Autoritratto in verde giallastro

Translated by: Andrea Sirotti

Self-Portrait in Yellowish Green by Sujata Bhatt
A Better Colour for Solitude, Carcanet, Manchester 2002


1906 Verde pappagallo, verde lime, verde pistacchio, verde giallastro-- lucido sul mento dove posa la tua mano, ancora la mano sinistra-- E attraverso le palpebre ancora più verde-- È la luce? O è un’ombra? Gli orecchi sono rosa scuri: bruciati, testardi-- Colori di follia, la gente dirà, colori malsani-- Ma se gli dici quello che pensi davvero fuggiranno via spaventati--
1906 Parrot green, lime green, pistachio green, yellowish green-- bright on your chin where your hand rests, the left hand again-- And there across your eyelids more green-- Is it the light? Or is it a shadow? Your ears are dark pink: sunburnt, stubborn-- Colours of madness, people will say, colours of insanity-- But if you tell them what you really think they will turn away, afraid--
1906 Verde pappagallo, verde lime, verde pistacchio, verde giallastro-- lucido sul mento dove posa la tua mano, ancora la mano sinistra-- E attraverso le palpebre ancora più verde-- È la luce? O è un’ombra? Gli orecchi sono rosa scuri: bruciati, testardi-- Colori di follia, la gente dirà, colori malsani-- Ma se gli dici quello che pensi davvero fuggiranno via spaventati-- 1906 Parrot green, lime green, pistachio green, yellowish green-- bright on your chin where your hand rests, the left hand again-- And there across your eyelids more green-- Is it the light? Or is it a shadow? Your ears are dark pink: sunburnt, stubborn-- Colours of madness, people will say, colours of insanity-- But if you tell them what you really think they will turn away, afraid--
Sujata Bhatt, una delle voci più innovative e originali della poesia contemporanea in inglese, è nata nel 1956 ad Ahmedabad (India) ha vissuto a lungo negli Stati Uniti e in Germania, a Brema, dove vive attualmente con il marito, lo scrittore tedesco Michael Augustin e la figlia. Nel 1992 è stata writer-in-residence all’Università di Victoria, Canada. Le sue poesie sono state pubblicate in Inghilterra (da Carcanet) e in India (da Penguin). Le sue opere comprendono: Brunizem (1988), Monkey Shadows (1991), The Stinking Rose (1994), Augatora (2000). Del 1997, è l’uscita delle poesie scelte Point no Point. Il suo ultimo volume, da cui sono tratte le poesie che presentiamo, è A Better Colour for Solitude, Carcanet, Manchester 2002, dedicato alla pittrice tedesca Paula Modersohn Becker. La sua produzione poetica ha ottenuto ampi riconoscimenti sia in India che in Gran Bretagna, tra cui, nell’1988 il Commonwealth Poetry Prize (Asia) e l’Alice Hunt Bartlett Award. Alcune sue poesie sono state tradotte in italiano su diverse riviste (tra cui “Tratti”, “Testo a Fronte”, “Lo Straniero”, “Semicerchio”) e antologie (tra cui L’India dell’anima Le Lettere, Firenze 2000). Poetessa tipicamente apolide e transnazionale, la Bhatt vive tutti i suoi trasferimenti in modo sempre piuttosto traumatico (il rigoglioso giardino davanti alla casa di Poona sarà nelle sue poesie quasi il riferimento ad un eden perduto). Il migrare è tuttavia per lei una straordinaria ricchezza da un punto di vista culturale e linguistico. L’uso dell’inglese, ad esempio, scelto a scapito della lingua madre, il gujarati, avviene secondo un’interessante stratificazione. Bhatt, per così dire, impara l’inglese “due volte”. La prima da piccola a New Orleans (l’inglese americano), la seconda in età scolare in un istituto di suore cattoliche a Poona (la versione britannica). Questa situazione la porta a riflettere più di altri sull’uso della lingua come medium comunicativo, anche nel senso della mediazione culturale. La scelta dell’inglese, però, non esclude mai la compresenza delle altre lingue. Il procedimentopuò essere consapevole, come avviene ad esempio in alcune poesie esplicitamente bilingui come la bellissima Search for My Tongue (in Brunizem); o più spesso inconsapevole come avviene in molti altri casi in cui l’influenza della lingua madre e delle altre lingue indiane (lingue, per così dire, ‘sorelle’), danno uno straordinario - e sotterraneo - apporto di originalità ed efficacia all’inglese. Una delle cose che sorprendono, oltre alla capacità di “creare linguaggio” è l’incredibile forza visuale delle poesie, molte delle quali direttamente ispirate alle arti figurative. Bhatt sembra in grado di trovare nelle sfumature di colore, nella traccia di un disegno, conclusioni esistenziali di grande pregnanza come nella poesia ispirata a un ritratto di Rilke eseguito da Paula Becker in cui fa dire alla pittrice «I am the artist: / For once, it is me who is / not female, not male-- but both / and also neither-- I am the artist / who understands the light on your skin.» («sono io l’artista: / per una volta, sono io che non sono / né femmina, né maschio -- ma entrambi / e anche nessuno dei due -- Io sono l’artista / che capisce la luce sulla tua pelle») Si può dire che questa visione sovrasessuale (o intersessuale) dell’artista è spesso presente nelle poesie della Bhatt, anche, paradossalmente, in quelle di contenuto erotico, in cui spesso avviene l’osservazione “equidistante” di entrambi le componenti come nella bellissima poesia giovanile The Kama Sutra Retold (da Brunizem) dove viene descritta la scoperta dell’amore adolescente: Questo non significa che il “personale”, il vissuto femminile, non sia importante per Sujata. Moltissime delle poesie riguardano certamente esperienze tipicamente femminili (come ad esempio le mestruazioni o il parto, l’essere figlia, o madre, o sorella), ma sono sempre presentate nella loro valenza universale. Una delle poesie più antologizzate di Sujata è White Asparagus (in Monkey Shadows) che inizia, in modo sorprendente, con una domanda: «Chi parla mai delle forti correnti / che scorrono nelle gambe, nei seni / di una donna incinta / al quarto mese?». Sembra evidente il desiderio di parlare, di rivelare, di far capire, di squarciare il velo su tutto quello che per molto tempo è stato silente, taboo, nascosto. Ed è qui che il personale diventa politico. Secondo Sujata (e per la verità anche secondo molte donne poeta dell’India), è stato fatto troppo silenzio su ciò che riguarda le istanze del femminile, spesso dalle donne stesse - il tipico, secolare, silenzio sottomesso delle donne indiane riprodotto in tanti romanzi o film - e il compito dell’autrice è quello di spezzare questo silenzio storico, con un’emotività lirica e sonora, una voce discreta ma decisa, densa di sensualità straniata e scevra dall’intimismo rivendicativo o autocommiserativo. Il dar voce alle “cose delle donne”, al loro corpo e al pensiero indissolubilmente legati, significa anche entrare in comunicazione con l’altro, come si vede anche nella scelta del titolo della raccolta Augatora. Questa è una parola alto tedesca antica che indicava la finestra e che poteva significare sia “porta dell’occhio” che “apertura a forma di occhio”. L’etimo di Augatora rimanda quindi a un movimento visivo dall’interno all’esterno, uno sguardo su paesaggi reali o immaginati, ma, anche, allo stesso tempo, a un movimento dall’esterno all’interno, una breccia che collega i landscapes e i cityscapes con la geografia interiore. Paesaggi che, in modo simile al vento in una casa, penetrano e s’affacciano, invasivi, all’occhio della memoria. Questo procedimento di uscita-entrata, di interscambio, porta a un necessario e doloroso confronto dell’individuo con il mondo “esterno” (l’universo maschile, l’occidente, ecc.). Solo da questo confronto con il “fuori”, solo attraverso la negoziazione, l’esposizione di parti del “dentro”, della propria identità culturale, avviene, nel dolore, la vera crescita umana e sociale, la vera “emancipazione”

©inTRAlinea & Andrea Sirotti (2004).
"Autoritratto in verde giallastro". Translation from the work of Sujata Bhatt.
This translation can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/translations/item/987

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