Breve storia della letteratura tradotta in Swahili
By Serena Talento (University of Bayreuth, Germany)
Abstract
English:
The limited visibility of translation studies research produced in African contexts within the global translation debate is particularly evident when considering historical studies on translational and interpretative practices on the continent. Considering this gap, the present contribution outlines a historical reconstruction of literary translation in Swahili, focusing on four historical moments: the pre-nineteenth-century Swahili literary space; missionary activity and colonial rule; the dawn of independence; and the period from the 1990s to the present.
Across these periods, several key factors are examined: the study of translation flows, which allows individual translations to be situated in the context of others; extratextual contextualization, through which translations are analyzed in relation to broader social, cultural, and political contexts; the examination of discourses surrounding the texts, which are fundamental to their institutionalization and the construction of their value; and a focus on mediators (translators, editors, associations, and institutions) and their practices, situated at the intersection of different fields.
In this way, the history of Swahili translation is understood as a collective phenomenon of cultural production, shaped by the connections and conflicts among a wide network of mediators, institutions, and discursive practices that, at each historical moment, have both shaped and conveyed individual and collective interests and visions.
Italian:
La scarsa visibilità della ricerca traduttologica prodotta in contesti africani all’interno del dibattito globale sulla traduzione risulta particolarmente evidente quando si considerano gli studi storici sulle pratiche traduttive e interpretative nel continente. Alla luce di ciò, il presente contributo delinea una ricostruzione storica della traduzione letteraria in swahili, concentrandosi su quattro momenti storici: lo spazio letterario swahili pre-novecentesco; l’attività missionaria e il dominio coloniale; l’alba delle indipendenze; e il periodo dagli anni Novanta a oggi.
Nei diversi periodi considerati, vengono presi in esame vari fattori chiave: lo studio dei flussi traduttivi, che consente di collocare le singole traduzioni nel contesto di altre; la contestualizzazione extratestuale, attraverso cui le traduzioni sono analizzate alla luce dei più ampi contesti sociali, culturali e politici; l’esame dei discorsi che accompagnano i testi, fondamentali per la loro istituzionalizzazione e per la costruzione del loro valore; e un focus sui mediatori (traduttori, editori, associazioni, istituzioni) e la loro pratica, situata all’intersezione tra diversi campi.
In questo modo, la storia della traduzione in swahili è letta come un fenomeno collettivo di produzione culturale, costituito dalle connessioni e dai conflitti tra una vasta rete di mediatori, istituzioni e pratiche discorsive che, in ciascun momento storico, hanno sia modellato sia veicolato interessi e visioni individuali e collettivi.
Keywords:
©inTRAlinea & Serena Talento (2025).
"Breve storia della letteratura tradotta in Swahili"
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1. Introduzione
L’internazionalizzazione della disciplina dei Translation Studies a cui si è assistito nelle ultime due decadi (Susam-Sarajeva 2002; Tymoczko 2006; Kothari e Wakabayashi 2009: 4), sostenuta dalla messa in discussione dell’eurocentrismo che ha a lungo dominato la disciplina stessa (Van Doorslaer e Flynn 2013) e dall’impatto dei Global Studies sulla riflessione traduttologica (Roig-Sanz e Kvirikashvili 2025), ha reso sempre più evidente la necessità di ampliare i confini geografici e concettuali di un campo storicamente eurocentrico. Ciò significa promuovere l’analisi di pratiche traduttive provenienti da contesti spesso ai margini del mainstream dei Translation Studies, dei discorsi che le accompagnano e delle loro specifiche storie, con l’obiettivo di stimolare nuovi modelli teorici e metodologici. Nonostante questi sviluppi, la marginalità e la scarsa visibilità della ricerca traduttologica in contesti africani nel dibattito globale sulla traduzione evidenziano i limiti ancora presenti nel processo di internazionalizzazione del campo. Tali considerazioni tuttavia chiamano in causa, da un lato, la stessa rilevanza della visibilità nei circuiti accademici internazionali e, di conseguenza, la perdurante dicotomia tra centri e periferie teorizzata nella world literature, nella letteratura comparata e negli studi sulla traduzione; e dall’altro, evidenziano il concetto del ‘non visto’, ovvero la possibilità che gli scambi tra lingue e letterature si realizzino in spazi e attraverso media spesso non considerati tradizionali e, di conseguenza, trascurati dalle narrazioni accademiche canoniche (Talento e Adejunmobi 2025: 1-2). Resta indubbio che un maggiore coinvolgimento della ricerca traduttologica in contesti africani nel dibattito internazionale permetterebbe di instaurare una relazione dialogica reciprocamente arricchente, nonché ridefinire le narrazioni canoniche che ancora strutturano i Translation Studies contemporanei.
Una delle aree indispensabili per promuovere una maggiore inclusività all’interno dei Translation Studies è rappresentata dalla ricerca storica e storiografica. Come sottolinea Roig-Sanz (2022: 144), vi è “il bisogno urgente di scrivere una storia della traduzione decentrata”,[1] capace di restituire visibilità alle molteplici traiettorie della traduzione al di fuori dell’asse eurocentrico. Se, come evidenziano Kobus Marais e Carmen Delgado Luchner (2020: 2) gli studi sulla traduzione nel continente privilegiano la formazione professionale rispetto alla ricerca in molte delle sue istituzioni, la ricerca storica sulle pratiche traduttive e interpretative nel contesto africano è ancora più marginale. Gli studi storici sulla traduzione di Charles Atangana Nama, in particolare nel contesto camerunense, hanno dato visibilità all’agency dei traduttori e interpreti africani, mettendo in luce la rilevanza storica della pratica e confutando così “il mito che la traduzione e soprattutto l’interpretazione in Africa siano iniziati con l’avvento dell’imperialismo”[2] (Nama 1993: 414). La ricerca storica sulla traduzione (nel suo senso più ampio) nel contesto precoloniale resta ancora largamente inesplorata e potrebbe offrire un contributo significativo all’arricchimento del dibattito internazionale sulla traduzione. Nel contesto sudafricano, gli studi di Olsen (2008) e Botha (2020) hanno offerto un impulso fondamentale alla ricostruzione storica della traduzione. Attingendo a (auto)biografie, raccolte di lettere, storie letterarie, storie delle missioni e storie delle lingue, Olsen (2008) offre numerosi ritratti di traduttori e interpreti e ricostruisce un catalogo delle traduzioni effettuate tra il 1652 e il 1860, fornendo una risorsa inestimabile per i ricercatori di storia della traduzione. Botha (2017) propone un’interpretazione sociologica della storia della traduzione in Sudafrica, dal XVII secolo ai giorni nostri, che evidenzia il ruolo della traduzione in dinamiche di potere e ideologiche. Il suo studio include una vasta gamma di lingue, tra cui Xhosa, Tswana, Sotho meridionale, Zulu, lingue khoisan e Afrikaans (cfr. anche Botha e Beukes 2019). In Storia della letteratura etiopica (1961), Enrico Cerulli ha analizzato lo sviluppo della letteratura etiope alla luce delle influenze ricevute da networks religiosi, culturali e letterari. Tuttavia, nonostante la ricchezza delle tradizioni orali e scritte e delle attività traduttive, il Corno d’Africa è scarsamente rappresentato negli studi sulla traduzione. Da citare lo studio di Elena Di Giovanni e Chelati Uoldelul Dirar (2015) che esplora le attività missionarie cristiane in Eritrea ed Etiopia, nei periodi precoloniale e coloniale, analizzando l’impatto della traduzione nel “modellare e rimodellare culture, identità e relazioni sociali” (2015: 52).[3] Nel suo saggio “Translation traditions in Angola”, Riikka Halme-Berneking (2019) ha invece gettato luce su una regione finora poco studiata nell’ambito della traduzione.
Oltre alle storie traduttive regionali, la ricerca storica sulla traduzione in Africa ha prodotto anche studi tematici, come quelli sulla storia delle traduzioni shakespeariane, che hanno generato un corpus significativo di ricerche in Sudafrica, o gli studi sulla storia del libro, che hanno analizzato le traduzioni di opere come Alice nel Paese delle Meraviglie,[4] Pinocchio[5] e The Pilgrim’s Progress.[6]
Nel presente contributo, mi propongo di delineare una ricostruzione storica della traduzione letteraria in swahili. Protesa verso l’Oceano Indiano e strategicamente collegata all’interno, la costa swahili è stata da sempre un centro nevralgico di forze regionali, transregionali, nazionali e transnazionali. Il commercio, le migrazioni, gli interessi politici, le dominazioni coloniali e poi la lotta per la liberazione e la collaborazione transnazionale non solo hanno plasmato l’assetto socio-politico di questa regione geografica, ma hanno anche stimolato complessi trasferimenti letterari. Gli studi sulla traduzione in swahili costituiscono un campo accademico relativamente giovane, ma pubblicazioni recenti, iniziative editoriali e conferenze specializzate testimoniano un crescente interesse per questa area di ricerca.
Il presente panorama storico della letteratura tradotta in swahili si articola su più livelli. Un primo livello è quello dello studio dei flussi di traduzione ricavati dal “Catalogo di testi letterari tradotti in Swahili nel periodo 1663-2024”.[7] Sebbene non esaustivo, il catalogo funge da “framing device” (Pym 1998: 40) che consente di collocare le singole traduzioni nel contesto di altre traduzioni. Ciò consente inoltre di delineare una prima mappa dei generi testuali, delle lingue di partenza, degli autori e dei traduttori coinvolti, di osservare l’incidenza di eventi storici o sociali sul campo letterario, nonché di esaminare le logiche di inclusione o esclusione che governano i trasferimenti letterari. Un secondo livello è l’individuazione di macroperiodi utili a orientare l’analisi storica. Consapevole del carattere convenzionale e arbitrario di ogni periodizzazione, tali macroperiodi sono da considerare come “costituiti da punti, non da linee continue”[8] (Rizzi et al. 2019: 73). Un terzo livello prende in esame gli elementi paratestuali (Genette 1987) ed extratestuali (Tahir-Gürçağlar 2002: 44), ossia tutti quei dispositivi che contribuiscono a creare il valore e il senso di un’opera (Bourdieu 1996: 171). L’analisi di tali elementi consente di identificare le funzioni che la traduzione (presumibilmente) assume in determinati contesti, nonché le forme di (auto)rappresentazione della traduzione come pratica e come prodotto, le aspettative concernenti la traduzione, le condizioni materiali del lavoro traduttivo, eventuali connessioni o disconnessioni con pratiche non traduttive e il pubblico di riferimento. Un ultimo livello comprende un focus sui mediatori (traduttori, editori, associazioni, istituzioni) e l’analisi della loro pratica traduttiva all’intersezione tra campi diversi. L’analisi degli agenti coinvolti nei traffici letterari richiede dunque una contestualizzazione che tenga conto delle specificità geografiche e temporali, al fine di comprendere lo stato del campo letterario e i suoi principi organizzativi alla luce delle sue interrelazioni (e conflitti) con altri campi adiacenti. In questo modo, la storia della traduzione in swahili è analizzata come fenomeno collettivo di produzione culturale, una pratica socialmente costituita dalle connessioni o conflitti tra una vasta rete di mediatori, istituzioni e pratiche discorsive che riflettono dinamiche di potere.
2. La traduzione letteraria nello spazio letterario swahili pre-novecento
Le rotte commerciali e i circuiti islamici dell’Oceano Indiano, in cui la costa swahili era strategicamente integrata, facilitavano non solo il passaggio di preziose merci di scambio e la mobilità di personalità religiose, ma diveniva un canale di circolazione di lingue e tradizioni letterarie ad esse associate. Le attività di traduzione sono state, dunque, da sempre una componente essenziale della multilingue e cosmopolita costa swahili.
La traduzione ha avuto un ruolo importante nella formazione di un corpus letterario orale swahili precedente al XX secolo che incorporava favole e racconti provenienti da una vasta area dell’Oceano Indiano. Questi racconti trasmessi oralmente, probabilmente per secoli, vennero poi raccolti alla fine del XIX secolo da missionari e linguisti europei come Edward Steere, Carl Gotthilf Büttner, e Carl Velten, e usati per sostenere l’insegnamento delle lingue africane nelle cattedre appena fondate nel continente europeo. Un numero significativo di questi racconti raccolti consiste nel trasferimento di narrazioni arabe o presenta motivi e influenze persiane, indiane, turche e persino aramaiche, spesso mediate dalla traduzione araba (Hofmann 1969: 28). Tra le narrazioni che hanno maggiormente plasmato il repertorio orale swahili nel XIX secolo figurano le storie del ciclo sanscrito del Pañcatantra e de Le mille e una notte. I racconti indiani giunsero in forma scritta sulla costa swahili attraverso la traduzione araba Kitāb Kalīla wa Dimna [Libro di Kalila e Dimna], realizzata da ʿAbd Allāh ibn al-Muqaffaʿ a partire dalla traduzione persiana dell’originale sanscrito (Bertoncini Zúbková et al. 2009: 17). Sebbene non sia noto quando Le mille e una notte siano state introdotte nella regione, le edizioni arabe erano ampiamente disponibili almeno dal 1835 (Geider 2007: 196), nella versione Bulaq del Cairo, e sono divenute parte integrante del mondo swahilofono. L’assimilazione di narrazioni provenienti dal Medio Oriente e dal subcontinente indiano avveniva spesso attraverso un processo di adattamento al contesto est africano. Ciononostante, il transfer letterario favorì l’adozione di temi, motivi e strutture narrative nel corpus della letteratura swahili. Ad esempio, accanto agli animali antropomorfizzati tipici dei racconti bantu, comparvero animali stilizzati o mistici. Inoltre, figure come sultani, visir o beduini iniziarono a popolare le narrazioni orali swahili (Geider 2007: 230), mentre majini (geni) e mashetani (demoni) si affiancarono ai mazimwi, gli orchi della tradizione bantu.
La traduzione letteraria ebbe un ruolo di primo piano non solo nella sfera della tradizione orale swahili, ma anche nello sviluppo di una cultura manoscritta swahili. Alcune delle più antiche testimonianze di un corpus letterario scritto precoloniale in swahili sono traduzioni in forma poetica o poemi presentati come traduzioni, come l’Utendi wa Tambuka [Poema della battaglia di Tabuk] (1728) o l’Hamziyya [Poema in Hamza] (1749). Il XVII, ma soprattutto il XVIII e XIX secolo furono caratterizzati da un crescente impulso religioso islamico derivato dalla riforma sufi e dall’influenza politica omanita che culminò con il trasferimento della capitale omanita a Zanzibar nel 1832. Un aspetto della vivace atmosfera multilingue e cosmopolita della costa swahili, in particolare alla fine del XIX secolo, era la circolazione di manoscritti, riviste, giornali e libri a stampa portati sulla costa swahili dal Medio Oriente (principalmente Ḥaḍramawt e La Mecca), dall’Egitto (Il Cairo) e dall’India (Bombay). Questi materiali non erano accessibili solo ai sultani e alla loro corte, ma anche alle moschee, alle istituzioni educative e ai singoli studiosi (Bang 2014: 131). In questo contesto, membri della classe ulamaa, ossia giudici e teologi islamici e studiosi (spesso collegati con altri centri di studio islamici nell’Oceano Indiano), così come membri di corte, letterati e letterate (spesso provenienti da ricchi lignaggi musulmani), fecero della traduzione letteraria – intesa nel suo senso più ampio – di narrazioni storiche e leggendarie arabe una componente fondamentale della pratica letteraria. Il transfer letterario diede vita a diversi tipi di testo quali poemi epici sulle guerre contro gli infedeli, come Utendi wa Tambuka, Utendi wa Katirifu [Poema di Katirifu] e Utendi wa Mikidadi na Mayasa [Poema di Miqdad e Mayasa]; poemi agiografici come Utendi wa Ayubu [Poema di Giobbe] e Utendi wa Fatuma [Poema di Fatuma]; poemi basati su narrazioni coraniche sulla vita del Profeta, come Ukawafi wa Miraji [Quartina sull’ascensione al cielo]; poemi didattici come Utendi wa Ngamia na Paa [Poema del cammello e della gazzella] e Utendi wa Barasisi [Poema del monaco Barsis]; panegirici in onore del Profeta come Buruda ya Al-Busiri [Burda di al-Busiri] e U Mbali Suadu [Lontana è la felicità]; e testi Maulid, ossia celebrazioni poetiche della nascita del Profeta, come Kitabu Maulidi [Libro della Natività], Maulidi ya Dali [Maulid in –dā] e Maulidi ya Wa [Maulid in –wa].
Di centrale importanza, come si può evincere dall’elenco di testi appena fatto, è che nel contesto swahili le narrazioni arabe venivano trasformate in poesia, in particolare nella forma dell’utendi (pl. tendi)[9] o dell’ukawafi (pl. kawafi)[10]. In altre parole, le narrazioni arabe venivano adattate nella forma che costituiva la principale forma di letteratura scritta swahili fino al XX secolo.[11] Usata per assolvere ad una varietà di funzioni sociali – religiose, storiche e morali – la poesia ha da sempre occupato una posizione dominante all’interno del panorama letterario swahili. Essa è stata (e continua a essere) un mezzo principale per trasmettere valori e visioni del mondo nella cultura swahili, per esercitare il pensiero filosofico e la pratica intellettuale (cfr. Kresse 2007).[12] Il fatto che la traduzione era sinonimo di versificazione è legato anche alle implicazioni sociali del genere poetico all’interno della comunità e quindi anche alla espressione di una particolare identità. La capacità di comporre poesia – o di tradurre in forma poetica – rappresentava infatti un segno (personale e culturale) distintivo della classe dei waungwana, ossia nobili e/o acculturati/eruditi, nella stratificata società swahili dell’epoca (cfr. Talento 2025: 205-209). La traduzione letteraria si realizzava dunque attraverso una forma letteraria che fungeva da simbolo di distinzione sociale.
Oltre alla dimensione di ri-creazione riguardante le forme letterarie, il processo traduttivo stesso era incentrato su una rielaborazione testuale che combinava un’ampia gamma di processi di riscrittura con elementi di scrittura. Certamente alcuni poemi hanno dei testi di partenza tradotti quasi letteralmente. Tra questi rientrano Buruda ya Al-Busiri, una traduzione di al-Kawākibu-d-Durriyya fī madḥi hayri ’l-Bariyya [Le stelle scintillanti in lode del migliore dell’umanità] del famoso Sharafu’d-Dini Al-Busiri; Hamziyya, una traduzione di un altro poema arabo di Al-Busiri, Kasidatu ‘l-Hamziyah fi ‘l-mada’ihi ‘n Nabawiya [Qasida in lode del Profeta Muhammad con rime in hamza]; e U Mbali Suadu, una traduzione del celebre poema arabo Bānat Suʽād [Suʽād è partita] del rinomato poeta egiziano Kaʽb ibn Zuhayr. Tuttavia, la maggior parte dei poemi classici swahili presentati come traduzioni non hanno testi di partenza chiaramente o direttamente identificabili. Questo è il caso, ad esempio, di Utendi wa Ayubu, Utendi wa Katirifu, Utendi wa Mikidadi na Mayasa, Utendi wa Ngamia na Paa e Utendi wa Tambuka per i quali non esistono diretti testi di partenza. Questi poemi swahili possono essere identificati come pseudotraduzioni, ossia testi presentati come traduzioni che sono in realtà nuove composizioni. Spesso il testo di partenza identificato consiste di una fonte parziale dalla quale i compositori swahili hanno tratto il tema generale, con l’intento però di creare un poema ex novo. Utenzi wa Ras ‘l-Ghuli [Poema di Ras al-Ghul] o Utendi wa Barasisi rientrano in questa categoria metaletteraria (cfr. Holmes 1988: 23). In altri casi, sebbene dai poemi swahili non si evinca un riferimento alla traduzione, è molto plausibile che i tendi o i kawafi swahili siano stati elaborati a partire da un insieme di fonti. Ukawafi wa Miraji, ad esempio, fu composto in un’epoca in cui diverse versioni del viaggio del Profeta in paradiso erano disponibili e ampiamente diffuse in prosa. Similmente, alcuni poemi sono invece solo debolmente marcati come traduzioni, come nel caso di Siri li Asirari [Segreto Nascosto], in cui la poetessa osserva “Nasi tumeifupiza” [Noi l’abbiamo abbreviato] (in Dammann 1940: 270). Questo è un caso in cui i testi presentano temi narrativi che “possono essere ricondotti ad antecedenti o ‘tradizioni’ transculturali”[13] (Pym 1998: 60). In altre parole, le pratiche traduttive swahili nel contesto pre-novecentesco mostrano molteplici e talvolta sovrapposte modalità di trasferimento testuale, che mettono in discussione le definizioni tradizionali di traduzione.
Una caratteristica interessante dei tendi e kawafi è la presenza di un elaborato metadiscorso sulle attività di scrivere, narrare e tradurre, ovvero una riflessività testuale che accompagna e permea la narrazione stessa. I poeti descrivono la loro esperienza fisica, intellettuale ed emozionale della traduzione (Talento in corso di stampa), fanno riferimento all’origine del testo, alla loro identità e al loro metodo. Nel dibaji, preambolo, i compositori swahili si rivolgono solitamente ai lettori, informandoli che l’opera è un atto di rinarrazione o ripetizione di fonti arabe preesistenti,[14] o hadithi ya Kiarabu [storia araba]. L’atto di ripetere è enfatizzato dall’uso di verbi come kudhukuri[15] [ricordare, ripetere], kuhadithiya[16] [narrare, recitare], kukhubiri[17] [annunciare, riferire], o dal riportare che il testo di partenza sia stato riprodotto dall’inizio [awali, mwanzo] alla fine [akheri, anche ahari, aheri, ahiri], conferendo al testo tradotto la qualità di essere timamu[18] [completo] e dando al lettore/ascoltatore[19] la certezza che nessuna parola sia andata persa o sia stata trascurata nel trasferimento dall’arabo allo swahili: Pasi neno kulisaza [Senza trascurare una parola].[20] La traduzione è descritta come qualcosa di desiderato, amato (kuhibu, kupenda) o ambito (kutamani), e che infine porta soddisfazione personale (Haona kunipendeza,[21] ‘Provai appagamento’). La trasformazione del genere letterario e quindi dell’atto della traduzione come versificazione è spesso molto esplicito nei poemi classici swahili dove la traduzione è descritta, ad esempio, con verbi come kunudhumu [scrivere in versi, scrivere poesia] o kudiriji [comporre versi].[22] L’atto poetico era inoltre concepito e descritto nella metanarrazione come reciprocamente intercambiabile con quello dell’atto traduttivo, che nel contesto swahili non aveva connotazione subordinata (Talento in corso di stampa). La reciprocità tra poetare e tradurre è strettamente collegata al concetto di creatività letteraria nel contesto swahili che si basava anche sull’idea di continuità letteraria, ossia sulla la capacità di conoscere, preservare e riprodurre in maniera creativa opere e autori preesistenti (Talento 2025: 196-197). I commenti metatestuali inseriti nei tendi e kawafi costituiscono delle risorse importanti per riflettere sul ruolo del traduttore – e la manifestazione intenzionale della sua visibilità – sul concetto di creatività nella traduzione, sulla nozione di originalità letteraria, nonché sulla relazione tra testi di partenza e di arrivo, e tra forme e generi nella traduzione.
3. La traduzione letteraria durante l'attività missionaria e il dominio coloniale
L’instaurarsi delle missioni sulla costa swahili a metà Ottocento non comportò solo il complesso processo di traduzione delle Scritture ma anche l’introduzione della letteratura europea nel contesto della Universities’ Mission to Central Africa (UMCA). Alla fine del XIX secolo, Arthur Cornwallis Madan, missionario anglicano e linguista dedito alla compilazione di dizionari, tradusse testi di storia ecclesiastica e storia secolare, oltre a brani di Dante, testi buddisti e dialoghi di Socrate (Hellier 1940: 252). Edward Steere, missionario e successivamente vescovo anglicano a Zanzibar, esercitò un’influenza particolarmente significativa nel campo della traduzione. Giunto in Africa orientale nel 1864, lavorò presso la scuola per i figli degli schiavi liberati all’interno della UMCA. Disponeva di una piccola attrezzatura per stampare (Hellier 1940: 251), che utilizzò per diffondere le sue traduzioni tra gli ex schiavi istruiti dai missionari. La traduzione costituiva la sua principale preoccupazione. Oltre a tradurre le Scritture, Steere introdusse Shakespeare e la mitologia greca attraverso versioni abbreviate e adattate per il contesto missionario. Nel 1867 tradusse Tales from Shakespeare di Charles e Mary Lamb con il titolo Hadithi za Kiingereza [Racconti inglesi], e nel 1880 tradusse le favole di Esopo come Hadithi za Esopo [Favole di Esopo]. Mambo na Hadithi [Storie e racconti] (1884) è una raccolta di 55 testi che spaziano dalla storia secolare e cristiana alla letteratura occidentale. Vi si trovano racconti sulla Torre di Babele, sull’imperatore Dario, su Sparta e Atene, su Ulisse, Socrate, Romolo e Remo e San Pietro. Nel 1889, Steere tradusse anche The Heroes, or Greek Fairy Tales for my Children di Charles Kingsley con il titolo Mashujaa: Hadithi za Wayonani [Eroi: Racconti dei Greci].
Le traduzioni missionarie e coloniali coesistevano con le pratiche traduttive locali come sfere distinte di produzione culturale, fino a quando le politiche linguistiche ed educative coloniali non prevalsero, trasformando profondamente la struttura stessa dello spazio letterario swahili.
Nella Deutsch-Ostafrika (Africa Orientale Tedesca), lo swahili era la lingua dei livelli inferiori del sistema educativo e amministrativo. Nonostante la politica linguistica del sistema educativo coloniale e il prolifico processo di traduzione di racconti, favole e poesie religiose swahili in tedesco avviato in Germania,[23] sul suolo africano furono tradotti pochissimi testi dal tedesco allo swahili. Alcuni racconti tedeschi tradotti apparvero nel giornale Kiongozi [Leader], all’interno della rubrica Baraza [Consiglio][24], dedicata alle storie e ai racconti. Tra questi figurano Wilhelm Tell,[25] Hänsel na Gretel,[26] Herzog Heinrich wa Braunschweig na simba yake[27] [Il duca Heinrich di Braunschweig e il suo leone] e Schneewittchen[28] [Biancaneve].
Successivamente, l’attività di traduzione letteraria in swahili si intensificò dopo che i britannici assunsero l’amministrazione del Tanganica dai tedeschi, e soprattutto dopo la creazione dell’Inter-Territorial Language Committee (ITLC)[29] nel 1930. Il Comitato fu istituito con l’obiettivo di standardizzare la lingua swahili per il suo utilizzo in tutta l’Africa orientale. Oltre alla preparazione di libri di testo, la traduzione di opere letterarie straniere era considerata un mezzo per promuovere tale standardizzazione (Report 1925). Inizialmente, le traduzioni venivano diffuse tramite giornali come Mambo Leo [Attualità], pubblicata mensilmente dal Dipartimento dell’Educazione del Tanganica a partire dal 1923. Dal 1928, le traduzioni iniziarono ad apparire anche in formato libro, generalmente pubblicate nel Regno Unito da editori come Sheldon Press, Macmillan, Evans, Oxford e Longman. Le traduzioni prodotte dall’ITLC venivano inserite come materiale di lettura nei curricula scolastici della colonia, e quindi all’interno di quello che Pierre Bourdieu definiva una potente istituzione consacrante (Bourdieu 1993: 21), e si rivolgevano, come osserva Frederick Johnson (1929b: v) nell’introduzione a Mashimo ya Mfalme Sulemani [Le miniere del re Salomone], a “watu wasomao Kiswahili” [coloro che studiano lo swahili].
I titoli selezionati per la traduzione durante gli anni di attività dell’ITLC erano per lo più classici scolastici europei dell’epoca e comprendevano raccolte di racconti, romanzi e opere teatrali. La lingua di origine era solitamente l’inglese, con testi di autori come Rider Haggard, Jonathan Swift, Rudyard Kipling, Robert Louis Stevenson, Daniel Defoe, Lewis Carroll, Joel Chandler Harris, Henry Wadsworth Longfellow e altri. Vi era una presenza ridotta di francese (ad esempio, Tabibu asiyependa utabibu, una traduzione di Le Médecin malgré lui di Molière, e Hadithi ya Zadig, la traduzione di Zadig, ou La destinée di Voltaire, che però fu tradotta dalla versione inglese), di italiano (Mambo yaliyompata Pynokio, una traduzione de Le avventure di Pinocchio: Storia di un burattino di Carlo Collodi) e di arabo (come nel caso di Le mille e una notte).[30] Il traduttore più prolifico del periodo coloniale britannico fu Frederick Johnson, primo segretario dell’ITLC e senior clerck nel Dipartimento dell’Educazione. Tra il 1927 e il 1935, Johnson tradusse Treasure Island, King Solomon’s Mines, The Jungle Book, Tales of Uncle Remus, Gulliver’s Travels, Robinson Crusoe, The Song of Hiawatha e Allan Quatermain. Durante la fase coloniale i traduttori erano solitamente amministratori coloniali (come Alexander Morrison, James William Murison) o missionari (come Serafino Bella Eros). Le uniche donne che parteciparono alle attività di traduzione furono, stando alle informazioni in mio possesso, due. Virginia Ermyntrude St. Lo De Malet Conan-Davies (figlia di un amministratore coloniale) che tradusse, adattandolo in un contesto assolutamente est africano, Alice’s Adventures in Wonderland come Elisi katika nchi ya ajabu (1940). Isabelle Fremont anche tradusse storie per bambini come Talking Woman, Mone Fès Visits e Beasts and Birds of Africa, rispettivamente come Bibi msemi (1940), Mazungumzo Ya Mone Fe (1948) e Wanyama na ndege wa Afrika (1949). Poiché l’organizzazione della (ri)produzione era sostanzialmente sotto il controllo dell’ITLC, un elemento dell’apparato coloniale, la partecipazione dei traduttori africani veniva filtrata tra i membri che gravitavano attorno al sistema coloniale. Tuttavia, tale partecipazione era limitata a, o registrata come, “assistenza”. Questo fu il caso di Edwin Brenn, un africano che lavorava nella missione e come impiegato senior nel Dipartimento dell’Educazione (Iliffe 1979: 266), che collaborò con Frederick Johnson nelle traduzioni di Kisiwa chenye Hazina, Mashimo ya Mfalme Sulemani e Hadithi ya Hiawatha, e il cui contributo venne riconosciuto da Johnson attraverso la formula kwa msaada wa [con l’aiuto di]. In altri casi, tali contributi venivano destinati all’oblio. E. Lewis, del Dipartimento dell’Educazione, partecipò alla traduzione di Treasure Island, serializzato nel giornale Mambo Leo nel 1927. Quando il testo fu pubblicato come libro due anni dopo, il nome di Lewis venne omesso, sebbene i testi nella rivista e nel libro fossero identici.
Alcuni cambiamenti nel campo della traduzione si verificarono a partire dal 1946, quando il Comitato Linguistico fu aperto alla partecipazione effettiva degli africani (Mulokozi 2006: 15). Di conseguenza, i traduttori swahili ebbero maggiore libertà nelle attività di traduzione, non solo come assistenti.[31] Questo cambiamento coincide con una diminuzione della funzione scolastica delle traduzioni swahili. La traduzione nel 1950 di Zadig di Voltaire da parte di Abdulla M. Abubakr, o la traduzione del Rubaiyat di Omar Khayyam come Omar Khayyam kwa Kiswahili (1952) a cura del padre della letteratura moderna swahili Shaaban Robert, ad esempio, si rivolgono essenzialmente ad un pubblico adulto. E nel caso della traduzione di Shaaban, esse appartengono a un genere, la poesia, che, come dirò a breve, l’establishment britannico aveva trascurato. È proprio in questi anni che le attività editoriali vennero trasferite in Africa Orientale, soprattutto a Nairobi, dopo l’istituzione dell’East African Literature Bureau nel 1948.
Le traduzioni realizzate all’interno dell’ITLC hanno giocato un ruolo fondamentale a vari livelli. All’interno del sistema educativo, le traduzioni erano destinate a costruire non solo un canone linguistico, e quindi a legittimare un certo tipo di swahili scelto da agenti esterni, ma anche un canone letterario, dettando i criteri attraverso cui esperire un’opera letteraria. Prima del periodo coloniale, la letteratura swahili aveva la funzione di impartire istruzione religiosa (tendi), moralizzare (tendi e kisa) e registrare eventi storici (khabari). Le traduzioni dell’ITLC venivano spesso esaltate per il loro valore ricreativo e la loro bellezza (uzuri) e quindi la loro capacità di essere attraenti (kupendeza) o di rallegrare (kufurahisha (moyo)). In altre parole, la concezione swahili della letteratura basata su un ideale di istruzione veniva spostata su un ideale di intrattenimento. Inoltre, le traduzioni dell’ITLC ebbero un forte impatto sullo spazio letterario swahili poiché introdussero il romanzo, il teatro e il verso libero (Mazrui and Shariff 1994: 94). A un altro livello le traduzioni dell’ITLC hanno direttamente o indirettamente contribuito al consolidamento dei regimi coloniali nell’Africa Orientale, diventando uno spazio testuale che rifletteva le disuguaglianze persistenti del sistema coloniale e che conteneva una certa narrativa di dominazione. Testi come King Solomon’s Mines, che narra di un’esplorazione in un contesto imperialista e metaforizza l’espansione britannica, e The Song of Hiawatha, un testo dove l’eroe principale si sottomette ai bianchi appena arrivati lasciandogli in custodia il suo popolo, creavano paralleli tra il contesto fittizio e quello reale, riflettendo e normalizzando così le gerarchie sociali e culturali. Inoltre, i criteri di esclusione hanno avuto una funzione cruciale nel rifrangere le funzioni ideologiche della traduzione. La ricca tradizione poetica della letteratura swahili e il ruolo della poesia nella società erano noti all’intellighèntsia tedesca e poi britannica: la raccolta, translitterazione e traduzione della poesia swahili in tedesco e inglese furono attività fondamentali per missionari, linguisti ed etnografi. Ciononostante, la traduzione di poesia in swahili nel periodo coloniale fu quasi del tutto assente, sommersa dalla traduzione di prosa. L’unico testo poetico tradotto in questo periodo, The Song of Hiawatha di Longfellow, subì un cambiamento di genere e fu reso come un hadithi, un riassunto in prosa. Escludendo la poesia, l’ITLC ha posto in oblio un genere che incarnava la raffinatezza e l’elaborazione della lingua e l’antichità della letteratura swahili, omettendolo sia dalla pratica traduttiva che dai programmi scolastici. Questo silenzio sulla traduzione di poesia va letto alla luce del discorso sulla traduzione praticata durante il dominio britannico che ha creato la percezione che la letteratura swahili mancasse del genere prosaico, o che la prosa swahili avesse poco o nessun valore intellettuale e nessuna utilità, ragion per cui l’importazione letteraria doveva essere incoraggiata (TEC 1925: 153). Il discorso britannico sulla traduzione ha inoltre alimentato l’immagine della lingua swahili come incapace di incarnare la qualità letteraria e l’eleganza stilistica dei testi di partenza, e di non essere qualificata per essere veicolo di “high thinking” (Report 1925: 160). Se la traduzione può essere una risorsa per acquisire capitale simbolico e letterario, nel contesto coloniale swahili essa è stata uno strumento per addurre la (falsa) natura difettosa della lingua e della letteratura di destinazione e quindi ha agito come strumento di deconsecration (Talento 2017).
4. La traduzione letteraria all’alba delle indipendenze
Con le indipendenze degli anni sessanta i flussi di traduzione in tutta la regione est africana swahilofona subirono cambiamenti significativi in termini di direzionalità, tipi di testi e i tipi di agenti coinvolti. Dopo la fine del dominio britannico, la traduzione cessò di essere prerogativa di un piccolo gruppo di amministratori coloniali e di pochi africani che avevano accesso all’alfabetizzazione in inglese. Infatti, la presenza di non africani nel campo intellettuale diminuì drasticamente. Tuttavia, la ridotta presenza di traduttrici rimase una costante anche in questa fase, con Bibi Thureya Kassim, una prolifica traduttrice dal russo, tra le poche. Le pratiche di traduzione prima e durante il periodo coloniale offrivano una certa coerenza riguardo ai tipi di testi che potevano entrare nello spazio letterario swahili (testi afferenti a storie e leggende arabo-islamiche durante la fase precoloniale e testi di prosa durante l’era coloniale). La fase successiva alle indipendenze invece, è caratterizzata da una varietà di tipi di testi, che spaziano dalla prosa al dramma e alla poesia, includendo romanzi gialli, satira o il genere (auto)biografico. [32]
In Tanzania (all’epoca Tanganica), dove, a differenza del Kenya, venne attuata una politica linguistica rigorosa volta a “swahilizzare” la sfera nazionale, la traduzione divenne indissolubilmente legata al più ampio processo di costruzione nazionale – basato sull’ideologia socialista dell’ujamaa[33] concepita dal presidente Julius Kambarage Nyerere – che si affidava anche ad un uso particolare delle risorse culturali. In questo scenario, la traduzione letteraria non era solo considerata essenziale per sostenere la politica linguistica di swahilizzazione e quella educativa volta a valorizzare le risorse culturali endogene, ma anche per supportare la propaganda politica di matrice socialista. La traduzione divenne una pratica altamente politicizzata e si legò inestricabilmente a concetti di resistenza all’imperialismo, di adesione a una visione panafricana, di valorizzazione delle culture locali e di legittimazione dello swahili come lingua nazionale e letteraria (Talento 2021, cap. 5).[34] Valori che ogni cittadino era chiamato a promuovere. La promozione di una sfera educativa autosufficiente era legata a un’altra impresa: l’ampliamento del corpus di testi in swahili. In un discorso pronunciato durante la Tanzania Books Week del 1967, intitolato “Il ruolo dei libri in swahili negli sforzi di costruzione nazionale”, il promotore dello swahili Samuel Mushi (1968: 5–7) invitò i “singoli cittadini” a “venire in aiuto del governo”[35] nella produzione di libri in swahili per sostenere l’esperimento dell’Elimu ya Kujitegemea [Istruzione autosufficiente] promosso da Nyerere. L’appello di Mushi per un’autosufficienza letteraria, combinata con l’uso della traduzione, trovò eco in un più ampio invito collettivo alla traduzione. George Mhina (1970: 196) – scrittore, studioso di swahili, direttore dell’Institute of Kiswahili Research (dal 1969) e presidente del BAKITA, il Consiglio Nazionale dello Swahili (dalla fine degli anni settanta) – difese l’intensificazione del lavoro di traduzione in diversi ambiti, definendola “un’attività essenziale” per supportare “i piani di ulteriore sviluppo dello swahili”. Come Pascale Casanova (2004: 191) sottolinea, nello stadio formativo di uno spazio politico la complicità tra quest’ultimo e lo spazio letterario e intellettuale è spesso un elemento fondante e autofondativo, soprattutto in regimi centralizzati come quello di Nyerere. Nella Tanzania socialista, la traduzione era considerata un dovere comune del buon nazionalista, il traduttore patriottico che contribuiva in questo modo alla costruzione intellettuale della nazione (Talento 2022: 340-341).
In generale, i programmi di alfabetizzazione e l’impegno per espandere il pubblico di lettori attraverso edizioni in larga tiratura (Bgoya 2008: 89) influenzarono il ritmo degli scambi letterari, con un aumento delle collane che includevano titoli tradotti. Il Kenya ebbe un ruolo di primo piano nel campo editoriale degli anni settanta: la filiale di Nairobi dell’East African Educational Publishers promosse la serie Waandishi wa Kiafrika [Scrittori africani]; nel 1975, la East African Publishing House di Nairobi pubblicò il primo volume della serie Washairi wa Afrika [Poeti africani], ossia una traduzione di When Bullets Begin to Flower: Poems of Resistance from Angola, Mozambique and Guinea (1972) curato da Margaret Dickinson. La Tanzania Publishing House di Dar es Salaam avviò invece la serie Michezo ya Kuigiza [Dramma], che includeva la traduzione di Tartuffe ou l’Imposteur (Mnafiki) di Molière. Altre serie erano destinate alla letteratura per bambini, sia africana che proveniente dall’Unione Sovietica. Ad esempio, Hadithi za Kikwetu [Racconti locali] fu pubblicato dalla East African Publishing House di Nairobi, in collaborazione con Phoenix Publishers, o Jamii ya Vitabu vya Hekaya Fupi za Kisoviet [Serie di libri di racconti brevi sovietici], pubblicato dal Moscow Publishing Department for Foreign Languages e distribuito in Tanzania.
Tre principali correnti di traduzione verso lo swahili possono essere individuate dagli anni ‘60. La prima corrente riguarda la traduzione dei classici europei. La seconda interessa la traduzione della letteratura proveniente da altri paesi africani, o da scrittori africani che vivono nella diaspora. La terza corrente è la traduzione della letteratura proveniente dalla Russia e dalla Cina.
Nel primo decennio dopo l’indipendenza della Tanzania (1962-1972), la traduzione di autori classici europei come Platone, Shakespeare, Molière e Conrad fu un’attività centrale tra i leader politici e gli intellettuali tanzaniani, come parte del progetto di costruzione della nazione. Tra i protagonisti di questo progetto vi erano Nyerere e Samuel M. Mushi, promotore dello swahili presso il Ministero dello Sviluppo Comunitario e della Cultura Nazionale. Altri esponenti di rilievo furono Joseph R. Kotta, funzionario tanzaniano presso le Nazioni Unite, e Lugo Taguaba, diplomatico dell’Ambasciata della Tanzania a Parigi. Shakespeare fu una delle figure centrali nella traduzione dei classici in swahili. Nel 1963, Nyerere tradusse Julius Caesar con il titolo Julius Caezar, e lo ritradusse nel 1969 come Juliasi Kaizari. Nello stesso anno, tradusse The Merchant of Venice come Mabepari wa Venisi [I capitalisti di Venezia]. Samuel Mushi contribuì con la sua traduzione di Macbeth nel 1968 con il titolo Makbeth, seguita nel 1969 da quella di The Tempest, intitolata Tufani. In un momento in cui la Tanzania aveva eletto lo swahili come lingua nazionale ma al tempo stesso doveva scontrarsi con il pregiudizio secondo cui lo swahili non fosse in grado di rispondere alle reali esigenze di una lingua nazionale e non potesse costituire un’alternativa valida all’inglese, la traduzione letteraria forniva un mezzo culturale e simbolico per legittimare lo swahili dimostrando che esso potesse divenire veicolo di cultura alta. La decisione di tradurre in swahili poteva dunque essere intesa come un atto politico e una strategia per promuovere la politica linguistica, confutando al contempo l’idea dello swahili come mezzo espressivo limitato.[36] Nyerere (1969: vii), infatti, descrisse la sua seconda traduzione di Julius Caesar come una risposta a:
watu wasiojua Kiswahili, ambao wanafikiri kuwa Kiswahili si lugha pana ya kutosha kueleza mawazo makubwa au ufasaha safi bila kuazima mno maneno mapya ya kigeni.
[coloro che non conoscono lo swahili e pensano che questa lingua non sia abbastanza ampia per esprimere pensieri profondi o eleganza stilistica senza ricorrere in modo eccessivo a prestiti linguistici]
Anche in Kenya emerse un interesse per la traduzione delle opere di Shakespeare. Francis Warwick, cittadino britannico, adattò in forma poetica Macbeth con il titolo Mabruk (1970) e The Merchant of Venice come Mlariba [Usuraio] (1971), trasformandole e trasportandole in un contesto costiero dell’Africa orientale. Le traduzioni shakespeariane in swahili non furono solo i primi testi ad essere tradotti dopo le indipendenze ma ebbero anche un profondo effetto nel panorama letterario tanzaniano e kenyota. Negli anni della revisione e localizzazione dei programmi scolastici e universitari sia in Tanzania che in Kenya, le traduzioni shakespeariane in swahili furono integrate nei programmi di letteratura in swahili in Tanzania, rappresentando un esempio significativo di consacrazione culturale (Bourdieu 1993: 121). In Kenya, sebbene vennero inizialmente considerate come un retaggio dell’egemonia coloniale, le opere di Shakespeare furono successivamente reintegrate nei programmi educativi kenioti, specialmente sotto il governo di Daniel Arap Moi, e rimasero una presenza significativa per molti anni.[37]
Oltre a Shakespeare, altri classici della letteratura occidentale e mondiale furono tradotti in swahili, come Heart of Darkness di Joseph Conrad,[38] Tartuffe ou l’Imposteur di Molière,[39] The Old Man and the Sea di Ernest Hemingway,[40] The Prophet di Kahlil Gibran,[41] e Mâhī-ye Sīyāh-e Kūchūlū (Il pesciolino nero) di Samad Behrangi, tradotto dal più rinomato drammaturgo swahili Ebrahim Hussein come Samaki mdogo mweusi (1981). In Kenya, altre traduzioni di rilievo in swahili includevano Animal Farm di George Orwell, tradotto dal tanzaniano Fortunatus Kawegere come Shamba la Wanyama (1967); Il Principe di Niccolò Machiavelli, tradotto da Fred Kamoga e Ralph Tanner come Mtawala (1968) e Der gute Mensch von Sezuan di Bertolt Brecht, tradotto da Abedi Shepardson e Hassan Marshad in Kimvita, lo swahili di Mombasa, come Mtu Mzuri wa Setzuan (1980).
La traduzione di Orwell merita una breve diversione. La traduzione fu sponsorizzata dallo United States Information Service durante la Guerra Fredda. Kawegere adattò il setting in un contesto tanzaniano cancellando ogni riferimento storico, culturale e linguistico inglese e usando una terminologia vicina alla retorica di Nyerere (Aiello Traore 2013: 21). Mentre in Kenya la traduzione fu acclamata per il suo messaggio pro-capitalista, in Tanzania valse a Kawegere una visita della polizia, che lo interrogò sulle sue intenzioni nel tradurre un testo simile. Come lui stesso dichiarò in un’intervista, “molti leader del governo non la gradirono” (in Gikambi 2013).
Negli anni Ottanta, la traduzione dei classici in swahili iniziò a diminuire, poiché l’attenzione si spostò sulla traduzione della letteratura africana, segnando un cambiamento nelle priorità politiche e culturali. Questo flusso di traduzione rifletteva il più ampio progetto di “africanizzare l’ambiente culturale e intellettuale”[42] (Madumulla et al. 1999: 318) nei paesi dell’Africa orientale appena indipendenti. Bisogna dire che i traduttori tanzaniani furono meno coinvolti nella traduzione di altre letterature africane rispetto ai traduttori kenioti. In Kenya, le traduzioni delle opere di autori africani di rilievo includono quelle di Cyprian Ekwensi, Ayi Kwei Armah, Ngũgĩ wa Thiong’o, Chinua Achebe, Bediako Asare, Wole Soyinka, Thomas Mofolo, Ferdinand Oyono, e Obotunde Ijimere.[43] Nel frattempo, la Tanzania ha svolto un ruolo centrale nell’arricchire la scena letteraria attraverso l’importazione di opere di autori come Okot p’Bitek (tradotto dal secretary press di Nyerere, Paul Sozigwa), Sembene Ousmane tradotto da Cecil Maganga[44] e dalla rinomata attrice, drammaturga, e storica del teatro Amandina Lihamba che fece della sua traduzione di Le Mandat in Hawala ya fedha [Il vaglia] (1984) – trasposto in un contesto tanzaniano – una sottile epitome delle disillusioni verso le politiche del partito di Nyerere.
Inoltre, anche gli scrittori dell’Africa orientale che inizialmente scrivevano in inglese furono tradotti in swahili. Questo è il caso di Peter Palangyo, Grace Ogot, una scrittrice keniota nota per le sue opere in inglese e Luo,[45] e dello scrittore tanzaniano William E. Mkufya, che tradusse il suo stesso romanzo The Wicked Walk (1977) in swahili come Kizazi Hiki nel 1980 – uno dei pochi casi di auto-traduzione in swahili.
Verso la fine degli anni settanta e negli anni ottanta, la traduzione delle opere letterarie africane in swahili rallentò a favore delle traduzioni provenienti dalla Russia e dalla Cina. La traduzione di tali opere in swahili fu particolarmente rilevante in Tanzania, in linea con l’implementazione dell’ideologia socialista dell’ujamaa, che orientò il panorama politico della Tanzania negli anni Settanta e Ottanta. [46]
Le traduzioni letterarie dal blocco sovietico iniziarono ad apparire già nel 1962, quando Sudba cheloveka (Destiny of a Man) del premio Nobel Michail Šolochov fu tradotto in swahili da Omar Juma (Ajali ya mwanamume), un prolifico traduttore di letteratura per l’infanzia. Altri classici russi tradotti in questa fase includevano le opere di Lev Tolstoj, Aleksandr Puškin, Nikolaj Vasil’evič Gogol e Maksim Gor’kij.[47] Le traduzioni venivano solitamente realizzate in Unione Sovietica da tanzaniani che studiavano o che lavoravano nelle radio o case editrici sovietiche, come Husein Abdul-Razak, Herman Matemu o Ben Ombuoro; oppure da russi con una buona conoscenza dello swahili, come Vladimir Makarenko (Gromova 2004: 121). Queste traduzioni erano solitamente pubblicate da case editrici sovietiche come Progress Publishers, Novosti e Raduga e spesso inserite in collane, come Maoni ya Urusi (Visioni russe). Dagli anni novanta, la frequenza delle traduzioni dal russo diminuì, ma vi fu una ripresa negli anni duemila, grazie alla creazione del Centro Culturale Russo-Tanzaniano a Dar es Salaam che contribuì a sponsorizzare nuove traduzioni, includendo opere di autori classici russi e racconti popolari (Mazrui 2016: 47-49), anche attraverso il supporto alla Ndanda Mission Press nella traduzione e pubblicazione di tali opere (Reuster-Jahn 2008: 111).
Le traduzioni dalla Cina seguirono una traiettoria simile. Oltre a testi di letteratura politica ed economica, la maggior parte della letteratura tradotta comprendeva letteratura per l’infanzia e racconti popolari, di autori come Kuan Hua, Guo Xu, Huang Cheng e Geng Geng. Queste traduzioni erano spesso pubblicate a Pechino dalla Foreign Languages Press, e da traduttori cinesi come Guanglian Si. Come per le opere sovietiche, molte traduzioni cinesi venivano distribuite attraverso centri culturali, talvolta gratuitamente. Tuttavia, dopo la traduzione di Mùlán Cí (Ballata di Mulan) nel 1986,[48] la letteratura cinese in traduzione diminuì drasticamente nella scena letteraria swahili. Fino agli anni duemila, in particolare con l’istituzione dell’Istituto Confucio, all’Università di Nairobi, che ha sponsorizzato o supportato la traduzione di opere cinesi. Nel 2016 il centro lanciò la traduzione delle poesie di Jidi Majia, Maneno Ya Moto Kutoka China [Words of Fire from China], pubblicato da Twaweza Communication.
5. La traduzione letteraria dagli anni Novanta
A partire dagli anni Novanta, il ruolo della traduzione letteraria nelle politiche statali si è progressivamente ridotto, mentre i flussi letterari si sono arricchiti di una maggiore diversità nelle fonti e nei generi delle opere tradotte. Sebbene la traduzione letteraria rappresenti ancora una quota minore rispetto alla pubblicazione di manuali scolastici – favoriti per la loro capacità di generare rendimenti economici costanti – diversi fattori, sia locali che globali, hanno contribuito a un rinnovato interesse per la traduzione di opere letterarie in swahili.
A partire dalla metà degli anni Novanta, e in particolare negli anni duemila, si è assistito a un incremento delle traduzioni di classici europei. Un’iniziativa significativa in questa direzione è stata avviata nel 1993 dalla filiale di Macmillan a Nairobi, con la pubblicazione della serie Hadithi za kukumbukwa [Racconti da ricordare]. Questa collana ha incluso traduzioni e, in alcuni casi, ritraduzioni di opere celebri quali The Coral Island di Robert Michael Ballantyne, Oliver Twist e David Copperfield di Charles Dickens, Gulliver’s Travels di Jonathan Swift, Robinson Crusoe di Daniel Defoe, Treasure Island di Robert Louis Stevenson, Wonder Tales from Greece di Margery Green, The Adventures of Tom Sawyer di Mark Twain, Le Tour du monde en quatre-vingts jours di Jules Verne e The Adventure of the Speckled Band di Arthur Conan Doyle.[49]
Oltre a questa tendenza, gli anni Novanta hanno segnato una svolta decisiva verso l’internazionalizzazione delle traduzioni letterarie in swahili. Se in passato le principali fonti delle opere tradotte provenivano da paesi come il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina, negli ultimi decenni si è assistito a una crescente diversificazione geografica, riflettendo una volontà di rendere lo swahili una lingua d’accoglienza per la letteratura mondiale. Questo processo si manifesta sia attraverso la traduzione di testi per la prima volta in swahili, sia attraverso la ritraduzione di opere già disponibili, nonché l’introduzione di best seller globali e opere di autori insigniti del Premio Nobel. Esempi significativi di questa internazionalizzazione sono stati le traduzioni di En folkefiende [Un nemico del popolo] di Henrik Ibsen,[50] Kalevala di Elias Lönnrot,[51] Al-Ṭarīq [Per la strade del Cairo] di Naguib Mahfouz,[52] Vernisaž [Vernissage] di Václav Havel,[53] Le Petit Prince di Antoine de Saint-Exupéry,[54] Parí [Una scommessa] di Anton Čechov,[55] Favole al telefono di Gianni Rodari,[56] The Alchemist di Paulo Coelho,[57] La Repubblica di Platone – l’ultima opera traduttiva di Julius Nyerere, rimasta inedita per oltre venticinque anni dopo la sua morte[58] – e le opere del Premio Nobel Abdulrazak Gurnah: nel 2023 Ida Hadjivayanis, specialista di swahili presso la SOAS, ha tradotto Paradise con il titolo Peponi, e nel 2025 il nuovo romanzo di Gurnah, Theft, è stato pubblicato contemporaneamente alla traduzione swahili di Hadjivayanis [Dhulma]. Un progetto monumentale è stato realizzato dalla casa editrice Mkuki na Nyota tra il 2004 e il 2016, con la pubblicazione di una nuova traduzione in nove volumi de Le mille e una notte (Masimulizi Kamilifu ya Alfu Lela u Lela au Siku Elfu Moja na Moja), a cura di Hassan Adam, docente per molti anni presso l’Istituto di Lingue Africane dell’Università di Colonia.[59]
Tra i fattori che hanno stimolato questa attività di traduzione, un ruolo fondamentale è stato svolto dagli accademici che hanno portato avanti progetti di traduzione su iniziativa personale, con opere che spaziano dalle commedie drammatiche all’epica storica. Oltre ai già menzionati Ida Hadjivayanis e Hassan Adam, si possono annoverare Emmanuel Mbogo, autore di rinomati testi (Ngoma ya Ng’wanamalundi [Danza di Ng’wanamalundi], Vipuli vya figo [Trapianto di Reni], Watoto wa Mama Ntilie [Bambini di Mama Ntilie]) e professore di Arti Drammatiche e Letteratura presso la Open University della Tanzania, che ha firmato una versione swahili dell’epopea Sundiata, poema epico dei Malinke che racconta la storia dell’eroe e fondatore dell’Impero del Mali Sundiata Keita, nel 2011; o Ayub Mukhwana, professore di sociolinguistica all’Universita di Nairobi, e Iribe Mwangi, presidente del dipartimento di Swahili nella stessa università, che nel 2012 hanno realizzato una versione swahili di Otello.
Un fattore importante è anche coinvolgimento di paesi in cui si parla swahili, precedentemente considerati periferici, come la Repubblica Democratica del Congo. Kalunga Mwela-Ubi, professore di Linguistica bantu e swahili presso l’Université de Lubumbashi et de Kalemie, con il supporto di L. Maliza Mwina Kintende e C. Mutoba Kapoma, ha tradotto nel 2013 Le Roi s’amuse di Victor Hugo e Les Règles du savoir-vivre dans la société moderne di Jean-Luc Lagarce con il titolo Tamthilia mbili za Kifaransa (Due commedie francesi). Il testo è stato tradotto in una varietà di swahili parlata nella Repubblica Democratica del Congo per promuovere, come sottolinea l’editore nella prefazione, una visione pluralistica dello swahili (Bgoya 2013: vii). Questo approccio testimonia un crescente interesse per una concezione della lingua che vada oltre le sue forme standardizzate, riconoscendo le dinamiche culturali e linguistiche delle comunità swahilofone al di fuori dell’Africa orientale.
La diversificazione delle modalità di pubblicazione ha anche inciso sull’incremento delle opere tradotte in swahili. Sia attraverso il coinvolgimento di case editrici che hanno pubblicato in swahili al di fuori dell’area swahilofona – come la casa editrice statunitense Genesis Press, impegnata nella pubblicazione di traduzioni in swahili, tra cui Anne of Green Gables di Lucy Maud Montgomery (tradotto come Msichana Anne wa nyumba ya paa la kijani), e nella ristampa di classici già disponibili, come Robinson Crusoe, Gulliver’s Travels, The Swiss Family Robinson (tradotto come Jamaa Hodari Kisiwani) e Oliver Twist, oltre a riedizioni delle opere di Julius Nyerere, tra cui The Merchant of Venice (Mabepari wa Venisi) e Julius Caesar (Juliasi Kaizari) – sia attraverso l’autopubblicazione, come ha fatto, ad esempio lo scrittore Mlenge Fanuel Mgendi con la sua traduzione di Čechov e l’adattamento shakespeariano di King Lear (2009).
Un altro elemento decisivo che ha contribuito ad incrementare i flussi di traduzione in swahili è stata la visione di certe figure editoriali, come Walter Bgoya, intellettuale e attivista tanzaniano, fondatore della casa editrice indipendente Mkuki na Nyota, ed editore progressista di lunga data, che ha sempre dedicato sforzi significativi allo sviluppo di una cultura della lettura e la promozione dello swahili come lingua attraverso cui accedere alle letterature del mondo, pubblicando traduzioni di autori come Mariama Bâ, Naguib Mahfouz, Antoine de Saint-Exupéry, Platone e Abdulrazak Gurnah.
Il supporto di istituzioni (para)diplomatiche è stato un altro elemento fondamentale per sostenere attività traduttive. Un esempio sono le recenti traduzioni dall’italiano, una lingua fonte non comune per le traduzioni in swahili, di letteratura per ragazzi. Fiabe al telefono di Rodari è stato pubblicato in occasione del centenario della nascita dello scrittore italiano e grazie al sostegno dell’ambasciata italiana a Dar es Salaam. Nel 2023 Mille meraviglie. Viaggio alla scoperta dell’Italia, uno dei libri della fortunata serie Geronimo Stilton, è stato tradotto da Michelangela Adamo su iniziativa del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale in collaborazione con la Commissione Nazionale Italiana dell’UNESCO per avvicinare il pubblico giovane all’Italia.
Infine, il riconoscimento della letteratura africana a livello internazionale ha contribuito ad alimentare l’interesse per la traduzione in swahili. L’assegnazione del Premio Nobel ad Abdulrazak Gurnah nel 2021 non solo ha stimolato la traduzione delle sue opere, ma ha anche rafforzato il ruolo della traduzione come pratica e come ambito di ricerca.
6. Conclusione
Sebbene la traduzione letteraria occupi ancora uno spazio marginale nel mercato editoriale dell’Africa orientale, dominato dalla produzione di testi scolastici; nonostante diversi generi letterari e molteplici aree geografiche siano ancora poco rappresentate nei flussi di traduzione; e malgrado il numero annuale di traduzioni in swahili resti contenuto,[60] lo spazio letterario della traduzione in swahili si configura come un campo in espansione e pieno di promesse. Sostenuto dall’iniziativa di singoli traduttori e dal coinvolgimento di traduttori provenienti da diverse regioni swahilofone, da editori lungimiranti e dal supporto di centri culturali, questo spazio è catalizzatore di un lento ma significativo cambiamento che apre progressivamente il campo letterario swahili alle letterature del mondo. Inoltre, la traduzione letteraria in swahili ha il potenziale per trasformare la lingua swahili in una potente forza di comunicazione intra e interregionale e continentale. E promette di offrire un grande potenziale alla ricerca traduttologica internazionale.
Nonostante questa espansione, sono numerosi gli ambiti di ricerca ancora poco esplorati. Studi promettenti potrebbero nascere dall’intersezione tra approcci storici (macro- e microstoria, histoire croisée), sociologici, semiotici, digitali e approcci dei genetic translation studies, applicati alle pratiche individuali e istituzionali nei contesti swahilofoni. Un ulteriore sviluppo metodologico consiste nell’integrare analisi quantitative e qualitative, ovvero nel sostenere una prospettiva generale attraverso letture microstoriche e testuali. Particolare attenzione merita la fase precoloniale della costa swahili, ambiente multilingue e cosmopolita caratterizzato da intensi scambi religiosi, letterari e commerciali con l’Oceano Indiano. Da approfondire è la coesistenza di differenti culture traduttive successive all’arrivo di potenze esterne: da un lato la cultura traduttiva degli ulamaa, radicata nei circuiti transoceanici islamici, dall’altro quella dei missionari e, successivamente, dei poteri coloniali, che si imposero nel sistema della circolazione dei testi letterari. Molti altri ambiti tematici richiedono un’indagine più sistematica. Tra di questi il discorso sull’autotraduzione nelle opere di autori come William E. Mkufya, Gabriel Ruhumbika ed Euphrase Kezilahabi, che potrebbe far emergere continuità e discontinuità tra la riflessione traduttiva interna al mondo swahili e quella riferita a testi provenienti da altri spazi letterari. O il discorso sulle ritraduzioni che invita a interrogarsi sull’impatto di fattori estetici e non estetici nella riscrittura di una storia letteraria. Un altro ambito che merita maggiore attenzione è il ruolo delle istituzioni paradiplomatiche nei processi di scambio culturale e nelle interconnessioni tra produzione letteraria e soft power. Esplorare questi aspetti significa non solo ampliare la conoscenza storica della traduzione in swahili, ma anche integrare implicazioni teoriche e metodologiche, pienamente situate nel contesto swahili, nel dibattito teorico globale.
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Note
[1] “the urgent need to write a decentered translation history”.
[2] “the myth that translation and especially interpretation in Africa began with the advent of imperialism”.
[3] “shaping and reshaping of cultures, identities and social relations”.
[4] Come i saggi sulle lingue africane contenuti nel volume 1 di Alice in a World of Wonderlands a cura di John Lindseth (New Castle, DE: Oak Knoll Press, 2015) realizzato in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario della pubblicazione del libro di Carroll.
[5] Come i saggi sulle lingue africane contenuti in Atlante Pinocchio. La diffusione del romanzo di Carlo Collodi nel mondo (Treccani, 2024) realizzato per congiungere i 140 anni dalla prima edizione in volume di Pinocchio, celebrati nel 2023, e i 200 anni dalla nascita di Carlo Collodi, che saranno festeggiati nel 2026.
[6] Come ad esempio The portable Bunyan di Isabel Hofmeyr (Johannesburg: Wits University, 2004).
[7] Una prima versione di questo catalogo, il primo del suo genere, è stata pubblicata in Talento 2021.
[8] “made up of points, not continuous lines”.
[9] Nei dialetti meridionali utenzi (pl. utenzi). L’utendi è un lungo poema narrativo, caratterizzato da un metro e uno schema rimico definiti, impiegato per scopi epici, agiografici, storici, moralizzanti e didattici. I tendi trattano solitamente le vite del Profeta, dei santi e degli eroi, nonché le guerre contro gli infedeli.
[10] Una quartina di quindici sillabe generalmente usata per narrare storie del Profeta.
[11] Gli altri due generi scritti di questo periodo sono le cronache storiche e le lettere.
[12] La poesia continua a occupare un ruolo centrale nel panorama letterario contemporaneo: la maggior parte dei giornali in lingua swahili include sezioni dedicate, dove i lettori possono inviare i propri componimenti e nuovi autori trovano spazio per emergere. Inoltre, poesie recitate sono comunemente vendute per strada su supporti digitali, e la poesia ha conquistato una presenza significativa sulle piattaforme letterarie digitali.
[13] “can be traced back to transcultural antecedents or ‘traditions’”.
[14] Come ad esempio nell’Utenzi wa Ras ‘l-Ghuli (in Faqihi 1979: v) dove il poeta Mgeni bin Faqihi dice “Pana hadithi ajabu / yandikwa ndani kitabu / kwa lugha ya waarabu / Nayo hadithi khiyari (C’è una storia meravigliosa / Scritta in un libro / Nella lingua degli arabi / E questa storia è eccellente).
[15] Utendi wa Ngamia na Paa (in Allen 1971: 89), Utendi wa Katirifu (in Knappert 1969: 87).
[16] Utendi wa Qiyama (in Allen 1971: 440-442).
[17] Utendi wa Ayubu (in Allen 1971: 376).
[18] Utenzi wa Ras ‘l-Ghuli (in Faqihi 1979: 229).
[19] I poemi classici swahili venivano anche recitati in pubblico.
[20] Utendi wa Kutawafu Nabii (in Allen et al. 1991: 52-53).
[21] Utenzi wa Ras il-Ghuli (in Faqihi 1979: 2).
[22] Come nell‘Ukawafi wa Miraji, Siri li-Asirari, and Utendi wa kadhi Kassim bin Jafaar (vedi Talento 2021: 81).
[23] Già nel 1894, Carl Büttner pubblicò la sua Anthologie aus der Suaheli-Literatur, seguita da numerose altre pubblicazioni accademiche dedicate alla letteratura swahili.
[24] Il termine baraza si riferisce sia a uno spazio fisico — ossia lo spazio antistante la casa, caratterizzato da una panchina a muro in pietra dove ci si ritrova per chiacchierare — sia alla pratica di conversazione e riflessione che vi ha luogo. In senso figurato, il termine è poi venuto a indicare anche un consiglio o un’assemblea pubblica.
[25] N. 85, Giugno 1912.
[26] N. 86, Luglio 1912.
[27] N. 90, Novembre 1912.
[28] N. 91, Dicembre 1912 e N. 92, Gennaio 1913.
[29] Dopo il trasferimento al Makerere College nel 1952, il Comitato assunse il nome di East Africa Swahili Committee e, successivamente, con il passaggio all’Università di Dar es Salaam, divenne Institute of Kiswahili Research.
[30] La traduzione de Le mille e una notte in swahili è stata ampiamente discussa in Geider (2007) e in Hadjivayanis (2011: 130-229).
[31] Tuttavia, solo coloro che avevano accesso all’alfabetizzazione in inglese e che erano stati formati per diventare ufficiali amministrativi subordinati, riuscirono a diventare traduttori.
[32] Diverse traduzioni di biografie furono sponsorizzate dal Tanzania Library Service Board. Tra queste si annoverano: Julius Nyerere (Mwalimu Julius Kambarage Nyerere tradotta da Hamza A. K. Mwenegoha, 1977), Eduardo Mondlane e Patrice Lumumba (tradotte con gli stessi titoli nel 1977 da Hamza A. K. Mwenegoha) e Kwame Nkrumah (Daima mbele. Maisha ya Kwame Nkrumah tradotto da Robert M. Makange, 1978). Hyder Mohamed Matano e Titus Nicholas Echessa, due studiosi universitari, tradussero Freedom and After (1963) di Tom Mboya con il titolo Uhuru ni mwanzo. Zaidi Noorjehan e Shihabuddin Chiraghdin, due esperti e studiosi di swahili, tradussero Harry Thuku: an autobiography (1970) con il titolo Harry Thuku: Maisha yangu (1971).
[33] L’ideologia ujamaa (da jamaa, società, spesso tradotto come ‘familyhood’ per esprimere l’idea di una comunità organizzata secondo i valori della famiglia estesa) proponeva un modello di socialismo tanzaniano basato sull’autosufficienza economica (ma anche linguistica e intellettuale), sul lavoro collettivo, l’uguaglianza e la sobrietà come basi pratiche e morali della costruzione nazionale.
[34] Esempi possono essere le traduzioni di testi di scienze politiche e sociali, come Il Libretto Rosso di Mao Tsetung, Il Manifesto del Partito Comunista di Friedrich Engels e Karl Marx o le opere di René Dumont (L’Afrique noire est mal partie, tradotto dallo scrittore Gabriel Ruhumbika come Afrika inakwenda kombo nel 1962), Kwame Nkrumah (Class Struggle in Africa tradotto da M. W. Kanyama Chiume come Harakati ya kitabaka katika Afrika nel 1974) e Frantz Fanon. Les damnés de la terre fu tradotto due volte nel giro di poco tempo. Il Tanzania Library Service Board incaricò Ahmed Yusuf Abeid della traduzione, che pubblicò una versione abbreviata nel 1977 con il titolo Mafukara wa Ulimwengu. L'anno successivo, Gabriel Ruhumbika e Clement Maganga ritradussero l’intero testo con il titolo Viumbe Waliolaaniwa, su commissione della Tanzania Publishing House.
[35] “Individual citizens should now come to the aid of the Government”.
[36] Inoltre, in molte prefazioni di classici, e non solo, di questo periodo i traduttori difendono le strategie di domesticazione adottate come un tentativo consapevole di rispettare le culture locali e possono quindi essere collegate a un discorso pubblico incentrato sul recupero del passato e della tradizione. Allo stesso tempo, tuttavia, la traduzione veniva concepita come un processo partecipativo che permetteva alla comunità swahili di prendere parte a un’esperienza universale.
[37] Per un’analisi approfondita del dibattito accademico e intellettuale keniota sulla presenza di Shakespeare nella scena letteraria del Kenya, si veda Mazrui (1996).
[38] Tradotto nel 1972 da Willy Teofilo Kisanji come Kiini cha Giza.
[39] Tradotto nel 1973 da Lugo Taguaba come Mnafiki.
[40] Tradotto nel 1981 da Cyprian Tirumanywa come Mzee na Bahari.
[41] Tradotto nel 1971 da Joseph R. Kotta come Mtume.
[42] “Africanize the cultural and intellectual environment”.
[43] An African Night’s Entertainment fu tradotto da Titus Echessa nel 1966 come Tafrija ya Usiku. The Beautyful Ones Are Not Yet Born fu tradotto dal rinomato poeta e attivista kenyota Abtillatif Abdalla nel 1969 con il titolo Wema Hawajazaliwa. The Black Hermit fu tradotto nel 1970 come Mtawa Mweusi. Lo scrittore kenyota John Ndeti Somba tradusse Weep Not Child come Usilie Mpenzi Wangu (1971) e The River Between, come Njia Panda (1974). Nel 1976 This time tomorrow fu tradotto da Saifu D. Kiango col titolo Kesho Wakati kama huu. The trial of Dedan Kimathi fu tradotto nel 1978 da Raphael Kahaso come Mzalendo Kimathi. I traduttori tanzani anche contribuirono a tradurre i capolavori di Ngũgĩ wa Thiong’o: nel 1982 Clement Kabugi tradurre Ngaahika Ndeenda (I will marry when I want), scritto con Ngũgĩ wa Mĩriĩ, come Nitaolewa nikipenda e Caitaani Mutharabaini (Devil on the Cross) come Shetani Msalabani. No longer at ease fu tradotto da M. M. Adam nel 1972 as Hamkani. Si Shwari Tena. Nel 1977 Douglas F. Kavugha tradusse A Man of the People come Mwakilishi wa Watu. Arrow of God fu tradotto nel 1978 da Shamte Hafid M. come Mshale ya Mungu. Rebel fu tradotto da N. Zaidi nel 1972 come Mwasi. Maurusi J. Sichalwe tradusse The stubborn come Majuto nel 1975. The trials of Brother Jero fu tradotto da A.S. Yahya nel 1974 come Masaibu ya Ndugu Jero. Chaka, il romanzo storico che narra l’ascesa e la caduta del re degli Zulu, è stato tradotto nel 1975 da Muhsin S. Attas con il titolo Chaka Mtemi wa Wazulu. Kahaso Raphael e Nathan Mbwele tradussero Une vie de boy con il titolo Boy nel 1976. The Imprisonment of Obatala and Other Plays fu tradotto nel 1978 con il titolo Kifungo cha Obatala na Michezo Mingine. Non viene fatta alcuna menzione del traduttore.
[44] Voltaïque, La noire de... tradotto come Chale za Kikabila nel 1981.
[45] Il romanzo Dying in the Sun (1968) di Palangyo fu tradotto in swahili come Kivuli cha Mauti da J. D. Mganga nel 1972. La raccolta di racconti brevi Land Without Thunder (1968) di Ogot fu tradotta in swahili come Nchi Bila Ya Ngurumo nel 1979.
[46] Mazrui (2016: 44) riporta che in Kenya i libri pubblicati dall’editore russo Progress furono banditi negli anni Ottanta.
[47] La raccolta di racconti per bambini Rasskazy dlja detej (Storie per bambini) fu tradotta nel 1979 da A. Pahomov con il titolo Hadithi za watoto; Muravej i golubka (La formica e la colomba) fu tradotto da Herman Joseph Matemu come Siafu na manga nel 1988. Nel 1991 C. G. Mung’ong’o tradusse Smert’ Ivana Ilyicha (La morte di Ivan Il'ič) con il titolo Kifo cha Ivan wa Iliya. Nel 1967 Povesti Pokojnogo Ivana Petrovica Belkina (I racconti del defunto Ivan P. Belkin) fu tradotto con il titolo Masimulizi ya Belkina. Nel 1983 Husein Abdul-Razak tradusse Gorjašcee serdce Danko (Il cuore fiammeggiante di Danko) come Moyo uwakao wa Danko. Nei primi anni 2000, altre opere di Puškin furono tradotte in swahili. Il poema The Tale of Tsar Saltan (Hadithi ya Mfalme Saltan na Mwanawe Guidon) e la fiaba in versi The Tale of the Golden Cockerel, tradotta come Hadithi ya Jogoo wa Dhahabu, furono pubblicati in un unico volume da Marcus M. Mbingili nel 2001. Nello stesso anno, Joshua Madumulla tradusse la fiaba in versi The Tale of the Fisherman and the Fish con il titolo Hadithi ya Mvuvi na Samaki ya Dhahabu. Nel 1979 Christon S. Mwakasaka tradusse Revizor (L’Ispettore Generale) con il titolo Mkaguzi mkuu wa serikali. Nel 1970 Badru Said tradusse Mat’ (La madre) con il titolo Mama.
[48] Maua ya Malan: mchezo wa kuigiza wa watoto tradotto da Deyao Ren.
[49] Coral Island tradotto da Elizabeth Pamba col titolo Kisiwa cha Matumbawe. Oliver Twist tradotto da Amina Vuzo col titolo Visa vya Oliver Twist. David Copperfield tradotto da Alfred Kagwe col titolo Visa vya David Copperfield. Gulliver’s Travels tradotto da Alice Kasibwa col titolo Safari ya Gulliver; l’opera era già stato tradotta nel 1932 da Frederick Johnson. Robinson Crusoe, giào tradotto nel 1933 da Frederick Johnson, fu ritradotto da Michael Waweru con il titolo Robinson Crusoe kisiwani. Treasure Island, già tradotto nel 1929 da Frederick Johnson, fu ritradotto da Peter Kisia con il titolo Kisiwa chenye Hazina. Questa traduzione fu successivamente rieditata in una versione rivisitata da M Saidi e pubblicata da Longman Publishers. Wonder Tales from Greece tradotto da Sultani Abdi col titolo Ngano za Ajabu kutoka Ugiriki. Tom Sawyer tradotto da Benedict Syambo col titolo Visa vya Tom Sawyer. Le Tour du monde tradotto da Yusuf Kingala col titolo Kuizunguka dunia kwa siku themanini. Speckled Band tradotto da Leonard L. Muaka col titolo Maajabu ya utepe wenye madoadoa.
[50] Fatta, attraverso l’inglese, da E.K. Maarugu nel 1992.
[51] Tradotto nel 1992 dallo studioso swahili Jan Knappert come Utenzi wa Kalevala.
[52] Tradotto nel 2004 da Deogratias Simba come Msako.
[53] Tradotto come Uzinduzi nel 2005 da Abdilatif Abdalla e Alena Rettová.
[54] Tradotto nel 2010 come Mwana Mdogo wa Mfalme da Philipp Kruse e Walter Bgoya, allora direttore di Mkuki na Nyota.
[55] Tradotto nel 2010 da Mlenge Fanuel Mgendi con il titolo Tupinge!
[56] Tradotto nel 2020 da Michelangela Adamo.
[57] Tradotto nel 2023 da Ali Attas.
[58] Pubblicata nel 2024 col titolo Jamhuri ya Plato.
[59] La prima traduzione dell’opera in swahili risale al 1929, pubblicata dalla londinese Sheldon con il titolo Mazungumzo ya Alfu Lela u Lela au Siku Elfu Moja na Moja, e realizzata da Edwin Brenn e Frederick Johnson. Nel 1973, l’opera è stata rieditata in una versione rivista a cura di Omar Saidi e A.S. Yahya, segnando un ulteriore momento di rilettura e diffusione del testo in contesto swahilofono.
[60] Per avere un’idea dei numeri si può consultare il Catalogo di testi letterari tradotti in swahili dal 1663 al 2017, contenuto in Talento 2021.
©inTRAlinea & Serena Talento (2025).
"Breve storia della letteratura tradotta in Swahili"
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