I giorni del parco

Translated by: Giulia Rinaldi (Rimini, Italy)

PARK-GOING DAYS by Evenlyn Conlon
[CUTTING THE NIGHT IN TWO], [NEW ISLAND]: [DUBLIN], pp. [400], [euro 11,99]


Presero le sedie e i bambini di cui quel giorno erano particolarmente orgogliose e li portarono al parco nel primo giorno d’estate, sollevate perché l’oscurità era finita e ripetendo continuamente “che splendida giornata!”, sperando che magari quell’ inno al sole potesse portar loro l’estate. Non ci si poteva credere che in quelle poche case ci fossero così tanti bambini; facile dimenticarsi del quinto figlio di Kathleen o che Bridie durante l’inverno ne avesse avuto un altro, ovvio non aver visto l’ultimo arrivato di Bridie: tutta colpa del freddo polare. Se qualcuno l’avesse visto, Bridie sarebbe stata una cattiva madre ma in quei paraggi non c’erano madri buone o cattive (anche quelle i cui figli erano ancora dentro), solo madri. Era un giovedì dopo pranzo: l’unico uomo del quartiere che aveva un lavoro era già stato nutrito. Nessuna sarebbe andata al parco prima di allora, non per deferenza verso il pranzo di Jack, ma perché la moglie di Jack non sarebbe stata libera fino a quel momento e non c’era niente che facesse sentire una donna più intrappolata in casa di una truppa di donne in marcia verso il parco senza aspettarla, e non c’era niente di peggio che sentirsi intrappolate in casa in una giornata di sole. I giorni di sole in cui andare al parco in questo paese si contano: quindici l’anno scorso, due l’anno prima, dieci l’anno prima ancora e quaranta in quell’ anno in cui Dio era occupato in altre faccende e si era dimenticato di spegnere il riscaldamento, oppure aveva deciso di prendere in giro tutti per renderli poi tristi per i successivi cinque anni. In questo paese nessuna donna nutriva dubbi sul fatto che Dio era un uomo, che è un uomo. Impossibile usare l’imperfetto per parlare di quello, purtroppo. Alcuni pensavano che quell’uomo di per sé fosse sostanzialmente a posto ma che la colpa era tutta di quelli che vennero dopo di lui che combinarono un gran casino. Forse è vero: forse era un tipo a posto. Forse. Difficile crederlo però, in un paese che una sola volta ha avuto quaranta giornate di sole. E’ incredibile quanti preparativi le donne abituate a prestare cure materne dedichino a una gita al parco. Una sdraio pieghevole portatile, olio solare, un asciugamano, dei panini (per evitare di dover preparare qualcos’altro da mangiare per i bambini alle sei), un telo su cui mettere panini e bambini, occhiali da sole, maglioncini leggeri se improvvisamente diventa freddo, qualcosa da bere, gli antibiotici che il bimbo sta prendendo, alcuni giochi per il più piccolo, e per quelle che l’estate scorsa erano ancora incinta il biberon del neonato, un pannolino e tutte le altre cose e i soldi per il gelato. Alle due e dieci si aprivano le porte e fuoriscivano tutte, quasi invisibili dietro tutto quell’armamentario, mentre radunavano intorno a sé i bambini: quelli usciti da poco ancora trasognati e quelli che erano già fuori da un po’ e che si erano già scottati, ed avevano già sete ed erano già stanchi. E sporchi. “Guarda che faccia quella. Vieni qua che ti do una pulita. Vergognati!”. E affondava la faccia della bambina nell’asciugamano, sgridandola davanti agli amici che non si erano accorti di niente. Si incamminarono, e Rita dietro di loro. Non andò al parco ma ci passò vicino mentre andava verso i negozi, quasi sperando che se l’anno seguente ci fosse stata un’estate o se quest’anno fosse durata più di un giorno, le avrebbero chiesto di unirsi a loro consapevole che sarebbe stato meglio se non glielo avessero chiesto, perché se si fossero stancate (cosa che sarebbe successa non appena avessero capito com’era lei e perché) non si sarebbero più scambiate commenti superficiali come si fa tra estranei. Per il momento loro e lei potevano scambiarsi convenevoli a vicenda: loro, pronte a gettarle addosso commenti lusinghieri per curiosità, a lei, la nuova arrivata, e lei per renderle meno curiose, senza riuscirci. Più lei diceva “Bella giornata”, più loro volevano sapere. Più lei percepiva il loro fiutare, più ne era spaventata. Quella donna dalla faccia sgradevole con la vestaglia di nylon, troppo vecchia per andare al parco, che stava di nuovo lucidando i suoi ottoni. Chi credeva di ingannare? Ovviamente era più sola che se fosse stata morta, ma non ci si poteva aspettare che Rita provasse compassione. Rita camminava dietro a loro, indispettita dall’accozzaglia di garage costruiti alle estremità dei giardini, gettati alla rinfusa uno sull’altro come in un informe impeto di ira. In inverno poteva evitarli guardandosi i piedi, cosa che faceva di solito, ma quel giorno il sole proiettava le loro ombre lungo la strada sotto i suoi occhi. C’era un urgente bisogno di un bel bulldozer. Che li abbattesse tutti. Non aveva alcun debole per le vecchie rimesse, né per le stalle dai muri di fango, per i pollai più ampi, e così per i garage l’unica soluzione che le veniva in mente era un bulldozer. Suo marito non sarebbe stato d’accordo. D’altra parte lui veniva da un posto in cui i campi si alternavano armoniosamente ad altri campi che incrociavano disordinatamente più e più campi, piani o collinosi, che offrivano spazio malvolentieri a sporadiche case, obbligate a servirsi di sgangherati capanni come protezione contro l’erba che avanzava. Lei proveniva dal sogno di un geometra, dove i giardini sul retro delle case erano l’unica concessione alle più elevate necessità. Passò attraverso il parco e le vide. Appartenevano a un’ epoca antecedente a quella in cui si portava un solo orecchino. Due orecchie, due orecchini. Le dita erano l’unica singola parte divisa in unità. Ci mettevano anelli. Soprattutto mettevano un anello in ogni dito, a volte insieme a un altro, variazioni di volgarità e bruttezza. Gli anelli segnavano gli stadi della loro abnegazione e autodistruzione. Rita vedeva gli anelli luccicare al sole, li distingueva, quei gioielli da due soldi irraggiungibili nel cielo. Le donne la videro e pensarono cose diverse, non tanto su di lei quanto piuttosto sul tipo che lei era. “E’ impossibile fare contento uno come lui. Se non è per lo smog, è per lo sporco o la parlata. Eh Cristo, senti chi parla!” “Ma come fa a sopportarlo? E poi lui la rende strana.” “C’è qualcos’altro di strano in lei, ma non so bene dire cosa.” “Eh, si.” In fin dei conti, tutte sapevano in cuor loro che l’unica cosa strana in lei era che non la conoscevano e che era sposata con uno di campagna. Non che ci fosse una gran differenza tra loro. Si sistemarono sulle sedie osservando la loro collettiva nuova generazione, paragonandola positivamente agli altri gruppi del parco, consce del fatto che fossero tutti parte di altri gruppi ancora lì nel parco, e che tutti insieme erano la prova vivente di centinaia di chilometri di cordone ombelicale reciso. Pronunciavano frasi sconnesse in modo casuale. La conversazione si organizzava solo quando c’era una tragedia o uno scandalo da raccontare. Ma il silenzio non era mai silente, era solo uno spazio di tempo tra parole di spiegazione e parole di esasperazione. Bridie teneva a bada i suoi con la coda dell’occhio. Sean sempre sporco. Da piccolo si succhiava i polsini della tutina e gli era venuta un’ irritazione nelle pieghe grassottelle della pelle. Adesso si succhiava i polsini del maglione tirandoselo contemporaneamente per la vita, così ogni sera finiva per avere ditate di frustrazione stampate sui vestiti. I suoi pori sembravano risucchiare tutto lo sporco della strada. I suoi tagli si infettavano continuamente. Anne. Acuta. Precoce e pulita. Anche lei avrebbe avuto dei bambini: non c’era bisogno di dirlo. Giocava con i fratelli maggiori con un piglio da leader, come se già sapesse. “Se Dio vuole, uscirà da scuola alle due e mezza quando farà la Comunione.” Il che avrebbe rappresentato un altro passo avanti nell’affidarla al Signore. “Ieri mi ci è voluto tutto il giorno per uscire fuori città. Picchetti davanti al Parlamento. Dovrebbero spostare quel palazzone da qualche parte in campagna per non impedire alla gente di tornarsene a casa. Non farebbero tutti ‘sti picchetti se fosse così lontano.” I loro grassi corpi si girarono sulle sedie a sdraio. Avevano patito le ordinarie insoddisfazioni dell’ essere sposate con i rispettivi mariti. Quello di Kathleen ci era restato male quando le presero le doglie e si sedette sugli scalini della banca in città incapace di muoversi di un solo centimetro. Era Sabato e la banca era chiusa: cosa poteva farci lui? Appena sposata e prima di avere bambini, Molly andava sempre a trovare suo marito al lavoro. Pensava fosse un gesto carino e si sentiva sola, guadagnava undici sterline prima di sposarsi e adesso con le tasse si erano ridotte a cinque, e così non aveva molto senso che continuasse ad andare al lavoro al momento, visto che il biglietto del bus le costava due sterline. Un giorno lui le disse che doveva smettere di andarci e abituarsi alla nuova casa per il bene di entrambi o gli uomini al lavoro avrebbero iniziato a fare commenti. “Ma non conosco nessuno.” “Conoscerai le altre mamme tra un po’.” Lui sorrise. Lei sorrise. Era una piccola, subdola esclusione, in preparazione alle successive più grandi: come una pacca sulle spalle a quelle donne che, con lo sguardo assente, senza intenzione, e lontano dal voler provocare, entravano spingendo carrozzine nei supermercati. Lei non ci andò mai più. L’ uomo di Bridie, da giovane, aveva corso da un paese all’altro, farcendosi di esperienze, riversandosi in tutta l’Europa eppure non aveva mai niente da dire. Aveva detto solo una volta “Ti amo”. Era un consumatore di culture, sapeva qualche parola di francese, cosa che gli dava un leggero vantaggio sugli altri uomini del quartiere ma a Bridie non serviva. L’uomo di Deirdre, il bevitore, faceva anche lui la sua parte con i bambini. Delle volte al pub parlava di loro con la serietà tipica degli uomini ubriachi, e una volta aveva regalato loro dei francobolli freschi di emissione, comprandoli da un tale che lavorava alle Poste e che per caso, giust’appunto in quel momento era seduto a bere di fianco a lui. E questo era molto più di quello che potesse fare una donna. Kathleen aveva spezzato il cuore a sua madre: “Ma’, non volevo dirtelo, ma visto che stiamo fuori tutto il giorno e che ci ho il pensiero fisso e che me lo sono tenuto per me e insomma che non è bene che me lo tenga per me e…. e tutto sommato neanche per te, e insomma sono incinta.” Kathleen sospirò. Bridie appoggiò le sue vene varicose sulla ruota della carrozzina. Tutte queste cose, il grasso, le vene, i sospiri, erano espressione della colonna portante del paese. Nessuno si aspetterebbe mai di vederla rappresentata da immagini di anoressiche fantasie maschili vomitate a ripetizione dalla pubblicità. “Che bella giornata!” “Un dottore una volta ha detto a mia madre che ci sono due cose terribili per una donna: stirare e non poter lasciar perdere tutto per correre fuori al primo raggio di sole.” “Sì, è proprio una gran bella giornata.” “Ho voglia di una sigaretta. Strano che in certi momenti ne hai voglia e in altri no.” “Non sapevo che fumassi, Molly.” Molly alzò la voce a volume isteria. “Fumare? Lo chiami fumare questo? Io ero una fumatrice incallita. Eccome! Me ne sono andata in fumo. Labbra, gonne, reggiseno, mutande. Un fiammifero mi durava un giorno intero. Ne accendevo una con l’altra.” “Che sigarette fumavi?” Non era né una domanda né un giudizio dopo lo sfogo di Molly. “Le Albany.” “Erano sigarette speciali? Non me le ricordo. Io fumavo le Woodbine. Non è mai morto nessuno che fumasse le Woodbine.” “Sono quasi le sei.” Era stato un gran giorno. Nessuno si era tagliato o ferito malamente. C’era stata la solita lite fuori controllo, ma nulla di così serio da arrivare alle mani. Una donna che non apparteneva al loro gruppo aveva picchiato sua figlia. L’aveva picchiata perché non voleva mai scendere dall’ altalena. La bambina aveva risposto con un calcio. Le donne si scambiarono un cenno con la testa, come a dire “ben le sta”. La madre la picchiò ancora. L’incidente avrebbe potuto trasformarsi in infanticidio ma il dissenso generale, la partecipazione e i pensieri della serie “rilassati, vedrai che andrà meglio”, fecero riconoscere la sconfitta alla madre. Già, una gran bella giornata. Stavano raccogliendo la loro roba quando Rita ripassò, di ritorno verso casa. I gesti si fecero più lenti per lasciarla passare. Erano stanche di quelle come lei: neanche un figlio, venuta ad abitare in quella casa in affitto, a stuzzicare la loro curiosità per poi starsene in disparte. “La cosa più difficile non è sposare uno zotico ma abituarsi a uno come lui.” Risero. Avrebbero potuto vedere che era infelice ma non le concessero quello status, nel modo meschino di cui è capace la gente di città, circondata com’è da così tante persone infelici, alcune delle quali, proprio perché sono così numerose, diventano superflue. Tiravano su il naso e chiudevano le tende a un paio di centimetri dalla faccia, come la gente di campagna non avrebbe mai potuto fare. (Magari tra vent’anni la tua vicina ti tornerà utile quando tutti gli altri se ne saranno andati via, in America o a Dublino.) Man mano che arrancavano verso le porte delle rispettive case, stremate dal caldo, con i bambini che piagnucolavano più forte non appena intravedevano in lontananza la sagoma delle loro case perché non erano stati abbastanza al parco, “solo tre ore mammina”, ognuna si ritirava dall’esperienza collettiva per concentrarsi sui propri problemi individuali. I parchi erano OK: la somma all’aria aperta di un numero totale di vite normalmente vissute in stanze anguste con porte e muri sufficientemente spessi da celare ogni tipo di oscenità. D’altra parte, nessuno vivrebbe per tutta la vita in un parco né si comporterebbe mai a casa propria come se fosse in un parco. Dopo un po’ la gente ti dà ai nervi, anche nelle giornate di sole, ed é questo il motivo principale per cui gli inquilini della casa in affitto tornavano sempre utili. Tutta la gente della via poteva riversare addosso a loro il proprio disprezzo reciproco, evitando così faide di quartiere ben peggiori. Rita sapeva cosa stavano pensando. A volte, alle quattro del mattino (si svegliava spesso alle quattro) guardava fuori e vedeva i riflessi delle luci nelle loro case e sentiva quasi di poterle perdonare, chi non sarebbe capace di perdonare qualunque cosa ad una donna quando la vede lottare a quell’ ora assurda per zittire un neonato strepitante e affamato? Rita aveva avuto un bambino. Il bambino era morto e a lei non era concesso pensarci. Cosa era successo nessuno lo sapeva: era morto e basta. Ma Rita adesso stava bene. Bene. Le strade avrebbero sgorgato solidarietà se avessero saputo. Una cosa che Rita rimpiangeva era non poter passare le giornate al parco con le altre madri. Aveva notato il modo in cui le madri cercavano di farsi perdonare dai figli quando andavano al parco. Di farsi perdonare per ogni tipo di problema, per cose come liti domestiche concentrate e compresse che trovavano sfogo sul fondoschiena dei figli quando uomini e donne decidevano nel medesimo istante che era arrivata l’ora di inculcare le buone maniere nella prole capace di esasperarli in quel momento. Lo potevano fare perché sapevano che le madri si sarebbero fatte perdonare in fretta: sicuramente in un parco se c’era una giornata di sole. A Rita sarebbero piaciuti quei momenti in cui si cerca il perdono. Alla fine fu Bridie a chiedere a Rita se si voleva sedere con loro nel parco, così, solo per qualche minuto, per prendersi una piccola pausa. Rita stirò le gambe in avanti e disse a se stessa adesso è ora che me ne vada. Erano molto impegnate a pensare alla giornata precedente e a quella prima ancora, mentre Rita non aveva pensato tutto il tempo a se stessa perché non le era permesso; e ognuna delle altre si continuava a ripetere fra sé come in realtà Rita fosse davvero carina. Il giorno seguente pioveva. Le nuvole insidiarono quel poco di sole che c’era stato e Rita iniziò a fare le valigie. Disse arrivederci prima che lei e il suo marito di campagna partissero, bussò ad ogni singola porta e se ne andò via prima che avessero avuto il tempo di imparare qualcosa su di lei. Una settimana più tardi, potendo guardare attraverso i muri, le si sarebbe viste tutte intente a pulire nasi, prendere a sberle gambe nude, schiacciare un pisolino di nascosto, stendere panni e chinarsi sui bambini continuamente fino ad avere mal di schiena, mentre i nuovi inquilini si trasferivano e su tutti cadeva la pioggia.
They took their chairs and children, of whom they were terribly proud today, to the park on the first day of summer, relieved that the darkness was over and repeating again and again `Great day', so that maybe such sun worship would bring them a summer. You would never have believed that in those few houses there could be so many children - you could easily have forgotten Kathleen's fifth or that Bridie, during the winter, had had another, because, naturally, you never saw it, Bridie's new one, due to the freezing conditions. If you did, Bridie was a bad mother and there were no good or bad mothers around here (even the ones whose sons were inside) - just mothers. It was a Thursday after lunch - the one man who had a job nearby had been fed. No one would have gone to the park before that happened, not in deference to jack eating, but because Jack's wife wouldn't be free until then, and there was nothing to make a woman feel housebound like all the other women trooping up to the park before her, and there was nothing worse than feeling housebound on a sunny day. The park-going days of sunshine were truly numbered in this country - fifteen last year, two the year before, ten the year before that and forty on the year that God was otherwise occupied and forgot to switch off the heat, or else decided to tease everyone and make them mournful for the next five years. No woman in this country had any doubt but that God was a man - is a man. There's no was about that fellow unfortunately. Some had the view that the man himself was intrinsically all right and that it was the ones who took over after him who mucked the whole thing up. Could be true- he may have been all right. Perhaps. But it's a hard thing to believe, in a country that only once had forty days of sunshine. It's amazing the amount of preparations women used to mothering can put into a trip to the park. One folded-up light deck chair, suntan oil, face cloth, sandwiches (which will avoid having to make a children's tea at six), rug to put sandwiches and children on, sunglasses, small lightish jumpers in case it turns cold suddenly, drinks, the antibiotics that the child is on, some toys for the baby - for the ones who were pregnant last summer - the baby's bottle, one nappy and all that baby stuff, and ice-cream money. At ten past two all the doors opened and out they poured, nearly invisible behind all the paraphernalia, calling around them the children who had been dreamy and inside and the ones who had already been outside getting burned and thirsty and cranky. And dirty. `Look at the face of her. Come here to me until I give you a wipe. Disgracing me.' She dug the face cloth into the child's face, disgracing it in front of friends who hadn't noticed at all. They went, and Rita went after them. She didn't go to the park but she passed it on the way to the shops, half hoping that if there was a summer next year, or if this one lasted beyond the day, they would ask her to join them, knowing that it would be better if they didn't, because if they ran out of steam - which they would when they realised the sort of her and why - there could be no more casual comments passed between them as strangers. They and she could whistle pleasantries back and forth at the moment; they, prepared to waste their sweet words on her because of curiosity - a new resident - she, to make them less curious, and failing. The more she said, ‘Nice day’, the more they wanted to know. The more she felt their sniffing, the more frightened she got. That sneaky-faced woman in the nylon housecoat, too old to walk to the park, polishing her brasses again. Who did she think she was fooling! Of course, she was lonelier than if she was dead, but Rita couldn't be expected to be built of sympathy. Rita walked after them, aggravated at the bits and pieces of garages built at the ends of gardens, as if thrown together in shapeless anger. In winter she could escape them by looking down at her feet, which she did, but today the sun threw their shadow across the street under her eyes. A bulldozer was needed badly. Knock down the whole lot of them. She had no soft spots for old farm barns, mudwall byres or extended hen houses, so she couldn't see anything for the garages but the bulldozer. Her husband would not have agreed. But then he came from places where fields lay companionably beside other fields that ran casually into more and more fields, flat and hilly, offering space grudgingly to the occasional house, which was then forced to use rickety outhouses as protection against the ever approaching grass. She was from a geometrician's dream, where back gardens were only concessions to the superior needs of houses. She passed the park and saw them. They belonged to a time before the time of one earring. Two ears, two earrings. Fingers were the only single part of them that divided into ones. They put rings on them. Most importantly, they put one ring on one finger, sometimes along with another, varying in degrees of vulgarity and awfulness. The rings marked stages in their self-denial and destruction. Rita saw the rings glistening in the sun, picking out unreachable baubles in the sky. The women saw her and thought different things, none of them actually about her, more about her type. `You couldn't satisfy him. If it's not the smog, it's the dirt or the accents. Jayzus, would yeh listen to whose talkin' about an accent.' `How does she put up with him? An' it's made her odd.' ‘There's somethin' else odd about her but I can't put me finger on it.' ‘Ah well.' In the end they knew in their hearts that the only thing funny about her was that they didn't know her and that she was married to a culchie. Not much of a gap to be got over. They settled in their chairs and watched their collective new generation, comparing it favourably with the other groups in the park, conscious that they were all part of even more park groups, between them accounting for hundreds of miles of discarded umbilical cords. They uttered unconnected sentences at random. Conversation was organised only when there was tragedy or scandal to be related. But the silence was never silent, it was just a space of time between words of explanation and words of exasperation. Bridie watched hers out of the corner of her eye. Sean always dirty. As a baby he sucked the ends of his Babygro and got a red wrist in his fat little cracks from wet aggravation. Now he sucked his jumper and pulled at his waist all the time, ending up each evening with hand marks branded in frustration on his clothes. His pores seemed to suck in every bit of street dirt going. His cuts usually went septic. Anne. Wise. Precocious and clean. She would have children too - it didn't bear thinking about. She played with her older brothers in a superior bossy way, as if she knew. `She'll be coming out of school at half two when she makes her communion, please God.' That would be another step passed in the sending off of her to the Lord. `It took me all day to get out of town yesterday. Pickets outside the Dail. They should put that buildin' down the country somewhere and not be stoppin' people tryin' to get home. They wouldn't be so quick to picket it if it was down there.' They shifted their fat bodies around on the deck chairs. They had suffered from the usual disappointments being married to their husbands. Kathleen's man had been mortified one day when she was nearly due and she'd sat down on the steps of the bank in town, not fit to move another inch. It was a Saturday and the bank was closed - what could he have been going on about? In her early marriage before having any children, Molly used to call on her husband at work. She thought it was a nice thing to do and she was lonely on her own - she'd been getting eleven pounds before the wedding, now with tax it was only five, so there wasn't much point in her going to work for the short while; the bus fare was two pounds. One day he said that she'd have to stop calling and get used to their new house for both their sakes. The men at work would start talking. `But I don't know anyone.' `You'll get to know some mothers later.' He smiled. She smiled. It was a small subtle exclusion, preparation for the major ones - the tapping on the shoulder as women walked absentmindedly, not deliberately, not provokingly, into supermarkets pushing prams. She never called again. Bridie 's man, when he was young, had kept running from one country to the other, filling himself up with experience, pouring himself all over the Continent and still he hadn't one word to say for himself. He'd only once said `I love you'. He was a consumer of cultures - he had a few words of French, which gave him an edge on the other men on the street but that was no help to Bridie. Deirdre's man - the drinker - did his bit for his children. He talked about them occasionally in pubs in the serious way that drunk men do, once getting first-day issue stamps for them from a man who worked in the P & T, who happened, just happened, to be drinking beside him. Now that was more than a woman could do. Kathleen had broken her mother's heart - `Ma, I wasn't going to tell you this but seeing we're out for the day and that it's on my mind and I have been keeping it to myself and all that and it's no good for me or anything and all that and no good for you either and I'm pregnant.' Kathleen sighed. Bridie put her varicose veins on the wheel of the pram. These - the fat, the veins, the sighs - were the shapes of the backbone of the country. You'd never think it to see the corkscrew, frown-free pictures that poured from the ad men’s anorexic fantasies. `Great day.' A doctor said to my mother once that there are two terrible bad things for a woman - ironing and not dropping everything to run outside when she sees the first blink of sun.' `Yeah, it's a great day' `I'd love a cigarette. Funny the way you feel like it sometimes and not at others.' `I didn't know you smoked, Molly' Molly raised her voice to panic pitch. `Smoke. Smoke is it? I was a chain-smoker. What! I had meself burnt. Me lips, me skirts, me bras, me slips. One match would do me the whole day. Lit one off the other.' `What did you smoke?' It was neither a question nor a statement after Molly's emotion. ‘Albany' `Were they a special cigarette, I don't remember them? I used to smoke Woodbine. No one ever died that smoked Woodbine.' ‘It's near tea time.’ That was a grand day. No one had got cut or desperately badly hurt. There had been the odd row but not enough to deserve a beating. One woman, not belonging to their group, had set her child up for a battering. She hit her because she wanted to go on the swings too often. The child kicked her back. The women nodded a sort of ungrudging, serve-you-right nod. The mother hit her more. The incident might have spiralled into murder but the floating disapproval, the soul sympathy, and the take-it-easy-it'll-get-better thoughts made the mother acknowledge defeat. Yes, a great day. They were gathering up their stuff when Rita walked past, on her way home. They delayed, to let her go on. They were sick of her kind, really - never any children, coming to live in that rented house, teasing their curiosity and staying aloof. `You wouldn't mind so much marrying a culchie but getting used to him.' They laughed. They could have remarked that she was un happy but they denied her that status, in the mean way that city people can, surrounded as they are by so many, some of whom, precisely because of the number, are dispensable. They turned their noses up and pulled their curtains down an inch from their faces like country ones could never do. (Perhaps you might need your neighbour in twenty years when all the rest would be gone, to America, or Dublin.) As they struggled nearer their doors, exhausted from heat, children whingeing when they saw the prospect of home looming closer, that they hadn't stayed long enough in the park, only three hours, Mammy, they each withdrew themselves from collective experience and concentrated on their individual problems. Parks were all right - open-air sum totals of lives that were normally lived in box rooms with thick enough doors and walls to shut out obscenities - but all the same, you wouldn't want to live in a park all your life and you wouldn't want to behave in your own house as if you were in a park. After a while people get on your nerves, even on sunny days - that was why the tenants in the rented house were always handy. Everyone on the street could take their mutual spite out on them and so avoid major street fights. Rita knew what they were thinking. Sometimes at four in the morning - she often woke at four - she would look out and see reflections of their lights and she would feel like forgiving them because who couldn't forgive a woman anything when they saw her struggling at that unearthly hour to silence a crying, hungry baby? Rita had had a child of her own. The child had died and she wasn't allowed to think about it. What had happened was anyone's guess - it just died. But Rita was fine now. Fine. The street would have gushed with sympathy if it had known. One thing Rita regretted not having was park days with mothers. She'd noticed the way mothers made up to the children on park days. Made up to them for all sorts of troubles, things like concentrated, compressed family violences that emptied onto children's backsides when men and women decided at the same moment that they would have to put manners on the offspring who was at that second holding their nerves to ransom. They could do that because they knew that mothers would make it up sometime soon - certainly in a park if it was a sunny day. Rita would have liked the making-up bits. It was Bridie in the end who asked Rita if she wanted to sit down with them in the park, just for a few minutes, for a little rest. Rita stretched her legs out in front of her and said to herself, now I'll have to leave. They talked busily as they watched the replay of yesterday and yesterday, Rita not thinking all the time of her own because she wasn't allowed to; each of the other women remarking to herself how nice she was really. The next day it rained. Clouds stalked over the bit of sunshine they'd had and Rita started packing. She said goodbye before herself and her culchie husband left, knocked on the single doors and got away before they learned anything about her. A week later if you could have cut bits out of the walls, you would have seen them cleaning noses, swiping at bare legs, sneaking off for a rest and drying clothes, bending over babies in the way that causes bad backs, again, again, as the tenants moved in and the rain poured on them all. © by Evelyn Conlon
Presero le sedie e i bambini di cui quel giorno erano particolarmente orgogliose e li portarono al parco nel primo giorno d’estate, sollevate perché l’oscurità era finita e ripetendo continuamente “che splendida giornata!”, sperando che magari quell’ inno al sole potesse portar loro l’estate. Non ci si poteva credere che in quelle poche case ci fossero così tanti bambini; facile dimenticarsi del quinto figlio di Kathleen o che Bridie durante l’inverno ne avesse avuto un altro, ovvio non aver visto l’ultimo arrivato di Bridie: tutta colpa del freddo polare. Se qualcuno l’avesse visto, Bridie sarebbe stata una cattiva madre ma in quei paraggi non c’erano madri buone o cattive (anche quelle i cui figli erano ancora dentro), solo madri. Era un giovedì dopo pranzo: l’unico uomo del quartiere che aveva un lavoro era già stato nutrito. Nessuna sarebbe andata al parco prima di allora, non per deferenza verso il pranzo di Jack, ma perché la moglie di Jack non sarebbe stata libera fino a quel momento e non c’era niente che facesse sentire una donna più intrappolata in casa di una truppa di donne in marcia verso il parco senza aspettarla, e non c’era niente di peggio che sentirsi intrappolate in casa in una giornata di sole. I giorni di sole in cui andare al parco in questo paese si contano: quindici l’anno scorso, due l’anno prima, dieci l’anno prima ancora e quaranta in quell’ anno in cui Dio era occupato in altre faccende e si era dimenticato di spegnere il riscaldamento, oppure aveva deciso di prendere in giro tutti per renderli poi tristi per i successivi cinque anni. In questo paese nessuna donna nutriva dubbi sul fatto che Dio era un uomo, che è un uomo. Impossibile usare l’imperfetto per parlare di quello, purtroppo. Alcuni pensavano che quell’uomo di per sé fosse sostanzialmente a posto ma che la colpa era tutta di quelli che vennero dopo di lui che combinarono un gran casino. Forse è vero: forse era un tipo a posto. Forse. Difficile crederlo però, in un paese che una sola volta ha avuto quaranta giornate di sole. E’ incredibile quanti preparativi le donne abituate a prestare cure materne dedichino a una gita al parco. Una sdraio pieghevole portatile, olio solare, un asciugamano, dei panini (per evitare di dover preparare qualcos’altro da mangiare per i bambini alle sei), un telo su cui mettere panini e bambini, occhiali da sole, maglioncini leggeri se improvvisamente diventa freddo, qualcosa da bere, gli antibiotici che il bimbo sta prendendo, alcuni giochi per il più piccolo, e per quelle che l’estate scorsa erano ancora incinta il biberon del neonato, un pannolino e tutte le altre cose e i soldi per il gelato. Alle due e dieci si aprivano le porte e fuoriscivano tutte, quasi invisibili dietro tutto quell’armamentario, mentre radunavano intorno a sé i bambini: quelli usciti da poco ancora trasognati e quelli che erano già fuori da un po’ e che si erano già scottati, ed avevano già sete ed erano già stanchi. E sporchi. “Guarda che faccia quella. Vieni qua che ti do una pulita. Vergognati!”. E affondava la faccia della bambina nell’asciugamano, sgridandola davanti agli amici che non si erano accorti di niente. Si incamminarono, e Rita dietro di loro. Non andò al parco ma ci passò vicino mentre andava verso i negozi, quasi sperando che se l’anno seguente ci fosse stata un’estate o se quest’anno fosse durata più di un giorno, le avrebbero chiesto di unirsi a loro consapevole che sarebbe stato meglio se non glielo avessero chiesto, perché se si fossero stancate (cosa che sarebbe successa non appena avessero capito com’era lei e perché) non si sarebbero più scambiate commenti superficiali come si fa tra estranei. Per il momento loro e lei potevano scambiarsi convenevoli a vicenda: loro, pronte a gettarle addosso commenti lusinghieri per curiosità, a lei, la nuova arrivata, e lei per renderle meno curiose, senza riuscirci. Più lei diceva “Bella giornata”, più loro volevano sapere. Più lei percepiva il loro fiutare, più ne era spaventata. Quella donna dalla faccia sgradevole con la vestaglia di nylon, troppo vecchia per andare al parco, che stava di nuovo lucidando i suoi ottoni. Chi credeva di ingannare? Ovviamente era più sola che se fosse stata morta, ma non ci si poteva aspettare che Rita provasse compassione. Rita camminava dietro a loro, indispettita dall’accozzaglia di garage costruiti alle estremità dei giardini, gettati alla rinfusa uno sull’altro come in un informe impeto di ira. In inverno poteva evitarli guardandosi i piedi, cosa che faceva di solito, ma quel giorno il sole proiettava le loro ombre lungo la strada sotto i suoi occhi. C’era un urgente bisogno di un bel bulldozer. Che li abbattesse tutti. Non aveva alcun debole per le vecchie rimesse, né per le stalle dai muri di fango, per i pollai più ampi, e così per i garage l’unica soluzione che le veniva in mente era un bulldozer. Suo marito non sarebbe stato d’accordo. D’altra parte lui veniva da un posto in cui i campi si alternavano armoniosamente ad altri campi che incrociavano disordinatamente più e più campi, piani o collinosi, che offrivano spazio malvolentieri a sporadiche case, obbligate a servirsi di sgangherati capanni come protezione contro l’erba che avanzava. Lei proveniva dal sogno di un geometra, dove i giardini sul retro delle case erano l’unica concessione alle più elevate necessità. Passò attraverso il parco e le vide. Appartenevano a un’ epoca antecedente a quella in cui si portava un solo orecchino. Due orecchie, due orecchini. Le dita erano l’unica singola parte divisa in unità. Ci mettevano anelli. Soprattutto mettevano un anello in ogni dito, a volte insieme a un altro, variazioni di volgarità e bruttezza. Gli anelli segnavano gli stadi della loro abnegazione e autodistruzione. Rita vedeva gli anelli luccicare al sole, li distingueva, quei gioielli da due soldi irraggiungibili nel cielo. Le donne la videro e pensarono cose diverse, non tanto su di lei quanto piuttosto sul tipo che lei era. “E’ impossibile fare contento uno come lui. Se non è per lo smog, è per lo sporco o la parlata. Eh Cristo, senti chi parla!” “Ma come fa a sopportarlo? E poi lui la rende strana.” “C’è qualcos’altro di strano in lei, ma non so bene dire cosa.” “Eh, si.” In fin dei conti, tutte sapevano in cuor loro che l’unica cosa strana in lei era che non la conoscevano e che era sposata con uno di campagna. Non che ci fosse una gran differenza tra loro. Si sistemarono sulle sedie osservando la loro collettiva nuova generazione, paragonandola positivamente agli altri gruppi del parco, consce del fatto che fossero tutti parte di altri gruppi ancora lì nel parco, e che tutti insieme erano la prova vivente di centinaia di chilometri di cordone ombelicale reciso. Pronunciavano frasi sconnesse in modo casuale. La conversazione si organizzava solo quando c’era una tragedia o uno scandalo da raccontare. Ma il silenzio non era mai silente, era solo uno spazio di tempo tra parole di spiegazione e parole di esasperazione. Bridie teneva a bada i suoi con la coda dell’occhio. Sean sempre sporco. Da piccolo si succhiava i polsini della tutina e gli era venuta un’ irritazione nelle pieghe grassottelle della pelle. Adesso si succhiava i polsini del maglione tirandoselo contemporaneamente per la vita, così ogni sera finiva per avere ditate di frustrazione stampate sui vestiti. I suoi pori sembravano risucchiare tutto lo sporco della strada. I suoi tagli si infettavano continuamente. Anne. Acuta. Precoce e pulita. Anche lei avrebbe avuto dei bambini: non c’era bisogno di dirlo. Giocava con i fratelli maggiori con un piglio da leader, come se già sapesse. “Se Dio vuole, uscirà da scuola alle due e mezza quando farà la Comunione.” Il che avrebbe rappresentato un altro passo avanti nell’affidarla al Signore. “Ieri mi ci è voluto tutto il giorno per uscire fuori città. Picchetti davanti al Parlamento. Dovrebbero spostare quel palazzone da qualche parte in campagna per non impedire alla gente di tornarsene a casa. Non farebbero tutti ‘sti picchetti se fosse così lontano.” I loro grassi corpi si girarono sulle sedie a sdraio. Avevano patito le ordinarie insoddisfazioni dell’ essere sposate con i rispettivi mariti. Quello di Kathleen ci era restato male quando le presero le doglie e si sedette sugli scalini della banca in città incapace di muoversi di un solo centimetro. Era Sabato e la banca era chiusa: cosa poteva farci lui? Appena sposata e prima di avere bambini, Molly andava sempre a trovare suo marito al lavoro. Pensava fosse un gesto carino e si sentiva sola, guadagnava undici sterline prima di sposarsi e adesso con le tasse si erano ridotte a cinque, e così non aveva molto senso che continuasse ad andare al lavoro al momento, visto che il biglietto del bus le costava due sterline. Un giorno lui le disse che doveva smettere di andarci e abituarsi alla nuova casa per il bene di entrambi o gli uomini al lavoro avrebbero iniziato a fare commenti. “Ma non conosco nessuno.” “Conoscerai le altre mamme tra un po’.” Lui sorrise. Lei sorrise. Era una piccola, subdola esclusione, in preparazione alle successive più grandi: come una pacca sulle spalle a quelle donne che, con lo sguardo assente, senza intenzione, e lontano dal voler provocare, entravano spingendo carrozzine nei supermercati. Lei non ci andò mai più. L’ uomo di Bridie, da giovane, aveva corso da un paese all’altro, farcendosi di esperienze, riversandosi in tutta l’Europa eppure non aveva mai niente da dire. Aveva detto solo una volta “Ti amo”. Era un consumatore di culture, sapeva qualche parola di francese, cosa che gli dava un leggero vantaggio sugli altri uomini del quartiere ma a Bridie non serviva. L’uomo di Deirdre, il bevitore, faceva anche lui la sua parte con i bambini. Delle volte al pub parlava di loro con la serietà tipica degli uomini ubriachi, e una volta aveva regalato loro dei francobolli freschi di emissione, comprandoli da un tale che lavorava alle Poste e che per caso, giust’appunto in quel momento era seduto a bere di fianco a lui. E questo era molto più di quello che potesse fare una donna. Kathleen aveva spezzato il cuore a sua madre: “Ma’, non volevo dirtelo, ma visto che stiamo fuori tutto il giorno e che ci ho il pensiero fisso e che me lo sono tenuto per me e insomma che non è bene che me lo tenga per me e…. e tutto sommato neanche per te, e insomma sono incinta.” Kathleen sospirò. Bridie appoggiò le sue vene varicose sulla ruota della carrozzina. Tutte queste cose, il grasso, le vene, i sospiri, erano espressione della colonna portante del paese. Nessuno si aspetterebbe mai di vederla rappresentata da immagini di anoressiche fantasie maschili vomitate a ripetizione dalla pubblicità. “Che bella giornata!” “Un dottore una volta ha detto a mia madre che ci sono due cose terribili per una donna: stirare e non poter lasciar perdere tutto per correre fuori al primo raggio di sole.” “Sì, è proprio una gran bella giornata.” “Ho voglia di una sigaretta. Strano che in certi momenti ne hai voglia e in altri no.” “Non sapevo che fumassi, Molly.” Molly alzò la voce a volume isteria. “Fumare? Lo chiami fumare questo? Io ero una fumatrice incallita. Eccome! Me ne sono andata in fumo. Labbra, gonne, reggiseno, mutande. Un fiammifero mi durava un giorno intero. Ne accendevo una con l’altra.” “Che sigarette fumavi?” Non era né una domanda né un giudizio dopo lo sfogo di Molly. “Le Albany.” “Erano sigarette speciali? Non me le ricordo. Io fumavo le Woodbine. Non è mai morto nessuno che fumasse le Woodbine.” “Sono quasi le sei.” Era stato un gran giorno. Nessuno si era tagliato o ferito malamente. C’era stata la solita lite fuori controllo, ma nulla di così serio da arrivare alle mani. Una donna che non apparteneva al loro gruppo aveva picchiato sua figlia. L’aveva picchiata perché non voleva mai scendere dall’ altalena. La bambina aveva risposto con un calcio. Le donne si scambiarono un cenno con la testa, come a dire “ben le sta”. La madre la picchiò ancora. L’incidente avrebbe potuto trasformarsi in infanticidio ma il dissenso generale, la partecipazione e i pensieri della serie “rilassati, vedrai che andrà meglio”, fecero riconoscere la sconfitta alla madre. Già, una gran bella giornata. Stavano raccogliendo la loro roba quando Rita ripassò, di ritorno verso casa. I gesti si fecero più lenti per lasciarla passare. Erano stanche di quelle come lei: neanche un figlio, venuta ad abitare in quella casa in affitto, a stuzzicare la loro curiosità per poi starsene in disparte. “La cosa più difficile non è sposare uno zotico ma abituarsi a uno come lui.” Risero. Avrebbero potuto vedere che era infelice ma non le concessero quello status, nel modo meschino di cui è capace la gente di città, circondata com’è da così tante persone infelici, alcune delle quali, proprio perché sono così numerose, diventano superflue. Tiravano su il naso e chiudevano le tende a un paio di centimetri dalla faccia, come la gente di campagna non avrebbe mai potuto fare. (Magari tra vent’anni la tua vicina ti tornerà utile quando tutti gli altri se ne saranno andati via, in America o a Dublino.) Man mano che arrancavano verso le porte delle rispettive case, stremate dal caldo, con i bambini che piagnucolavano più forte non appena intravedevano in lontananza la sagoma delle loro case perché non erano stati abbastanza al parco, “solo tre ore mammina”, ognuna si ritirava dall’esperienza collettiva per concentrarsi sui propri problemi individuali. I parchi erano OK: la somma all’aria aperta di un numero totale di vite normalmente vissute in stanze anguste con porte e muri sufficientemente spessi da celare ogni tipo di oscenità. D’altra parte, nessuno vivrebbe per tutta la vita in un parco né si comporterebbe mai a casa propria come se fosse in un parco. Dopo un po’ la gente ti dà ai nervi, anche nelle giornate di sole, ed é questo il motivo principale per cui gli inquilini della casa in affitto tornavano sempre utili. Tutta la gente della via poteva riversare addosso a loro il proprio disprezzo reciproco, evitando così faide di quartiere ben peggiori. Rita sapeva cosa stavano pensando. A volte, alle quattro del mattino (si svegliava spesso alle quattro) guardava fuori e vedeva i riflessi delle luci nelle loro case e sentiva quasi di poterle perdonare, chi non sarebbe capace di perdonare qualunque cosa ad una donna quando la vede lottare a quell’ ora assurda per zittire un neonato strepitante e affamato? Rita aveva avuto un bambino. Il bambino era morto e a lei non era concesso pensarci. Cosa era successo nessuno lo sapeva: era morto e basta. Ma Rita adesso stava bene. Bene. Le strade avrebbero sgorgato solidarietà se avessero saputo. Una cosa che Rita rimpiangeva era non poter passare le giornate al parco con le altre madri. Aveva notato il modo in cui le madri cercavano di farsi perdonare dai figli quando andavano al parco. Di farsi perdonare per ogni tipo di problema, per cose come liti domestiche concentrate e compresse che trovavano sfogo sul fondoschiena dei figli quando uomini e donne decidevano nel medesimo istante che era arrivata l’ora di inculcare le buone maniere nella prole capace di esasperarli in quel momento. Lo potevano fare perché sapevano che le madri si sarebbero fatte perdonare in fretta: sicuramente in un parco se c’era una giornata di sole. A Rita sarebbero piaciuti quei momenti in cui si cerca il perdono. Alla fine fu Bridie a chiedere a Rita se si voleva sedere con loro nel parco, così, solo per qualche minuto, per prendersi una piccola pausa. Rita stirò le gambe in avanti e disse a se stessa adesso è ora che me ne vada. Erano molto impegnate a pensare alla giornata precedente e a quella prima ancora, mentre Rita non aveva pensato tutto il tempo a se stessa perché non le era permesso; e ognuna delle altre si continuava a ripetere fra sé come in realtà Rita fosse davvero carina. Il giorno seguente pioveva. Le nuvole insidiarono quel poco di sole che c’era stato e Rita iniziò a fare le valigie. Disse arrivederci prima che lei e il suo marito di campagna partissero, bussò ad ogni singola porta e se ne andò via prima che avessero avuto il tempo di imparare qualcosa su di lei. Una settimana più tardi, potendo guardare attraverso i muri, le si sarebbe viste tutte intente a pulire nasi, prendere a sberle gambe nude, schiacciare un pisolino di nascosto, stendere panni e chinarsi sui bambini continuamente fino ad avere mal di schiena, mentre i nuovi inquilini si trasferivano e su tutti cadeva la pioggia. They took their chairs and children, of whom they were terribly proud today, to the park on the first day of summer, relieved that the darkness was over and repeating again and again `Great day', so that maybe such sun worship would bring them a summer. You would never have believed that in those few houses there could be so many children - you could easily have forgotten Kathleen's fifth or that Bridie, during the winter, had had another, because, naturally, you never saw it, Bridie's new one, due to the freezing conditions. If you did, Bridie was a bad mother and there were no good or bad mothers around here (even the ones whose sons were inside) - just mothers. It was a Thursday after lunch - the one man who had a job nearby had been fed. No one would have gone to the park before that happened, not in deference to jack eating, but because Jack's wife wouldn't be free until then, and there was nothing to make a woman feel housebound like all the other women trooping up to the park before her, and there was nothing worse than feeling housebound on a sunny day. The park-going days of sunshine were truly numbered in this country - fifteen last year, two the year before, ten the year before that and forty on the year that God was otherwise occupied and forgot to switch off the heat, or else decided to tease everyone and make them mournful for the next five years. No woman in this country had any doubt but that God was a man - is a man. There's no was about that fellow unfortunately. Some had the view that the man himself was intrinsically all right and that it was the ones who took over after him who mucked the whole thing up. Could be true- he may have been all right. Perhaps. But it's a hard thing to believe, in a country that only once had forty days of sunshine. It's amazing the amount of preparations women used to mothering can put into a trip to the park. One folded-up light deck chair, suntan oil, face cloth, sandwiches (which will avoid having to make a children's tea at six), rug to put sandwiches and children on, sunglasses, small lightish jumpers in case it turns cold suddenly, drinks, the antibiotics that the child is on, some toys for the baby - for the ones who were pregnant last summer - the baby's bottle, one nappy and all that baby stuff, and ice-cream money. At ten past two all the doors opened and out they poured, nearly invisible behind all the paraphernalia, calling around them the children who had been dreamy and inside and the ones who had already been outside getting burned and thirsty and cranky. And dirty. `Look at the face of her. Come here to me until I give you a wipe. Disgracing me.' She dug the face cloth into the child's face, disgracing it in front of friends who hadn't noticed at all. They went, and Rita went after them. She didn't go to the park but she passed it on the way to the shops, half hoping that if there was a summer next year, or if this one lasted beyond the day, they would ask her to join them, knowing that it would be better if they didn't, because if they ran out of steam - which they would when they realised the sort of her and why - there could be no more casual comments passed between them as strangers. They and she could whistle pleasantries back and forth at the moment; they, prepared to waste their sweet words on her because of curiosity - a new resident - she, to make them less curious, and failing. The more she said, ‘Nice day’, the more they wanted to know. The more she felt their sniffing, the more frightened she got. That sneaky-faced woman in the nylon housecoat, too old to walk to the park, polishing her brasses again. Who did she think she was fooling! Of course, she was lonelier than if she was dead, but Rita couldn't be expected to be built of sympathy. Rita walked after them, aggravated at the bits and pieces of garages built at the ends of gardens, as if thrown together in shapeless anger. In winter she could escape them by looking down at her feet, which she did, but today the sun threw their shadow across the street under her eyes. A bulldozer was needed badly. Knock down the whole lot of them. She had no soft spots for old farm barns, mudwall byres or extended hen houses, so she couldn't see anything for the garages but the bulldozer. Her husband would not have agreed. But then he came from places where fields lay companionably beside other fields that ran casually into more and more fields, flat and hilly, offering space grudgingly to the occasional house, which was then forced to use rickety outhouses as protection against the ever approaching grass. She was from a geometrician's dream, where back gardens were only concessions to the superior needs of houses. She passed the park and saw them. They belonged to a time before the time of one earring. Two ears, two earrings. Fingers were the only single part of them that divided into ones. They put rings on them. Most importantly, they put one ring on one finger, sometimes along with another, varying in degrees of vulgarity and awfulness. The rings marked stages in their self-denial and destruction. Rita saw the rings glistening in the sun, picking out unreachable baubles in the sky. The women saw her and thought different things, none of them actually about her, more about her type. `You couldn't satisfy him. If it's not the smog, it's the dirt or the accents. Jayzus, would yeh listen to whose talkin' about an accent.' `How does she put up with him? An' it's made her odd.' ‘There's somethin' else odd about her but I can't put me finger on it.' ‘Ah well.' In the end they knew in their hearts that the only thing funny about her was that they didn't know her and that she was married to a culchie. Not much of a gap to be got over. They settled in their chairs and watched their collective new generation, comparing it favourably with the other groups in the park, conscious that they were all part of even more park groups, between them accounting for hundreds of miles of discarded umbilical cords. They uttered unconnected sentences at random. Conversation was organised only when there was tragedy or scandal to be related. But the silence was never silent, it was just a space of time between words of explanation and words of exasperation. Bridie watched hers out of the corner of her eye. Sean always dirty. As a baby he sucked the ends of his Babygro and got a red wrist in his fat little cracks from wet aggravation. Now he sucked his jumper and pulled at his waist all the time, ending up each evening with hand marks branded in frustration on his clothes. His pores seemed to suck in every bit of street dirt going. His cuts usually went septic. Anne. Wise. Precocious and clean. She would have children too - it didn't bear thinking about. She played with her older brothers in a superior bossy way, as if she knew. `She'll be coming out of school at half two when she makes her communion, please God.' That would be another step passed in the sending off of her to the Lord. `It took me all day to get out of town yesterday. Pickets outside the Dail. They should put that buildin' down the country somewhere and not be stoppin' people tryin' to get home. They wouldn't be so quick to picket it if it was down there.' They shifted their fat bodies around on the deck chairs. They had suffered from the usual disappointments being married to their husbands. Kathleen's man had been mortified one day when she was nearly due and she'd sat down on the steps of the bank in town, not fit to move another inch. It was a Saturday and the bank was closed - what could he have been going on about? In her early marriage before having any children, Molly used to call on her husband at work. She thought it was a nice thing to do and she was lonely on her own - she'd been getting eleven pounds before the wedding, now with tax it was only five, so there wasn't much point in her going to work for the short while; the bus fare was two pounds. One day he said that she'd have to stop calling and get used to their new house for both their sakes. The men at work would start talking. `But I don't know anyone.' `You'll get to know some mothers later.' He smiled. She smiled. It was a small subtle exclusion, preparation for the major ones - the tapping on the shoulder as women walked absentmindedly, not deliberately, not provokingly, into supermarkets pushing prams. She never called again. Bridie 's man, when he was young, had kept running from one country to the other, filling himself up with experience, pouring himself all over the Continent and still he hadn't one word to say for himself. He'd only once said `I love you'. He was a consumer of cultures - he had a few words of French, which gave him an edge on the other men on the street but that was no help to Bridie. Deirdre's man - the drinker - did his bit for his children. He talked about them occasionally in pubs in the serious way that drunk men do, once getting first-day issue stamps for them from a man who worked in the P & T, who happened, just happened, to be drinking beside him. Now that was more than a woman could do. Kathleen had broken her mother's heart - `Ma, I wasn't going to tell you this but seeing we're out for the day and that it's on my mind and I have been keeping it to myself and all that and it's no good for me or anything and all that and no good for you either and I'm pregnant.' Kathleen sighed. Bridie put her varicose veins on the wheel of the pram. These - the fat, the veins, the sighs - were the shapes of the backbone of the country. You'd never think it to see the corkscrew, frown-free pictures that poured from the ad men’s anorexic fantasies. `Great day.' A doctor said to my mother once that there are two terrible bad things for a woman - ironing and not dropping everything to run outside when she sees the first blink of sun.' `Yeah, it's a great day' `I'd love a cigarette. Funny the way you feel like it sometimes and not at others.' `I didn't know you smoked, Molly' Molly raised her voice to panic pitch. `Smoke. Smoke is it? I was a chain-smoker. What! I had meself burnt. Me lips, me skirts, me bras, me slips. One match would do me the whole day. Lit one off the other.' `What did you smoke?' It was neither a question nor a statement after Molly's emotion. ‘Albany' `Were they a special cigarette, I don't remember them? I used to smoke Woodbine. No one ever died that smoked Woodbine.' ‘It's near tea time.’ That was a grand day. No one had got cut or desperately badly hurt. There had been the odd row but not enough to deserve a beating. One woman, not belonging to their group, had set her child up for a battering. She hit her because she wanted to go on the swings too often. The child kicked her back. The women nodded a sort of ungrudging, serve-you-right nod. The mother hit her more. The incident might have spiralled into murder but the floating disapproval, the soul sympathy, and the take-it-easy-it'll-get-better thoughts made the mother acknowledge defeat. Yes, a great day. They were gathering up their stuff when Rita walked past, on her way home. They delayed, to let her go on. They were sick of her kind, really - never any children, coming to live in that rented house, teasing their curiosity and staying aloof. `You wouldn't mind so much marrying a culchie but getting used to him.' They laughed. They could have remarked that she was un happy but they denied her that status, in the mean way that city people can, surrounded as they are by so many, some of whom, precisely because of the number, are dispensable. They turned their noses up and pulled their curtains down an inch from their faces like country ones could never do. (Perhaps you might need your neighbour in twenty years when all the rest would be gone, to America, or Dublin.) As they struggled nearer their doors, exhausted from heat, children whingeing when they saw the prospect of home looming closer, that they hadn't stayed long enough in the park, only three hours, Mammy, they each withdrew themselves from collective experience and concentrated on their individual problems. Parks were all right - open-air sum totals of lives that were normally lived in box rooms with thick enough doors and walls to shut out obscenities - but all the same, you wouldn't want to live in a park all your life and you wouldn't want to behave in your own house as if you were in a park. After a while people get on your nerves, even on sunny days - that was why the tenants in the rented house were always handy. Everyone on the street could take their mutual spite out on them and so avoid major street fights. Rita knew what they were thinking. Sometimes at four in the morning - she often woke at four - she would look out and see reflections of their lights and she would feel like forgiving them because who couldn't forgive a woman anything when they saw her struggling at that unearthly hour to silence a crying, hungry baby? Rita had had a child of her own. The child had died and she wasn't allowed to think about it. What had happened was anyone's guess - it just died. But Rita was fine now. Fine. The street would have gushed with sympathy if it had known. One thing Rita regretted not having was park days with mothers. She'd noticed the way mothers made up to the children on park days. Made up to them for all sorts of troubles, things like concentrated, compressed family violences that emptied onto children's backsides when men and women decided at the same moment that they would have to put manners on the offspring who was at that second holding their nerves to ransom. They could do that because they knew that mothers would make it up sometime soon - certainly in a park if it was a sunny day. Rita would have liked the making-up bits. It was Bridie in the end who asked Rita if she wanted to sit down with them in the park, just for a few minutes, for a little rest. Rita stretched her legs out in front of her and said to herself, now I'll have to leave. They talked busily as they watched the replay of yesterday and yesterday, Rita not thinking all the time of her own because she wasn't allowed to; each of the other women remarking to herself how nice she was really. The next day it rained. Clouds stalked over the bit of sunshine they'd had and Rita started packing. She said goodbye before herself and her culchie husband left, knocked on the single doors and got away before they learned anything about her. A week later if you could have cut bits out of the walls, you would have seen them cleaning noses, swiping at bare legs, sneaking off for a rest and drying clothes, bending over babies in the way that causes bad backs, again, again, as the tenants moved in and the rain poured on them all. © by Evelyn Conlon

“PARK-GOING DAYS” E “I GIORNI DEL PARCO”

UN’ESPERIENZA DI ACCULTURAZIONE NELLA PRATICA TRADUTTIVA.

Questo articolo intende offrire alcuni spunti di riflessione sulla base della mia seppur ristretta esperienza di traduttrice agli esordi sul tema della acculturazione come ostacolo alla formulazione di una buona proposta traduttiva. Per fare questo mi servirò di un esempio pratico con il quale mi sono di recente misurata: la traduzione della short story Park-going days della scrittrice irlandese Evelyn Conlon. L’avvicinamento a questo testo (che ho incluso in una selezione di tre short stories tratte dall’antologia Cutting the night in two nella mia tesi di laurea) è avvenuto in modo casuale, elettivo se vogliamo. Circa due anni fa la Conlon (che, oltre ad essere una della autrici antologizzate, è anche curatrice della raccolta) insieme al coeditore Hans-Christian Oeser presentarono il volume nella mia Facoltà, la Scuola Interpreti di Forlì: la breve ma vibrante lettura di un passaggio della story in questione fu sufficiente a coinvolgermi al punto da voler dedicare a questa i successivi mesi non solo della mia carriera accademica ma anche della mia vita personale. Prima di parlare dell’aspetto concernente la traduzione nello specifico, ritengo opportuno spendere qualche parola su Park-going days : questa short story, scritta approssimativamente negli anni ottanta, è apparsa per la prima volta nell’antologia di racconti My head is opening (1987, Dublin: Attic Press) e da allora, grazie al successo di cui ha goduto, è stata pubblicata in giornali e riviste e inclusa in numerose antologie (come ad esempio Territories of the voice. Contemporary Irish Stories. A cura di DeSalvo, D’Arcy, Hogan pubblicata da Virago Press nel 1990 e nel 2000 da Beacon Press con il titolo A Green and Mortal sound. Short Fiction by Irish Women Writers ). Park-going days è fondamentalmente la storia di un gruppo di madri che, in una giornata di sole, si recano al parco con i loro bambini. Ambientata in una qualunque città (con ogni probabilità si tratta di Dublino) irlandese di metà anni ottanta in cui si respira un latente clima di disoccupazione e difficoltà economiche (solo un uomo lavora nel quartiere e nessuna delle donne lavora al di fuori della casa), il narrato ruota intorno a questo gruppo di madri che abitano nella stessa via e ne mette a nudo uno spaccato della loro vita quotidiana in un ritratto corale appassionatamente coinvolgente e realisticamente crudo. L’apparente semplicità della trama si rivela quindi da subito ingannevole, un pretesto narrativo per esplorare acutamente le vite di queste donne, le indiscusse protagoniste della giornata. Una giornata di sole, che, come sottolinea pungentemente l’autrice in apertura, è merce rara in un paese in cui queste in genere si contano sulle dita di una mano, si fa motore dell’azione. L’esasperante preparazione del necessario (!) per andare al parco è magistralmente usata per ficcare il naso nella vita familiare delle protagoniste e per mettere in discussione la nozione di maternità e dell’essere madri in modo critico. Una volta raggiunto il parco le madri diventano una sorta di entità collettiva, compiendo un passaggio metaforico dalle loro quotidianità separate ma parimenti scandite da frustrazioni domestiche e banali insoddisfazioni per assurgere a una collettività en plein air in cui hanno la possibilità di rapportarsi tra di loro come adulte. Il parco quindi diventa una sorta di spazio riservato esclusivamente alle madri di cui esse si appropriano per trovare momentaneo sollievo dalla domesticità soffocante e in cui interpretano una sorta di matriarcato temporaneo e fittizio. Alle madri è contrapposta Rita, antagonista della storia e voce dell’autrice stessa, che rappresenta l’elemento estraneo al gruppo: non è una madre e quindi non può partecipare alle attività del parco. Ancora una volta l’apparente semplicità si rivela ingannevole: si scopre infatti ben presto che Rita in realtà ha avuto un figlio che è poi morto e che segretamente desidererebbe unirsi alle altre madri le quali però a loro volta nutrono una segreta e collettiva invidia della sua libertà. Tale interazione, per mano di un dialogare incisivo che si intreccia con parti descrittive concise, ma estremamente espressive, si fa coinvolgente per i lettori/lettrici che si trovano a misurarsi con una serie di riflessioni che abbracciano un’ampia gamma di temi, soprattutto concernenti la condizione di donna e madre nella società. A questo proposito è rilevante far notare che le figure maschili, così come quelle dei figli, sono praticamente assenti, relegate a condizione di personaggi secondari, incapaci di rendere felici le proprie donne e generalmente complici di relazioni matrimoniali insoddisfacenti e piatte. Nel caso del rapporto tra madri e figli (tutti infanti o in tenerissima età) è assai interessante metter in luce come l’autrice intenzionalmente non descriva nessuno slancio di affetto o tenerezza nei loro confronti (sono e rimangono un onere gravoso poiché prendersi cura di loro comporta essenzialmente “fare cose”) precisamente perché, come l’autrice stessa mi ha spiegato in un’intervista concessami nel Gennaio 2005, la sua primaria intenzione è stata quella di parlare del “lato pubblico della maternità opposto a quello privato”, del “lavoro” che questa comporta in contrasto con “l’amore” e la dedizione con cui tale lavoro viene compiuto. Avendo rapidamente preso in considerazione questi aspetti, preliminari fondamentali a una contestualizzazione più completa del testo nel suo contesto di produzione e di fruizione, possiamo passare ora a prendere in esame alcuni degli aspetti traduttivi. Come ricordato all’inizio di questo articolo, il mio primo contatto con questo testo, così come l’elaborazione di una prima stesura di traduzione, ha avuto luogo in Italia. Da questa prima elaborazione, come facilmente prevedibile, sono emersi tutta una serie di problemi in gran parte legati a difficoltà di comprensione del testo di partenza e a incertezze espressive in quello di arrivo. A queste difficoltà di ordine “pratico” se ne sono sommate altre di ordine teorico. Gran parte della teoria che riguarda la traduzione letteraria infatti si fonda sulla visione di Toury che vede la traduzione letteraria come prodotto di un’interazione complessa non solo tra due lingue ma anche tra due culture letterarie diverse e cioè in definitiva tra due sistemi normativi. Se accettiamo questa visione, dobbiamo anche tener conto del fatto che, come teorizzato da Basnett-McGuire (1980:80), il traduttore/la traduttrice per prima cosa legge e traduce preliminarmente il testo nella lingua di partenza e che solo in seguito a un ulteriore processo di decodificazione traduce pienamente il testo nella lingue d’arrivo. Questo passaggio si rivela di importanza fondamentale dal momento che è al suo snodo che si inserisce la riflessione di Cronin che in base alla mia esperienza tenterò di valutare in modo critico. Cronin infatti asserisce che la traduzione sia in grado, meglio di qualunque altro “processo”, di smascherare il valore etico della dipendenza: in altre parole, secondo Cronin, più un traduttore/una traduttrice si avvicina alla lingua e cultura del testo di partenza meno sarà capace di riprodurre la differenza di cui queste sono portatrici. L’ “acculturazione” cioè, genera una dipendenza che minaccia in modo direttamente proporzionale l’indipendenza della traduzione. Questa teorizzazione è ovviamente supportata da un impianto teorico la cui portata non è affrontabile in questa sede, sede in cui ne sono stati presi in esame semplicemente alcuni aspetti. Nel mio caso, l’ “acculturazione” derivata dalla permanenza in Irlanda e dal diretto contatto con le autrici del materiale su cui ho lavorato è stata un’esperienza fondamentale. Il confronto con l’ autrice è stato infatti basilare nella stesura di una traduzione più libera dalla letteralità del testo originale, nella risoluzione di problemi di ordine interpretativo così come nella comprensione delle varie sfumature e implicazioni soggiacenti il testo. Una più approfondita conoscenza della cultura in cui questo testo è fortemente radicato è stata dunque la valedizione necessaria per affrontare la pratica traduttiva e mi auguro che questa esperienza sia leggibile tra le righe della mia proposta traduttiva.

Riferimenti bibliografici:

Álvarez Rodríguez, Román & MªCarmen A.Vidal Claramonte (eds.) (1996) Translation, Power, Subversion. Clevedon: Multilingual Matters. Bassnett-McGuire, Susan (1980) Translation Studies. London/ New York: Methuen. Cronin, Michael (1996) Translating Ireland: Translation, Languages and Identity. Cork: Cork University Press. Cronin, Michael (2003) “Travellers, translators and the new accelerators” in Cronin & Ó Cuilleanáin (2003) Cronin, Michael & Ó Cuilleanáin, Cromac (eds.) (2003) The Languages of Ireland. Dublin: Four Courts Press. Conlon, Evelyn & Oeser, Hans-Christian (eds.) (2002) Cutting the night in two. Short stories by Irish Women Writers. Dublin: New Island.

©inTRAlinea & Giulia Rinaldi (2005).
"I giorni del parco". Translation from the work of Evenlyn Conlon.
This translation can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/translations/item/1009

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