Attorno alla casa
Translated by: Irma Caputo
Às voltas da casa by Marcos Siscar
In Siscar, Marcos (2019), Isto não é um documentário, 7Letras: Rio de Janeiro, pp. 85-122.
ATTORNO ALLA CASA
Campinas, dicembre 2018
STIAMO A CASA
Tutti hanno bisogno di una casa. La casa accoglie le cose del mondo. Accoglie bisogni. Il bisogno di una casa non è meno importante di ciò che essa accoglie. Né più né meno. Ma la casa non è un deposito. Stiamo a casa come stiamo nella vita.
Alcune sono azzurre con le porte gialle e il pavimento di cemento. Altre hanno piastrelle di marmo. Oppure in prossimità di alberi di cocco. Se ne trovano di rosse. Bianche grigio metallico avorio. Da dove si entra si esce pure. Da dentro una sfilza di giorni notti asfissianti sfilano lunghi gli anni e i brividi.
Casa di periferia di provincia di passaggio. Casa di legno di riposo di fabbro di perdizione. Le piante in fiore spuntano in cima alla montagna. Una bolla nascosta nel formicaio. Sulla riva del rigagnolo goffi cenni di mangrovie. La circondano gli alberi il sangue la copre. Di case ce n’è. Ma la casa universale non è.
VIVIAMO INSIEME
Una casa non è un luogo. Sono le sue persone. Dicono. Ma le persone sono quelle solo perché esiste la casa. E quando dicono casa si riferiscono alla loro. Abitata da loro. Non solo un tetto. La possibilità dell’esistenza. La possibilità dell’accoglienza. C’è una casa o ci sarà. Quando la casa sta per avvenire.
In una casa viviamo insieme anche se da soli. Le pareti sono gesso o muratura. La vicinanza non è la casa. Ma possiede la sua linea di confine. La solitudine è uno dei casi di convivenza. Di gestione dei limiti. Qualcuno si sente solo perché dice di no. O è obbligato. La vicinanza è il suo fantasma.
Per uscire per strada c’è bisogno di avere una casa. Non c’è uscita senza la frontiera della porta. Anche se non c’è un dentro. Quando si ha una casa c’è bisogno di uscire. Usciamo? mi dice qualcuno. Rispondo: sì, andiamo. Le porte mi chiamano. A volte usciamo di casa come ci stiamo dentro.
UN MODO DI STARE
La casa è un luogo in cui stare. La casa è dove si sta quando non si sta assenti. La casa non dice l’essere ma lo stare. Quando qualcuno me lo chiede dico: sto a casa. Oppure: non ci sto. La casa è il riferimento della situazione. È il suo luogo. Scrivere è come stare.
Guardo qualcuno e mi chiedo dove abiti. Dove abbia la sua idea di casa. Come se si portasse la casa sulle spalle. O tatuata sul volto. Come l’espressione degli occhi. Ma per strada la casa può essere il rovescio. Una simulazione geografica. Il luogo in cui ci si assenta.
Casa a volte è riparo. È un luogo scelto per starci bene. Qualcosa a che vedere col paradiso. Ciò che accoglie rifugia anche. Ma stare a casa a volte rende solo giustizia a un vizio. E non ad un artifizio. Nemmeno dormire per strada si sceglie. O alla stazione vicino agli estintori.
Ci sono delle condizioni per parlare di casa. E ci sono delle condizioni della casa per parlare. E quando non si ha un tetto? Avere o non avere è come essere o non essere? Espropriato monco privato della regalia della parola. Portato dalla forza dello sfratto alla tarma di un desiderio mai sazio. Non avere casa è un modo di stare?
DOVE NON MI TROVO
La casa è un luogo in cui tornare. Ma il ritorno non si consolida nella casa. Nemmeno la casa si consolida nella chiave. La casa non è un solido. Neppure un bolide un meteorite un astrolite. Una mera stanza di hotel. Se esiste. Un mero transito? Un infinito? No. Nemmeno questo. La casa è ciò che esiste.
Quando ritorno non mi trovo più. Dopo un po’ di tempo fuori la casa non è più la stessa. Non sono più chi credevo di essere. Ormai non sono. Non mi trovo dove dovrei. Ma è proprio lì che non mi trovo. Dove potrei ritrovarmi. Me stesso. Invece no.
Una casa antica ad esempio. Una casa piena di ricordi. Piena di sorprese per ciò che è stato dimenticato. L’amnesia sporca le pareti. L’insopportabile allegria di essere andati via. O forse i piccoli vani. E il fastidio di una recidività vana. È bello tornare. Misurare le distanze. Ricalcolare gli oneri. Tornare a casa è come uscirvi.
Tornare a casa è come girarci attorno. Attorno a ciò che manca. Non a ciò che deve essere recuperato. O occupato. Tornare è come abitarsi. Non di nuovo. La casa mi svuota. La casa mi trabocca. La casa mi sposta. In essa mi trasformo. Come fare della casa una casa?
REINVENTARE LA SITUAZIONE
Non c’è luogo che voglia esser fatto così tanto. La casa è dove duole dice una canzone. Un macigno sul petto. Tornare a casa è come tirare la crosta e riaprire la ferita. Riconsiderare la vicinanza. Riesporre la situazione. Reinventare ciò che si chiama casa. Quando metto piede in casa è come se scrivessi una poesia.
È sempre grande la tentazione di portare il fuori dentro. Di passare la vita provando a fare del fuori una casa. Di fare di sé la trasformazione del fuori in casa. Vivere fuori è come viziarsi di casa. Espandere il vizio fino agli angoli più remoti della terra. Neutralizzare ciò che duole.
Ma uscire e restare non sono la stessa cosa. Quanto si esce e quanto si torna. Molti sono i ritmi. Il ritmo è alternanza e regolarità. È un disegno di intensità. Ci sono ritmi lunghi e brevi. Tutto dipende da quando ci sediamo sulla panchina nella piazza di fronte casa. E come.
Come una casa che ha delle infiltrazioni. Molte infiltrazioni. Che ha ombre nel soggiorno. E siamo soltanto in attesa del momento di abbandonarla. Nell’imminenza di un’altra casa. In attesa della casa. Che non sia un posto per ombrelli. Contenersi in attesa della casa. Situazione per molti secchi.
GLI INDIRIZZI DELLA CASA
Confesso che ci son giorni che ci giro attorno senza entrare. Non voglio entrare. O non ci sono porte. La casa non sta lì. O è tutto ciò che vi sta attorno. Chiamo casa la casa come se la offendessi. Ci giro attorno distratto come se non avesse il mio volto. Le pareti permangono mute e impenetrabili.
E se perdessi la chiave o la via? Rubato fumato disorientato. Non sapessi più dove tornare. O come entrare. Dove lascerei il mio ciarpame? I miei libri le mie vite? Tutto questo peso. Tutta questa zavorra. Questa memoria di volo. Dimenticarsi la casa. Sarebbe una liberazione?
Quando parlo della casa mi ricordo le cose che ho abbandonato. Da dove sono venute le cose che porto. Dei vari indirizzi che ho avuto. Delle foto in cui non mi riconosco. Delle diverse maniere di arrivare o uscire. Delle parti del corpo sparse per le stanze. O di quel giorno in cui ci sono passato davanti tanti anni dopo. La casa è uno spostamento? O gira attorno?
COSTRUZIONE E RISTRUTTURAZIONE
La casa non si limita a contenere. Richiede un discorso attorno ad essa. È necessario setacciarla avvolgerla accarezzarla come una nuvola di situazioni. Non c’è modo di confermarla. La casa non ha una struttura fissa. La struttura della casa è l’impronta che lascia nel gesso delle parole? O è ciò che da essa si fa avvolgere?
Nemmeno questo. C’è anche la ristrutturazione. O costruzione. Una casa in trasformazione ci lascia divisi. È motivo di allegria e afflizione. Da un giorno all’altro tutto cambia. Il progetto soffre. La geometria entra in contrasto con il suo materiale pesante e grezzo. Ci sono muratori che detestano il progetto. Ci sono architetti che non si sporcano le mani.
La casa non è la struttura che mi delimita. Né la ri-strutturazione che mi calibra. La casa è dove c’è materia di me. È dove circolo. La casa sono le possibilità di varchi che mi mantengono. Le pareti esterne sono viscere di carne viva. Da dentro si vede il mio occhio vuoto. Quando qualcuno suona il campanello l’occhio esce dalla porta d’entrata. Oppure se ne torna dentro le budella.
IL MIO ANIMALE E LA MIA PIANTA
È come mi sento e come mi vesto. È il mio sostentamento. Ogni mia malattia ogni mia abitudine. È il cavo che mi si attacca addosso dall’alto di ciò che mi assedia. Il mio animale e la mia pianta. È come non sarebbe potuto essere altrimenti. Tutta la mia forza la mia stretta il mio nodo.
È ciò che mi sostiene. Sono le ossa. Sono le vene che irrigano. Sono i nervi che transitano. Sinapsi rilasciate messaggi elettrici matematiche incarnate. La materia organica e i suoi intestini. L’elasticità degli occhi. Il mio corpo sotto la luce. L’odore della mia pelle. Il rumore delle mie giunture.
È ciò che si lascia. È ciò che si spacca. Ciò che si frena. Qualcosa che si degrada. Che si capisce sott’altra chiave. Ciò che sbaglia quando esita. Ciò che annoia. Ciò che maltratta. È ciò che più ferisce ciò che contrasta ciò che smentisce. Qualcosa che fa acqua.
LA CASA È TUA
A prezzo di molti ritorni è un'altra casa. Fa attenzione. Oltre il ritorno. Come se non fosse mai stata. Come se ci fosse sempre stata. Straniera. Rinchiusa da dentro. O d’ora in avanti aperta da tanti anni. Un tappeto steso alla vista di tutti. L’affezione è sempre la stessa. E le scarpe piene di fango. La stessa ospitalità. La stessa ostilità. Ecco la porta. Ecco il rischio. È la tua casa. La casa è tua.
ÀS VOLTAS DA CASA
Campinas, dezembro de 2018
ESTAMOS NA CASA
Todos precisam de casa. A casa acolhe as coisas do mundo. Acolhe necessidades. A necessidade da casa não é menos importante do que aquilo que ela acolhe. Nem mais nem menos. Mas a casa não é depósito. Estamos na casa como estamos na vida.
Algumas são azuis com portas amarelas e chão de cimento. Outras com piso de mármore. Ou perto de coqueiros. Encontram-se vermelhas. Branca cinza metálica marfim. Onde se entra é por ali que se sai. Por dentro os dias a fio as noites muito quentes anos longos e calafrios.
Casa de subúrbio de arrabalde de passagem. Casa de madeira de repouso de ferreiro de perdição. Floração plantada no topo da serra. Bolha oculta no formigueiro. À margem da sarjeta arremedo de mangue. Cercada de árvores coberta de sangue. Casas há. Mas a casa não é um universal.
MORAMOS JUNTOS
Uma casa não é um lugar. São suas pessoas. Dizem. Mas as pessoas só são essas porque existe a casa. E quando dizem casa referem-se à delas. Habitada por elas. Não apenas um teto. A possibilidade do haver. A possibilidade do acolher. Há a casa ou haverá. Quando a casa está por vir.
Numa casa moramos juntos mesmo que sozinhos. Paredes são gesso ou alvenaria. A vizinhança não é a casa. Mas possui sua divisa. A solidão é um dos casos da convivência. Do gerenciamento dos limites. Alguém se sente só porque diz não. Ou é forçado. A vizinhança é seu fantasma.
Para sair à rua é preciso ter casa. Não há saída sem a fronteira da porta. Mesmo que não haja interior. Quando se tem casa é preciso sair. Vamos sair? alguém me diz. Respondo: sim, vamos. As portas me chamam. Às vezes saímos de casa como estamos nela.
UM MODO DE ESTAR
A casa é um lugar para se estar. Casa é onde se está quando não se está ausente. A casa não diz o ser mas o estar. Quando alguém me pergunta digo: estou em casa. Ou então: não estou. A casa é a referência da situação. É seu lugar. Escrever é como estar.
Olho alguém e me pergunto onde mora. Onde tem sua ideia de casa. Como se levasse a casa nas costas. Ou tatuada no rosto. Como a expressão dos olhos. Mas na rua a casa pode ser um avesso. Uma simulação geográfica. O lugar em que se falta.
Casa às vezes é aconchego. É lugar escolhido para se estar bem. Algo a ver com o paraíso. Aquilo que acolhe refugia também. Mas estar em casa às vezes só faz jus ao vício. E não ao artifício. Tampouco dormir na rua se escolhe. Ou na rodoviária perto dos extintores.
Há condições para se falar da casa. E há condições de casa para se falar. E quando não se tem teto? Ter ou não ter é como ser ou não ser? Depauperado troncho sem regalia de palavra. Levado da força do despejo às traças do desejo. Não ter casa é um modo de estar?
ONDE NÃO ME ENCONTRO
Casa é um lugar para voltar. Mas a volta não se consolida na casa. Tampouco a casa se consolida na chave. A casa não é um sólido. Tampouco um bólido um meteorito um astrólito. Um puro quarto de hotel. Se é que existe. Um puro tráfego? Um infinito? Não. Nem isso. Casa é aquilo que existe.
Quando volto não me encontro. Depois de um tempo fora a casa não é mais a mesma. Não sou mais quem pensei que era. Já não sou. Não me encontro onde deveria. Mas é precisamente ali que não me encontro. Onde poderia me reencontrar. Eu próprio. Mas não.
Uma casa antiga por exemplo. Uma casa cheia de memória. Cheia da surpresa do que foi esquecido. A amnésia sujando paredes. A insuportável alegria de ter partido. Ou então os cômodos pequenos. E o incômodo da reincidência. É bom voltar. Medir as distâncias. Recalcular o ônus. Voltar para casa é como sair.
Voltar para casa é como andar às voltas. Às voltas com aquilo que falta. Não para o que deve ser recuperado. Ou preenchido. Voltar é como habitar-se. Não novamente. A casa me esvazia. A casa me transborda. A casa me desloca. Nela me transformo. Como fazer da casa casa?
REINVENTAR A SITUAÇÃO
Não há lugar que queira tanto ser feito. Casa é onde dói diz a canção. Uma pedra no peito. Voltar à casa é como tirar a casca e reabrir a ferida. Reconsiderar a vizinhança. Reexpor a situação. Reinventar o que se chama de casa. Quando piso em casa é como se escrevesse um poema.
A tentação é sempre grande de trazer o fora para dentro. De passar a vida tentando fazer do fora a casa. De fazer de si mesmo a transformação do fora em casa. Viver fora é como viciar-se de casa. Expandir o vício aos mínimos recantos da terra. Neutralizar aquilo que dói.
Mas sair e ficar não são o mesmo. O quanto se sai e o quanto se volta. Muitos são os ritmos. O ritmo é alternância e regularidade. É um desenho de intensidades. Há ritmos longos e curtos. Tudo depende de quando nos sentamos no banco da praça diante da casa. E como.
Como uma casa que tem goteiras. Muitas goteiras. Que tem sombras na sala. E só esperamos o momento de deixá-la. Na iminência de uma outra casa. À espera da casa. Que não seja lugar de guarda-chuva. Conter-se à espera da casa. Situação para muitos baldes.
ENDEREÇOS DA CASA
Confesso que há dias em que giro em torno sem entrar. Não quero entrar. Ou não há portas. A casa não está ali. Ou é tudo o que está em torno dela. Chamo casa de casa como se a ofendesse. Giro à volta desatento como se não tivesse minha cara. As paredes permanecem mudas e impenetráveis.
E se perdesse a chave e o rumo? Roubado chapado desencaminhado. Não soubesse para onde voltar. Ou como entrar. Onde deixaria minhas tralhas? Meus livros minhas vidas? Todo esse peso. Todo esse lastro. Essa memória de voo. Esquecer-se da casa. Seria uma liberação?
Quando falo da casa me lembro das coisas que abandonei. De onde vieram as coisas que trago. Dos diversos endereços que tive. De fotos em que não me reconheço. Das diferentes maneiras de chegar ou de sair. De partes do corpo espalhadas pelos cômodos. Ou daquele dia em que só passei em frente tantos anos depois. A casa é um deslocamento? Ou dá muitas voltas?
CONSTRUÇÃO E REFORMA
A casa não se limita a conter. Ela requer um discurso em torno dela. É preciso cerni-la envolvê-la acariciá-la com uma nuvem de situações. Não há como confirmá-la. A casa não tem forma fixa. A forma da casa é a impressão que ela deixa no gesso das palavras? Ou é aquilo que dela se deixa envolver?
Nem isso. Há também reforma. Ou construção. Uma casa em transformação nos deixa divididos. É motivo de alegria e aflição. De um dia para o outro tudo muda. O projeto sofre. A geometria entra em contraste com seu material pesado e bruto. Há pedreiros que desprezam projeto. Há arquitetos que não sujam a mão.
A casa não é a forma que me delimita. Nem a re-forma que me adequa. A casa é onde há matéria de mim. É onde circulo. A casa são as possibilidades de brecha que me mantêm. As paredes externas são vísceras em carne viva. Por dentro vê-se meu olho vazio. Quando alguém aperta a campainha o olho sai pela porta da frente. Ou então se volta para dentro das tripas.
MEU ANIMAL E MINHA PLANTA
É como me sinto e como me visto. É todo meu sustento. Toda minha doença toda minha rotina. É o cabo que se prende a mim do alto do que me assedia. Meu animal e minha planta. É como não podia deixar de ser. Toda minha força meu estreito meu nó.
É o que me sustenta. São os ossos. São as veias que irrigam. São os nervos que transitam. Sinapses soltas mensagens elétricas matemáticas encarnadas. A matéria orgânica e seus intestinos. A elasticidade dos olhos. Meu corpo sob a luz. O cheiro da minha pele. O ruído das minhas juntas.
É o que se deixa. É o que se arrebenta. O que se trava. Aquilo que se degrada. Que se entende em outra clave. O que erra quando hesita. O que aborrece. O que maltrata. É o que mais ofende o que contrasta o que desmente. Aquilo que faz água.
A CASA É SUA
À custa de muitas voltas é outra casa. Repare bem. Para além do retorno. Como se nunca tivesse sido. Como se sempre tivesse estado. Estrangeira. Trancada por dentro. Ou de agora em diante aberta há tantos anos. Um tapete estendido à vista de todos. O apego é sempre o mesmo. E os sapatos cheios de barro. A mesma hospitalidade. A mesma hostilidade. Esta é a porta. Este é o risco. É sua casa. A casa é sua.
ATTORNO ALLA CASACampinas, dicembre 2018 STIAMO A CASA Tutti hanno bisogno di una casa. La casa accoglie le cose del mondo. Accoglie bisogni. Il bisogno di una casa non è meno importante di ciò che essa accoglie. Né più né meno. Ma la casa non è un deposito. Stiamo a casa come stiamo nella vita. Alcune sono azzurre con le porte gialle e il pavimento di cemento. Altre hanno piastrelle di marmo. Oppure in prossimità di alberi di cocco. Se ne trovano di rosse. Bianche grigio metallico avorio. Da dove si entra si esce pure. Da dentro una sfilza di giorni notti asfissianti sfilano lunghi gli anni e i brividi. Casa di periferia di provincia di passaggio. Casa di legno di riposo di fabbro di perdizione. Le piante in fiore spuntano in cima alla montagna. Una bolla nascosta nel formicaio. Sulla riva del rigagnolo goffi cenni di mangrovie. La circondano gli alberi il sangue la copre. Di case ce n’è. Ma la casa universale non è. VIVIAMO INSIEME Una casa non è un luogo. Sono le sue persone. Dicono. Ma le persone sono quelle solo perché esiste la casa. E quando dicono casa si riferiscono alla loro. Abitata da loro. Non solo un tetto. La possibilità dell’esistenza. La possibilità dell’accoglienza. C’è una casa o ci sarà. Quando la casa sta per avvenire. In una casa viviamo insieme anche se da soli. Le pareti sono gesso o muratura. La vicinanza non è la casa. Ma possiede la sua linea di confine. La solitudine è uno dei casi di convivenza. Di gestione dei limiti. Qualcuno si sente solo perché dice di no. O è obbligato. La vicinanza è il suo fantasma. Per uscire per strada c’è bisogno di avere una casa. Non c’è uscita senza la frontiera della porta. Anche se non c’è un dentro. Quando si ha una casa c’è bisogno di uscire. Usciamo? mi dice qualcuno. Rispondo: sì, andiamo. Le porte mi chiamano. A volte usciamo di casa come ci stiamo dentro. UN MODO DI STARE La casa è un luogo in cui stare. La casa è dove si sta quando non si sta assenti. La casa non dice l’essere ma lo stare. Quando qualcuno me lo chiede dico: sto a casa. Oppure: non ci sto. La casa è il riferimento della situazione. È il suo luogo. Scrivere è come stare. Guardo qualcuno e mi chiedo dove abiti. Dove abbia la sua idea di casa. Come se si portasse la casa sulle spalle. O tatuata sul volto. Come l’espressione degli occhi. Ma per strada la casa può essere il rovescio. Una simulazione geografica. Il luogo in cui ci si assenta. Casa a volte è riparo. È un luogo scelto per starci bene. Qualcosa a che vedere col paradiso. Ciò che accoglie rifugia anche. Ma stare a casa a volte rende solo giustizia a un vizio. E non ad un artifizio. Nemmeno dormire per strada si sceglie. O alla stazione vicino agli estintori. Ci sono delle condizioni per parlare di casa. E ci sono delle condizioni della casa per parlare. E quando non si ha un tetto? Avere o non avere è come essere o non essere? Espropriato monco privato della regalia della parola. Portato dalla forza dello sfratto alla tarma di un desiderio mai sazio. Non avere casa è un modo di stare? DOVE NON MI TROVO La casa è un luogo in cui tornare. Ma il ritorno non si consolida nella casa. Nemmeno la casa si consolida nella chiave. La casa non è un solido. Neppure un bolide un meteorite un astrolite. Una mera stanza di hotel. Se esiste. Un mero transito? Un infinito? No. Nemmeno questo. La casa è ciò che esiste. Quando ritorno non mi trovo più. Dopo un po’ di tempo fuori la casa non è più la stessa. Non sono più chi credevo di essere. Ormai non sono. Non mi trovo dove dovrei. Ma è proprio lì che non mi trovo. Dove potrei ritrovarmi. Me stesso. Invece no. Una casa antica ad esempio. Una casa piena di ricordi. Piena di sorprese per ciò che è stato dimenticato. L’amnesia sporca le pareti. L’insopportabile allegria di essere andati via. O forse i piccoli vani. E il fastidio di una recidività vana. È bello tornare. Misurare le distanze. Ricalcolare gli oneri. Tornare a casa è come uscirvi. Tornare a casa è come girarci attorno. Attorno a ciò che manca. Non a ciò che deve essere recuperato. O occupato. Tornare è come abitarsi. Non di nuovo. La casa mi svuota. La casa mi trabocca. La casa mi sposta. In essa mi trasformo. Come fare della casa una casa? REINVENTARE LA SITUAZIONE Non c’è luogo che voglia esser fatto così tanto. La casa è dove duole dice una canzone. Un macigno sul petto. Tornare a casa è come tirare la crosta e riaprire la ferita. Riconsiderare la vicinanza. Riesporre la situazione. Reinventare ciò che si chiama casa. Quando metto piede in casa è come se scrivessi una poesia. È sempre grande la tentazione di portare il fuori dentro. Di passare la vita provando a fare del fuori una casa. Di fare di sé la trasformazione del fuori in casa. Vivere fuori è come viziarsi di casa. Espandere il vizio fino agli angoli più remoti della terra. Neutralizzare ciò che duole. Ma uscire e restare non sono la stessa cosa. Quanto si esce e quanto si torna. Molti sono i ritmi. Il ritmo è alternanza e regolarità. È un disegno di intensità. Ci sono ritmi lunghi e brevi. Tutto dipende da quando ci sediamo sulla panchina nella piazza di fronte casa. E come. Come una casa che ha delle infiltrazioni. Molte infiltrazioni. Che ha ombre nel soggiorno. E siamo soltanto in attesa del momento di abbandonarla. Nell’imminenza di un’altra casa. In attesa della casa. Che non sia un posto per ombrelli. Contenersi in attesa della casa. Situazione per molti secchi. GLI INDIRIZZI DELLA CASA Confesso che ci son giorni che ci giro attorno senza entrare. Non voglio entrare. O non ci sono porte. La casa non sta lì. O è tutto ciò che vi sta attorno. Chiamo casa la casa come se la offendessi. Ci giro attorno distratto come se non avesse il mio volto. Le pareti permangono mute e impenetrabili. E se perdessi la chiave o la via? Rubato fumato disorientato. Non sapessi più dove tornare. O come entrare. Dove lascerei il mio ciarpame? I miei libri le mie vite? Tutto questo peso. Tutta questa zavorra. Questa memoria di volo. Dimenticarsi la casa. Sarebbe una liberazione? Quando parlo della casa mi ricordo le cose che ho abbandonato. Da dove sono venute le cose che porto. Dei vari indirizzi che ho avuto. Delle foto in cui non mi riconosco. Delle diverse maniere di arrivare o uscire. Delle parti del corpo sparse per le stanze. O di quel giorno in cui ci sono passato davanti tanti anni dopo. La casa è uno spostamento? O gira attorno? COSTRUZIONE E RISTRUTTURAZIONE La casa non si limita a contenere. Richiede un discorso attorno ad essa. È necessario setacciarla avvolgerla accarezzarla come una nuvola di situazioni. Non c’è modo di confermarla. La casa non ha una struttura fissa. La struttura della casa è l’impronta che lascia nel gesso delle parole? O è ciò che da essa si fa avvolgere? Nemmeno questo. C’è anche la ristrutturazione. O costruzione. Una casa in trasformazione ci lascia divisi. È motivo di allegria e afflizione. Da un giorno all’altro tutto cambia. Il progetto soffre. La geometria entra in contrasto con il suo materiale pesante e grezzo. Ci sono muratori che detestano il progetto. Ci sono architetti che non si sporcano le mani. La casa non è la struttura che mi delimita. Né la ri-strutturazione che mi calibra. La casa è dove c’è materia di me. È dove circolo. La casa sono le possibilità di varchi che mi mantengono. Le pareti esterne sono viscere di carne viva. Da dentro si vede il mio occhio vuoto. Quando qualcuno suona il campanello l’occhio esce dalla porta d’entrata. Oppure se ne torna dentro le budella. IL MIO ANIMALE E LA MIA PIANTA È come mi sento e come mi vesto. È il mio sostentamento. Ogni mia malattia ogni mia abitudine. È il cavo che mi si attacca addosso dall’alto di ciò che mi assedia. Il mio animale e la mia pianta. È come non sarebbe potuto essere altrimenti. Tutta la mia forza la mia stretta il mio nodo. È ciò che mi sostiene. Sono le ossa. Sono le vene che irrigano. Sono i nervi che transitano. Sinapsi rilasciate messaggi elettrici matematiche incarnate. La materia organica e i suoi intestini. L’elasticità degli occhi. Il mio corpo sotto la luce. L’odore della mia pelle. Il rumore delle mie giunture. È ciò che si lascia. È ciò che si spacca. Ciò che si frena. Qualcosa che si degrada. Che si capisce sott’altra chiave. Ciò che sbaglia quando esita. Ciò che annoia. Ciò che maltratta. È ciò che più ferisce ciò che contrasta ciò che smentisce. Qualcosa che fa acqua. LA CASA È TUA A prezzo di molti ritorni è un'altra casa. Fa attenzione. Oltre il ritorno. Come se non fosse mai stata. Come se ci fosse sempre stata. Straniera. Rinchiusa da dentro. O d’ora in avanti aperta da tanti anni. Un tappeto steso alla vista di tutti. L’affezione è sempre la stessa. E le scarpe piene di fango. La stessa ospitalità. La stessa ostilità. Ecco la porta. Ecco il rischio. È la tua casa. La casa è tua. |
ÀS VOLTAS DA CASACampinas, dezembro de 2018 ESTAMOS NA CASA Todos precisam de casa. A casa acolhe as coisas do mundo. Acolhe necessidades. A necessidade da casa não é menos importante do que aquilo que ela acolhe. Nem mais nem menos. Mas a casa não é depósito. Estamos na casa como estamos na vida. Algumas são azuis com portas amarelas e chão de cimento. Outras com piso de mármore. Ou perto de coqueiros. Encontram-se vermelhas. Branca cinza metálica marfim. Onde se entra é por ali que se sai. Por dentro os dias a fio as noites muito quentes anos longos e calafrios. Casa de subúrbio de arrabalde de passagem. Casa de madeira de repouso de ferreiro de perdição. Floração plantada no topo da serra. Bolha oculta no formigueiro. À margem da sarjeta arremedo de mangue. Cercada de árvores coberta de sangue. Casas há. Mas a casa não é um universal. MORAMOS JUNTOS Uma casa não é um lugar. São suas pessoas. Dizem. Mas as pessoas só são essas porque existe a casa. E quando dizem casa referem-se à delas. Habitada por elas. Não apenas um teto. A possibilidade do haver. A possibilidade do acolher. Há a casa ou haverá. Quando a casa está por vir. Numa casa moramos juntos mesmo que sozinhos. Paredes são gesso ou alvenaria. A vizinhança não é a casa. Mas possui sua divisa. A solidão é um dos casos da convivência. Do gerenciamento dos limites. Alguém se sente só porque diz não. Ou é forçado. A vizinhança é seu fantasma. Para sair à rua é preciso ter casa. Não há saída sem a fronteira da porta. Mesmo que não haja interior. Quando se tem casa é preciso sair. Vamos sair? alguém me diz. Respondo: sim, vamos. As portas me chamam. Às vezes saímos de casa como estamos nela. UM MODO DE ESTAR A casa é um lugar para se estar. Casa é onde se está quando não se está ausente. A casa não diz o ser mas o estar. Quando alguém me pergunta digo: estou em casa. Ou então: não estou. A casa é a referência da situação. É seu lugar. Escrever é como estar. Olho alguém e me pergunto onde mora. Onde tem sua ideia de casa. Como se levasse a casa nas costas. Ou tatuada no rosto. Como a expressão dos olhos. Mas na rua a casa pode ser um avesso. Uma simulação geográfica. O lugar em que se falta. Casa às vezes é aconchego. É lugar escolhido para se estar bem. Algo a ver com o paraíso. Aquilo que acolhe refugia também. Mas estar em casa às vezes só faz jus ao vício. E não ao artifício. Tampouco dormir na rua se escolhe. Ou na rodoviária perto dos extintores. Há condições para se falar da casa. E há condições de casa para se falar. E quando não se tem teto? Ter ou não ter é como ser ou não ser? Depauperado troncho sem regalia de palavra. Levado da força do despejo às traças do desejo. Não ter casa é um modo de estar? ONDE NÃO ME ENCONTRO Casa é um lugar para voltar. Mas a volta não se consolida na casa. Tampouco a casa se consolida na chave. A casa não é um sólido. Tampouco um bólido um meteorito um astrólito. Um puro quarto de hotel. Se é que existe. Um puro tráfego? Um infinito? Não. Nem isso. Casa é aquilo que existe. Quando volto não me encontro. Depois de um tempo fora a casa não é mais a mesma. Não sou mais quem pensei que era. Já não sou. Não me encontro onde deveria. Mas é precisamente ali que não me encontro. Onde poderia me reencontrar. Eu próprio. Mas não. Uma casa antiga por exemplo. Uma casa cheia de memória. Cheia da surpresa do que foi esquecido. A amnésia sujando paredes. A insuportável alegria de ter partido. Ou então os cômodos pequenos. E o incômodo da reincidência. É bom voltar. Medir as distâncias. Recalcular o ônus. Voltar para casa é como sair. Voltar para casa é como andar às voltas. Às voltas com aquilo que falta. Não para o que deve ser recuperado. Ou preenchido. Voltar é como habitar-se. Não novamente. A casa me esvazia. A casa me transborda. A casa me desloca. Nela me transformo. Como fazer da casa casa? REINVENTAR A SITUAÇÃO Não há lugar que queira tanto ser feito. Casa é onde dói diz a canção. Uma pedra no peito. Voltar à casa é como tirar a casca e reabrir a ferida. Reconsiderar a vizinhança. Reexpor a situação. Reinventar o que se chama de casa. Quando piso em casa é como se escrevesse um poema. A tentação é sempre grande de trazer o fora para dentro. De passar a vida tentando fazer do fora a casa. De fazer de si mesmo a transformação do fora em casa. Viver fora é como viciar-se de casa. Expandir o vício aos mínimos recantos da terra. Neutralizar aquilo que dói. Mas sair e ficar não são o mesmo. O quanto se sai e o quanto se volta. Muitos são os ritmos. O ritmo é alternância e regularidade. É um desenho de intensidades. Há ritmos longos e curtos. Tudo depende de quando nos sentamos no banco da praça diante da casa. E como. Como uma casa que tem goteiras. Muitas goteiras. Que tem sombras na sala. E só esperamos o momento de deixá-la. Na iminência de uma outra casa. À espera da casa. Que não seja lugar de guarda-chuva. Conter-se à espera da casa. Situação para muitos baldes. ENDEREÇOS DA CASA Confesso que há dias em que giro em torno sem entrar. Não quero entrar. Ou não há portas. A casa não está ali. Ou é tudo o que está em torno dela. Chamo casa de casa como se a ofendesse. Giro à volta desatento como se não tivesse minha cara. As paredes permanecem mudas e impenetráveis. E se perdesse a chave e o rumo? Roubado chapado desencaminhado. Não soubesse para onde voltar. Ou como entrar. Onde deixaria minhas tralhas? Meus livros minhas vidas? Todo esse peso. Todo esse lastro. Essa memória de voo. Esquecer-se da casa. Seria uma liberação? Quando falo da casa me lembro das coisas que abandonei. De onde vieram as coisas que trago. Dos diversos endereços que tive. De fotos em que não me reconheço. Das diferentes maneiras de chegar ou de sair. De partes do corpo espalhadas pelos cômodos. Ou daquele dia em que só passei em frente tantos anos depois. A casa é um deslocamento? Ou dá muitas voltas? CONSTRUÇÃO E REFORMA A casa não se limita a conter. Ela requer um discurso em torno dela. É preciso cerni-la envolvê-la acariciá-la com uma nuvem de situações. Não há como confirmá-la. A casa não tem forma fixa. A forma da casa é a impressão que ela deixa no gesso das palavras? Ou é aquilo que dela se deixa envolver? Nem isso. Há também reforma. Ou construção. Uma casa em transformação nos deixa divididos. É motivo de alegria e aflição. De um dia para o outro tudo muda. O projeto sofre. A geometria entra em contraste com seu material pesado e bruto. Há pedreiros que desprezam projeto. Há arquitetos que não sujam a mão. A casa não é a forma que me delimita. Nem a re-forma que me adequa. A casa é onde há matéria de mim. É onde circulo. A casa são as possibilidades de brecha que me mantêm. As paredes externas são vísceras em carne viva. Por dentro vê-se meu olho vazio. Quando alguém aperta a campainha o olho sai pela porta da frente. Ou então se volta para dentro das tripas. MEU ANIMAL E MINHA PLANTA É como me sinto e como me visto. É todo meu sustento. Toda minha doença toda minha rotina. É o cabo que se prende a mim do alto do que me assedia. Meu animal e minha planta. É como não podia deixar de ser. Toda minha força meu estreito meu nó. É o que me sustenta. São os ossos. São as veias que irrigam. São os nervos que transitam. Sinapses soltas mensagens elétricas matemáticas encarnadas. A matéria orgânica e seus intestinos. A elasticidade dos olhos. Meu corpo sob a luz. O cheiro da minha pele. O ruído das minhas juntas. É o que se deixa. É o que se arrebenta. O que se trava. Aquilo que se degrada. Que se entende em outra clave. O que erra quando hesita. O que aborrece. O que maltrata. É o que mais ofende o que contrasta o que desmente. Aquilo que faz água. A CASA É SUA À custa de muitas voltas é outra casa. Repare bem. Para além do retorno. Como se nunca tivesse sido. Como se sempre tivesse estado. Estrangeira. Trancada por dentro. Ou de agora em diante aberta há tantos anos. Um tapete estendido à vista de todos. O apego é sempre o mesmo. E os sapatos cheios de barro. A mesma hospitalidade. A mesma hostilidade. Esta é a porta. Este é o risco. É sua casa. A casa é sua. |
Breve commento alla traduzione di Às voltas da casa
Às voltas da casa è la sezione finale del libro Isto não é um documentário (“Questo non è un documentario”) di Marcos Siscar, pubblicato a novembre 2019 dalla casa editrice 7Letras di Rio de Janeiro. Questo microcosmo di prose attorno alla casa, imperniato sul rapporto del dentro col fuori, tra l’io e gli altri, mi è sembrato, appena un mese dopo la sua pubblicazione, impregnato di una grande forza profetica. Infatti, mentre la Cina già soffriva le prime conseguenze dell’allora epidemia di Covid-19, poco dopo in Italia, e in seguito in Brasile, avremmo vissuto il più grande momento di confronto con il dentro e il fuori, con un io costretto in una casa che ci assomiglia, eppure così profondamente diversa da come la vorremmo. Da come vorremmo che fossimo? La casa in fondo è o non è una proiezione di ciò che siamo? Cumulo di oggetti, liste di indirizzi, strati di ricordi calcificati nella memoria costituiscono la topografia della nostra vita attuale e passata. La casa, la nostra casa, un posto in cui proviamo a riproporre il mondo di fuori e un mondo di fuori in cui proviamo a riproporre la dimensione della casa, così come lo stesso autore ci dice.
È sempre grande la tentazione di portare il fuori dentro. Di passare la vita provando a fare del fuori una casa. Di fare di sé la trasformazione del fuori in casa. | A tentação é sempre grande de trazer o fora para dentro. De passar a vida tentando fazer do fora a casa. De fazer de si mesmo a transformação do fora em casa. (Siscar 2019: 100). |
Dalla delicatezza e la forza con cui Marcos Siscar affronta e attraversa il tema della casa, dell’abitare, dello stare in casa e lo stare con se stessi e allo stesso tempo in una comunità domestica? urbana? umana? - fatta di persone -, o semplicemente composta dall’archivio degli oggetti che ci appartengono, nasce l’esigenza di una traduzione. Tradurre a volte è la soddisfazione di un vizio. Parafrasando in maniera impertinente l’autore quando dice: “Ma stare a casa a volte rende solo giustizia a un vizio” (Siscar 2019: 93; le traduzioni, salvo dove diversamente indicato, sono mie).
Sconvolgerò l’ordine “classico” di un commento accademico alla traduzione: informazioni circa l’autore empirico della poesia arriveranno alla fine; mi soffermerò, infatti, prima sul corpo vivo del testo, commenterò alcune mie scelte traduttive, infine accennerò sommariamente ad alcune caratteristiche della poesia brasiliana contemporanea.
Come traduttrice e amante delle lingue per effetto di assonanza, sono intrigata dalla poesia contemporanea che è in grado di riprodurre l’effetto voce al posto dell’io lirico, o, nei casi di testi ibridi di prosa poetica, l’effetto voce al posto del narratore. Non si tratta soltanto di un dislocamento o dissoluzione dell’io lirico e del narratore, ma di una convergenza di quest’ultimo fenomeno, e di conseguenza un suo ampliamento, con un effetto di proiezione sonora dello scritto, non perché si ricorra alle figure retoriche del suono, ma perché quella voce la sentiamo per davvero. Mi interessa dunque la voce come memoria, la voce come riproduzione del chiacchiericcio confuso della mente[1] o come veicolo di ricostruzione di una lucida catena di connessioni - proprio come nel testo Attorno alla casa - non prive di affetto. L’effetto voce si unisce quindi ad un gusto per l’estetica del suono; ovvero, il fatto che si riproduca un parlare della mente, una tessitura di ricordi, non vuol dire che la fisicità del suono non emerga prepotente anche attraverso rime, assonanze, consonanze, anafore e ricorrenze di vario tipo. Il pensiero, fatto voce, diventa fisico. La punteggiatura - inesistente, ad eccezione dei punti - aumenta e amplifica l’efficacia sonora, generando anche effetti labirinto durante la lettura. Non di rado, leggendo il testo non si sa più dove finisca una frase e dove inizi la successiva, effetto a volte amplificato in traduzione in maniera autoriale (“Dopo un po’ di tempo fuori la casa non è più la stessa”, Siscar 2019: 96, enfasi mia). La reiterazione di cellule sonore o la scarsa punteggiatura infatti potrebbero suggerire letture falsate o multiple. È necessario ripercorrere il testo. Tornare indietro, o dentro la casa, immaginaria, reale. Cosa difficile da fare quando il linguaggio verbale è solo pensiero, fenomeno, però, reso possibile dal pensiero trasposto nell’icona del segno verbale: la scrittura. La scrittura così diventa lo strumento per fissare la voce. La scrittura nel momento della lettura si trasmuta in scultura sonora. Frasi brevi, blocchi sonori, si incastrano tra di loro senza virgole, solo punti a dividere ogni piccolo segmento. Se ogni lettura è l’ascolto di una voce (Zumthor 2007), quella del lettore, anche quando legge soltanto mentalmente, si può dire altresì che la poesia contemporanea, in questa voglia incessante di erosione delle forme, assorba porosamente elementi performativi, attivando la percezione di più sensi allo stesso tempo a mo’ di un’istallazione di arte contemporanea.
Una fetta rappresentativa della poesia brasiliana contemporanea, nelle sue forme più svariate e più sperimentali, presenta un trasbordare al di là di se stessa; il linguaggio verbale scritto prova a perforare e superare la sua stessa superficie, inglobando procedimenti artistici di altri campi che ne opacizzano i confini e interpellano il corpo lettore nella produzione di senso.
Attorno alla casa ci parla degli affetti (affectus), affetti da non intendere in termini lirici e romantici (Di Leone 2014), ma come la capacità spinoziana di essere sottoposto all’azione dell’affezione (affectio), ovvero quello stato di un corpo che subisce l’azione di un altro e che ne viene per questo influenzato, implicando così una mescolanza dei due elementi entrati in collisione (Di Leone 2014: 31-32; Deleuze apud Di Leone 2014: 31-32). È un affetto che non dice di sé, ma dice di sé nel mondo, di sé con gli altri, di sé alla ricerca di una dimensione reticolare, comunitaria. L’affetto e la forma di relazionarsi all’altro sono questioni profondamente politiche, dicono qualcosa rispetto a come stiamo in casa, nella nostra comunità interna, ma anche a come stiamo nella vita, come l’autore stesso ci ricorda: "Stiamo a casa come stiamo nella vita" (Siscar 2019: 85). Il confine tra il dentro e il fuori si dissolve; la frontiera della porta, oltre ad essere il confine del dentro, costituisce l’accesso ad un fuori, dove forse si proietta il nostro dentro:
Per uscire per strada c’è bisogno di avere una casa. Non c’è uscita senza la frontiera della porta. Anche se non c’è un dentro. Quando si ha una casa c’è bisogno di uscire. Usciamo? mi dice qualcuno. Rispondo: sì, andiamo. Le porte mi chiamano. A volte usciamo di casa come ci stiamo dentro. | Para sair à rua é preciso ter casa. Não há saída sem a fronteira da porta. Mesmo que não haja interior. Quando se tem casa é preciso sair. Vamos sair? alguém me diz. Respondo: sim, vamos. As portas me chamam. Às vezes saímos de casa como estamos nela (Siscar 2019: 90). |
Il privato e il pubblico si incontrano, essere nel microcosmo è la nostra forma di stare anche nel macrocosmo. La funzione di una porta dipende da che lato la si guarda; essa però connette sempre questi due lati.
Come traduttrice, per restituire l’incontro con questa voce, che si proietta come pensiero e come suono, in un movimento costante tra il flusso di coscienza e l’ascolto di una riproduzione sonora, ho chiaramente optato per non disciplinare il testo dal punto di vista della punteggiatura, operazione che sarebbe estremamente ingenua per qualsiasi adepta al mestiere. Un’altra scelta traduttiva ha agito in direzione di una preservazione totale degli effetti sonori, operando qualche volta aggiunte o lievi modificazioni lessicali proprio in funzione del recupero di questi effetti nel testo italiano. Il senso, anche se rinegoziato da lettore a lettore, in poesia e prosa poetica è estremamente mediato dal suono; i due elementi sono inscindibili. Un elemento sonoro, a volte, cambia, in coabitazione solidale o stridente con altri elementi sonori dello stesso testo, il primordiale significato attribuibile ad una parola. Per questa ragione tutte le scelte traduttive sono state effettuate con l’intuito di preservare gli effetti sonori, le rime e il ritmo. "Le sonore, au contraire [du visuel], comporte la forme. Il ne la dissout pas, il l’élargit plutôt, il lui donne une ampleur, une épaisseur et une vibration ou une ondulation dont le dessin ne fait jamais qu’approcher", scrive Jean-Luc Nancy nel libro À l’écoute (2002). Dunque se l’elemento sonoro ha a che vedere con la propagazione di una forma, questa forma sonora s’imporrà come senso e sarà, metaforicamente, concepibile come la cornice che delimita i confini di un quadro, decidendo il limite della tela che i sensi potranno percepire.
In un contesto traduttivo di prosa poetica lo sforzo della traduttrice è doppio, esso infatti è sia stilistico che ritmico. La prosa poetica non è prosa, ma nemmeno poesia. Una traduzione poco attenta rischia di abbassare lo spessore del testo portandolo a quello di prosa semplice, perdendo insomma il lato poetico. Altro rischio, invece, è quello di esagerare nella ricerca di artifici poetici snaturando l’ibrido di cui il testo si compone, ovvero rendendolo solo poesia. Lo sforzo dunque è stato indirizzato al mantenimento del genere testuale misto, senza elaborare e ricorrere ad artifici inesistenti e recuperando, allo stesso tempo, tutto ciò che sonoramente potesse far emergere nel testo italiano gli stessi segnali distintivi del testo di origine. Una cosa interessante da rilevare è che in originale Attorno alla casa, nel contesto del libro preso nella sua complessità, si trova in dialogo con un testo, Essai sur le retour (“Saggio sul ritorno”), scritto in francese dall’autore stesso. Il layout della pagina - diviso in due sezioni - presenta nella parte superiore il testo di prosa poetica in portoghese e nella parte inferiore, nella forma appunto di un saggio, in corsivo e in corpo leggermente minore, il testo francese (lingua che l’autore domina perfettamente). Questa particolarità sembra essere importante visto che il testo portoghese è diviso dall’altro testo saggistico da uno spazio bianco, come a marcare una differenza tra due scritti, che pur dialogando - entrambi infatti fanno parte della sezione del libro chiamata Endereços (“Indirizzi”) -, lo fanno attraverso dei corpi/forme distinti. Dunque il mantenimento del carattere di non saggio, ma di ibrido poetico è parso essenziale.
Mostrerò due esempi tra tutti per esplicitare il processo traduttivo sulla base dei commenti appena fatti, aggiungendo un'altra necessaria constatazione. Quando si parla della traduzione tra due lingue sorelle, quali il portoghese brasiliano e l’italiano, la ricerca lessicale, semantica e di struttura sintattica, al fine di evitare soluzioni banali o ovvie, può diventare estenuante, nonostante il processo possa sembrare a prima vista più semplice. Quindi ogni parola tradotta, all’interno del contesto testo è sempre il prodotto di un lungo processo di gestazione e negoziazione, anche quando si tratta di lingue in cui il processo traduttivo ha delle facilitazioni dovute al grado di parentela.
Da dove si entra si esce pure. Da dentro una sfilza di giorni notti asfissianti sfilano lunghi gli anni e i brividi. | Onde se entra é por ali que se sai. Por dentro os dias a fio as noites muito quentes anos longos e calafrios (Siscar 2019: 86). |
In questo primo esempio dias a fio e calafrios, identificabili come la parte finale del primo e terzo blocco di una sequenza di tre (Por dentro os dias a fio/ as noites muito quentes/ anos longos e calafrios), rimano tra di loro. Così come esiste un gioco nel processamento di significati possibili tra la parola calafrios ("brividi") che in portoghese è composta con la parola frio, ovvero il brivido inteso come piccole scariche di correnti fredde, che si pone in contrasto con l’aggettivo quentes ("calde") che rima in maniera atona con noites ("notti"), ovvero il nome a cui si riferisce. La reiterazione della consonante s sembra altresì creare una continuità sonora che rimanda allo scorrere infinito di giorni nelle nostre case, giorni fatti di brividi ma anche di notti calde. Per poter mantenere la reiterazione delle consonanti è stata effettuata innanzitutto l’aggiunta verbale sfilano con il significato di passare, ellittico nell’originale, ma il cui significato è comunque sottointeso. Os dias a fio, as noites quentes e longos anos: qui, giorni, notti e anni sono menzionati con l’intento di farne risaltare lo scorrere cronologico, scorrere del tempo lineare messo ancor più in evidenza da a fio (uno dopo l’altro) e longos (lunghi). L’aggiunta del verbo sfilare ha permesso di riprendere anche l'allitterazione in f presente nell’originale e di creare un ulteriore effetto interessante con asfissianti con cui si è tradotto quentes, che a rigore sarebbe più correttamente traducibile con calde. Queste decisioni - forse giudicate osate da chi applica pratiche traduttive più legate alla parola come unico nucleo orientatore delle proprie scelte - permettono a mio avviso di compensare anche perdite dell’originale come il contrasto tra quentes e calafrios e la rima tra fio e calafrio. Infatti la parola calafrios ("brividi") su cui nell’originale convergono vari effetti sonori e di significato, si neutralizza da questo punto di vista in traduzione. L’intento quindi, nella coerenza del testo come blocco, è stato di provare a riprodurre degli effetti simili all’originale attraverso effetti sonori applicabili ad altre porzioni del testo, implicando in questo caso un’aggiunta (sfilano) e l’uso di un aggettivo (asfissiante) maggiormente connotato. Passiamo al commento di un ulteriore stralcio a mo’ di esempio:
Espropriato monco privato della regalia della parola. Portato dalla forza dello sfratto alla tarma di un desiderio mai sazio. | Depauperado troncho sem regalia de palavra. Levado da força do despejo às traças do desejo (Siscar 2019: 94). |
In questo secondo esempio, invece, possiamo osservare l’importanza della rima tra la parola despejo ("sfratto") e desejo ("desiderio"); la coppia di parole in rima indica infatti una continuità di movimento da una condizione ad un'altra o ancora, in un’altra ipotesi interpretativa, una condizione come causa dell’altra. Forças e traças ("forze" e "tarme"), di cui despejo e desejo sono il complemento di specificazione, costituiscono una coppia rimica e di senso. Entrambe le parole indicano infatti qualcosa che agisce su una mente/un corpo in senso materiale o figurato. As traças do desejo letteralmente si riferisce ad animali che corrodono senza lasciar tregua, come accade con un desiderio fisso; l’aggiunta in traduzione di mai sazio, ovvero mai soddisfatto, avvenuta con l’intento di creare una rima incompleta tra sfratto e sazio per riprodurre la coppia despejo/desejo, non è sembrata irriverente, considerato il reale senso di un desiderio che non trova mai pace e che, dunque, costantemente corrode chi è soggetto alla sua azione. Inoltre, siccome la coppia despejo/desejo costituisce una rima completa avendo come unico segnale distintivo una consonante in più nella prima parola, si è provato - per compensare, ma anche con la finalità di marcare il ritmo della lettura per piccoli blocchi come nell’originale - a riprodurre qualcosa di interessante nelle frasi immediatamente anteriori. Infatti, la tripletta espropriato/privato/portato riproduce l’effetto di deupaperado/levado aggiungendo un altro termine intermedio, privato, con cui ho tradotto sem, il quale, in una versione meno attenta agli aspetti sonori, si sarebbe potuto tradurre in maniera più semplice con senza.
Attraverso questi esempi si mostra come la scelta di ogni parola sia tutt’altro che casuale e soprattutto slegata dal semplice valore referenziale (da dizionario), giacché molteplici significati si aprono a partire dal contesto più ampio del testo, ma soprattutto in virtù dei procedimenti estetici usati dall’autore.
Il processo traduttivo, infine, ha avuto il privilegio di essere finalizzato con un confronto diretto con l’autore, assieme al quale sono state discusse scelte, confrontate possibilità e rimodulate opzioni. Tra gli elementi che come traduttrice sentivo l’esigenza di discutere direttamente con l’autore, vi era l’eliminazione di alcuni articoli indeterminativi, come nella frase “Ma la casa universale non è” ("Mas a casa não é um universal", Siscar 2019: 87), articoli che nel testo italiano avrebbero suggerito letture eccessivamente metafisiche, posizione su cui ho trovato d’accordo lo stesso autore.
Marcos Siscar, oltre a svolgere l’attività di scrittore e traduttore, è docente presso il dipartimento di teoria letteraria dell’Unicamp, una tra le università pubbliche brasiliane più prestigiose, e libero docente presso l’Unesp. Cordina il gruppo GREECC - Grupos de estudos em crítica contemporânea. Ha tradotto vari volumi dal francese oltre ad occuparsi della critica e della diffusione dell’opera di Jacques Derrida in Brasile. Interessanti le sue elaborazioni sul concetto di crisi nella poesia contemporanea, la quale, secondo lo studioso, denoterebbe innanzitutto un modo performativo, piuttosto che constatativo. L’idea di crisi associata alla poesia contemporanea sarebbe il modo ricorrente di vivere l’elemento poetico creando un’attenzione storica verso una fase, un momento, in modo da intervenire nel dibattito contemporaneo (intervista 2018). Tra i suoi libri si ricordano Metade da arte (2003), O roubo do silêncio (2006), Interior via satélite (2010) e Manual de flutuação para amadores (2015).
Riferimenti bibliografici
Di Leone, Luciana (2014). Poesia e escolhas afetivas, Rio de Janeiro: Rocco.
Nancy, Jean-Luc (2002). À l’écoute. Paris: Galilée.
Siscar, Marcos (2019). Isto não é um documentário, Rio de Janeiro: 7Letras.
Vieira, Beatriz, Ferraz, Eduardo Felippe, e Nicodemo Lima Thiago (2018). “Escrever a crise: entrevista”, in Revista Maracanan n. 18, jan/jun 2018, pp. 256-257. URL: https://www.e-publicacoes.uerj.br/index.php/maracanan/article/view/31395 (accesso 17 novembre 2020).
Zumthor, Paul (2007). Performance, recepção, leitura (trad. Jerusa Pires Ferreira e Suely Fenerich), São Paulo: Cosac Naify.
Note
[1] Non è questo il caso di riproduzione di chiacchiericcio mentale che in portoghese brasiliano viene chiamato papo mental o, in un linguaggio più rigoroso, conversa mental.
©inTRAlinea & Irma Caputo (2021).
"Attorno alla casa". Translation from the work of Marcos Siscar.
This translation can be freely reproduced under Creative Commons License.
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