Tradurre per l’infanzia e l’adolescenza:

editori, editor e traduttori a confronto

By Mirella Piacentini (Università degli Studi di Padova, Italia)

©inTRAlinea & Mirella Piacentini (2023).
"Tradurre per l’infanzia e l’adolescenza: editori, editor e traduttori a confronto"
inTRAlinea Special Issue: Tradurre per l’infanzia e l’adolescenza
Edited by: Mirella Piacentini, Roberta Pederzoli & Raffaella Tonin
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“Children's books are not a hiding place, they are a seeking place”
[I libri per ragazzi non sono un posto in cui nascondersi, sono un posto in cui cercare]
K. Rundell[1]

Resoconto delle conferenze tenute nell’ambito della prima edizione (a.a. 2020-2021) del ciclo di incontri seminariali permanenti “Tradurre per l’Infanzia e l’Adolescenza. Incontri per una sfida professionale e culturale” da: Viola Cagninelli (editor Salani), Valentina Daniele (traduttrice), Yasmina Mélaouah (traduttrice), Stefania Di Mella (editor Rizzoli e traduttrice), Guido Ostanel (direttore editoriale BeccoGiallo).

Premessa

Coerentemente con gli obiettivi del ciclo di incontri seminariali da cui nasce l’idea di questo numero monografico, in ogni edizione, tra le nostre relatrici e i nostri relatori, un posto di rilievo è stato dato a traduttori, editori ed editor, ovvero una parte delle conferenze ha esplorato il tema della traduzione per l’infanzia e l’adolescenza dalla prospettiva di chi fattivamente traduce e mette in circolazione questi libri.[2] Le testimonianze portate da queste figure ci hanno consentito di ampliare lo sguardo e gli orizzonti del nostro pubblico di riferimento – fatto anche di potenziali future traduttrici e futuri traduttori – rispetto ad un’idea dell’atto e della pratica traduttiva spesso parziale ed incompiuta; a fronte di un approccio alla traduzione che troppo spesso rimane confinato entro i limiti del testo e dell’autore, preme a chi scrive far comprendere che tradurre non equivale solo a relazionarsi con istanze testuali ed autoriali: ogni traduzione destinata alla pubblicazione nasce in seno ad un progetto editoriale e vive delle relazioni che si instaurano tra le diverse e molteplici figure che portano alla nascita di un prodotto editoriale. Ci premeva (e ci preme) far capire alle nostre studentesse e ai nostri studenti che, se l’atto traduttivo può compiersi in solitaria, ogni testo tradotto per la pubblicazione nasce e cresce in un contesto specifico. Ci riferiamo certamente al contesto extratestuale, storico e sociale, ma anche a quello che, mutuando il concetto dalla linguistica testuale, potremmo definire il cotesto, inteso come quell’insieme di relazioni che compone il testo-traduzione e che è l’esito degli scambi del traduttore con alcune figure editoriali di riferimento, editor ed editore in primis. A traduttrici, traduttori, editor ed editori ci siamo quindi rivolti, chiedendo che venissero a portarci la loro testimonianza[3].

1. Il “gioco” di squadra nella redazione dell’editore Salani

Tra gli editori che hanno risposto al nostro appello si annovera Salani[4], rappresentato dalla editor Viola Cagninelli e dalla traduttrice Valentina Daniele[5]. Apriamo questo resoconto con la loro testimonianza poiché il concetto di “gioco di squadra”, cifra distintiva della conferenza già dal titolo, risulta essere una nozione chiave, che ricorre anche nelle testimonianze delle altre figure che citeremo nel prosieguo di questo resoconto critico. La premessa da cui parte Cagninelli è chiara e diretta: “la traduzione, e la traduzione per ragazzi ancora di più, è spessissimo un lavoro di squadra, cioè un lavoro collettivo”[6]. Questo bisogno di fare squadra viene messo in relazione a quell’esigenza di creatività necessaria quando si traducono libri per ragazzi e che si alimenta grazie allo scambio e al confronto. Secondo Cagninelli “niente come la traduzione per ragazzi richiede creatività e dove c’è bisogno di creatività più teste sono meglio di una”. Risulta inoltre chiaro dalle parole della traduttrice Daniele che non si tratta semplicemente di valutare insieme soluzioni originali e creative, ma di assicurare scelte coerenti: nell’evocare una delle sfide ricorrenti, la traduzione dei nomi parlanti, Daniele ricorda che “i nomi parlanti di solito hanno un criterio di composizione. Sarà cura del traduttore, in collaborazione con la redazione, far sì che le scelte siano coerenti”. Stiamo del resto parlando di un pubblico che Daniele aveva poco prima definito come “particolarmente esigente”, fatto di lettori che “diventano i più grandi esperti di quella saga, se si appassionano […] diventano i più grandi conoscitori di ogni minimo dettaglio”.

Il “gioco di squadra” evocato dal titolo appare la cifra distintiva della storia della casa editrice Salani, nome di spicco nel panorama italiano[7], fondata a Firenze nel 1862, all’alba dell’unità di Italia, da Adriano Salani. Ripercorrendo la storia della casa editrice, Cagninelli definisce Adriano Salani un “self-made man”: operaio tipografo presso l’editore Le Monnier, Salani decide di puntare su una nicchia di mercato costituita da quella che definiva “editoria popolarissima, ovvero rivolta a quella parte del popolo che non aveva soldi per i giornali e neppure per i libri, ma disponeva di quei venticinque centesimi necessari per comprare dei “fogliettoni”, veri e propri “foglioni” (da non confondere con i feuilleton)”. Con l’acquisto di un torchio, Salani inizia la sua produzione, diventando nel giro di pochi anni un editore conosciuto. Il “turning point” nella storia delle edizioni Salani coincide –  come racconta Cagninelli – con l’acquisto di macchinari in grado di assicurare una buona resa delle illustrazioni, che consentono di stampare a basso costo edizioni illustrate. All’avvio della Biblioteca illustrata e della Biblioteca economica, si accompagna l’interesse di Adriano Salani per un nuovo pubblico, che si stava formando proprio in quegli anni: “con l’emanazione della legge Coppino e l’impulso dato all’alfabetizzazione, i ragazzi diventano un nuovo target, tutto da soddisfare per un editore”. Cagninelli ci ricorda che Salani inaugura in quegli anni tantissime collane di libri per ragazzi, tra cui La biblioteca dei miei ragazzi, La biblioteca delle signorine, titoli che ora – nota Cagninelli – “potrebbero far sorridere”, ma che “hanno fatto la storia dell’editoria”, ospitando nomi del calibro di Jules Verne, Collodi, oltre alle prime edizioni di Heidi e del Piccolo Lord, pubblicato per la prima volta in Italia proprio dall’editore Salani.

Il segno distintivo lasciato da Salani nel panorama italiano non si deve solo alla lungimiranza di alcune scelte, ma anche alla capacità di puntare su collaborazioni in grado di valorizzare le felici intuizioni editoriali. Cagninelli sottolinea il ruolo chiave svolto nella storia dell’editoria per ragazzi dalla collana Gl’Istrici, che per la prima volta propone dei libri tascabili per ragazzi e che Cagninelli definisce “la prima collana pensata veramente per i bambini”. Gl’Istrici devono la loro fortuna a Donatella Ziliotto, editor, traduttrice e che, soprattutto, di questa nuova collana fu direttrice. È Daniele a specificare il senso del rinnovamento proposto da questa collana:

Gl’Istrici hanno avuto un ruolo importante: prima c’era un approccio alla letteratura per ragazzi e alla traduzione della letteratura per ragazzi che passava essenzialmente attraverso gli educatori: i libri erano quindi pensati per gli adulti che li proponevano ai bambini. Con Gl’Istrici la cosa cambia: sono romanzi pensati per essere messi in mano direttamente ai bambini e già questo determina un cambiamento nell’approccio alla lingua.

Cagninelli vede nella particolare cura ed attenzione al lavoro editoriale la vera cifra distintiva dell’editore. Quando negli anni ’80 le edizioni Salani vengono acquisite dal gruppo Longanesi, i due soci Mario Spagnol e Luciano Mauri mettono Salani su nuovi binari, ripartendo però sempre dai ragazzi e da quell’attenzione al lavoro di redazione, che implica anche un’attenzione specifica alla traduzione. Cagninelli ricorda come Luigi Spagnol, subentrato al padre Mario, si occupasse personalmente della revisione di alcune traduzioni e di selezionare i traduttori insieme a Ziliotto, scegliendoli in base al libro, al tono del libro, cioè cercando di trovare il traduttore che meglio potesse rispondere alle specifiche sfide poste da un testo. Daniele e Cagninelli concordano nel riconoscere l’immancabile e vivace contributo di Luigi Spagnol alle scelte traduttive[8], ed il lavoro costantemente corale svolto in redazione. In particolare, Cagninelli ricorda il contributo di Spagnol alla traduzione evocando la scelta coraggiosa dell’editore-traduttore di ritradurre Winnie The Pooh, con volontà di recupero “filologico” del testo[9], quando il personaggio è ormai ampiamente conosciuto grazie al cartone animato.

Non meno significativo, nella storia di Salani, è l’apporto della già citata Donatella Ziliotto, che Cagninelli definisce come “una figura che ha fatto la storia della letteratura di libri per ragazzi in questo Paese”. È Ziliotto ad andare “in Svezia a prendersi Astrid Lindgren e a portare in Italia Pippi Calzelunghe, prima per Vallecchi e poi per Salani”. Di Ziliotto, Cagninelli ricorda il doppio ruolo di editor e di traduttrice. È sua la voce italiana del Grande Gigante Gentile, suo il merito di aver saputo rendere con maestria il complesso linguaggio del gigante di Roald Dahl. Il lavoro di Ziliotto è altrettanto esemplare in Pippi, che co-traduce nel lontano 1958. Le felici soluzioni di Ziliotto, per il Grande Gigante Gentile come per Pippi, resistono al passare del tempo. Quando, in occasione dei 65 anni di Pippi, Salani pubblica un’edizione speciale, che comporta una revisione della traduzione[10], Cagninelli afferma che “la traduttrice Samanta Milton e la redazione Salani hanno lavorato al testo solo perché nella traduzione di Pippi c’era qualche elemento da svecchiare”. Aggiunge però che “quella che non è stata minimamente toccata è la voce di Pippi, i dialoghi che erano stati ampiamente lavorati in revisione da Donatella Ziliotto. Pippi parla così ed è una voce senza tempo”.

Se dunque, come afferma Daniele, il traduttore ha bisogno di trovare nella redazione il “primo alleato”[11], questa necessità trova piena soddisfazione in Salani. Decostruendo lo stereotipo che vuole che il lavoro del traduttore sia “solitario”, e sottolineando le criticità che può comportare il ricorso all’esternalizzazione, la traduttrice cita un caso concreto di traduzione, impossibile da portare a termine, secondo Daniele, in assenza di collaborazione con la redazione[12]:

Certo, non stiamo in una stanza con altri colleghi, non abbiamo qualcuno che assista al nostro continuo corpo a corpo con il testo –  perché poi, alla fine, è un incontro di boxe quello del traduttore con il testo. Però, quando mi chiedono di parlare del mio lavoro, ci tengo a dire che la condizione ideale è avere un buon rapporto di collaborazione con la redazione. Senza quello il lavoro rimane come monco. […] Non è sempre facile trovare una situazione in cui si collabora costantemente con la redazione perché molti aspetti del lavoro sono stati esternalizzati, non è detto che sia sempre lo stesso redattore ad occuparsi di tutti i libri di uno stesso autore e questo può essere un problema, la qualità del lavoro ne risente perché non viene trattato con la cura che merita. Il caso dell’Ickabog non sarebbe stato possibile senza una collaborazione continua con la redazione perché la traduzione usciva quasi in contemporanea con i capitoli che l’autrice metteva a disposizione.

Se secondo Cagninelli tradurre libri per ragazzi equivale a ricreare mondi[13], nel definire le specificità della traduzione per ragazzi Daniele ritiene imprescindibile per chi traduce in questo settore “essere una persona senza paura. [Il traduttore di libri per ragazzi] deve essere una persona pronta all'avventura, non deve aver paura di niente e non deve soprattutto aver paura dei bambini, ovvero non deve avere paura di non essere capito perché i bambini capiscono tutto”. Oltre a costituire un pubblico esigente, secondo Daniele bambini e ragazzi sono “un pubblico che non vuole essere preso in giro, che non sopporta la leziosità. Vogliono leggere delle storie che siano appassionanti, interessanti, in cui si possano identificare, vogliono una lingua diretta, una lingua in cui si possano anche riconoscere”. Quest’ultimo tratto solleva un problema che secondo Daniele si ricollega ad un istinto che è conseguenza di abitudini che acquisiamo “fin dai tempi della scuola: quando scriviamo l'italiano ci viene in qualche modo insegnato a uniformare il nostro stile verso l'alto, ad alzare il registro”. Questa tendenza può creare problemi quando chi traduce “si trova davanti una lingua molto colloquiale, molto semplice, molto diretta: in traduzione questa lingua diventa improvvisamente un po' più chic, un po' più forbita, con un congiuntivo di troppo anche quando magari potremmo usare l’indicativo”[14]. E se questa tendenze deformanti dipendono “dalla nostra formazione scolastica, non è colpa di nessuno”, il traduttore ha il dovere, secondo Daniele, di tenerne conto e di “provare a superarle, per il rispetto del testo e per il rispetto dei lettori”.

Ci sono poi, secondo Daniele, delle “sfide singole e particolari”, che la traduttrice identifica anche come elementi che rendono questa narrativa particolarmente “divertente”. Il ricorrente problema dei nomi parlanti richiede la traduzione degli stessi ed è significativo che Daniele arrivi a parlare di “localizzazione”. E se per i “middle grade, i ragazzi delle medie” il problema della traduzione dei nomi – non parlanti – non si pone, in queste storie si pone invece spesso il problema dei riferimenti culturali. A fronte di analisi traduttologiche spesso orientate alla ricerca di un approccio dominante, che consenta di collocare in traduttore tra i sourciers o, al contrario, tra i ciblistes[15], il commento di Daniele risulta particolarmente significativo e degno di nota poiché sottolinea la singolarità delle scelte: “per ognuno di quei riferimenti [dovrai] ragionare su come proporlo, ragionare sulla familiarità di quei riferimenti culturali: vanno lasciati così come sono o si può intervenire per renderli più familiari?”. L’attenzione ai riferimenti culturali diventa un elemento distintivo di questa specifica pratica traduttiva: senza dimenticare l’importanza di quello che Daniele definisce “l’aspetto linguistico”, la traduttrice ci ricorda che “tutto il mondo che [i libri per ragazzi] si portano dietro ha un carico di riferimenti culturali spesso più grande di quello della letteratura per adulti, soprattutto la letteratura commerciale per adulti, che si rifà ad un sistema di riferimenti abbastanza neutro e abbastanza comprensibile da tutti”. Lo sforzo che il traduttore deve fare per “catturare” i bambini, per “portarli all’identificazione, a fare il tifo per i protagonisti” diventa per il traduttore occasione di divertimento. Per Daniele, tradurre per ragazzi diventa quindi “un lavoro divertentissimo perché quale altro tipo di narrativa ti offre sempre questi spunti su cui lavorare?”.

2. Dalla traduzione generalista alla traduzione per bambini e ragazzi: “tenere l’asticella alta”

Il costante lavoro di collaborazione tra traduttore e redazione editoriale emerge anche dalla testimonianza di Yasmina Mélaouah.[16] Traduttrice letteraria di grande esperienza, voce italiana di molti autori francesi, tra cui Daniel Pennac[17], nella sua conferenza si sofferma proprio sulla resa di Ernest et Célestine, ripercorrendo la storia editoriale di questo orso e di questa topolina per mostrare come il “medium” abbia inciso sull’approccio traduttivo, portando la traduttrice ad “elaborare ogni volta una strategia diversa”. Mélaouah ci ricorda che i personaggi di Ernest et Célestine nascono alla fine degli anni ‘90 dalle illustrazioni di Gabrielle Vincent. La formazione di illustratrice di Vincent fa sì che in questi albi domini la parte iconografica, a scapito del testo: alle illustrazioni spetta il compito di narrare la storia e sono in effetti illustrazioni nelle quali, ci dice Mélaouah, “si racconta tanto”. Amico dell’illustratrice, Daniel Pennac trae dagli albi un romanzo per bambini/ragazzi[18], Le roman d’Ernest et Célestine, dove le illustrazioni sono presenti, ma in numero ridotto. In virtù della sua fama di scrittore per l’infanzia, si decide di trarre un film dal romanzo di Pennac ed è a quel punto che sia Casterman che Gallucci decidono di recuperare gli albi. Esce inoltre un albo tratto dal film. La peculiarità di questi albi che escono dopo il film è – come ci dice Mélaouah – quella di avere una parte testuale molto denotativa (“è come se servisse da filo conduttore per le illustrazioni e per far ritrovare i punti essenziali della trama del film”).

L’esperienza di traduzione di questi albi per l’editore Gallucci esemplifica l’importanza di quello che Mélaouah definisce “lavoro collaborativo”. Ritorna anche in Mélaouah l’idea della collaborazione come modalità di lavoro indispensabile in particolar modo quando si traducono libri per bambini e ragazzi. La ragione è riconducibile al destinatario, determinante quando si opera in questo settore editoriale molto più di quando si traduce letteratura generalista. Traduttrice di grandi classici della letteratura francese, Mélaouah riconosce una fondamentale diversità nell’approccio ad un classico:

Quando ho dovuto tradurre Albert Camus sono arrivata a casa con la mia Peste, mi sono chiusa in biblioteca per un mese a studiare e a ristudiare tutto Camus e poi, in qualche maniera, era una specie di corpo a corpo tra me e il testo. […] quindi la questione del destinatario aveva una rilevanza minima, nel senso che quello che contava era cercare di riportare la voce il più autentica possibile di un testo di Camus per un lettore italiano generico, su cui non mi ponevo troppi problemi di identità o di formazione culturale. Quando invece ho cominciato a lavorare su questa serie di testi legati a Ernest et Célestine, per ciascuno di questi testi, […] è stato un continuo lavoro collaborativo con le case editrici che di volta in volta li hanno pubblicati[19] […] Qual è il nostro destinatario, a quale fascia di età ci rivolgiamo e che tipo di strategie vogliamo mettere in atto è un lavoro che si fa in collaborazione con la casa editrice.

Nasce proprio dal confronto collaborativo con l’editore Gallucci la scelta della strategia da adottare per la gestione, nel passaggio dal francese all’italiano, di quella “asciuttezza” tipica degli albi originali, dove – come detto – la narrazione passa principalmente attraverso le immagini e i “meravigliosi dettagli” che le caratterizzano:

Con l’editore abbiamo ragionato su questa stringatezza, su questa asciuttezza massima del testo e siamo arrivati a decidere che questo era uno dei casi – frequentissimi negli albi illustrati – in cui non avremmo fatto una traduzione, ma un adattamento, e nemmeno un adattamento, ma quello che l’editore Gallucci definiva un’espansione narrativa. […] Se concepiamo la traduzione come restituzione aderente dell’originale, qui siamo in un altro ambito, siamo nel caso di adattamento con espansione narrativa.

Entrano in gioco, ci spiega Mélaouah, considerazioni legate al lettorato italiano: editore e traduttrice si trovano d’accordo nel riconoscere la maggiore solidità del lettorato francese, a fronte di un lettorato italiano per il quale un testo così scarno viene giudicato improponibile. L’ampliamento della parte testuale, con conseguente espansione rispetto al testo fonte, è frutto di un confronto con l’editore e conduce ad una decisione strategica che, secondo Mélaouah, il traduttore non potrebbe prendere in totale autonomia: “Quando dicevo che questo tipo di testi è un lavoro collaborativo, questo è proprio un caso: nessun traduttore da solo si prende la briga di un’iniziativa di questo genere. È uno scambio, una riflessione fatta assieme all’editore, considerando il destinatario e il catalogo dell’editore”. Dalle parole di Mélaouah emerge certamente l’importanza del confronto, ma soprattutto la disponibilità della traduttrice ad ascoltare ed accogliere le richieste dell’editore, superando quell’istintivo “rispetto religioso” per il testo fonte, che la porta inizialmente ad avere qualche perplessità rispetto alla scelta editoriale di risolvere la sinteticità degli albi originali in espansione narrativa:

Avendo un rispetto religioso per il testo che traduco, quale che sia, all’inizio ho avuto qualche dubbio sulla proposta di espansione. Le illustrazioni mi sembravano già così potenti che sarei stata dell’idea di lasciare del testo scritto così asciutto. In realtà, da un punto di vista editoriale la proposta aveva un senso e l’editore ne sa più di me.

Il ricorso all’espansione narrativa comporta precise scelte in termini di deissi temporale: pur volendo conferire alla storia un andamento più decisamente narrativo, la forma dell’albo chiama l’uso del presente, sicché l’espansione narrativa diventa una sorta di testo didascalico: “Nell’albo le notazioni sono come didascalie delle illustrazioni, e il tempo della didascalia, della legenda è il presente”. Una scelta diversa viene fatta per il romanzo, “dove i tempi verbali giocano con quel passato che è una specie di convenzione della narrazione, con un passato che non è nel tempo, ma nello spazio della finzione, dove autore e lettore stipulano una specie di patto di credulità”.

La questione autoriale segna il discrimine tra il romanzo e l’albo pubblicato a seguito del film: se è vero che esistono albi dove è possibile percepire una dimensione autoriale, Mélaouah ci ricorda che “gli albi dei film sono per definizione non autoriali”. Nel caso specifico dell’albo tratto dal film, il testo è “molto più denotativo, asciutto. Potremmo dire che questo non è un testo autoriale. In francese c’è proprio un’intenzionale neutralità, mantenuta in italiano, cercando però di mettere un pochettino di colore. L’italiano rischia facilmente di ingessarsi, quindi ricorrere il più possibile all’idiomatico, al figurato aiuta a dare un po’ di movimento, di rilievo, una tonalità più colorita anche nei dialoghi”. Il romanzo è invece “in tutto e per tutto autoriale; c’è tutto Pennac: humor, propensione a giocare con la lingua, tenerezza, capacità di criticare i vizi della società; nessuna volontà di infantilizzare, come sempre in Pennac”. L’autorialità nella letteratura per l’infanzia e l’adolescenza consente tuttavia, secondo Mélaouah, un trattamento diverso da parte del traduttore, per considerazioni che di nuovo ci riportano al destinatario: “è meno impellente per il ragazzino che senta la voce dell’autore, deve sentire un’autorialità in generale, deve sentire che c’è una scrittura ricca, feconda”. Questo atteggiamento si risolve in una dimensione di maggiore libertà da parte di chi traduce libri per bambini e ragazzi: “di sicuro, la dimensione di libertà che si prende un traduttore per ragazzi è molto maggiore rispetto a quella che si prende un traduttore per adulti. […] non necessariamente l'obbligo di fedeltà e di aderenza che noi abbiamo quando traduciamo letteratura per adulti ha la stessa dimensione quando lavoriamo nella letteratura per ragazzi”. Questa maggiore libertà non deve far pensare ad interventi semplificativi in senso infantilizzante: se, come dice Mélaouah, è nei temi e non nella lingua che i romanzi jeunesse di Pennac si distinguono dalla parte ‘adulta’ della sua produzione letteraria[20], questo stesso istinto che rifugge da ogni tentativo di infantilizzazione caratterizza l’impronta traduttiva di Mélaouah quando affronta un testo per bambini e ragazzi. La “responsabilità enorme” che Mélaouah sente su di sé quando traduce libri per bambini e ragazzi diventa anche occasione per una riflessione sulla traduzione in generale, alla ricerca di ciò che è comune, ma con la consapevolezza che saper tradurre è un’abilità generale, che occorre declinare entro un paradigma di competenze specifiche, paragonabili alla padronanza di uno specifico strumento musicale, a fronte di una conoscenza generale della musica:

La responsabilità che ho avuto nella mia carriera di traduttrice di lavorare su testi per bambini e per ragazzi è stata una responsabilità enorme, per certi versi, e che fortunatamente mi ha permesso di interrogarmi sul tradurre in generale. Mi sono pian piano resa conto che, se la traduzione in generale potrebbe essere come conoscere la musica, avere frequentato un conservatorio, probabilmente tra chi al conservatorio ha imparato a suonare il pianoforte e chi ha imparato ad usare il violoncello c’è certamente qualcosa in comune, ma un buon pianista non necessariamente può dare per scontato di possedere le competenze per passare immediatamente al violoncello.

Mélaouah afferma in effetti che le esperienze di traduzione nel settore ragazzi l’hanno portata a “rifar[s]i daccapo la cassetta degli attrezzi del traduttore”.

A fronte di alcuni elementi fissi che accomunano l’atto di traduzione, il prevalere di una variabile diventa determinante, a livello strategico, per quella “specie di funambolo” che è sempre il traduttore:

Questo vale per qualsiasi tipo di traduzione: noi siamo delle specie di funamboli. Il traduttore è una specie di funambolo che cammina sul crinale tra due realtà diverse, mediando continuamente tra due lingue, due testi e due culture. A seconda di moltissime variabili, in questa operazione di mediazione può esserci un elemento che ha la meglio rispetto ad un altro. Per esempio – nella traduzione per l’infanzia e per ragazzi – il ruolo del destinatario, e quindi secondariamente tutte le considerazioni legate al panorama editoriale, al rapporto con la scuola, alla dimensione pedagogica, hanno un peso molto forte nella strategia che il traduttore deve elaborare.

Il destinatario e la fascia di età diventano elementi dirimenti nelle scelte traduttive, secondo Mélaouah. Di particolare rilievo è, secondo la traduttrice, la questione della lingua. Nell’affrontare le sfide linguistiche, la traduttrice si posiziona con decisione entro una delle “due scuole di pensiero” che individua:

Quale lingua per tradurre la letteratura per bambini e per ragazzi? Questo è il problema, LA questione e, secondo me, anche la questione più affascinante perché potremmo dire che ci sono due scuole di pensiero. C’è chi pensa che la linea debba essere a tutti i costi quella della facilità: secondo questa scuola di pensiero, quale che sia la fascia di età, diventa fondamentale per il bambino che non ci sia nessuna parola che già non conosca, che tutto sia il più possibile semplificato. Il punto di vista che considero maggiormente deleterio comporta una deriva bamboleggiante o infantilizzante: siccome mi rivolgo ad un bambino, non soltanto evito la scelta di termini non comunissimi, ma addirittura plasmo una lingua bambineggiante.

Riconoscendo al alcuni “editori più seri” il merito di aver contribuito a dare un nuovo senso alla “valenza pedagogica” della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza[21], Mélaouah si posiziona decisamente nella “seconda scuola di pensiero”:

Il senso più alto e davvero pedagogico è l’idea alta della lingua, cioè il mantenere l’asticella alta anche rispetto ad un lettore di otto o dieci anni, facendo leva in primo luogo sulla curiosità innata del bambino e del ragazzino, che non ha paura della parola che non conosce perché sa che può chiederla ad un adulto, perché sa che può ricostruirne il senso dal contesto […]. L’idea di tenere alta l'aspettativa vuol dire disseminare qua e là nel testo delle parole che consapevolmente noi sappiamo che un ragazzino di otto anni non conosce. Se sono disseminate nel testo e non è il tessuto intero del testo ad essere pervaso da queste parole, ecco il valore pedagogico, che porta a fare il passetto della scoperta della parola nuova, quindi ad incoraggiare questa benefica fatica.

Questa postura che dà fiducia, tiene alta l’aspettativa è, a ben vedere, secondo Mélaouah “un atteggiamento traduttivo” che la traduttrice assume anche quando esce dal vincolo della traduzione per bambini e ragazzi e che Mélaouah riassume nella metafora del viaggio organizzato, tantomeno gradito da un pubblico che predilige l’avventura:

Sono sempre dell’idea che la bella esperienza di lettura, che sia per bambino o per adulto, sia un’esperienza da attraversare anche facendo un briciolo di fatica, sapendo che da quella fatica si uscirà arricchiti. Questo vale per un adulto come per un ragazzino. L’idea che il lettore non debba fare fatica, che debba avere un orizzonte rassicurante, è paragonabile ad un’esperienza di viaggio organizzato[22]. Dal mio punto di vista, il lettore fa un’esperienza più arricchente se non fa un viaggio organizzato. Quindi, diventa interessante permettere anche ad un lettore giovane di instaurare un dialogo col testo, al quale contribuisce anche con la sua curiosità, anche con le cose che non capisce e che scoprirà nell’andamento del testo. Questo è per me tenere l’asticella alta. Per esperienza, questa è la mia idea del tradurre: invitare il lettore, quale che sia, bambino, ragazzino o adulto, a non fare un viaggio organizzato, da cui torna a casa come è partito, ma a fare un viaggio in cui accoglie gli imprevisti che incontrerà lungo la strada. Credo peraltro che quelli a cui piacciano i viaggi più avventurosi siano i ragazzini molto più degli adulti. Per questo credo che la via della facilità, dell’infantilizzare, del tenere sempre la lingua al suo livello o più bassa, per quanto diffusa in una certa letteratura di consumo, anche per ragazzi, sia poco interessante.

Non è solo nelle scelte lessicali che Mélaouah ritiene di dover “tenere l’asticella alta”:

Non si deve avere paura non solo delle singole parole, ma anche delle costruzioni. Quando si sente dire no al congiuntivo perché i bambini non lo capiscono, si deve certamente riconoscere che un bambino di otto anni non padroneggi la consecutio come un ragazzo più grande o un adulto, ma il bambino capisce sicuramente, quindi anche rispetto alle strutture sintattiche io non credo che si debba percorrere la via della facilità.

3. Editoria ‘generalista’ ed editoria per bambine/i e ragazze/i

Il diffondersi di un’editoria per ragazzi di qualità, che ha indubbiamente contribuito a dare nuove connotazioni alla valenza pedagogica della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, determinandone la maturità, anche letteraria, ha modificato l’atteggiamento del mondo editoriale nei confronti di un segmento che non può più certamente essere considerato minore, e che, anzi, si mantiene trainante[23]. Due degli editori che ci hanno portato la loro testimonianza nella prima edizione del nostro ciclo di incontri, Rizzoli e BeccoGiallo, esemplificano il diverso rapporto che l’editoria generalista (Rizzoli), o specializzata in altri generi (BeccoGiallo), può sviluppare con lo specifico segmento editoriale rappresentato dalle pubblicazioni destinate a bambini e ragazzi.

3.1 La traduzione nel comparto “Ragazzi” dell’editore Rizzoli

Stefania di Mella, editor e traduttrice presso Rizzoli, rappresenta una casa editrice generalista, un marchio storico fondato nel 1927 da Angelo Rizzoli, inizialmente specializzato nella pubblicazione di riviste.[24] Dal dopoguerra, Rizzoli pubblica libri, arrivando ad aprire anche un canale “Ragazzi”. Nel corso degli anni, e forte di un’esperienza più che decennale nell’area “Ragazzi”, Di Mella rileva l’accresciuta attenzione verso un settore inizialmente percepito come un “fanalino di coda” e che ha beneficiato, secondo Di Mella, del successo di alcuni casi editoriali, a partire da Harry Potter[25].

Entrata in RCS nel 1986 e acquisita dal gruppo Mondadori nel 2015, Rizzoli ha alimentato il suo catalogo “Ragazzi” grazie all’apporto di marchi “fratelli e cugini”, quali Bompiani, che hanno portato parecchi titoli.

La linea principale che l’editore Rizzoli segue nella gestione del comparto “Ragazzi” consiste nel consolidare non collane o generi, ma autori (“trovare, consolidare e potenziare gli autori”, spiega Di Mella).

La questione traduttiva viene affrontata da Di Mella in relazione alle specificità dei generi presenti nel catalogo “Ragazzi”.

Gli albi illustrati, “settore prima residuale, oggi enormemente ingrandito”[26], ha la caratteristica di comporsi di poche parole “solo apparentemente facili da tradurre. Proprio perché sono poche parole, diventa importante scegliere quelle giuste, senza perdere in contenuto né in forma. È impressionante quanto salti agli occhi una brutta traduzione quando le parole sono poche”. Le criticità di “registro” sono più forti nella narrativa, ma non sono affatto assenti negli albi. Ritorna l’esigenza, già manifestata da altri traduttori e che si trasforma in sfida traduttiva, di riuscire a “parlare con semplicità a bimbi piccolissimi, senza sacrificare la forma e senza indulgere in leziosità”. Il vincolo è ulteriormente rappresentato dalle immagini e dal dialogo che queste ultime instaurano con il testo, quando presente: “come per tutti i libri illustrati, non possiamo andare a superare degli ostacoli di traduzione o giocare con il classico bilanciamento senza andare a vedere come questo vada a dialogare con le immagini”.

Le sfide traduttive si complicano, secondo Di Mella, nel caso della “non fiction pensata per un pubblico più grande, con pubblicazioni di taglio enciclopedico o di edutainment, target 6-9 anni, con grafica e impaginati complessi”. In questo tipo di pubblicazione, spesso “libri gioco, nei quali i ragazzi cercano e trovano delle informazioni o immagini stupefacenti”, prevalgono le traduzioni dall’inglese e le coedizioni. Fermo restando il vincolo del dialogo con le immagini, le maggiori criticità traduttive nascono dalla “lunghezza obbligata del testo, per via dell’impaginato complesso che si sviluppa intorno all’immagine o in box”. Diventa questo l’elemento dirimente nelle scelte del traduttore, e nella valutazione fatta in fase di revisione:

Usciamo da questioni più nobili, autoriali e facciamo considerazioni legate a come è fatta la pagina, a come è costruito l’oggetto libro. I paletti sono dati dallo spazio che è riservato al testo in rapporto alle immagini, quindi l’impaginato è spesso complesso, ci sono box, e nel passaggio dall’inglese all’italiano è indispensabile ‘contenere’ il testo italiano, adattandolo allo spazio disponibile. […] In fase di revisione, il lavoro prodotto dal traduttore viene discusso anche tenendo conto di questo vincolo.

Se è vero che tutti i traduttori citati in questo resoconto sono concordi nel ritenere che la riflessione rispetto alla resa traduttiva dei culturemi assume contorni specifici quando si agisce su un libro destinato ad un pubblico di giovani lettori[27], Di Mella sottolinea come gli elementi culturalmente specifici pongano particolari problemi nella traduzione di questa specifica tipologia di libri, non fiction di taglio enciclopedico, più ancora che nella narrativa. Ci sembra significativo e degno di nota e di riflessione che Di Mella parli di “localizzazione”[28] per spiegare il lavoro che viene fatto dal traduttore e dalla redazione per la resa di questi elementi culturospecifici[29].

Una tipologia di libri di particolare interesse è rappresentata dagli “illustrati crossover, ovvero da quegli albi illustrati che vengono pubblicati da editori per ragazzi, ma vengono intercettati ed amati anche da adulti appassionati di illustrazioni”. Di Mella li definisce ulteriormente come libri dal “colore più artistico”, principalmente provenienti dall’area francese, “più autoriali” e “spesso comprati da adulti appassionati di illustrazione”. A fronte di identiche sfide traduttive poste dall’impaginato e dalle immagini, l’ampliarsi del target fa cadere i vincoli legati in maniera specifica all’età, mentre la gestione del “registro” fa sorgere criticità “assimilabili a quelle che incontriamo nella narrativa”. Il caso di Rebecca Dautremer esemplifica la necessità di trovare “un equilibrio, un’armonia tra voce autoriale nel testo e nelle immagini”. Ne consegue una “stratificazione di lavoro e di figure professionali per permettere il passaggio da una lingua all’altra”.

È la narrativa a dominare il catalogo Rizzoli, con target differenti per fasce di età. Nella fascia 6-10 anni, “prevalgono gli italiani e i libri di area anglofona”. La scelta di ricorrere in prima battuta ad autori italiani non esclude ovviamente il ricorso alla traduzione, e viene praticata “per un motivo semplice: l’autore è importante ed è importante il contatto che l’autore può direttamente stabilire con i bambini”.

La fascia rappresentata dai middle grade (11+) ovvero quella parte della narrativa “che più classicamente è identificata come letteratura per ragazzi”, vede prevalere nel catalogo Rizzoli “gli italiani e la narrativa anglofona”. Di Mella ritiene che questo segmento sia senz’altro quello che presenta le maggiori criticità di traduzione: si tratta di romanzi molto lunghi, che possono raggiungere le quattrocento pagine, e che vedono riunite “le criticità della letteratura per adulti e le criticità dei libri per ragazzi, che sono spesso ricchi di slang, di giochi di parole, di citazioni musicali, cinematografiche”. Questa ricchezza di sfide e una maggiore libertà autoriale possono disturbare il traduttore: “Ci sono traduttori che fanno fatica a confrontarsi con la vivacità di questi testi. Sono testi nei quali spesso, poi, gli autori si divertono a sperimentare; quindi, c’è proprio bisogno di buttarsi e andare a cercare in contesti che noi adulti traduttori non pratichiamo più di tanto”.

Un’altra caratteristica di questi libri è che “spesso non sono unici e questo a volte si scopre cammin facendo”. Viene quindi evocato un vincolo con il quale la traduzione di libri per bambini e ragazzi deve confrontarsi, già sfiorato da Daniele e ripreso da Di Mella, che così si esprime:

Sono poi libri che, se hanno successo, potrebbero diventare film (e allora mi chiedo se ha senso cambiare nome al personaggio); si può decidere di sacrificare il gioco di parole se si pensa che non tutti i lettori lo coglieranno, tutelarsi rispetto ad una scelta diversa che potrebbe essere fatta al cinema. Questo impone al traduttore di allargare lo sguardo rispetto al testo finito che verrà pubblicato.

Se Di Mella non ritiene di sottoscrivere a quelle “difese un po’ territoriali”, per cui solo chi traduce per ragazzi può tradurre questa letteratura, è però dell’avviso che una particolare “sensibilità al testo” sia necessaria:

Sicuramente c’è bisogno di molta sensibilità al testo, molto orecchio, anche perché sono testi che spesso hanno bisogno di tenere un certo ritmo. In alcuni casi un po’ di ‘precisione’ in meno e un po’ di orecchio in più potrebbe essere utile, non certo per andare a snaturare il testo ma per mantenere quella sua qualità di vivacità stilistica che, in molti casi, sarebbe un disastro appiattire (basti pensare a Roald Dahl). Ci sono poi dei meccanismi discorsivi – si pensi all’ironia – che possono essere molto problematici poiché molto presenti nella letteratura per ragazzi, ed intrecciate con questioni di natura più culturale che non è sempre facile riprodurre.

Il segmento Young Adult, tradizionalmente parte del segmento ‘Ragazzi’, ora finito in Rizzoli sotto il cappello “Adulti”, rende di capitale importanza “la questione del registro, dello slang, delle citazioni”. Di Mella li definisce “aspetti sui quali i traduttori si trovano a dialogare dalla prima all’ultima parola”, sottolineando soprattutto la necessità di continue negoziazioni. Nel cercare di “riprodurre quel tipo di voce, [questi aspetti] impongono patteggiamenti ed equilibri che però cambiano nel tempo (quindici anni fa, per esempio, i lettori conoscevano la cultura americana meno di quanto succeda oggi); si tratta, quindi, di equilibri che vanno costantemente rinegoziati”.

Nel catalogo Rizzoli, il marchio Bur è preposto alla pubblicazione dei tascabili[30]. Risale ad una decina di anni fa la creazione della collana Bur Ragazzi, pensata per accogliere i classici:

La collana Bur Ragazzi è all’epoca dirompente perché in pochi osavano essere così minimali e così grafici in Italia. La collana è alimentata da libri che in precedenza erano stati pubblicati dentro a Rizzoli, Fabbri, Bompiani e che poi, poco a poco, vanno a creare un’unica collezione di classici. Qui, la questione della traduzione è davvero molto importante. Si tratta di traduzioni molto datate, spesso tradotte in uno splendido italiano, in molti casi ad opera di scrittori. Quel che si rileva, tuttavia, è che spesso questi traduttori-scrittori si discostavano totalmente da quello che diceva l’autore e si prendevano molte libertà, forse ritenendo che, trattandosi di libri per ragazzi, si potesse tradurre diciamo il concetto, ma non tutti gli elementi descrittivi.

Si pone così il problema della ritraduzione. Tra le due opzioni possibili, una revisione o una nuova traduzione, Rizzoli opta preferibilmente per la seconda opzione[31], a causa dell’oggettiva fatica a rivedere una traduzione “costantemente molto libera”, ma anche per il valore che Rizzoli attribuisce alle nuove traduzioni e per il naturale processo di evoluzione della lingua, che può rendere una traduzione ‘datata’.

3.2 Le edizioni BeccoGiallo

Non è ad un pubblico di giovani lettrici e lettori che intendono rivolgersi i fondatori della casa editrice BeccoGiallo, Guido Ostanel e Federico Zaghis, quando fondano questa realtà editoriale nel 2005[32]. Casa editrice specializzata nella produzione e nella pubblicazione di libri a fumetti, BeccoGiallo si ispira ai principi del foglio satirico da cui trae il suo nome:

Negli anni Venti la rivista Il becco giallo osa utilizzare, forse per la prima volta, il linguaggio del disegno, dell’illustrazione, della caricatura, associandoli ad un tipo di giornalismo che potremmo forse definire di controinformazione, riconoscendo pari dignità ai due mezzi, ai due linguaggi. Partendo dall’esperienza editoriale del foglio satirico, abbiamo pensato anche noi, molto banalmente, quindici anni fa, di provare a utilizzare lo strumento del fumetto per ritornare su alcuni eventi di solito difficilmente accostabili al linguaggio del fumetto: pensare di raccontare Piazza Fontana, la strage di Bologna, l'uccisione dei giudici Falcone e Borsellino attraverso una narrazione a fumetti era decisamente qualcosa di strano, di originale, di particolare e forse di ardito una quindicina d'anni fa.

E tuttavia è proprio questa originalità a segnare il successo di questa casa editrice, in un momento in cui l’editoria e il mondo del fumetto ancora non sembrano pronti ad accogliere un progetto ed un prodotto editoriale così concepiti:

Non fu semplice far accettare al mondo editoriale italiano, nemmeno al mondo del fumetto italiano di allora, questa nostra iniziativa, nel senso che si tendeva a considerare il linguaggio del fumetto come un mezzo espressivo degno di trattare alcuni argomenti ma non altri. Questi argomenti trattabili erano quelli che avevano a che fare con la letteratura per l’infanzia certamente, quindi con un pubblico di adolescenti, di preadolescenti, con un tenore narrativo che avesse in qualche modo a che fare con il divertimento, con l’intrattenimento, e poco o nulla con argomenti storici o politici come quelli menzionati. Questo però fu anche il segreto del nostro successo editoriale.

Il titolo più diffuso, più conosciuto e più venduto di tutta la produzione BeccoGiallo nasce da una proposta fatta da due illustratori all’epoca sconosciuti:

Peppino Impastato in qualche modo rappresenta forse il libro più conosciuto, più venduto, più diffuso di tutta la produzione BeccoGiallo di questi quindici anni di attività. La proposta ci arrivò da parte di due giovani autori siciliani, Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, all'epoca praticamente esordienti nel mondo del fumetto, che ci invitavano a prendere in considerazione l’idea di dedicare un fumetto a Peppino Impastato. Ovviamente, oggi è facile dire che la scelta fu azzeccata, non soltanto per il successo del libro, ma soprattutto perché Marco e Lelio sono poi diventati due fra gli autori più interessanti, prolifici, conosciuti e premiati nel panorama fumettistico italiano e non solo. Oggi pubblicano per grandi marchi editoriali, non soltanto italiani, però il loro esordio lo hanno praticamente compiuto con questo lavoro, che rappresenta in maniera piuttosto emblematica il lavoro fatto da BeccoGiallo in questi anni.

“Un piccolo salto in avanti” nella produzione BeccoGiallo si produce quando la casa editrice decide di provare ad accostare il linguaggio del fumetto “ad alcune figure di uomini e donne a noi cari (Maria Montessori, Galileo Galilei, Angela Davis, Rosa Parks, per citarne alcuni) per provare a rimettere in circolo, sotto forma di fumetto, quindi con una chiave espressiva diversa, le biografie di alcuni personaggi più o meno noti della storia italiana, “e non solo, in questo caso”.

Dalle biografie, BeccoGiallo passa più o meno contemporaneamente, “grazie alla sollecitazione di alcuni autori del fumetto italiano”, ad applicare il linguaggio del fumetto “ad alcuni argomenti normalmente trattati in maniera diversa, principalmente attraverso la forma del documentario audiovisivo”. Rientra in questo progetto Sindrome Italia, “inchiesta a fumetti sulla vita e sulle storie delle badanti”, ispirato ad uno spettacolo teatrale che porta lo stesso titolo e che spinge BeccoGiallo a “provare a mettere a disposizione di un pubblico di lettori questa vicenda attraverso lo strumento che noi conosciamo di più e che, appunto, da sempre, è quello del fumetto”.

La fiducia in questo mezzo “e nelle sue capacità di poter trattare potenzialmente qualsiasi argomento, con la stessa dignità di altri linguaggi” convince gli editori a mettere in piedi un progetto, Stormi, rivista online di graphic journalism, nata “come una sorta di laboratorio interno alla casa editrice, e poi affidata a due collaboratori, per cercare di spingere di più sull’attualità, su argomenti specifici che avrebbero fatto fatica a reggere l'urto del mercato se presentati sotto forma di classico libro all'interno del circuito librario tradizionale”. Con questo progetto, BeccoGiallo si propone anche di “coltivare sceneggiatori e sceneggiatrici, disegnatori e disegnatrici giovani, quasi sempre esordienti”. All’orgoglio di aver avviato questa iniziativa si aggiunge la consapevolezza, confortata dal successo del progetto, che “fare giornalismo a fumetti è certamente possibile e lo si può fare teoricamente con le stesse metodologie che dovrebbero seguire i giornalisti quando si approcciano a un argomento, a un'inchiesta, con altri mezzi, che sia l'audiovisivo o l'articolo scritto”.

La vita di questa casa editrice, così come emerge dal racconto di Guido Ostanel, appare segnata da alcuni incontri decisivi e quello con il mondo della scuola non risulta meno importante. Il dialogo con il mondo della scuola, oggi fecondo, nasce da un invito arrivato inaspettatamente all’editore dalle scuole stesse: se è vero che questo mondo non rientrava tra gli interlocutori potenziali individuati dai due soci al momento dell’avvio della casa editrice, le frequenti sollecitazioni da parte delle scuole, “più o meno di ogni ordine e grado”, a tenere laboratori di fumetto e a parlare delle tematiche trattate da alcuni libri BeccoGiallo, sono per questa casa editrice “un momento decisamente interessante per due ragioni”:

La prima perché è una verifica di quello che stiamo facendo con un pubblico di solito molto attento, molto critico, che utilizza i nostri libri in maniera diversa da come potrebbe usarli un comune lettore; diventa quindi molto interessante per noi capire quali possono essere i loro riscontri, per poter lavorare meglio ai libri successivi. La seconda ragione ha a che fare con la diffusione del linguaggio del fumetto presso una platea decisamente giovane: abbiamo la possibilità di provare a far appassionare oppure a far conoscere questo mezzo a dei ragazzi e delle ragazze che magari non l'hanno ancora incontrato nella loro vita di lettori.

Dalla scuola all’editoria per ragazzi, il passo si compie ancora grazie ad un titolo in particolare, e di nuovo inaspettatamente:

Un libro ci ha fatto capire che il mondo delle scuole e, più in generale, il mondo degli adolescenti e quindi forse il mondo dell’infanzia, anche se noi non lo avevamo programmato, bussava alle porte della casa editrice. Quando abbiamo iniziato, volevamo rivolgerci ad un pubblico di adulti (Piazza Fontana o Peppino Impastato non erano stati pensati per un target specifico, ma non per un pubblico giovane) e così è stato per questo libro, Aspettando il vento, che nasce da uno spettacolo teatrale per bambini e bambine, scritto da Francesco Nicolini. È lo stesso Francesco Nicolini a chiederci di immaginarlo trasposto a fumetti. Noi lo abbiamo fatto, non pensando al mondo delle scuole e degli adolescenti, ma semplicemente perché ci interessava pubblicare un libro che parlava di una terra, la Puglia, e in particolare di un’area, Torre Guaceto, minacciata dalla cementificazione. Volevamo farne un libro sostanzialmente ecologista dal punto di vista editoriale e questa era la proposta migliore che ci fosse capitata, peraltro in maniera del tutto inaspettata. Questo libro, però, aveva degli aspetti particolari: i protagonisti sono due adolescenti e tutta la narrazione ha dei toni e una regia che probabilmente si avvicinava molto al pubblico di adolescenti, più di quanto avessimo fatto fino a quel giorno. C’erano elementi che di fatto ci avvicinavano molto ad un pubblico che non avevamo mai cercato.

Il successo di questo titolo, che sarà tra i finalisti della trentaquattresima edizione del Premio Andersen (nonostante BeccoGiallo non avesse mai partecipato alla Fiera del Libro di Bologna e in un anno in cui come editori non sono presenti), è motivo di riflessione da parte dell’editore. BeccoGiallo ritiene di dover pensare ad una collana dedicata ed è così che nasce la collana CriticalKids, che si dà come target dei piccoli lettori della scuola primaria, con testi dai titoli “molto dritti e molto banali (Il bullismo spiegato ai bambini, ad esempio)”. Si tratta per BeccoGiallo di “prendere alcune tematiche care alla filosofia editoriale fin qui divulgata dalla casa editrice (ecologia, legalità), con una proposta grafica e narrativa dedicata ad un target di età più giovane”[33].

Il confronto con quanto succedeva fuori dall’Italia, per “vedere se fuori dall’Italia qualche altro editore stava facendo cose simili”, porta BeccoGiallo ad un primo confronto con la traduzione. La casa editrice importa titoli dalla Spagna e dalla Francia. È dalla Francia che arrivano le serie Mortelle Adèle[34] e Ariol[35]: “Sia per Adèle che per Ariol abbiamo dovuto imparare un po’ un nuovo mestiere: rapportarci con i traduttori, con le traduttrici, scegliere, dialogare con loro, compiere delle scelte anche piuttosto impegnative nel passare da una lingua all'altra”. Ad un problema come quello posto dalla resa delle onomatopee, Ostanel accosta una serie di difficoltà “più tecniche”, poste dalla specifica “regia del fumetto”:

Il modo in cui si passa da una vignetta all'altra, il fatto, ad esempio, che una lingua possa essere molto più economica rispetto ad altre pone un banale problema di spazio: all'interno di un baloon e di una didascalia, passare da una lingua molto sintetica ad un’altra che lo è di meno, oppure mettere in campo una traduzione un pochino più espressiva e dunque magari più ampia in termini di parole, per il fumetto presenta un problema tecnico perché lo spazio che il letterista ha a disposizione è quello.

Ostanel suggerisce a chi volesse cimentarsi con la traduzione del fumetto di coltivare il genere, al di là dei confini nazionali:

Chi volesse cimentarsi con la traduzione del fumetto dovrebbe leggerne un po’ e soprattutto di culture molto diverse, per vedere che cosa combinano magari in Sudamerica, dove c'è una grande tradizione legata al disegno e al fumetto, ma, per contrasto, anche nel mondo orientale, dove c’è grande fermento, soprattutto negli ultimi anni.

In tema di traduzione, Ostanel ritiene che BeccoGiallo abbia riscontrato i problemi maggiori in occasione della pubblicazione di alcuni titoli di Sarah Andersen[36], autrice e illustratrice di fumetti. Quando BeccoGiallo decide di provare a portare in Italia i suoi libri, comincia da Adulthood is a myth. La scelta della traduzione di questo primo titolo risulta particolarmente impegnativa e la soluzione adottata da BeccoGiallo espone l’editore ad una serie di critiche, provenienti proprio dal mondo della traduzione:

Il primo libro che importammo si intitolava Adulthood is a myth. Pensammo bene, dopo attente valutazioni, d’accordo con l’editore americano e con l’autrice, di fare questa piroetta editoriale e di intitolarlo Crescere, che palle!. Per quale ragione? Soltanto per ragioni di natura commerciale. BeccoGiallo era convinta che utilizzare una fra le tante traduzione più letterali che ci arrivarono, fra commenti incattivi, da alcuni traduttori italiani, come L’adultità è un mito o L’adultità è una leggenda, sarebbe stato un male per il libro, per la diffusione delle vignette di Sarah Andersen (era peraltro la prima volta che un suo libro veniva pubblicato in Europa, quindi la responsabilità era molta).

Pur rivendicando la scelta editoriale, BeccoGiallo non ignora le critiche arrivate dal mondo dei traduttori e ne tiene conto nel momento in cui viene pubblicato il secondo titolo di Sarah Andersen, Big Mushy Happy Lump. Nella traduzione del titolo, BeccoGiallo adotta un approccio di maggiore aderenza alla lettera del titolo originale e opta per Un grosso morbidoso bozzolo felice. Il “metodo” adottato per la scelta di questo titolo non convince Ostanel che, a posteriori, ritiene che anche per questo secondo titolo BeccoGiallo avrebbe dovuto adottare il medesimo approccio “spavaldo” a cui aveva fatto ricorso per la resa del primo titolo. L’uscita di Herding Cats è l’occasione per ritornare sui propri passi. L’espressione idiomatica inglese dialoga con l’immagine di copertina (un gatto viene tenuto sopra la testa) e BeccoGiallo decide di “ritornare al metodo uno”, intitolando questo volume Tutto sotto controllo, “ironico vista l’immagine”.

Da un punto di vista commerciale, le scelte traduttive dell’editore sono premiate: “non c’è paragone”, in termini di vendite tra il secondo titolo e gli altri due. E se certo Ostanel ritiene che il minor successo di Un grosso morbidoso bozzolo felice non possa essere attribuito solamente al titolo, rimane tuttavia dell’avviso “che il titolo abbia contribuito alla minore riuscita del secondo, così netta rispetto agli altri due”.

A fronte di una storia editoriale che ci ha mostrato, negli ultimi decenni, il moltiplicarsi di collane dedicate ad un pubblico di giovani lettori presso editori non specializzati, in risposta ai numeri crescenti, in termini di vendite, del segmento ragazzi, il caso dell’editore BeccoGiallo sembra, a chi scrive, andare in controtendenza. Come riportato, al momento della sua fondazione e nei primi anni di attività, BeccoGiallo non contempla l’ipotesi di rivolgersi ad un pubblico di giovani lettori ed è solo nel momento in cui questa fetta di pubblico manifesta interesse per la filosofia e la produzione BeccoGiallo che i due soci decidono di avviare delle collane pensate in maniera specifica per giovani lettori. Ci sembra interessante riportare le ragioni che Ostanel adduce per spiegare i motivi che, al momento del suo avvio, portavano BeccoGiallo ad escludere di potersi rivolgere ad un pubblico giovane:

Il mondo dei libri illustrati per ragazzi non era per noi una possibilità concreta, anche perché sapevamo che non soltanto il mondo della letteratura per l’infanzia era un mondo molto nobile, molto preparato, ricco e vivace, ma anche molto affollato, con marchi storici e noi, senza alcuna preparazione, pensavamo di non poterci inserire in maniera dignitosa ed efficace. Le sollecitazioni ci hanno però portati a fare questo passo e addirittura ad aprire delle collane, in maniera molto umile, a livello di proposta e di presentazione, cioè prendendo i temi cari a Beccogiallo, e su cui avevamo spero dimostrato di esserci con diversi nostri libri “per adulti”, e di farlo in maniera dritta, diretta, offrendo uno strumento concreto e niente di più, certamente mai aspettandoci di poter partecipare al premio come miglior illustratore o illustratrice dell’anno con questi prodotti, e nemmeno per la narrazione più poetica, cioè consapevoli che i nostri prodotti dovessero essere principalmente e niente più che strumenti utili a ragionare sui problemi sollevati (il razzismo, ad esempio). Non avevamo ancora e non abbiamo ancora i mezzi sufficienti e la credibilità nel campo della letteratura per ragazzi per agganciare, incontrare, condividere questo pezzo di strada con autori e illustratrici di livello superiore. Di nuovo, per questa collana [CriticalKids] quasi tutti gli autori e gli illustratori sono degli esordienti e non lo sottovaluterei. Come per Marco [Rizzo] e Lelio [Bonaccorso] magari alcuni di loro potranno fare strada nel mondo dell’illustrazione per bimbi.

Il profondo rispetto per un mondo nel quale le edizioni BeccoGiallo entrano in punta di piedi, rimanendo fedeli alla filosofia da cui prese le mosse il progetto editoriale, è evidente nelle parole che raccontano la lavorazione di un prodotto BeccoGiallo pensato per un pubblico giovane. Ritorna nelle parole di Ostanel una sorta di leitmotiv, che accomuna i nostri relatori e le nostre relatrici, indipendentemente dalla specifica veste professionale:

Una volta avuta l’idea, quando si comincia a scrivere il soggetto, quello che scrive l’autore viene sottoposto ad un consulente che aggiusta dialoghi e metafore per cercare di essere più vicini al mondo di interpretare la realtà di bambini e bambine. Cerchiamo di utilizzare un lessico e delle forme linguistiche chiare, semplici, non banali, senza perdere di efficacia. Ci sono argomenti, come l’ecologia, in cui ci sono molti termini tecnici: non si tratta solo di prendere termini più semplici ma di raccontarli diversamente.

In questo “raccontare diversamente”, nel cercare di usare una lingua chiara, ma non banale, così come nella scelta, rivendicata, di allontanarsi dal titolo originale attraverso un atto definito “spavaldo” si riassume il senso di un approccio comune ai nostri relatori e alle nostre relatrici. Diventa allora possibile trarre, dalle voci e dalle parole dei nostri conferenzieri, qualche spunto di riflessione sulla dibattuta specificità della traduzione per l’infanzia e l’adolescenza.

Riflessioni conclusive

Il tema dell’eventuale specificità della traduzione per l’infanzia e l’adolescenza ha sollevato e solleva ampi dibattiti, che queste riflessioni conclusive non intendono certamente risolvere. Si vuole qui, semplicemente, sottolineare il ricorrere di alcuni elementi nei discorsi tenuti da chi pubblica e traduce libri per l’infanzia e l’adolescenza. Questi elementi ricorrenti contribuiscono ad alimentare e mantenere acceso il confronto sulle indubbie peculiarità della traduzione per l’infanzia e l’adolescenza.

La diversa e inedita “valenza pedagogica” – esplicitata, sottolineata e ben descritta da Yasmina Mélaouah – concretamente si incarna, nei discorsi dei nostri interlocutori, in un approccio che stigmatizza ogni forma di deriva infantilizzante: nel lessico come nella sintassi, sino ad arrivare alla terminologia (si veda l’ultima citazione di Guido Ostanel), non si tratta di semplificare, ma di “raccontare diversamente”. L’atteggiamento non può essere disgiunto dalla percezione condivisa di avere a che fare con un lettorato particolarmente attento ed esigente, di fronte al quale il traduttore non può permettersi di avere paura: ricorre nelle parole di Valentina Daniele come in quelle di Yasmina Mélaouah un invito in cui riecheggia quella ‘spavalderia’ che evoca Guido Ostanel, ma anche quel “bisogno di buttarsi” di cui ci parla Stefania Di Mella.

A parere di chi scrive, questo atteggiamento, che tutti i relatori incoraggiano o approvano, emana dall’evoluzione dello sguardo adulto nei confronti del bambino, così come dalla nobilitazione della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza, ma suppone soprattutto una disponibilità a ripensare la pratica traduttiva, anche da parte di chi può contare su una lunga e consolidata esperienza in contesti letterari tradizionalmente ritenuti più ‘nobili’. Sono particolarmente interessanti le metafore a cui fanno ricorso le traduttrici Daniele e Mélaouah, per le quali il rapporto col testo è un corpo a corpo, una lotta. Ma se nella traduzione della letteratura ‘per adulti’ questo corpo a corpo può anche avvenire in solitaria, la letteratura per l’infanzia e l’adolescenza obbliga sin dalle prime battute ad uscire, ad esporsi al confronto, fino a fare di questo confronto un elemento imprescindibile e della redazione “il primo alleato” (Daniele) per passare al vaglio di più teste le soluzioni che richiedono uno sforzo particolarmente creativo, per esigenze di coerenza, ed infine per potersi legittimare scelte che il traduttore non potrebbe prendere in totale autonomia: è il caso dell’espansione narrativa voluta dall’editore Gallucci, alla quale Mélaouah, pur dichiarando un approccio al testo solitamente sacrale, acconsente, comprendendo le ragioni dell’editore, apprezzandone la serietà e, non ultimo, consapevole che l’editore ha, molto più del traduttore, il polso del mondo editoriale e, soprattutto, del catalogo che accoglierà il titolo. Tutte queste considerazioni sembrano portarci lontano dal testo e da quella parola, fedeltà, tanto controversa in traduzione. Ma anziché farci avviluppare in un dibattito irrisolvibile, possiamo scegliere di interpretarle alla luce di alcune stimolanti metafore usate da Mélaouah. Nell’affermare di essersi dovuta “rifare daccapo la cassetta degli attrezzi del traduttore”, di aver intrapreso un “viaggio non organizzato” nel seguire le metamorfosi subite dalla storia di un orso e una topolina nel passaggio da un medium all’altro, Mélaouah concretamente incarna la metafora musicale a cui ricorre la traduttrice stessa quando paragona la competenza traduttiva ad una generale conoscenza della musica, comune a tutti coloro che hanno frequentato il conservatorio, da declinare però poi entro le specifiche abilità che occorre affinare per poter padroneggiare uno specifico strumento.

Di metafora in metafora, e siamo ancora debitori a Mélaouah, emerge chiaramente come il traduttore-funambolo, nel tradurre un libro destinato ad un pubblico di giovani lettori, debba riflettere sul destinatario più di quanto possa e debba fare quando traduce letteratura ‘generalista’. Al rispetto per il testo e per l’autore, si aggiunge quindi l’attenzione ed il rispetto verso un destinatario che, in ultima analisi, guida l’approccio e le strategie traduttive. Nel ‘lavoro di squadra’ più volte evocato, questo destinatario figura come presenza invisibile ma al contempo tangibile e viva, che continua a guidare ed orientare le scelte di chi traduce e pubblica libri per l’infanzia e l’adolescenza. Le risposte che l’adulto si dà in relazione a questo destinatario condizionano la pratica traduttiva. Per il traduttore, ed in particolare per chi si muove in più ambiti, la presenza di questo destinatario diventa occasione per riflettere sulla propria pratica e ripensarla, nel dialogo costante attorno al testo e con quegli imprescindibili alleati che sono editor ed editore.

Bibliografia

Riferimenti critici

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--- (2017) Big Mushy Happy Lump, Kansas City, McMeel Publishing.

--- (2017) Un grosso morbidoso bozzolo felice, Padova, BeccoGiallo, traduzione di Francesca Paglialunga.

--- (2018) Herding Cats, Kansas City, McMeel Publishing.

--- (2018) Tutto sotto controllo, Padova, BeccoGiallo, traduzione di Francesca Paglialunga.

Dahl, R. (1982) Il Grande Gigante Gentile, Milano, Salani, collana “Gl’Istrici”, traduzione di Donatella Ziliotto.

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--- (1988) Pippi Calzelunghe, Milano, Salani, collana “Gl’Istrici”, traduzione di Donatella Ziliotto e Annuska Palme Sanavio.

--- (2020) Pippi Calzelunghe (edizione integrale), Milano, Salani, traduzione di Donatella Ziliotto, Annuska Palme Sanavio e Samanta K. Milton Knowles.

Milne, A. A., (2009) Winnie Puh, Milano, Salani, collana “Gl’Istrici d’oro”, traduzione di Luigi Spagnol.

Nicolini, F. e D’Elia, L. (illustrazione: Simone Cortesi) (2014) Aspettando il vento, Padova, BeccoGiallo.

Pennac, D. (2012) Le roman d’Ernest et Célestine, Tournai, Casterman.

--- (2014) Ernest et Celestine, Milano, Feltrinelli, traduzione di Yasmina Mélaouah.

Rizzo, M. e Bonaccorso, L. (2009) Peppino Impastato: un giullare contro la mafia, Padova, BeccoGiallo.

Rowling, J. K. (2020) The Ickabog, New York, Scholastic.

--- (2020) L’Ickabog, Milano, Salani, traduzione di Valentina Daniele.

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Rundell, K. (2020) Perché dovresti leggere libri per ragazzi anche se sei vecchio e saggio, Milano, Rizzoli, 2020, traduzione di Stefania Di Mella.

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--- (2013) Ernest et Celestine hanno perduto Simeone, Roma, Gallucci, traduzione e adattamento di Yasmina Mélaouah.

--- (2012) Ernest et Célestine. L'album du film, Tournai, Casterman.

--- (2012) Ernest et Celestine. L’albo del film, Roma, Gallucci, traduzione di Yasmina Mélaouah.

Sitografia

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https://www.rizzolilibri.it/ragazzi/

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https://bur.rizzolilibri.it/

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https://beccogiallo.it/categoria-prodotto/kids/criticalkids/

https://beccogiallo.it/categoria-prodotto/kids/adele/

https://beccogiallo.it/categoria-prodotto/kids/ariol/

Note

[1] Ringraziamo Stefania Di Mella per questa citazione, posta a conclusione del suo intervento e tratta da un saggio di Katherine Rundell (2019).

[2] L’uso del maschile sovraesteso si deve attribuire, ove ricorra in questo resoconto, ad esclusive questioni di scorrevolezza e leggibilità.

[3] A coloro che hanno generosamente accettato di mettere a disposizione di studentesse e studenti il loro prezioso tempo, condividendo la loro esperienza professionale, sia ulteriormente rivolto qui un calorosissimo ringraziamento.

[4] Viola Cagninelli, editor presso Salani, e Valentina Daniele, traduttrice editoriale che con l’editore Salani vanta una lunga collaborazione, hanno tenuto in data 6 maggio 2021 una conferenza dal titolo “Un gioco di squadra. La traduzione in redazione”. 

[5] Traduttrice editoriale free-lance, Valentina Daniele ricorda il legame particolarmente forte che la lega a Salani: è a Salani che invia le prime prove di traduzione quando l’allora direttore editoriale, Luigi Spagnol, chiede espressamente che venga scelta una voce nuova per la traduzione della saga di Lemony Snicket. Uscita vincitrice da questa selezione, Valentina Daniele inizia di fatto con Salani la sua carriera di traduttrice. La collaborazione con la casa editrice continua ad essere estremamente proficua: Daniele ricorda, nel corso della sua testimonianza, che una percentuale importante dei circa 160 titoli tradotti porta la firma editoriale di Salani.

[6] Tutte le citazioni si devono considerare tratte dalle trascrizioni delle registrazioni delle conferenze.

[7] Cagninelli ci ricorda che Salani è conosciuto come l’editore di Harry Potter ma non solo, avendo pubblicato nomi del calibro di Luis Sepúlveda, Philip Pullman, David Almond, Astrid Lindgren, oltra a tutti i libri Roald Dahl.

[8] Si deve a Luigi Spagnol, ad esempio, la scelta del nome “Scaracchino” per il personaggio di “Spittleworth” nell’Ickabog di J. K. Rowling (Salani, 2020, traduzione di Valentina Daniele).

[9] Le esemplificazioni di Cagninelli ci riportano ancora una volta all’onomastica: nella decisione di Spagnol di tradurre il nome Piglet (Pimpi nel cartone) come Porcelletto, Cagninelli vede il segno di una resa traduttiva “filologicamente più corretta”.

[10] Cagninelli paragona il lavoro fatto su Pippi a quanto fatto per Harry Potter: si parte dalla traduzione esistente e un nuovo traduttore lavora alla revisione in collaborazione con la redazione.

[11] “Esempio di rapporto con la redazione: non tutti gli autori sono direttamente e facilmente contattabili, quindi nel caso in cui sorga un problema è il redattore il mio primo riferimento. La redazione deve essere il mio primo alleato. Ci sono scelte che possono condizionare l’intero tono, l’intero registro, e su quelle è il caso di ragionare insieme”.

[12] Se nell’Ickabog i nomi “parlanti e trasparenti” sono, per l’edizione italiana, frutto di un lavoro di squadra, Daniele sottolinea il ruolo fondamentale dello scambio con la redazione anche nella traduzione della saga di Lemony Snicket e di Harry Potter.

[13] “Sono creazioni di mondi, quindi implicano creazioni di neologismi, nomi parlanti, c’è veramente da mettere in campo la creatività, sia per il traduttore che poi per chi rivede, per la redazione”.

[14] Impossibile non pensare alla “congiuntivite” di cui parla Bricchi (2018).

[15] Si deve ricordare che Ladmiral (2014), a cui si deve la paternità di questi due termini, sottolinea in Sourcier ou cibliste che l’antinomia tra i due approcci è in realtà riconducibile a due modi di fedeltà possibili, e che tradurre significa muoversi in una tensione permanente tra queste due esigenze.

[16] Le citazioni sono tratte dalla trascrizione della registrazione della conferenza che Yasmina Mélaouah ha tenuto il 20 maggio 2021, dal titolo “Un orso e una topolina dall’albo al romanzo, passando per il cinema. Le traduzioni di Ernest et Célestine di Daniel Pennac”.

[17] Da trent’anni traduce narrativa francese e insegna traduzione letteraria. Fra gli autori tradotti: Daniel Pennac, Mathias Enard, Alain-Fournier, Raymond Radiguet, Colette, Patrick Chamoiseau. Dal 2017, con la ritraduzione de La Peste, ha lavorato in particolare sull’opera di Albert Camus, di cui ha appena curato, insieme a Camilla Diez, la traduzione del carteggio con Maria Casarès. Nel 2007 ha ricevuto il premio delle Giornate della Traduzione. Nel 2018 ha ricevuto il premio Bodini-Casa delle traduzioni alla carriera.

[18] Mélaouah colloca il lettorato di riferimento in una fascia scolare compresa tra i primi anni della scuola elementare e la prima media.

[19] Gli albi tradotti da Yasmina Mélaouah sono stati pubblicati dall’editore Gallucci, mentre il romanzo è edito da Feltrinelli.

[20] “La lingua dei romanzi jeunesse di Pennac non è distante da quella delle sue opere per adulti, sono diversi i temi”.

[21] “Nella letteratura per ragazzi ci sono editori di largo consumo ed editori di qualità. In Italia c’è un’editoria per l’infanzia di altissimo livello, un’editoria indipendente rivolta al pubblico dei ragazzi, dell’infanzia, di altissima qualità. L’editore Gallucci, ad esempio, ha una cura maniacale sui suoi testi e la questione della lingua è una questione su cui si discute continuamente, discutiamo proprio sulla singola parola. Anche i Topipittori fanno un lavoro raffinatissimo di scoperta e di cura dei testi. In quest’editoria di grande qualità, la deriva infantilizzante non è assolutamente presa in considerazione e in qualche maniera si sottolinea il valore pedagogico della letteratura per l’infanzia, ma in modo inedito”.

[22] A questa stessa metafora Mélaouah ricorre per spiegare quanto sia stato benefico, nelle traduzioni delle storie di Ernest e Célestine “il passaggio da un medium all’altro, [che] ti costringe a fare i conti con i tuoi automatismi. Anche questa esperienza diventa paragonabile ad un viaggio non organizzato, nel senso che ogni volta devo dirmi ‘non fare scattare il tuo atteggiamento automatico di riverenza nei confronti dell’originale, qui la sacralità della parola dell’originale non c’è e soprattutto c’è meno l’idea di lasciare il lettore fare le sue congetture’”.

[23] I dati disponibili sul sito AIE (www.aie.it), aggiornati a marzo 2022, ci parlano di quasi 2,4 milioni di copie di libri per bambini e ragazzi acquistate ( +18% rispetto al 2020), con un valore di quasi 287 milioni di euro a prezzo di copertina del venduto. (+19% rispetto all’anno precedente), che porta questo segmento a registrare un tasso di crescita di tre punti superiore a quello medio fatto registrare dal settore (+16%).

[24] Le citazioni sono tratte dalla trascrizione della registrazione della conferenza che Stefania Di Mella ha tenuto il 3 giugno 2021, dal titolo “Tradurre libri per ragazzi: il caso dell’editore Rizzoli”.

[25] Alla maggiore visibilità di questo segmento editoriale contribuisce, secondo Di Mella, anche la maggiore attenzione che le rivolge la stampa nazionale. Di Mella riporta l’esempio della risonanza data alle Favole della Buonanotte per bambine ribelli.

[26] Secondo Di Mella, non esisteva in Italia la tradizione, più anglosassone, di “utilizzare i libri per stare con i bambini, per affrontare delle questioni con i bambini”. Per gli albi prevalgono, in effetti, le traduzioni dall’inglese nel catalogo Rizzoli, anche se, precisa Di Mella, “meno che nella narrativa”.

[27] Le già citate riflessioni Valentina Daniele ci sembrano particolarmente significative poiché sottendono una maggiore vivacità che si collocherebbe a monte, ovvero in una letteratura per l’infanzia e l’adolescenza che non risente di quella tendenza alla neutralizzazione dei riferimenti culturali, tipica invece della letteratura commerciale adulta.

[28] “In casa editrice utilizziamo il termine ‘localizzazione’ per questo tipo di libri”.

[29] Questo stesso termine era stato usato da Valentina Daniele in relazione alla traduzione dei nomi propri parlanti. Ci sembra significativo il ricorso a questo termine, che in traduttologia viene utilizzato preferibilmente, se non esclusivamente, per designare l’insieme di adattamenti a cui viene sottoposto un prodotto che viene fatto coincidere generalmente con un sito web o un software.

[30] Di Mella precisa che Bur “è’ una casa editrice a sé, vera e propria, molto nota e con una lunga tradizione, che l’area ragazzi ha ereditato come ‘contenitore’ anche dei nostri libri”.

[31] “Come editor cerco di portare avanti questa [seconda] linea e di farne ritradurre almeno uno o due all’anno per avvicinarli anche il più possibile ai nostri lettori”, ci dice Di Mella.

[32] Le citazioni sono tratte dalla trascrizione della registrazione della conferenza che Guido Ostanel, direttore editoriale della casa editrice BeccoGiallo, ha tenuto l’11 marzo 2021, dal titolo “BeccoGiallo: 15 anni di fumetti e libri illustrati per raccontare la realtà”. Guido Ostanel ha fondato con Federico Zaghis e oggi dirige la casa editrice BeccoGiallo ([url=https://www.beccogiallo.it/]https://www.beccogiallo.it/[/url]), che progetta e pubblica libri a fumetti d’impegno civile. Attiva dal 2005 nel cuore di Padova, nel 2007 è stata giudicata “Migliore Iniziativa Editoriale dell’anno” a Lucca Comics & Games “per l’impegno, la coerenza e il coraggio dimostrato in un contesto politico e sociale dove è diventato troppo facile dimenticare.” Tra le pubblicazioni più conosciute e premiate, in Italia e all'estero: Peppino Impastato, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Ilaria Alpi, Il delitto Pasolini, La strage di Bologna, Piazza Fontana.

[33] Ostanel conferma il successo di questa collana, i cui titoli vengono utilizzati all’interno di laboratori tematici organizzati presso scuole primarie.

[34] Mortelle Adèle è un fumetto pubblicato in Francia dall’editore Bayard dal 2012. Il personaggio di Adèle, creato da Mr Tan (Antoine Dole) e disegnato (dal 2014) da Diane Le Feyer, si rivolge a bambini dagli otto anni (https://www.mortelleadele.com/).

[35] Ariol è un fumetto che l’editore Bayard pubblica in Francia dal 1999. Il personaggio, Ariol, un asinello azzurro, è ideato da Emmanuel Guibert e disegnato da Marc Boutavant.

About the author(s)

Mirella Piacentini è docente di Lingua, Linguistica e Traduzione francese presso l’Università di Padova (Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari). All’attività accademica affianca la traduzione di libri per l’infanzia e l’adolescenza. Ha ideato e coordina presso il DiSLL dell’Università di Padova il ciclo di seminari permanenti “Tradurre per l’Infanzia e l’Adolescenza. Incontri per una sfida culturale e professionale”. Per la sua traduzione del romanzo Trop de Chance di Hélène Vignal (it. Troppa Fortuna, Camelopardus, 2011) riceve nel 2012 il premio IBBY (International Board on Books for Young People) come miglior traduttrice per l’Italia. Tra i suoi interessi di ricerca, domina l’attenzione allo studio delle dinamiche traduttive nell’ambito della letteratura per l’infanzia e l’adolescenza. É autrice della monografia Le paradigme culturel au prisme de la traduction pour la jeunesse, (Mantova, Universitas Studiorum, collana ‘Strumenti’, 2020). É membro della SoFT (Société Française de Traductologie), dell’ANRAT (Association Nationale de Recherche et d’Action Théâtrale), del Centro di documentazione e di Ricerca per la didattica della lingua francese nell'Università italiana (Do.Ri.F.) e della Società Universitaria per gli Studi di Lingua e Letteratura Francese (SUSLLF). Collabora con il CETL (Centre Européen de Traduction Littéraire).

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©inTRAlinea & Mirella Piacentini (2023).
"Tradurre per l’infanzia e l’adolescenza: editori, editor e traduttori a confronto"
inTRAlinea Special Issue: Tradurre per l’infanzia e l’adolescenza
Edited by: Mirella Piacentini, Roberta Pederzoli & Raffaella Tonin
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Stable URL: https://www.intralinea.org/specials/article/2612

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