Montalbano e la voce dell’interprete

By Gabriele Mack (University of Bologna, Italy)

Abstract & Keywords

English:

One of the last novels by Andrea Camilleri starring inspector Montalbano (L'altro capo del filo 2016), set in the context of the landings of migrants in Sicily, features two Tunisians, a physician and a young woman who act as lay interpreters. This paper sheds light on these two figures within the narrative structure of the novel and its place in the reality of contemporary Italy. Salient traits of the two characters are analysed from different points of view, using also conversation analysis, and compared with characteristics of the interpreter role perceived by groups of real-life users. In particular, reference is made to some recent studies by the author, including one on interpretation for Italian soldiers deployed in Lebanon and one on interpretation for children and adolescents in criminal justice settings carried out as part of a European research project. The comparison reveals surprising similarities in the representation of the interpreters in literary fiction and their perception in real contexts.

Italian:

Uno degli ultimi romanzi del ciclo di Montalbano (L'altro capo del filo 2016) vede tra i protagonisti un medico e una giovane donna tunisini che, nel contesto degli sbarchi di migranti in Sicilia, fungono da interpreti per il commissario. Il contributo svolge un'analisi di queste due figure all'interno della struttura narrativa del romanzo e della sua collocazione nella realtà dell'Italia contemporanea. I tratti salienti dei due personaggi di Camilleri vengono analizzati da diversi punti di vista, ricorrendo anche all’analisi della conversazione, e messi a confronto con caratteristiche della figura dell'interprete percepite da gruppi di utenti reali di servizi di interpretazione. In particolare si farà riferimento ad alcuni studi recenti seguiti dall’autrice, tra cui uno sull'interpretazione per il contingente italiano stanziato in Libano e uno sull'interpretazione per bambini e adolescenti condotto all'interno di una serie di progetto di ricerca europea sull'interpretazione in ambito penale. Il confronto rivela sorprendenti analogie nella rappresentazione dell'interprete nella finzione letteraria e la sua percezione in contesti reali.

Keywords: commissario Montalbano, interprete, ruolo, ingaggio, agentività, emozioni, inspector Montalbano, interpreter role, recruitment, agency, emotions

©inTRAlinea & Gabriele Mack (2019).
"Montalbano e la voce dell’interprete", inTRAlinea Vol. 21.

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1. Introduzione

Le opere letterarie e cinematografiche che vedono tra i loro personaggi traduttori e interpreti[1] - innumerevoli e appartenenti a tutti i generi, dal romanzo storico al giallo alla graphic novel (Kaindl 2014) - hanno visto un forte aumento dal 1960 e una vera e propria esplosione dall’inizio del nuovo millennio (Delabastita e Grutman 2005). La ricerca in questo campo costituisce un filone ormai nutrito degli studi sull'interpretazione e la traduzione (Cronin 2009, Kaindl e Spitzl 2014). Gli autori italiani interessati sono tuttavia sorprendentemente pochi (ad esempio Arrojo 1995, Nadiani 2014) in confronto ad altre lingue, come ad esempio il giapponese (Wakabayashi 2005).

In molte opere i personaggi che esercitano uno dei mestieri del tradurre consentono all’autore di riflettere sulla natura stessa della traduzione; in altre assurgono a emblema della condizione umana tout court, delle contraddizioni della nostra epoca e della modernità 'liquida', oppure diventano occasione di sofisticate operazioni di metafiction (Delabastita 2009). In altri casi – di certo la maggioranza – la rappresentazione di situazioni di contatto linguistico riflette invece più semplicemente vicende contraddistinte da esperienze liminari e complesse, spesso connesse ad appartenenze plurime o esperienze di migrazione, e mette in evidenza convenzioni e valori socioculturali del mondo contemporaneo, ma anche il sentire comune condiviso da una comunità su che cosa fa (o dovrebbe fare) un traduttore/interprete:

Fictional depictions […] provide insights into ideas, clichés and stereotypes of translating and interpreting that exist in a given society and can therefore be used as a source for the study of folk theories concerning translation and interpreting (Kaindl 2014: 14)

In quest’ultima ottica sono rivelatrici anche e soprattutto figure 'minori' la cui attività di interprete non serve a significare 'altro' nell'economia della narrazione. La loro descrizione costituisce una finestra per capire come questa figura venga percepita nella società di cui la scrittura è espressione. È questo che tenta di fare anche il presente studio, che confronta l’immagine di due interpreti tratteggiata da Andrea Camilleri in uno dei suoi ultimi romanzi e le percezioni da parte di italiani che con interpreti si trovano a collaborare, così come sono emerse nelle ricerche dell’autrice, e in particolare in un progetto sull’interpretazione per la polizia del 2012 (cfr. ImPLI 2012; Amato e Mack 2015a, 2015b), in due studi sull’interpretazione per i minori in ambito giuridico-giudiziario (Amato e Mack 2015c, 2017) e in alcune interviste con militari del contingente italiano in Libano (Prati 2017).

2. Interpretare (per) Montalbano

Anche il commissario Montalbano, pur essendo dotato di capacità comunicative e interpretative fuori dal comune, può avere bisogno di aiuto per ‘agire con le parole’ e conseguire i suoi obiettivi conversazionali. Così, quando vuole far arrivare un certo messaggio a un interlocutore che non può raggiungere direttamente, spesso si serve di un suo ‘interprete’ di fiducia, l'amico giornalista Niccolò Zito (cfr. Giovannetti 2015).

Capita però anche di dovere parlare con persone che non capiscono né il siciliano né l'italiano, e allora Montalbano ricorre in genere all’aiuto di individui bilingui che fanno al caso suo, benché nella loro vita ‘reale’ svolgano tutt’altro mestiere. Accade in Il ladro di merendine (1996), dove una donna araba viene sentita con l'aiuto di un carabiniere fortuitamente bilingue, o in La vampa d'agosto (2006), dove una telefonata a un avvocato tedesco è affidata a un riluttante agente Galluzzo che ha alle spalle un soggiorno in Germania, presumibilmente come figlio di emigrati. Un’altra emigrata - anche se sui generis come l’amica svedese Ingrid Sjöström - si improvvisa invece interprete per la troupe cinematografica che ha scelto Montelusa per il set di una fiction in La rete di protezione (2017). L'altro capo del filo (2016), il romanzo che qui analizzeremo, è però - per quanto ne sappiamo - l’unico romanzo di Camilleri in cui delle figure di interpreti diventano personaggi importanti e ben delineati.

Per Montalbano la necessità di ricorrere a un interprete sembra costituire sempre una seconda scelta, una necessità sgradita imposta da una condizione (umana, più che personale) ‘imperfetta’. Così in L'altro capo del filo il commissario, mentre ascolta l’interprete parlare ai naufraghi stipati sulla nave di soccorso, ha l’impressione di capire certe parole e ricorda, in siciliano, che un tempo le popolazioni del Mediterraneo condividevano una lingua veicolare (cfr. Cifoletti 2004, Eco 1993) (L'altro capo del filo cap. 3: 48):

Mentri che ascutava s'arricordò che 'na vota tutti i piscatori del Mediterraneo parlavano 'na lingua comuni, il «sabir». Va a sapiri com'era nasciuta e va a sapiri come aviva fatto a moriri, ora che sarebbi stata accussì utili per tutti.

Sempre in questo romanzo, l’uomo con il flauto (cap. 3: 50-52) invece di un soggetto armato e pericoloso si rivela essere un celebre musicista, ma parla l’italiano e non ha bisogno di un interprete per raccontare la sua vicenda e dare voce alla sua disperazione. Analogamente, “dato che parlava taliàno”, Fazio può interrogare direttamente una donna che era stata fermata (cap. 16: 257).

Un breve scambio tra Montalbano e Fazio a proposito della necessità di procurarsi un interprete fa trapelare anche qualche dubbio sulla recente politica linguistica italiana (cap. 5: 74):

«Ma come? L’ha chiamata?».
«'Nca certu! Io l'arabo non lo parlo. Per caso tu te lo studiasti a scola?».
«Nonsi dottore! Studiai l'inglisi, capace però che l'arabo mi sarebbi sirvuto chiossà».

Anche in altri romanzi Camilleri mostra di preferire soluzioni in cui si può fare a meno dell’interprete. Ne troviamo un esempio in Un giro di boa (2003) dove Montalbano scopre un ragazzino oggetto di traffico di esseri umani appena sbarcato che si era dileguato. I due comunicano tra loro solo tramite sguardi e gesti, ma l’incapacità di parlarsi esprime anche tutta l’impotenza del commissario di fronte al tragico destino di quel bambino.

2.1. Osman e Meriam

Ciò che distingue le figure di interpreti nei romanzi precedenti di Camilleri da quelle oggetto del nostro studio è innanzitutto lo spessore dei personaggi e lo spazio dedicato loro nell’economia del romanzo. La loro attività serve prima di tutto a rafforzare l'ancoraggio del racconto nell'attualità degli sbarchi di migranti in Sicilia, con tanto di indicazione dell’anno, il 2016, quello di pubblicazione del romanzo (cap. 1: 19). Gli interpreti del commissario questa volta sono due tunisini, e anche loro sono volontari che nella vita quotidiana fanno tutt’altro.

Osman, o meglio “il dottor Osman”, viene introdotto dal punto di vista di Livia, che lo ha incontrato in uno dei “comitati di volontari che raccolgono generi di prima necessità, preparano pasti caldi, forniscono abiti, scarpe, coperte” gestito dall’amica Beba, dov’era andata per ‘dare una mano’ (cap. 1: 18):

«Ho incontrato un signore sessantenne, alto, magro, elegantissimo, con gli occhiali. Pare che qui a Vigàta sia amico di tutti. Parlava in italiano perfetto e in arabo, immagino, altrettanto perfetto, con tutti i migranti. Lo chiamano dottore, dottor Osman. Tu lo conosci?».

In effetti, anche Montalbano conosce bene questo “dottore dei migranti” (cap. 11: 170): è il suo dentista, una persona speciale e molto discreta; oltre a essere un medico bravissimo, laureato a Londra, è un esperto d'arte, già consulente del Museo del Bardo. Venuto a Vigàta per una donna, vi si è fermato perché “innamorato della Sicilia e soprattutto di questo mare che lambisce anche la sua terra” (cap. 1: 19); “sono diverse estati, ma purtroppo ormai anche inverni, che il dottor Osman si sveglia di notte e va al porto per aiutare i migranti, sia come interprete che come medico[2]”. Un altro tocco al ritratto di Osman, Montalbano lo dà in risposta a uno dei consueti storpiamenti di nomi operati da Catarella che lo accoglie in commissariato (cap. 3: 44):

«Ah dottori! Ci sarebbi che c'è il dottori Cosma che l'aspetta nella cammara d'aspittanza».
«E Damiano unn'è?» fici Montalbano.
Catarella strammò.
«Aspittava macari a lui? Ancora non è apparuto, appena che appari l'avverto».
«Va bene. Arricordati, Catarè, che Cosma e Damiano caminano sempri 'nzemmula» arrispunnì il commissario.
In effetti, Catarella non aviva sbagliato il nomi cchiù di tanto. 'N funno 'n funno, il dottor Osman qualichi cosa di santo ce l'aviva.

Le prime parole pronunciate nel romanzo dal medico in risposta all’esternazione di gratitudine del commissario sono: «Allah è Clemente e Misericordioso (…) e anch'io, goccia nel mare, cerco di seguirne l'esempio» (cap. 3: 44), e dopo lo sbarco promette a Montalbano: «Ci sarò sempre, inch'Allah, quando ne ha bisogno” (cap. 3: 53). Osman è dunque caratterizzato fin dal principio come colto e agiato, disponibile e altruista, una figura quasi ieratica.

Per introdurre il personaggio di Meriam, Camilleri procede in maniera analoga, con pennellate successive. Chiamato per assistere all’ennesimo sbarco, Osman malato propone di farsi sostituire da una giovane donna che “parla quattro lingue perfettamente”; le ha già detto “come dovrà comportarsi coi migranti” e si fa garante per lei (cap. 4: 58-59). Il commissario riconosce nella donna la lavorante incontrata in una sartoria che poco dopo diventerà la scena di un omicidio. Viene descritta come “'na trintina sottili, bruna di pelli con i capilli raccogliuti sutta a un velo bianco, dù occhi nìvuri profunni e un sorriso cordiali” il cui “taliàno era pirfetto ma tradiva ‘n‘inflessioni straniera” (cap. 2: 29). Montalbano accetta la sostituzione nonostante le perplessità manifestate da Fazio sul fatto che è una donna, in uno scambio tutto incentrato sulla fiducia[3] (cap. 4: 59):

Gli dissi la novità, Fazio sturcì la vucca.
«Non ti sta bene?».
«Nonsi dottore, a mia mi sta bene. Ma starà bene macari ai migranti? Dottore, facemo ad accapirinni, è 'na fimmina...».
«Io mi fido del dottor Osman. Ma se hai dei dubbi ti fazzo 'na proposta: invertiamo i turni: stasira ci vaio io».
Fazio si risintì.
«Dottore, volivo sulamenti esporre 'na possibili complicazioni. Se si fida del dottor Osman, si fidassi chiossà di mia».

Come Osman, Meriam (che Catarella chiamerà Marianna Ucrìa[4]; cap. 6: 89) è dunque una persona istruita e disponibile a lavorare come volontaria, anche se vive in condizioni sociali ben diverse da quelle del medico, come suggerisce la sua risposta alla telefonata di Montalbano che di sera tardi le chiede se può venire in commissariato per fargli da interprete (cap. 5: 74):

«Certo, le bambine dormono già profondamente nel letto matrimoniale. Il tempo di preparare una caffettiera e un po' di macco per mio marito[5] e arrivo».
Al solo pinsero a Montalbano ci vinni 'na speci di mappazza alla vucca dello stommaco. Macco e cafè? Alle setti di matina?

3. Gli interpreti di Montalbano tra finzione e realtà

Analizziamo ora l’agire di questi due personaggi nel romanzo, mettendolo a confronto con le caratteristiche dell'interprete percepite come tipiche o attese da gruppi di utenti di servizi di interpretazione reali emerse negli studi menzionati sopra (cfr. fine paragrafo 1).

3.1. Selezione e ingaggio

3.1.1. Selezione e ingaggio nel romanzo

La prima scena in cui uno dei due interpreti entra in azione è quella del primo grande sbarco, che abbraccia metà del secondo e l’intero terzo capitolo del romanzo. Montalbano viene informato dal collega Silleci, responsabile della squadra per l’emergenza sbarchi, dell’imminente arrivo di due navi cariche di naufraghi raccolti in mare. Insieme riflettono su come disciplinare lo sbarco per evitare altri episodi come quello della recente scomparsa di una persona, che aveva allarmato il questore. Il commissario ha un piano, ma per realizzarlo gli serve l’aiuto di una persona che parla arabo e che sia “disponibili a darinni 'na mano d'aiuto”. Il dottor Osman, interpellato telefonicamente, si mette a completa disposizione (cap. 2: 39-40).

La richiesta di intervento di un interprete da parte della polizia in tutto il romanzo non è mai un fatto di routine, inevitabile quanto prevedibile, ma costituisce sempre un problema da risolvere ad hoc, usando i propri mezzi e le proprie conoscenze.

L’attività serrata del commissariato sotto la pressione dei continui sbarchi non lascia tempo neppure a un’alternanza regolare nei turni di lavoro dei poliziotti, tanto meno in quelli delle figure di puro supporto. La procedura di selezione, reclutamento e ingaggio dell’interprete è dunque rapida ed essenziale: il commissario identifica una persona a lui già nota che ha le caratteristiche richieste: parla arabo, è seria e affidabile, disponibile a ‘dare una mano’ e – particolare non trascurabile, anche se non viene mai esplicitato – come remunerazione verosimilmente si accontenterà di assicurazioni di stima e gratitudine espresse a titolo del tutto personale. L’interprete ci deve essere quando serve, costi quello che costi… (per lo più, capacità di persuasione da una parte e buona volontà dall’altra). L’intervento umanitario e gratuito di Osman risparmia così al commissariato anche tutta una serie di noiose incombenze burocratiche per esborsi da richiedere, autorizzare e saldare.

3.1.2. Selezione e ingaggio nell’esperienza reale

Nella realtà le cose ovviamente non vanno sempre così, anche perché l’intervento di un interprete dentro o fuori il commissariato è un’esigenza tutt’altro che rara[6]. Quando non è disponibile uno dei funzionari linguistici dipendenti del Ministero degli Interni addetto a queste mansioni, l’ingaggio di un ‘esterno’ va gestito, spesso sotto la pressione dell’urgenza, garantendo almeno il livello delle conoscenze dell’italiano e della lingua straniera e l’affidabilità. In casi particolari – ad esempio quelli di minori, specie se vittime di abusi, anche il genere dell’interprete può diventa un criterio di selezione, pur non essendo mai menzionato nelle disposizioni ufficiali (cfr. ImPLI 2012: 14, 29 e 88)[7].

In Italia le procedure di selezione non sono però disciplinate in modo omogeneo; ogni struttura si muove a propria discrezione, non essendoci né un albo o registro centralizzato di interpreti ‘accreditati’, né delle norme minime per la selezione di chi dovrà fungere da interprete. Non solo per le lingue poco o per nulla insegnate in Italia, si ricorre dunque spesso a chi è semplicemente ‘a portata di mano’, previa verifica della fedina penale, applicando come criterio principale quello della conoscenza personale e della disponibilità in tempi brevi o brevissimi. Eppure la qualificazione elevata dell’interprete è una priorità ribadita di frequente, ad esempio in un focus group del febbraio 2017 (Amato e Mack forthcoming) al quale sono intervenuti magistrati, poliziotti, psicologi, assistenti sociali e interpreti impegnati in interviste con dei minori. Un altro fattore dall’impatto dirompente sul reclutamento è la remunerazione scandalosamente bassa prevista per questi incarichi[8], denunciata da decenni (Beekhuizen 1995, Cavestri 2010) ma ancora invariata (Samperisi 2017), che scoraggia gli interpreti più qualificati, specie se gli ingaggi sono gestiti, come accade sempre più spesso, da agenzie private aggiudicatarie di grandi appalti ministeriali[9]. La situazione diventa particolarmente delicata quando ci si muove in ambito penale. Nel romanzo ciò non è il caso per la scena dello sbarco, ma lo sarà quando si parlerà di violenza a una bambina. Riferimento fondamentale è qui il recepimento italiano della direttiva europea n. 64 del 2010 sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, avvenuto mediante due decreti legislativi[10] (cfr. Amato e Mack 2015a). Il decreto del 2016 ha anche disposto l’istituzione di un elenco nazionale degli interpreti e traduttori sulla base delle liste di iscritti nell'albo dei periti di ciascun tribunale, ma manca a tutt’oggi il decreto attuativo del Ministero della Giustizia.

3.2. La collaborazione con l’interprete: una questione di fiducia

3.2.1. Sapere per (fare) capire

Prima di recarsi al porto, Montalbano convoca Osman in commissariato e gli spiega il suo piano per disciplinare gli sbarchi previsti nella notte (cap. 3: 45):

«Ho pensato che sarebbe meglio se salissimo sulle navi prima del loro attracco. In modo che lei possa fare un preciso discorso a questa gente e persuaderli che uno sbarco ordinato e composto renderà più facile e celere il trasporto presso il centro d'accoglienza».
«Mi dica secondo lei cosa devo dire».
«Dovrebbe spiegare che le regole sono cambiate e chi non rispetta gli ordini della polizia verrà immediatamente arrestato, dichiarato indesiderabile, clandestino, e quindi rispedito in patria».
«Ma davvero!?» fici stupito Osman.
«No, dottore, non è vero. Però è una bugia necessaria».
«Va bene. Mi fido di lei».
Il commissario gli spiegò 'n'autra poco di cose che doviva diri e quindi si misiro 'n machina e s'avviaro verso il porto.

Siamo di fronte a una vera e propria seduta di briefing in cui l’utente spiega all’interprete l’andamento previsto dell’incontro, l’obiettivo da conseguire con la comunicazione mediata e il messaggio che deve passare: i due saliranno sulle navi prima che attracchino per parlare ai passeggeri e ottenere così il risultato auspicato. Montalbano sembra ben consapevole dell’importanza di queste istruzioni preliminari, fornite in un colloquio diretto, tant’è che in altre occasioni raccomanda questa prassi anche ai suoi collaboratori Fazio (cap. 4: 61) e Augello (cap. 5: 86).

Più avanti, tra un interrogatorio e l’altro dei sospettati di stupro, ci sarà addirittura un briefing supplementare in corso d’opera, contenente anche una raccomandazione che suonerebbe superflua con un interprete di professione, ma evidentemente non lo è per un volontario, per quanto affidabile (cap. 5: 79):

Nell'aspittanza avvirti Meriam che avrebbi cambiato completamenti tattica e che perciò traducissi paro paro ogni cosa che diciva.

3.2.2. Le informazioni preliminari nell’esperienza reale

Pure per ciò che concerne le comunicazioni preliminari tra utente e interprete e la condivisione di informazioni – siano esse riservate o generiche - le cose nella realtà non vanno sempre come nella finzione letteraria, dove Camilleri prefigura una vera e propria buona prassi. In un questionario online sottoposto a interpreti e utenti nell’ambito della giustizia minorile[11], su 26 interpreti italiani rispondenti a una domanda sulla presenza o meno di briefing, il 42% ha risposto che non lo riceve mai, il 39% che lo riceve sempre o spesso e il 4% solo talvolta; tra gli 82 altri professionisti, invece, il 92% dei rispondenti dicevano di fornire un briefing all’interprete sempre o spesso, il 6% talvolta e solo il 2% mai. Una discrepanza simile è emersa anche nel focus group menzionato sopra, dove gli interlocutori istituzionali si dicevano tutti convinti della necessità di lavorare con interpreti informati in modo preventivo almeno su certi aspetti dell’incontro da tradurre, mentre le interpreti lamentavano grosse difficoltà a ottenere la benché minima indicazione preliminare sull’incarico da affrontare. Consono con la prassi romanzata risulta invece quanto riferito da alcuni militari italiani della missione in Libano che giudicano importante “trovare il tempo per un briefing preparatorio prima della missione, volto a chiarire «i ruoli […] i tempi […] gli argomenti che andremo a trattare […] come vuoi che la conversazione venga condotta / quali sono […] gli elementi e le risposte che tu ti attendi dall'altro» perché «magari tu puoi anche sbagliare la domanda […] però se lui [= l’interprete, n.d.a.] ha chiaro qual è il tuo obiettivo in quel senso lui può aiutarti»”. Inoltre, “«quando ci sono delle terminologie abbastanza complesse o specifiche di un ambito [… è necessario metterne] a conoscenza l'interprete prima»” (Prati 2017: 84).

3.2.3. Lavorare insieme nel romanzo

Osman accoglie le istruzioni di Montalbano esprimendo stupore - non sappiamo se vero o finto: qualcosa ‘non gli torna’ nell’affermazione che chi non rispetta gli ordini sarà immediatamente arrestato ed espulso. Il commissario allora ammette che è una bugia, ma è necessaria, una ‘farfanteria’ che alla prova dei fatti in effetti funzionerà ‘alla pirfezione’ (cap. 3: 50)[12]. La reazione del medico, come anche la sua battuta precedente («Mi dica secondo lei cosa devo dire»; evidenziazione mia) rivelano però che, pur avendo ribadito al commissario la sua totale disponibilità, il medico non si accinge a raccogliere ed eseguire passivamente una consegna, ma si pone come soggetto attivo che vaglia quanto gli viene detto alla luce della sua esperienza ed esprime il suo parere in merito. Dal punto di vista del commissario questa mossa può essere letta in due modi opposti: lo induce a rivelare più di quanto forse avrebbe voluto del suo piano, ma gli permette anche di saggiare la lealtà dell’interprete, rivelata proprio dal suo comportamento di fronte a un’affermazione errata o deliberatamente falsa. La questione non viene approfondita ulteriormente, ma la reazione di Osman riporta il discorso sul tema della fiducia reciproca che, come abbiamo già visto, costituisce l’asse portante del rapporto tra i due.

Gli accordi preventivi con l’interprete che poi lavorerà per così dire in autonomia sono menzionati anche nella collaborazione con altri funzionari di polizia. Quando Montalbano giunge al porto durante uno degli sbarchi successivi apprende dal dottore che «Naturalmente (…) siamo d'accordo che scendono prima i feriti, poi i migranti e alla fine facciamo recuperare i morti» (cap. 7: 105).

3.2.4. Lavorare insieme nell’esperienza reale

Anche per gli utenti reali incontrati nelle nostre ricerche, la fiducia, l’affidabilità e la collaborazione sono elementi essenziali del rapporto con l'interprete. Il concetto è stato ribadito nel focus group già menzionato (Amato e Mack forthcoming) da tutti i partecipanti, i quali tornano spesso sul fatto che l’interprete è un collaboratore selezionato e ingaggiato proprio su questa base. Un interprete affidabile non prenderà mai iniziative autonomamente e si muoverà sempre d’intesa con il suo utente istituzionale. Uno dei militari italiani in Libano menziona a questo proposito esplicitamente il processo di selezione degli interpreti locali da parte dell’ONU, indicandolo come uno degli elementi su cui fondare la propria fiducia. Anche in quell’indagine è emerso che “Il rapporto di fiducia si costruisce nel tempo e dipende essenzialmente dalla quantità di tempo condiviso dal militare e dall'interprete” (Prati 2017: 90), e che il grado di fiducia accordato può variare da persona a persona, ma non è mai totale: l'interprete civile reclutato in loco ha pur sempre “un legame con il territorio che implica l'impossibilità della costruzione di un rapporto di fiducia senza riserve” (Prati 2017: 91). È interessante vedere come, specularmente, uno degli interpreti arabi del contingente italiano osservi che “mentre è possibile instaurare un pieno rapporto di fiducia a livello umano con la persona, sarà impossibile instaurare una fiducia totale a livello lavorativo con il militare” (Prati 2017: 92). Anche nei questionari sull’interpretazione per i minorenni[13] i concetti di fiducia e collaborazione emergono spesso, sia per indicare una delle difficoltà maggiori che si possano incontrare nell’instaurare un rapporto con il bambino o ragazzo (“Il minore è intimorito e non si fida di nessuno”; è difficile “conquistarsi la sua fiducia”), sia per suggerire come migliorare la qualità degli incontri mediati da interpreti nel loro complesso: “Poi bisognerebbe formare il personale di polizia […] a confidare nelle capacità dell'interprete e, eventualmente, a cercare un comune approccio al minore al fine di trasmettergli sicurezza” e “Mi sembra opportuna la continuità dell'intervento ad opera dello stesso interprete, per evitare che il turnarsi di diversi operatori inibisca la relazione di fiducia, indispensabile in ambienti delicati (quali il penale) […] in un’ottica di lavoro di équipe a cui il mediatore è chiamato a partecipare.”

3.3. L’agentività dell’interprete

3.3.1. Il concetto di agency nella letteratura sull’interpretazione

Vista alla luce dell’analisi della conversazione condotta sulle interazioni interpretate (cfr. Davidson 2002), la scena sulla nave descritta nel paragrafo che segue (3.3.2.) non si configura come un’interazione interpretata: manca qualsiasi traccia di discorso da parte del parlante principale che l’interprete sostituisce interamente, libero di scegliere autonomamente le proprie parole - a condizione però che venga raggiunto l’obiettivo comunicativo specificato in precedenza dal suo utente. Nelle parole di Goffman (1974), l’interprete è animatore e autore, ma non mandante del discorso che viene fatto. Pur tenendo conto del fatto che l’alternanza tra enunciati del parlante primario e la loro restituzione da parte dell’interprete avrebbe un impatto pesante sul ritmo della narrazione (oltre a implicare l’introduzione di una lingua ignota almeno a parte dei lettori – altrimenti a cosa servirebbe l’interprete? – e, almeno in teoria, una totale ridondanza semantica dei due enunciati), Camilleri scarta decisamente lo stereotipo dell’interprete ‘ripetitore di parole’ o condotto inerte che ‘trasloca’ con le parole il contenuto di un discorso (Reddy 1979, Roy 1993). Pur dovendosi qui cimentare in un intervento squisitamente monologico e unidirezionale, l’interprete svolge una pluralità di funzioni, esattamente come descritto dalla ricerca sull’interpretazione in ambito sociale (Ozolins 2016). Osman incarna così perfettamente il concetto di agency inteso come capacità di e disponibilità ad agire autonomamente nel contesto comunicativo (Kinnunen e Koskinen 2010: 7). La scena dipinta da Camilleri costituisce forse un estremo, ma una prassi simile emerge anche nella già citata ricerca sull’interpretazione per la missione in Libano, dove viene menzionato il fatto che l’interprete locale, ”dopo aver ricevuto un briefing riguardante gli obiettivi della missione, può decidere lui come formulare la domanda posta dal militare italiano nella maniera più efficace in arabo, in modo da ottenere la risposta attesa” (Prati 2017: 84). Analogamente, in un video didattico su un’indagine di polizia interpretato da protagonisti ‘veri’ (Amato e Mack 2012), nel passaggio iniziale il commissario formula solo contenuto e senso di quanto vuole che venga tradotto, lasciando all’interprete la scelta di come dirlo (Amato e Mack 2015: 23-24).

3.3.2. L’agentività degli interpreti di Montalbano

L’arrivo della prima nave che ha raccolto i naufraghi provoca un forte impatto emotivo in Montalbano, che vive quest’esperienza con un misto di insicurezza e disagio (cap. 3: 47-48): teme una figuraccia salendo la scaletta di corda, si strappa i pantaloni impigliandosi in un gancio, abbassa gli occhi davanti agli sguardi disperati che lo accolgono sulla nave. A parte il saluto al comandante, non sembra profferire parola per tutto il tempo che è a bordo; fa tutto Osman, che parla in arabo, ma (cap. 3: 48)

Montalbano fu sicuro che il dottore stava arripitenno priciso 'ntifico quello che lui gli aviva addimannato. A malgrado che non sapiva l'arabo gli pariva di capiri certi parole.

Il discorso del medico-interprete si conclude con una domanda (si direbbe di verifica della comprensione, altro esempio di buona pratica …) alla quale i migranti sulla nave rispondono con un coro di voci - confermando così che a loro volta si fidano di quanto è stato loro detto - che viene tradotto da Osman in «Sono d’accordo […] possiamo scendere». In effetti, l’obiettivo formulato ore prima da Montalbano è stato centrato, e lo sbarco si concluderà senza incidenti. L’interprete interverrà ancora due volte per dare ordini in arabo, apparentemente in piena autonomia; è però evidente che anche i destinatari del suo discorso hanno percepito Montalbano come mandante del messaggio, ed è a lui che rivolgono le loro manifestazioni di gratitudine, benché non abbia fatto nulla per manifestare la sua autorialità (e autorità) (cap. 3: 49).

Gli sbarchi non conoscono sosta e, come abbiamo menzionato sopra, la squadra di Montalbano deve reclutare come interprete volontaria anche una donna, Meriam. Ma già al suo primo incarico le cose non vanno lisce al pari delle altre volte, come Sileci spiega a Montalbano appena giunto al porto (cap. 4: 63-64):

«Il casino […] è cominciato proprio mentre stavo dando l'ordine di partire. Dal pullman è scesa urlando, gridando e piangendo una ragazzina che i suoi genitori cercavano di trattenere. Allora è intervenuta quella donna... come si chiama?».
«Meriam» dissi Fazio.
«Allora, questa Meriam ha cominciato a parlare con la ragazzina. Ci è voluto un po' perché la calmasse. Si sono appartate e poi Meriam è venuta da me spiegandomi che durante la traversata era successo qualcosa di tremendo e che la ragazzina non voleva risalire sul pullman».
«E che cosa è successo?».
«No, Meriam non ha voluto dircelo. Ma Salvo, cosa vuoi che sia potuto succedere?» arrispunnì Sileci.

Come Osman, anche Meriam si dimostra tutt’altro che una portavoce passiva, e la sua agentività spiazza gli agenti di turno tanto da richiedere l’intervento di Montalbano. Parla lei con la ragazzina che ha impedito la partenza del pullman, ma non riferisce ai poliziotti, bensì al solo commissario il motivo di questo comportamento: la ragazzina, che si chiama Leena, le ha detto di essere stata violentata durante la traversata da due uomini che sono ora sul pullman, e Meriam ha ottenuto dai genitori ignari il permesso di tenerla un po’ con sé. Montalbano accorda la massima fiducia a queste affermazioni dell’interprete: nonostante le resistenze degli agenti, provati e stanchi, identifica tra i passeggeri del bus cinque possibili autori dello stupro e li fa portare in camera di sicurezza. Al rientro dal porto, Fazio riferisce a Montalbano un’ulteriore iniziativa autonoma dell’interprete (cap. 4: 66-67):

«Dottore, Meriam dici che ora come ora la picciliddra non è in grado di arrispunniri alle dimanne. Dici che sarebbi meglio se se la porta prima a la sò casa, le duna qualichi cosa di càvudo, la lava, la cangia visto che c'è con lei 'na nipoteddra squasi della stissa età e po' verranno 'n commissariato».

Pure questa volta Montalbano non discute la proposta di Meriam. Se sotto il profilo procedurale già le prime azioni dell’interprete paiono azzardate e la reazione del commissario discutibile, data la rilevanza penale del fatto (ma non è il caso approfondire il discorso in questa sede), con quanto segue si entra decisamente nel campo dell’inverosimile: l’interprete tiene la bambina con sé, di sua iniziativa interpella una ginecologa e le porta la bambina per una visita (seppure accompagnata dall’agente Fazio), convince il medico a non fare ricoverare Leena e infine la riconduce a casa propria. È qui che Montalbano rivede la piccola e tenta di porle delle domande, ma la sua prima preoccupazione è quella di “rendere l’interrogatorio meno gravoso possibile” per la bambina. L’interesse superiore del bambino è in effetti il primo imperativo sancito da tutte le normative internazionali e nazionali in materia di minori, ribadito sempre anche da tutti i professionisti del settore. Il commissario chiede dunque a Meriam di riferirgli prima a quattr’occhi quello che Leena le ha già detto su quanto era avvenuto sul barcone. Nel racconto che segue torna puntualmente un riferimento al rapporto di fiducia con l’interprete che si deve instaurare - questa volta con una bambina - per consentire la comunicazione (cap. 4: 69):

«[…] Dopo l'hanno presa come un fagotto e riportata accanto alla madre, non prima di averla minacciata di buttare lei e i genitori in mare se avesse detto qualcosa. Ci ho messo un po' anche io per farla parlare ma poi, non ce la faceva più a trattenere tutto dentro di sé, e si è finalmente confidata...».

Montalbano si accinge ancora una volta a parlare direttamente con la piccola ed enuncia le regole di base secondo cui si dovrà svolgere il colloquio – anche questo un accenno a una buona prassi (cfr. CO-Minor-IN/QUEST, s.d.) (cap. 4: 70-71):

«Procediamo così» dissi Montalbano «io faccio le domande, lei Meriam, le traduce e mi riferisce la risposta».
«D'accordo».
«Le può chiedere se ha avuto modo di vedere in faccia i due uomini?».
Meriam non aviva finuto la dimanna che Leena si fici sciddricari fino a sutta al linzolo. La sò testa e le sò spalli scomparero alla vista dei prisenti.
Meriam le dissi qualichi cosa. La risposta fu che dù manuzze niscero fora dalla coperta e ne agguantaro il bordo, non per sollivarla, ma per tinirla cchiù stritta, per ristari macari cchiù 'ncuponata.

Leena, con un linguaggio non verbale quanto mai eloquente, si sottrae dunque al colloquio, e Montalbano, sotto pressione perché senza elementi circostanziati non ci può essere una convalida dei fermi, deve affidarsi ancora una volta all’interprete. Meriam prende di nuovo in mano la situazione e la risolve, fornendo poi al commissario degli elementi per identificare i colpevoli. A dimostrazione della piena intesa tra utente e interprete, si noti qui la ripresa esatta delle parole del commissario da parte della donna, come anche il suo uso del pronome inclusivo in prima persona plurale (cap. 4: 71-72, corsivi miei):

«Forse e meglio se tornate in salotto» fici Meriam «provo a parlarci da sola».
[…]
«Commissario, credo che Leena non ce la faccia a parlare con voi, ho capito cosa lei voleva sapere e mi sono permessa di rivolgerle io alcune domande».
«Ha fatto benissimo» dissi Montalbano. «Cosa le ha detto?».
«Non è riuscita assolutamente a vederli. Ma io le ho chiesto se questi due avessero qualcosa di particolare per poterci aiutare a identificarli».
«E allora?».
«E allora Leena mi ha detto che al primo dei due è riuscita a mordere un dito con tutta la forza che aveva. Il secondo invece si è difeso, ma si ricorda che mentre la stringeva indossava un piumino morbido. Altro non è in grado di dire».

L’agentività degli interpreti di Montalbano nella comunicazione con i migranti emerge chiaramente anche nella gestione dei momenti di tensione e conflitto. Anche qui Camilleri prevede un loro intervento risolutivo, che si suppone ancora una volta piuttosto autonomo. In uno degli sbarchi si trovano a bordo anche alcuni morti, e i loro parenti, giunti a terra, vogliono restare accanto alle salme invece di salire sui pullman. Come Fazio riferisce poi a Montalbano, il funzionario di polizia responsabile non è d’accordo “e accussì finì a sciarriatina” prima che “finalmenti il dottor Osman arriniscì a mittiri paci” (cap. 7: 119-120).

Senza aprire qui la questione di che cosa si debba intendere esattamente per mediazione culturale, la necessità imprescindibile che un interprete non conosca solo le parole di una lingua ma anche sistemi di valori e convenzioni sociali della comunità che la parla viene riconosciuta ampiamente per tutti i contesti, siano essi dialogici o monologici. Anche nelle situazioni di emergenza in cui agisce Montalbano si parla sempre di interprete, mai di mediatore (qualificato da qualsivoglia aggettivo). Analogamente, per uno dei militari italiani in Libano è l’interprete che aiuta a “evitare gaffe o misunderstanding” e a “risolvere determinate situazioni che potrebbero […] sfociare in altri tipi di situazioni più pericolose” (Prati 2017: 76). La capacità dell’interprete di provare empatia per chi deve muoversi in un contesto istituzionale ‘straniero’, specie se si tratta di un minore, viene ritenuta preziosa anche da psicologi e poliziotti del focus group sull’interpretazione per i minori in ambito giuridico, in particolare all’inizio dell’incontro, quando si tratta di mettere la persona a proprio agio. E nel già menzionato questionario online, sia gli interpreti che i loro utenti concordano a grande maggioranza (dell’85 e 78% rispettivamente) che l’interprete dovrebbe prendere l’iniziativa per spiegare eventuali differenze socio-culturali che potrebbero inficiare la comunicazione con un minore (cfr. Amato e Mack 2017).

3.4. Gestire le emozioni

3.4.1. Montalbano e i suoi collaboratori di fronte al trauma

Abbiamo già accennato al fortissimo impatto emotivo di alcune situazioni che possono coinvolgere un interprete e vista la reazione del commissario sulla nave (cfr. paragrafo 3.3.2.), mentre nulla veniva detto di quella di Osman. Analogamente Meriam, nella vicenda della bambina abusata, mostra il massimo sangue freddo di fronte a una situazione che scatena invece nell’ispettore Fazio una reazione molto forte. Il suo superiore se ne accorge e gli dà così modo di sfogarsi (cap. 4: 71):

Quanno foro nel salotto, Montalbano s'addunò che Fazio era giarno come a un morto.
«Sei stanco?».
«Nonsi».
«Ti senti male?».
«Nonsi».
«Che hai? Dimmelo! È un ordine!».
«Dottore, aio 'na gana spavintosa e tirribili di scuglionari a pedate a tutti e cinco, colpevoli e 'nnuccenti».
Montalbano allucchì, mai aviva sintuto a 'na frasi accussì violenta supra alla vucca di Fazio, il quali però, mentri che parlava, era arrinisciuto evidentementi a controllarisi.

Lo stesso Montalbano accusa il colpo, ma ha delle strategie personali per gestire la sua emotività: quando non gli basta occupare la mente firmando carte o fare una passeggiata al porto cerca il silenzio, si lascia condurre altrove dalla musica, e poi si ristora con «'Na bumma con la crema e un cafè doppio» (cap. 5: 82-83).

Anche l’animo semplice di Catarella è messo a dura prova dagli sbarchi, e Montalbano provvede a sollevarlo dal compito di assistervi, lasciandolo a presidiare il commissariato. Colpisce dunque che il commissario non rifletta neppure per un attimo sulle eventuali reazioni emotive dei suoi interpreti, pur essendo sempre attento a ‘risparmiarli’ il più possibile: quando si tratta di individuare tra i fermati i presunti autori dello stupro, Montalbano evita di convocare Osman malato (cap. 5: 73), e dopo l’interrogatorio offre a Meriam di avvertire la sartoria che ha bisogno di una giornata di riposo dopo avere lavorato per tutta la notte (cap. 5: 81).

3.4.2. Lo spettro del disturbo post-traumatico da stress

Il problema dell’impatto emotivo di esperienze traumatizzanti incontrate nelle relazioni d’aiuto è ben noto da tempo e designato come trauma del soccorritore o traumatizzazione vicaria. Per dirla con le parole di un etnopsichiatra[14], il trauma è contagioso e, se subìto per un numero sufficiente di volte, provoca inevitabilmente un disturbo post-traumatico da stress (PTSD) (Gnolfo e Santone 2009) anche in chi non è vittima in prima persona. È ben noto che anche gli interpreti vi sono esposti (Baistow 2000; cfr. anche Amato e Mack 2015a: 100-102), e le attività in ambiti che comportano tale rischio vengono accomunate sotto il termine trauma informed interpreting. La tematica è stata studiata per l’interpretazione in ambito medico (Bontempo e Malcolm 2012), psicoterapeutico (Tribe e Raval 2003, Costa 2017) e più di recente nelle aree di conflitto (Kelly e Baker 2013, Valero Garcés 2014) e nei tribunali penali internazionali (Cattaneo 2015). Della necessità di supervisione anche per gli interpreti si parla almeno dagli anni ottanta (Earwood 1983) e, in senso clinico, dagli anni novanta (Sande 1998). Anche il questionario CO-Minor-IN/QUEST, già menzionato più volte, conteneva delle domande sull’uso del debriefing e sul supporto psicologico dopo incontri interpretati con risvolti potenzialmente traumatizzanti. Come per il briefing (vedi paragrafo 3.2.1.), le risposte sono state divergenti: mentre il 20% dei 74 utenti italiani rispondenti asseriva di offrire all’interprete questo supporto sempre o spesso, solo il 12% dei 25 interpreti rispondenti condivideva questa opzione. In entrambi i gruppi la percentuale più elevata era però quella di chi non offre/riceve mai offerte di sostegno, con rispettivamente il 65% degli altri professionisti e addirittura l’84% degli interpreti. Questi risultati, come anche le risposte libere raccolte, suggeriscono che in Italia questo problema è ancora drammaticamente sottovalutato sia dagli utenti che dagli interpreti stessi (Amato e Mack 2017).

4. Alla ricerca dei colpevoli – tre interrogatori interpretati

La scena forse più interessante dell’intero romanzo per la nostra analisi è quella degli interrogatori dei tre uomini ritenuti da Montalbano i personaggi chiave nella sua indagine sullo stupro della bambina. Analizzandola con l’approccio dell’analisi conversazionale, vi si ritrovano quasi tutti gli elementi discussi in precedenza come ricorrenti anche nel mondo reale[15], motivo per cui abbiamo ritenuto di non disgregare la sequenza come fatto finora ma di usarla come banco di prova per far emergere tutta la sostanziale verosimiglianza delle figure di interpreti tratteggiate da Camilleri. In questo paragrafo i riferimenti all’interpretazione nel mondo reale sono dunque inseriti nel testo corrente.

Come ha fatto con Osman, anche nel colloquio preparatorio con Meriam il commissario Montalbano scopre alcune delle sue carte, spiegandole chi sono i tre uomini fermati: due sono i presunti scafisti, il terzo un probabile testimone. Non precisa invece, almeno in un primo momento, quale sarà la tecnica che intende usare negli interrogatori.

Tocca per primo a un ragazzo, che viene accolto con una messa in scena intimidatoria: il commissario posa una pistola sulla scrivania e fa ammanettare il giovane; poi si rivolge a Meriam ed espone che cosa desidera che venga detto all’uomo, formulando contro di lui l’accusa di essere lo scafista e uno degli stupratori e annunciando che sarà rimpatriato (cap. 5: 77):

«Per favore» fici arrivolto a Meriam «gli dica che è stato riconosciuto da una bambina violentata durante la navigazione come uno dei due stupratori. Non solo, la bambina ci ha detto che lui è uno degli scafisti. Perciò si trova in stato d'arresto e domani stesso sarà immediatamente rimpatriato e incarcerato».

Ma Meriam, invece di tradurre reagisce:

«Commissario, mi pare che stia esagerando!» fici Meriam scantata di quello che stava videnno e sintenno.

Come aveva fatto già Osman - sebbene in un colloquio privato e non davanti alla persona interrogata – l’interprete di Montalbano prende posizione, discute quello che le viene detto di fare, e prima che inizi il suo turno traduttivo si svolge una conversazione muta tra i due:

Allura il commissario la taliò e le parlò con l'occhi, e dalla facci che fici Meriam ebbi la cirtizza che la fìmmina aviva accaputo che stava facenno tiatro. 'Nfatti, con 'na voci duci ma ferma, si misi a traduciri le paroli di Montalbano.

La donna comprendere il linguaggio non-verbale di Montalbano, a dimostrazione di un’intesa basata sulla fiducia reciproca. È interessante notare come in tutti e tre gli interrogatori che seguono, espressioni e sguardi dei protagonisti giocheranno un ruolo importante ai fini della comunicazione, e poco più avanti la stessa Meriam tradurrà in parole (“È disperato”) la reazione angosciata di chi si sente accusato ingiustamente.

La ricerca sull’interpretazione in contesti istituzionali ha dimostrato ampiamente che anche nella prassi quotidiana gli scambi non (destinati a essere) tradotti sono più frequenti di quanto si potrebbe immaginare (tra le tante, cfr. Amato 2012 per le interazioni in campo medico). In ambito giuridico e giudiziario la presenza di turni non traduttivi è particolarmente delicata in quanto uno degli interlocutori principali resta almeno formalmente escluso dalla comunicazione tripolare. Può così affacciarsi il rischio che un indagato che ha celato le sue reali conoscenze linguistiche abbia accesso a informazioni che gli dovevano restare precluse, o che l’interlocutore istituzionale rimanga all’oscuro di una parte di quanto detto dalla controparte. Un esempio interessante di come ciò possa essere evitato è offerto a varie riprese dal commissario protagonista del video ImPLI già menzionato in precedenza (cfr. paragrafo 3.3.1.), che anche in presenza di turni ‘anomali’ mantiene il pieno controllo sull’intervista avviando un repair ogni qualvolta una sequenza non gli risulta comprensibile (cfr. Amato e Mack 2015a: 116-117). Ed è esattamente quello che fa anche Montalbano di fronte alla violenta reazione del giovane alle sue parole tradotte dall’interprete (cap. 5: 77, corsivi miei):

Alla fini della so parlata, il picciotteddro sciddricò dalla seggia, si misi agginucchiuni, si portò le mano ammanettate davanti alla testa e sbattennosille con forza contra la fronti accomenzò a fari voci. Le lagrime gli scorrivano oramà a sciumi supra alla facci.
«Che dice?» spiò il commissario.
«Dice che è innocente, che lui non c'entra niente. È disperato, commissario» fici Meriam.

Montalbano ha realizzato il suo primo obiettivo, quello di superare la resistenza del testimone, ma ora deve farlo parlare (cap. 5: 78, corsivi miei):

«E allora ci dica se ha assistito alla violenza e chi sono gli stupratori».
La risposta del picciotto fu letteralmenti un torrenti di paroli e alla fini s'accasciò raggomitolato 'n terra. Montalbano taliò 'ntirrogativo a Meriam.
«Ha detto che se parla lo uccidono. Che di sicuro se va al centro d'accoglienza con i suoi compagni di cella, verrà ammazzato. Giura e spergiura che è innocente ma non se la sente di rischiare ancora una volta la pelle».

Lo scopo comunicativo di Montalbano in questa interazione è chiaro: vuole sapere dal testimone se le proprie ipotesi sono fondate, nient’altro. Le parole esatte delle risposte in arabo non lo interessano, e la sua domanda non è neppure rivolta direttamente al ragazzo, ma formulata in forma indiretta[16]. Anche Meriam nella sua traduzione ricorre sistematicamente al discorso riportato con verbo citante, presumibilmente riassumendo e rendendo più coerente il ‘torrente di parole’ in arabo.

La questione dell’uso dei pronomi da parte dell’interprete è stata ampiamente dibattuta in letteratura ed è troppo complessa per essere approfondita qui. La diffusa convenzione di usare nella traduzione la prima persona al pari del parlante è riconducibile al ruolo ancillare dell’interprete come non-persona che idealmente dovrebbe essere invisibile e non interferire in alcun modo nell’interazione, anche se ciò è di fatto impossibile – un concetto efficacemente sintetizzato nei ruoli alternativi di ghost e intruder (Kopczynski 1998). Soprattutto nell’interazione dialogica, che per sua natura costituisce un pas de trois comunicativo (Wadensjö 1998: 10), di frequente questa convenzione non viene rispettata, e anche dove lo è in linea di principio, ci possono essere dei momenti in cui l’interprete sente il bisogno di marcare la distinzione tra la sua identità e quella del parlante primario, introducendo quelli che si chiamano dei cambiamenti di footing (cfr. ad es. Amato e Mack 2015a: 59).

Avendo ottenuto dal testimone la conferma che cercava, il commissario cambia repentinamente atteggiamento. Gli fa portare dell’acqua e non pretende da lui una testimonianza messa a verbale che potrebbe costargli la vita; basta che risponda a tre domande, che saranno rivolte a tutti i fermati, con un semplice cenno che rende superflua anche la traduzione (cap. 5: 78):

 Po' il commissario fici:
«La prima domanda è questa: lui ha visto chi ha commesso lo stupro?».
Il picciotto fici 'nzinga di sì con la testa.
«La seconda domanda è: uno dei due indossava un piumino rosso?».
Il picciotto arripitì il gesto affirmativo.
«La terza e ultima domanda: gli stupratori sono gli stessi scafisti?».
Con l'ultima calata di testa il picciotto si rimisi a chiangiri dispirato.

Gli interrogatori dei presunti scafisti si svolgono in tutt’altro modo. Il primo viene sentito anche lui da solo, ma l’atteggiamento del commissario ora è ben diverso: lo accoglie con un sorriso e gli stringe la mano, ottenendo così una prima conferma ai suoi sospetti (cap. 5: 79, corsivi miei):

[Montalbano s]i susì, annò ‘ncontro all’omo, gli pruì la mano e gliela stringì vigorosamenti. L'omo non potti trattiniri 'na smorfia di dolori.
«Mi scusi, le ho fatto male?».
Meriam 'mmidiatamenti traducì. L'omo arrispunnì.
«Dice di no, solo che ha una ferita che si è fatto durante la traversata».
«Oh, mi scusi! Mi faccia vedere» fici Montalbano riacchiappannogli la mano.
Tra il pollici e l'innici aviva ancora stampati i denti della picciotta.

Fin dall’inizio, i turni di parola seguono perfettamente lo schema ideale dell’interazione mediata: a ogni intervento dei due interlocutori principali segue infatti un intervento traduttivo, anche se solo marcato per quanto detto da Montalbano (“Meriam traducì”); fanno eccezione solo la menzione delle generalità, sebbene ci sia Fazio che funge da ufficiale verbalizzante, e quindi un altro utente dell’interpretazione che dovrà rendere conto per iscritto anche di quanto viene detto originariamente in arabo, e la domanda con cui si conclude il primo interrogatorio (“Lei ha intenzione di chiedere asilo politico?”), che l’interlocutore evidentemente è in grado di capire senza che gli venga tradotta. Mentre Montalbano, che passa a un registro decisamente formale e a tratti burocratico, ora si rivolge direttamente alle persone interrogate usando la forma di cortesia, Meriam continua a riformulare quanto viene detto in arabo in forma indiretta, ricorrendo alla terza persona singolare e a un verbo citante, quando la risposta non consiste in un semplice cenno che non richiede traduzione (cap. 5: 79-80, corsivi miei):

«Si accomodi» dissi Montalbano «e declini le sue generalità».
Mentri I'omo le diciva, Fazio ne pigliò nota. Montalbano gli arrivolgì 'na sula dimanna:
«Durante la traversata lei ha notato qualcosa di strano avvenuta a bordo?».
L'omo fici 'nzinga di no con la testa.
«Lei ha intenzione di chiedere asilo politico?». L'omo arripitì il gesto nigativo e aggiungì qualichi cosa.
Meriam traducì:
«lo no. Io vengo solo per lavoro».
Per Montalbano la risposta vinni a significare che quell'omo spirava ardentementi di essiri rispiduto 'n patria. Sulo accussì avrebbi potuto continuari a fari il sò sporco misteri.
«Mi basta» fici Montalbano.

Il secondo presunto scafista viene invece sentito assieme agli altri due uomini fermati quella notte, e nella sua prima parte l’interrogatorio ricalca esattamente quello precedente. E anche qui c’è un passaggio in cui gli stranieri interrogati non hanno bisogno dell’interprete (cap. 5: 81):

«Avete intenzione di chiedere asilo politico?».
La risposta dei dù che si sorriggivano uno con l'autro fu 'mmidiata e in taliano:
«Si!».
Evidentementi sapivano chi viniva a significari «asilo politico».

Torna insomma il tema di una lingua comune vagheggiato da Montalbano nelle prime pagine del romanzo (cfr. paragrafo 1), ma in un contesto mutato e con un evidente riferimento a un diritto umano sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani[17].

5. Conclusione

Agli occhi del ricercatore, la lucida concisione con cui Camilleri coglie ed esprime nei suoi personaggi i molteplici aspetti della figura dell’interprete appare stupefacente, così come colpisce la perfetta sovrapposizione del suo sguardo sull'interprete con l’immagine che ne danno degli utenti reali. Forse l’autore ha preso spunto da esperienze personali concrete, probabilmente si è giovato dell’esperienza di una terra di passaggio e incontro come la Sicilia, e di certo ha messo in campo tutta la sapienza di chi per una vita ha lavorato sull’interpretazione della parola altrui per farla arrivare ai suoi ascoltatori - in teatro, in televisione e alla radio.

A Camilleri in ultima analisi non interessa però che cosa faccia esattamente l’interprete e come lavori; lo scrittore tematizza la necessità del parlarsi e capirsi a dispetto delle barriere linguistiche, e postula ottimisticamente la possibile riuscita di questa comunicazione. Non sappiamo se questa sua visione dell’interprete coincida con quella della maggioranza degli italiani che non hanno mai avuto modo di vederne lavorare uno. La trasposizione filmica di L'altro capo del filo costituirà in questo senso una sfida particolare, visto l’impatto che i mezzi visivi hanno sull’immaginario collettivo. Ma questo è materia per un altro lavoro (cf. Mack 2019).

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Camilleri, Andrea (2003) Un giro di boa, Palermo, Sellerio.

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Notes

[1] Per agevolare la lettura, i due termini saranno utilizzati nel seguito in forma inclusiva per designare sia la forma femminile che quella maschile.

[2] La caratterizzazione dell’attività di interprete come attività di aiuto (helper philosophy) si incontra in numerose situazioni di interpretazione informale, come quella per i sordi effettuata da congiunti udenti (Humphrey e Alcorn 1994), quella di minori migranti per i propri familiari (cfr. Ahamer 2014) o in genere in ambito sociale (Niska 2007).

[3] Anche analisi molto più generali riconoscono la fiducia tra gli interlocutori come uno degli elementi cruciali nella rappresentazione del contatto linguistico mediato nelle opere letterarie (Delabastita e Grutman 2005: 23).

[4] Si noti invece in questo caso l’accostamento dei contrari – una parla quattro lingue, l’altra è sordomuta – e gli aspetti comuni di sensibilità ed emancipazione di queste due donne.

[5] Altrove ci viene detto che il marito di Meriam fa il guardiano notturno (Cap. 4: 69).

[6] Per la documentazione della ricerca sul campo per l’Italia da cui sono tratte le notizie riferite qui e nel seguito cfr. ImPLI 2012: 5-16 e 90-94; ImPLI Annex 2012: 27-66; per il progetto ricerca europeo CO-Minor-IN/QUEST II, e in particolare il focus group italiano cfr. Amato e Mack (forthcoming).

[7] È interessante notare che anche Camilleri faccia gestire il caso della bambina da personaggi femminili (Meriam, la ginecologa)

[8] “Una vacazione è composta da 2 ore di lavoro effettive e la tariffa prevista per i periti e consulenti del Tribunale è pari a 14,68 euro per la PRIMA VACAZIONE (ovvero le prime 2 ore di lavoro) e 8,15 euro per la SECONDA VACAZIONE (ovvero le successive ore di lavoro)” (AITI 2018).

[9] Per un’analisi istruttiva della gestione del servizio di interpretazione in ambito giuridico e giudiziario nel Regno Unito si veda De Luna (2016).

[10] DLgsl. 4 marzo 2014, n. 32 e DLgsl. 23 giugno 2016, n. 129.

[11] Per la documentazione della ricerca sul campo per l’Italia cfr. Amato e Mack (2017), per l’intero campione Balogh e Salaets (2015), in  particolare Amato e Mack (2015c).

[12] Appare interessante a questo proposito quanto riferito da un magistrato che si occupa di minori vittime di tratta: i trafficanti usano esattamente la medesima strategia con le loro vittime, avvertendole che saranno rimpatriate immediatamente se scoperte minorenni (mentre al contrario ciò le farebbe beneficiare delle misure di protezione previste dalla recente legge 47/2017) (comunicazione personale).

[13] Risposte al questionario CO-Minor-IN/QUEST; cfr. Amato e Mack (2017).

[14] G. Santone, comunicazione personale.

[15] Per motivi di riservatezza l’accesso a registrazioni e trascrizioni di interrogatori di polizia è estremamente difficoltoso e pertanto si fa qui riferimento anche a quanto riportato in letteratura su altri ambiti, come quello medico.

[16] Grammaticalmente l’espressione usata da Montalbano (“allora ci dica”) potrebbe essere anche una forma di cortesia, ma considerando il contesto propendiamo per l’interpretazione data nel testo.

[17] Articolo 14: Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni.

About the author(s)

The author is associate professor of German language and translation at the Department of Interpreting and Translation of Bologna University (Forlì campus), where she teaches interpreting between German and Italian. She has been working as a free-lance conference interpreter and translator for many years. Her main research interests focus on interpreter training, analysis of interpreting processes and outcomes as well as conference, media and public service interpreting.

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©inTRAlinea & Gabriele Mack (2019).
"Montalbano e la voce dell’interprete", inTRAlinea Vol. 21.

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Stable URL: https://www.intralinea.org/archive/article/2346

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