che Pintor riprendeva da Carlo Muscetta, significava la necessaria condivisione di un progetto editoriale, fra i collaboratori esistevano, com’è naturale, differenze di opinioni che si facevano di tanto in tanto sentire (Pintor 1978: 165 Mangoni 1999: 111). Per Pintor le ragioni morali ed editoriali a cui si richiama Ginzburg non sono evidentemente abbastanza, conta anche volere e sapere osare, la qual cosa, in tempi in cui si si annuncia l’obbligo a limitare l’importazione di opere straniere (Rundle 2010: 194), sembra altrettanto urgente. L’edizione rilkiana doveva servire, non in ultimo, a promuovere il fronte di una dialettica fra letteratura straniera e italiana. Il 24 settembre 1941 Pintor scrive a Filomena D’ Amico: “Mando avanti il teatro tedesco e rivedo Rilke, che fra poco uscirà accanto a Montale in quelle belle edizioni delle Occasioni” (Pintor 1978: 148). E quando il volume di Rilke, di colore grigio perla, così come lo aveva voluto, esce, Giaime scriverà con gioia alla madre che è stato accolto “con molto entusiasmo come è giusto di un libro nuovo, e veramente assai bello” (Pintor 1978: 143; Calabri 2007: 167). Coglie quindi il momento propizio per cercare un aggancio diretto con Montale e le sue Occasioni, come si evince da una dedica inviata al poeta: “A Eugenio Montale, questo più umile seguito delle sue occasioni”[2].

La continuità con la raccolta lirica di Montale, espressa sul fronte privato, riflette l’avvenuta decisione editoriale di collocare le poesie di Rilke nella traduzione di Pintor (nel lessico interno la collana Poeti viene chiamata Montale-Rilke) in sequenza al primo libro di Montale uscito presso Einaudi nel 1939, segnale di integrazione fra i due poeti, ma soprattutto fra la lingua propria e quella altrui. L’obiettivo era, come scriveva Felice Balbo da Roma, lavorare all’idea di una “pre-Europa” (A.S.E.: Giaime Pintor fasc. 2425 f. 21).

La continuità editoriale era peraltro visibile nelle copertine affidate in entrambi i casi, Montale e Rilke, a Francesco Menzio, esponente del gruppo torinese dei sette, di cui si occupa direttamente il ‘padrone’ (come scherzosamente viene chiamato Giulio Einaudi). Il disegno della copertina Montale lo apprezza molto: “Sono soddisfatto di non aver ceduto alla tentazione di Mondadori, che non m’avrebbe fatto un’edizione così” scrive a Einaudi (A. S. E. Francesco Menzio cart. 131, fasc. 1999, f. 4), il quale, dal canto suo, si rivolge nuovamente a Menzio per illustrare anche la copertina di Rilke. D’accordo con il traduttore, come dice in una lettera a Menzio, sceglie per il fregio la poesia finale Bocca di fonte (A. S. E. Francesco Menzio, cartella 131, fascicolo 1999, f. 14), che doveva in una prima fase chiudere la raccolta. Così, a evocare quei versi che parlano di una fontana, “orecchio della terra”, come recita l’incipit della seconda terzina del sonetto, Menzio disegna un mascherone di sapore seicentesco a imitazione di un possibile schizzo per fontana di ascendenza chiaramente italiana. Di questa ascendenza parla anche il testo rilkiano, ma la “maschera di marmo”, ripresa nell’immagine, è menzionata solo nel testo della traduzione che impone anche così la propria identità autoriale.

Edizione Einaudi 1942

Edizione Einaudi 1942

Per tornare alla nota finale, il bilancio a posteriori, tutto a favore della propria autorialità traduttiva, tornava utile anche a dissimulare la consapevolezza da cui la scelta dei testi aveva avuto origine (il gusto soggettivo si impone sul piano della macro come della microstruttura del testo tradotto). È ben evidente infatti che il Rilke proposto da Pintor nasceva, non in ultimo, dalla necessità intellettuale di tradurre, cioè di ri-tradurre quel poeta che era stato anche in Germania un vero e proprio autore di culto (Pintor 48: 119). In Italia l’eco di una ricezione tutta volta a esaltare l’immagine del poeta decadente, prodigo di versi e di immagini, non aveva tardato a farsi sentire: basti pensare alle traduzioni di Vincenzo Errante, che non nascondevano il proprio tributo verso la lingua poetica di D’Annunzio. Nonostante il dannunzianesimo a cui veniva così affidata l’importazione italiana di Rilke, Errante aveva in realtà inserito, come ha acutamente osservato Giuseppe Bevilacqua, il poeta tedesco “con un trucco involontario nel giro delle letture di poesia degli italiani” (Bevilacqua 1972: 21; Dorowin 2017: 23). I “molti filtri casalinghi” avrebbero riguardato poi non più la vena d’annunziana, ma l’emergente poesia ermetica, la cui eco si sente sia in Pintor che in Leone Traverso, i quali, anche in opposizione a Errante, recuperavano al pubblico italiano l’ultimo Rilke, da Errante esplicitamente bistrattato. Un nuovo orizzonte di lettura era affiorato grazie alle traduzioni di Traverso che, per la casa editrice Parenti, curava nel 1937 la traduzione delle Elegie Duinesi. Il rinvenimento delle liriche tarde subiva con Pintor un’ulteriore curva, rivolta questa volta ai Sonetti a Orfeo, di cui dava prova nel volumetto Einaudi[3]. Pure in questo caso il gusto del traduttore non veniva occultato, ma consapevolmente esposto (“la scelta delle poesie è libera”, esordiva, come si ricorderà, la sua nota), nell’inclinazione a non seguire alcun canonico parametro antologico: pure nel rispetto della cronologia, dal Libro delle immagini alle Poesie tarde, la loro distribuzione non aveva nulla di equo, visto che due sole poesie erano tratte dal Libro delle Immagini, 3 dai Neue Gedichte contro gli 11 (che diventano poi 12) Sonetti a Orfeo e le 5 Poesie Tarde.

Insomma, se è possibile ritrovare tutto ciò nella nota finale di Pintor è perché in conclusione del volume la voce autoriale del traduttore sta a esplicitare ciò che il lettore, almeno il più accorto, ha potuto già percepire, ma anche perché quella nota, che si trasforma nel tempo e convive con altri spazi del paratesto, rinvia all’ottica con cui la traduzione e il suo artefice vengono presentati al pubblico raccogliendo il bisogno di autore del lettore anche attraverso la figura del traduttore. Nelle loro diverse forme gli spazi posti ai margini del testo tradotto lasciano trasparire come di volta in volta prospettive diverse trasformino lo stesso oggetto che rimane immutato.

Ripartiamo dalla prima edizione in cui, come si è visto, la breve nota posta a conclusione corrispondeva non in ultimo a un dialogo interno alla casa editrice. Pintor giunge al volume dopo avere pubblicato le sue prime traduzioni di Rilke in alcune riviste. Luogo primario di sperimentazione, le riviste gli parvero assolutamente adatte a proporre quelle versioni inedite: l’esordio avviene nel 1938, con la traduzione di Verkündigung, Annunciazione, in Frontespizio organo dell’ermetismo dove nello stesso anno compariva il saggio di Carlo Bo, La letteratura come vita, e in cui appena un anno prima era uscita un’anticipazione delle Elegie tradotte da Traverso. Seguono poi alcuni Sonetti a Orfeo nella rivista Primato di Bottai e infine in Letteratura.

Il passaggio dalla rivista al volume, se stabilizza la sperimentazione iniziale, rende possibile realizzare cambiamenti nell’orizzonte di lettura – anche attraverso una storicizzazione interna al prodotto editoriale. Alla nota, che continua ad accompagnare il volume nella seconda edizione uscita nel 1944, vengono adesso aggiunte, come in una sorta di iscrizione funeraria, data e circostanza della tragica fine di Pintor che intanto, in giovanissima età, era caduto nei pressi di Castel Volturno prendendo parte a un’azione partigiana. Così recita la nota alla nota: “L’autore di questa traduzione è caduto nell’adempimento d’una missione militare affidatagli dagli Alleati sul fronte tra Napoli e Roma nei giorni del dicembre 1943”. Ancora prima della sua ultima partenza, Giaime aveva corretto le bozze di questa seconda edizione (A. S. E.: Fortunato Pintor fasc. 2424 foglio 06v. 07r.) decidendo, in corso d’opera, di aggiungere un altro sonetto a Orfeo, il terzo della prima parte per la precisione, per il quale, così come ricorda lo zio Fortunato Pintor in una lettera a Massimo Mila, sceglie un finale diverso rispetto alla prima traduzione riportata nella nota al sonetto Bocca di Fonte, pubblicato nel giugno del 1941 in Primato. Alla versione “spirar per nulla, soffio nel Dio, vento” era subentrato, per volontà dello stesso Giaime, un verso assai più incisivo, cadenzato da una punteggiatura concorde con il ritmo in diminuendo che ne accompagna la tensione semantica: “È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento” (A. S. E.: Fortunato Pintor fasc. 2424 f. 23 r. e v.).

Dal punto di vista editoriale e del paratesto, a soli due anni di distanza dalla prima edizione, era iniziato un processo di storicizzazione che, prendendo le mosse dal recupero delle ultime volontà autoriali del traduttore, finiva con rammentarne la tragica fine. In un ricordo, interno probabilmente alla sola casa editrice, Felice Balbo, offrendo una breve ma profonda ricognizione dell’opera dell’amico scomparso, ne descriveva il metodo di lavoro:

Giaime Pintor raggiunse prestissimo una piena maturità. A diciotto anni, nel 1938, pubblica il suo primo rifacimento poetico di Rilke (Libro delle immaginiLe parole dell’angelo) […] Straordinariamente attento alla nettezza dell’espressione e provvisto di una memoria prodigiosa, componeva mentalmente la pagina e segnava sulla carta, da principio, soltanto le frasi e le parole definitive situandole nella posizione che avrebbero preso nella stesura definitiva (A.S: E. Giaime Pintor fasc. 2424 f. 27)[4].

Assai probabilmente Pintor procedeva alla stessa maniera anche nel tradurre, circostanza che mette ancora una volta in luce la continuità fra scrittura e traduzione[5]. Non sembra nemmeno un caso che Balbo, a inizio del testo, adoperi, a proposito delle versioni rilkiane, il termine “rifacimento”, indicazione che ne riconosce chiaramente la dimensione autoriale.

Poco alla volta questa idea si fa strada, come emerge ancora nella nota che ricompare identica nella terza edizione del ‘46, contribuendo anche qui a dare rilievo alla figura del traduttore: non solo un’ideologia politica, pure se certamente presente, induce a ricordare la morte di Pintor. La biografia del traduttore, normalmente mai menzionata in alcuna zona del paratesto, appare in questo caso a ribadire la dimensione di repertorio privato proposto al pubblico, che Pintor aveva caldeggiato per le sue traduzioni. Se la nota rimane invariata, il contesto della terza edizione è però mutato e porta il segno del maggiore agio conquistato a partire dalla fine della guerra. Non cambiano formato e fascicolatura (permane il formato in quarto), ma è evidente una cura complessiva del sottile volume che esce adesso presso la Stamperia artistica Nazionale di via Carlo Alberto a Torino. La copertina è di grammatura e consistenza diversa, semirigida e di colore chiaro, più solida rispetto alle flosce copertine grigie. Anche la carta è migliore, meno acida e quindi più resistente. Il mascherone di Menzio appare infine inquadrato da un righello: tutto, insomma, pure in un’edizione che non è certo di lusso, appare realizzato con dispendio maggiore.

Un’ulteriore e decisiva svolta verso la storicizzazione caratterizza la quarta edizione a cui danno il loro contributo Felice Balbo e Massimo Mila insieme a Fortunato Pintor, che agisce come una sorta di consulente esterno. I primi due non condividono però l’idea di accludere alle poesie di Rilke una scelta antologica di altre di 12 traduzioni da Hesse e da Trakl, Hofmannsthal, Britting e Alverdes. A parte Hofmannsthal, scrive Mila a nome anche di Balbo, non sono poeti all’altezza di Rilke e perciò non sarebbe opportuna una raccolta indistinta delle traduzioni (A.S.E.: Fortunato Pintor fasc. 2424, f. 4). Un’obiezione condivisa poi, in una lunga lettera del 17 ottobre 1946, anche da Fortunato Pintor che ammette di avere ceduto in un primo momento al naturale impulso di recuperare “ogni reliquia” di quella “vita troncata” (A.S.E.: Fortunato Pintor fasc. 2424 f. 6 r. e v.).

L’edizione del 1948 opterà alla fine per una mediazione che vedrà accluse alle traduzioni di Rilke solo alcuni testi tradotti da Hesse e Trakl, ampliando però, come concordato, la scelta di testi rilkiani. Il titolo stesso della raccolta è cambiato: si parla di Poesie e Prose di Rainer Maria Rilke mentre dal canto suo, l’editore appone, in luogo del mascherone delle prime edizioni, la propria marca tipografica. Anche se non in maniera esplicita la via editoriale che si va percorrendo è quella di un riconoscimento autoriale: quello di Pintor può essere inteso come un quaderno di traduzioni, genere ormai noto al mercato editoriale italiano, a partire dal quaderno di Montale, uscito nel 1948 per la Meridiana di Mondadori.

Alla nota del traduttore, che continua a comparire nella pagina finale, fa da pendant un’informazione di stampo prettamente editoriale posta a inizio:

Giaime Pintor non ha fatto a tempo a curare questa quarta edizione.
Cadde nell’adempimento di una missione di guerra partigiana sul fronte di Cassino, il 1° dicembre 1943.
La scelta delle poesie di Rilke è quale che egli la volle e curò nelle due prime edizioni. Ci è parso che aggiungere al libro due brani dei Quaderni di Malte Laurids Brigge, tre brevi note critiche che accompagnavano queste prose e alcune poesie, e versioni da altri poeti tedeschi contemporanei da lui pubblicate sulle riviste di quegli anni, avrebbe servito a dare un’immagine più intera del suo gusto e dei suoi interessi in questo campo.

Grazie alla nuova nota editoriale, il dispositivo dei paratesti va costruendo un orizzonte di lettura adatto soprattutto a rammentare la figura del traduttore e del suo operato. Attraverso la ripubblicazione dei testi dedicati a Rilke e la presenza di altre prove traduttive, persino ancora in fieri, si attesta la corrispondenza fra parola poetica e attenzione critica, come avviene nel caso di un altro Sonetto a Orfeo pubblicato adesso con una nota: “Trovato fra le carte di Giaime dopo la sua morte, in forma forse non definitiva” (Pintor 1948: 55). A trasformare questa edizione sono infine tre immagini di Roberto Bertagnin che hanno il senso di recuperare l’entità figurale della poesia di Rilke.

Il testo delle traduzioni sta iniziando un suo nuovo cammino: a venire sempre più delineato è il profilo autoriale del traduttore. Dopo Rilke - e prima delle traduzioni da Hesse e Trakl - viene inserito l’intermezzo delle pagine critiche riprese dal volume Germanica, e dai contributi comparsi in Primato e Letteratura dove Pintor articolava in vario modo la sua idea di Rilke come “uno dei personaggi indispensabili della nostra iconografia moderna” di cui occorre però cercare ancora, vista la sua proteiforme figura, l’identità poetica: “sotto le sue bandiere” – osserva ancora Pintor nel 1941 – “militano soldati di ogni fede, dai mistici della reazione letteraria ai teorici del verbo astratto” (Rilke 1948: 116). Un anno prima, in Letteratura, Giaime Pintor aveva invece parlato di sé, cioè delle sue traduzioni, del loro echeggiare nel verso la struttura pascoliana, quella dei Conviviali e del suo

ambiguo gioco di significati. Echi che non sono – è sempre Pintor a dirlo – riflesso di una “facile contaminazione […] Si veda piuttosto l’origine di questi incontri in un fatto mal definibile, nell’oscuro e certo rapporto che congiunge tecnica e gusto (Rilke 1948: 119).

In Rilke Pintor scorgeva un percorso di autoprivazione, il cosciente distacco dal facile lirismo degli inizi, dalla fluidità del decoro estetizzante o dal vezzo di una vocazione simbolista, che erano stati alla base del suo successo: “Così da trattenere per sé – conclude Pintor - appena una materia, dura ed opaca, sicuramente posseduta”. Un percorso che si realizza per detrazione, dove a rimanere sono “pochi segni astratti”, solidi residui ricostruiti intorno alla figura di Orfeo (Rilke 1948: 120). La visione di Rilke da parte di Pintor è divenuta complessa, ma di questo insieme il traduttore vuole dare prova nella sua raccolta, a cominciare dalla nota autoriale che ne segnava fin dall’inizio – e con assoluta chiarezza – la prospettiva.

La nota, che aveva accompagnato l’esordio in volume delle traduzioni, ricompare nell’edizione del 1955 dove le versioni di Pintor appaiono nella Nuova collana di poeti tradotti con testo a fronte. Escono come sesto volume dopo i Sonetti di Shakespeare, le Rime sacre di John Donne, Wallace Stevens, l’epopea russa nella traduzione di Renato Poggioli e le Georgiche di Virgilio. La collana sembra adatta ad accogliere nuovamente Pintor e Rilke, ma la nota che fino ad allora aveva dato spazio alla voce del traduttore a incisivo commento del suo lavoro, scompare, almeno nella sua forma autonoma. È divenuta una citazione di cui si serve adesso Franco Fortini per la sua prefazione. D’altronde la presenza stessa di questo saggio iniziale che reca il titolo Il Rilke di Pintor, è il più evidente riconoscimento dell’appropriazione autoriale del poeta di lingua tedesca da parte del suo traduttore: è a lui che il poeta e traduttore Fortini dedica la sua attenzione.

Accolta all’interno della prefazione, la nota di Pintor appare, contemporaneamente, in un paratesto separato, un piccolo foglio volante, inserito nei libri, che ha il ruolo di sostituire, in pari modo, risvolto e quarta di copertina, secondo una pratica che la casa editrice Einaudi utilizza a partire dal secondo dopoguerra fino agli anni Settanta: li compone l’Ufficio stampa che li contrassegna con una numerazione progressiva[6]. Ma cosa implica questa separazione sul piano del paratesto? La nota originale di Pintor è stata duplicata e, contemporaneamente, sdoppiata. Nel peritesto editoriale il foglietto pubblicitario organizza il proprio messaggio combinando immagine e parole: alla foto del poeta Rilke sono poste, nella forma di una subscriptio, le parole del traduttore a cui segue il ‘comunicato’ editoriale: “Con queste parole Giaime Pintor licenziava la prima edizione del suo libro. Oggi le sue traduzioni da Rilke conservano intatto il loro valore…” (Fortini 1955: 5). Nella prefazione di Fortini, dedicata in impari misura più a Pintor che a Rilke (secondo quanto è annunciato nel titolo), le parole di Pintor ritornano citate alla lettera e con un commento che le reinserisce nel contesto della cultura traduttiva dei loro anni:

Col tono sprezzante, austero e didattico del giovane letterato, Pintor licenziava così la prima edizione del suo libro. Una poesia che è occasione di poesia, in questa polemica contro le traduzioni “culturalistiche” (e quindi contro l’informazione, contro l’antologica critica, le note a pie’ di pagina), in questo mettere innanzi l’esigenza di assoluto e il rigore della “necessità” spirituale, – dove responsabilità e gratuità fanno tutt’uno –, in questo scrupolo di castigata autobiografia, c’è tutta la temperie della giovane letteratura poetica italiana fra il ‘30 e il ‘40 (Fortini 1955: 5).

L’ultima edizione Einaudi, più volte ristampata e a noi nota, è infine quella della collana bianca disegnata da Bruno Munari e Max Huber, che inizia a uscire a partire dal 1964. Il Rilke di Pintor, che riprende l’edizione del ’55 con la prefazione di Fortini, è il trentaduesimo volume, pubblicato nel 1966. Adesso, a marcare l’individualità del testo e delle traduzioni, è la trasparenza di una copertina che guarda all’interno del testo, lo espone esibendo allo stesso tempo il contatto diretto con la lettura. A campeggiare, almeno fino al 2008, è la prima poesia, diventata sicuramente la traduzione più celebre del Rilke di Pintor: Annunciazione (la prima, peraltro, che Pintor aveva tradotto per la rivista Frontespizio).

Se si guarda solo ai versi della prima strofa, posti qui a emblema della raccolta, e li si confronta con il testo tedesco stampato all’interno, si comprende subito quanto Pintor non sia mai tentato dalle facilità sonore, ma si muova piuttosto sul lieve equilibrio di rime e assonanze (lontani e mani, giorno e contorno), rinnovi il piano degli enjambements creando fra le parole (Dio e lontani, in questo caso) un’analogia speculare, come avviene, nell’arco della poesia, attraverso l’esplicita e ribadita menzione del tu o il cambiamento semantico dall’albero con la presenza radicata della pianta, parola peraltro più breve, ma posta splendidamente in relazione, nelle parole che l’Angelo rivolge a Maria,  con il senso assoluto dell’origine: “tu, tu sei la pianta”.

Una traduzione giustamente famosa, tanto da essere ripresa anche nell’edizione completa delle poesie di Rilke, promossa da Einaudi-Gallimard per la Biblioteca della Pléiade, spezzando la sequenza delle versioni dovute a Giacomo Cacciapaglia. Solo per questa poesia compare la traduzione di Pintor: sembra che il germanista Giuliano Baioni, curatore della raccolta, abbia voluto così[7]. Il gusto autoriale del traduttore si è imposto, facendo da guida a una tradizione che a sua volta afferma l’unicità originale del testo tradotto.

A questo punto non si tratta più di paratesti, ma di testi veri e propri. È qui che, potremmo dire, approda il viaggio di quella breve nota che appariva nella prima edizione. E se lì Pintor suggeriva implicitamente le proprie ragioni autoriali, nel tempo il titolo di autore gli è stato esplicitamente accordato: quando Fortini assimilava le sue traduzioni alla letteratura italiana, quell’interpretazione preludeva a ciò che verrà sancito nell’antologia dei Poeti italiani del Novecento di Pier Vincenzo Mengaldo del 1978 in cui Pintor viene inserito come traduttore (e prima di tutte con la sua versione di Annunciazione) a pieno diritto fra le voci della nostra poesia.

Bibliografia

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Calabri, Maria Cecilia (2007) Il costante piacere di vivere, Torino, Utet.

Dorowin, Hermann (2005) Un illuminista sulla “via orfica e tumultuosa”, in AA. VV (ed.) Giaime Pintor e la sua generazione, Roma, Manifestolibri.

Elefante, Chiara (2012) Traduzione e paratesto, Bologna, Bononia University press

Fortini, Franco (1955) Il Rilke di Pintor, in Rainer Maria Rilke, Poesie con due prose dai Quaderni di Malte Laurids Brigge e versioni da H. Hesse e G. Trakl, Torino Einaudi.

Gil-Dardaji, Anna, Sara Rovira-Esteva, Orero Pilar (eds.) (2012) Translation peripheries: paratextual elements in translation, Bern et al., Peter Lang

Mangoni, Luisa (1999) Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Bollati Boringhieri.

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Pintor, Giaime (1978) Doppio diario, Michela Serri (ed.), Torino Einaudi

Rilke, Rainer Maria (1942) Poesie, trad. it. di Giaime Pintor, Torino, Einaudi.

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Note

[1] Proprio nel’42, l’anno di uscita di Rilke, Giulio Einaudi nominava Pintor responsabile della sezione tedesca (un attestato si trova in A. S. E. fasc. Giaime Pintor 2425 f. 4).

[2] Biblioteca comunale centrale di Milano. Fondo Montale FIR 303, numero di inventario 1806.

[3] Una prima traduzione dei Sonetti a Orfeo era già uscita nella traduzione di Raffaello Prati nel 1937.

[4] Non è stato possibile definire con certezza né l’origine né la destinazione del ricordo inedito di Felice Balbo, scritto su 3 fogli dattiloscritti firmati.

[5] Questo metodo di scrittura si può ben ipotizzare anche per le traduzioni, come testimoniano i manoscritti della traduzione del dramma breve di Hofmannsthal,  Der Tor e der Tod, che ho potuto visionare grazie ad Antonietta Pintor che qui ricordo e ringrazio per la gentilezza e disponibilità.

[6] Ringrazio per l’informazione Tommaso Munari.

[7] Mi permetto di avvalermi della testimonianza di Andreina Lavagetto che ha curato il commento delle poesie nei volumi Einaudi-Pleiade dedicati all’opera poetica di Rilke.

About the author(s)

Gabriella Catalano is Full Professor of German Language at the Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Her research topics include 18th- and 19th-century German Language and Literature since the Enlightenment, with a particular focus on modern German thought and culture. Her theoretical interests include history of translation and linguistics of text. She has worked in different areas, such as the relationship between literature and history of art. She is the author of Musei invisibili (2007) and Goethe (2014), in addition to numerous articles: on Winckelmann, Goethe, Brentano, Arnim, Stifter, Fontane, Hofmannsthal, Musil, Jandl, Bernhard.

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©inTRAlinea & Gabriella Catalano (2020).
"Una nota a margine Giaime Pintor e Rilke: storia delle edizioni"
inTRAlinea Special Issue: La traduzione e i suoi paratesti
Edited by: Gabriella Catalano & Nicoletta Marcialis
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