A Bear Called Paddington: uno studio diacronico delle traduzioni del romanzo di Michael Bond

By Salvatore Ciancitto (Università di Catania, Italy)

Abstract & Keywords

English:

The focus of this work is on children’s literature in translation. Children’s literature began to be a culturally admitted genre only from the beginning of 18th century. The whole industry of children’s books began to gain importance only in the second half of the 19th century. There are several reasons for this delay in the production of books specifically written for children. The main factor that gave rise to the development of children’s literature was a change at the beginning of the 17th century in the way childhood was understood by adults; children were now considered to be individual people distinct from adults, with their own needs and interests. Critical interest in the translation of children’s literature has developed only over the last 30 years. The first signs of an interest in the issues of cross-cultural influences and the international diffusion of children’s literature arose from the discipline of Comparative Literature. With the introduction of “Translation Studies” in  the 20th century, a new approach to the translation activity came out, no longer prescriptive but also descriptive, joining together theory and practice. Unlike adult’s literature, norms governing children’s literature are imposed by several cultural systems such as the educational, ethical and religious ones. In accordance with these theories, in this paper we will analyze two different translations of the book A Bear called Paddington by Michael Bond written in 1958, the first book about the adventures of the bear that became a classic of children’s literature in the United Kingdom. In the diachronic study of the Italian versions, L’Orso del Perù and L’Orso Paddington that came out respectively in 1962 and 2014, we will take into account the social, cultural and ideological constraints involved with a translation from a source text to a target text, analyzing the particular case of children’s literature

Italian:

Il presente lavoro ha come oggetto la letteratura per l’infanzia in traduzione.  La letteratura per l’infanzia divenne un genere culturalmente riconosciuto solo agli inizi del XVIII secolo, e ottenne rilevanza nell’editoria, dalla metà del XIX. secolo; questo ritardo nella creazione di una produzione vera e propria di libri dedicati ai bambini, è dovuto a vari fattori. Il fattore primario, che diede il via allo sviluppo di una letteratura per l’infanzia fu una rivoluzione agli inizi del XVII secolo, riguardante la maniera in cui la società percepiva il bambino, non più considerato alla stregua dell’adulto ma ritenuto un individuo a sé, con particolari bisogni e interessi. Pertanto, anche lo studio critico della traduzione di libri per l’infanzia si è sviluppato relativamente tardi. I primi segni di un interesse inerente a questioni di influenze interculturali e alla diffusione a livello internazionale della letteratura per l’infanzia emersero all’interno di un ramo della Letteratura Comparata.  In seguito nel XX secolo, con l’avvento dei “Translation Studies”, si propone un nuovo approccio descrittivo e non più solamente prescrittivo all’attività traduttiva, collegando così insieme teoria e pratica. A differenza di quanto avviene nella letteratura per gli adulti, è ancor più importante rispettare precise norme didattiche, etiche e religiose, per far sì che l’opera sia accettata e riconosciuta come valida dal sistema letterario. Il traduttore ha quindi il compito di produrre un testo utile ed appropriato a un giovane lettore, che sia in accordo con ciò che la società, in un dato periodo, ritiene valido a livello educativo. Alla luce di questi studi, si prenderanno in analisi due diverse traduzioni italiane del romanzo A Bear Called Paddington di Michael Bond datato 1958 che fu il primo a trattare le avventure dell’orsetto divenuto un classico della letteratura per l’infanzia nel RegnoUnito. Nello studio diacronico delle due versioni italiane, L’Orso del Perù e L’Orso Paddington rispettivamente datate 1962 e 2014, si terrà conto delle implicazioni sociali, culturali e ideologiche che intervengono nella trasposizione di un testo da una lingua dipartenza (LP) a una lingua d’arrivo (LA) nel caso specifico dei libri per l’infanzia.

Keywords: letteratura per l'infanzia, paddington bear fictional character, Michael Bond, children's literature, literary translation, traduzione letteraria

©inTRAlinea & Salvatore Ciancitto (2018).
"A Bear Called Paddington: uno studio diacronico delle traduzioni del romanzo di Michael Bond", inTRAlinea Vol. 20.

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Il punto focale del presente lavoro riguarda l’analisi diacronica delle due principali versioni italiane del primo romanzo di Michael Bond incentrato sulle avventure dell’orso Paddington. Alla luce delle principali teorie dei Translation Studies, concernenti la letteratura per l’infanzia, vedremo nello specifico come esse agiscono all’interno del testo, e come, nel corso degli anni e nella visione di due diversi traduttori, le loro rispettivescelte traduttive influiscano sul target text.

1. Tradurre la letteratura per l’infanzia

Lo studio dei diversi approcci teorici al testo da tradurre ci permette di osservare come questi possano modificare la ricezione del testo nella cultura d’arrivo. In seguito agli studi di Bassnett e Lefevere (1990), il passaggio ad un’analisi descrittiva del testo tradotto e l’attenzione nei riguardi del contesto socioculturale d’arrivo si dimostrarono elementi particolarmente rilevanti nel campo specifico della traduzione della letteratura per l’infanzia.

Uno dei primi studiosi a dedicarsi allo studio del processo linguistico nella traduzione di libri per bambini fu Göte Klingberg lo svedese co-fondatore della IRSC (International Research Society for Children’s Literature). Egli scrive nel 1978, in collaborazione con Mary Ørvig, Children’s Books in Translation e nel volume indica i possibili futuri sviluppi della ricerca sulla traduzione, come, ad esempio, lo studio statistico dei flussi di traduzione legati a fattori tecnici ed economici e il passaggio dalla selezione dei libri da tradurre fino alla ricezione e all’impatto nella cultura d’arrivo. Quest’opera insieme a Children’s Fiction in the Hands of the translators del 1986, furono per molti anni le uniche pubblicazioni sulla traduzione per l’infanzia.

L’avvento del nuovo millennio segna un altro punto importante inerente al dibattito e alla conoscenza della traduzione per l’infanzia; furono pubblicati due nuovi importanti contributi: Kinderliterarische Komparatistik (2000) di Emer O’Sullivan, la quale applica la letteratura comparata allo studio della traduzione per l’infanzia, e Translating for Children (2000) di Riitta Oittinen. Quest’ultima rispetto a O’Sullivan segue una diversa linea d’indagine, concentrando i suoi studi sul bambino in quanto lettore, spettatore e uditore e analizzando le sue potenziali risposte al testo tradotto.

1.1 Lo status del genere e la percezione del bambino nel tempo

Zohar Shavit nel suo libro Poetics of Children’s literature del 1986 parte da un’analisi dell’evoluzione dello status della letteratura per l’infanzia nel corso del tempo per capire come, in seguito al modificarsi del concetto di infanzia, cambia il modo di produrre testi e traduzioni per bambini; Shavit riteneva che ci fosse una connessione tra lo sviluppo della nozione di infanzia e la relativa letteratura, che si sviluppò solo a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo.

Nei secoli precedenti la società aveva una percezione totalmente diversa del bambino e questa cominciò a cambiare nel corso del diciassettesimo secolo. Non era possibile la nascita di una letteratura per l’infanzia fin quando non fossero stati riconosciuti e legittimati i bisogni del bambino, distinti da quelli dell’adulto. Come afferma Townsend (1977: 17) autore e studioso di letteratura per bambini: ‘Before there could be children’s books, there had to be children—children, that is, who were accepted as beings with their own particular needs and interests, not only as miniature men and women’.

Per la prima volta si attribuirono al bambino le qualità angeliche di innocenza e dolcezza, caratteristiche che vennero riconosciute già all’interno del nucleo familiare. In un secondo momento nacque la necessità di preservare il benessere del bambino e diventò quindi importante il ruolo dell’adulto per favorirne la crescita, l’educazione e la salute.

Il bambino divenne una creatura da proteggere e istruire, si sviluppò quindi la necessità di creare un sistema educativo organizzato e di conseguenza aumentò la richiesta di libri per l’infanzia, considerati inizialmente soltanto strumenti pedagogici.

La nascita di un sistema educativo affidato alle scuole fu il fattore determinante per la diffusione di libri per bambini ed esso fu inizialmente appannaggio esclusivo delle istituzioni religiose; difatti i libri per bambini avevano lo scopo di istruire, impartire precetti religiosi e educare alla morale.

Nella seconda metà del XIX secolo, con la nascita di nuove scuole di pensiero in campo educativo, cambiò anche la produzione di libri per l’infanzia. La letteratura per bambini in Europa riuscì ad affrancarsi dall’egemonia del solo approccio didattico, orientandosi verso la produzione di opere per l’intrattenimento e per il piacere della lettura.

Lo stretto legame di questo genere al sistema educativo fu la principale causa del ritardo della sua diffusione come letteratura ufficialmente riconosciuta, quindi accettata dalla società e considerata egualmente valida rispetto alla letteratura per gli adulti.

La tendenza a ritenere la letteratura per l’infanzia di secondaria importanza (Shavit, 1992) è dovuta anche ad altre ragioni, tra le quali il fatto che questi libri fossero scritti per una minoranza: i bambini che in molti sistemi culturali, così come le donne, erano considerati individui ai margini della società.

La letteratura per l’infanzia, diversamente dalla letteratura per adulti, era caratterizzata da strutture fisse e molto semplici quali l’opposizione tra bene e male e il lieto fine, pertanto non degna di particolare interesse. Inoltre, il predominio delle donne nella produzione e traduzione di queste opere, unitamente ai fattori elencati in precedenza, contribuì a relegare questo genere ad un ruolo minore. La struttura del sistema letterario fu dunque lo specchio della gerarchia all’interno del nucleo familiare tra Ottocento e Novecento, caratterizzata dalla predominanza dell’uomo. Per citare Hearne (1991: 111): ‘The conventional literary system is very like the traditional family: adult male literature predominates, women’s literature is secondary, while children’s literature is at the bottom of the heap […]’.

1.2 Tradurre la letteratura per l’infanzia: approcci teorici

Attraverso l’analisi dello status della letteratura per bambini, Shavit intendeva dimostrare come le traduzioni di queste opere siano influenzate dalla loro posizione all’interno del sistema letterario.

La studiosa sosteneva infatti che la posizione periferica di questa letteratura fece si che il traduttore di libri per bambini manipolasse il testo a suo piacimento, aggiungendo, eliminando e abbreviando. Secondo Shavit, queste trasformazioni erano accettabili solo nel caso in cui fossero stati rispettati due principi alla base della traduzione dei libri per l’infanzia: in primo luogo, rendere il testo appropriato e utile al bambino, in linea con i principi educativi ritenuti opportuni dalla società in un dato periodo; in secondo luogo, modificare il testo nella forma, nel linguaggio e nel contenuto per adattarlo alle abilità di lettura e comprensione che la società riconosce al bambino.

Shavit sottolinea inoltre come in diversi periodi si assiste al prevalere di uno dei due principi sull’altro: difatti, fin quando prevalse l’idea di una letteratura per l’infanzia meramente educativa, il primo principio fu dominante; differentemente da quanto accade ai giorni nostri, in cui la tendenza prevalente è l’attenzione verso il livello di comprensione del bambino e la conseguente modifica del testo per adattarlo alle sue esigenze. Secondo Shavit esistono inoltre cinque Systemic constraints (Shavit 1986: 93), principi che regolano le scelte traduttive, ed in generale l’approccio del traduttore nei confronti del contenuto e della formulazione verbale di una traduzione per bambini. In primo luogo, il testo deve essere conforme ai modelli già esistenti nel sistema d’arrivo, secondariamente è possibile eliminare le parti del testo ritenute poco comprensibili per un bambino e che non seguono i principi morali dominanti. Il terzo principio prevede che il testo sia abbreviato, semplificato nella struttura, nelle tematiche e nel linguaggio; il quarto è basato sul concetto che la letteratura per l’infanzia è uno strumento utile ai fini didattici e di conseguenza va adattato alle teorie prevalenti in ambito educativo; infine, bisogna rendere il testo conforme alle norme stilistiche del genere letterario, che possono però variare da cultura a cultura.

Toury (1980), in contrapposizione con le tradizionali teorie traduttive orientate verso il Source Text, preferisce un approccio orientato verso il Target Text. La traduzione non dev’essere dunque una semplice ricostruzione dell’originale, ma un testo a sè che appartiene in primo luogo al sistema letterario ricevente, e pertanto, deve rispettarne norme linguistiche e letterarie. Il testo tradotto oscilla quindi tra i due fondamentali principi di adeguatezza e accettabilità; seguendo il primo principio, otterremo un testo che osserva le norme della lingua e del sistema letterario di partenza, correndo il rischio che queste possano essere in contrasto con le regole del sistema letterario ricevente. Seguendo il secondo principio, avremo un testo maggiormente compatibile con le norme dominanti nel sistema letterario d’arrivo. Il prevalere di uno dei due principi è determinato, secondo Toury, dalle norme traduttive; queste ultime si dividono in due categorie: le norme preliminari, che influenzano la scelta delle opere da tradurre, e le norme operative, che guidano le scelte del traduttore durante il processo traduttivo.

Il metodo di Toury permette quindi di analizzare le traduzioni letterarie nel loro settore specifico, come nel caso delle traduzioni della letteratura per l’infanzia, dove le norme traduttive tendono ad avvicinarsi al principio di accettabilità. In questo caso è il bambino, lettore modello, a imporre l’uso di questo orientamento nelle scelte traduttive, poiché si presuppone che egli, non avendo esperienze di vita e adeguate abilità nella lettura, non sia in grado di comprendere elementi estranei alla propria cultura.

Klingberg (1986), diversamente da quanto espresso da Shavit e Toury, partendo dall’idea che l’autore del source text abbia già preso in considerazione le esigenze, le abilità e gli interessi di un giovane lettore rendendo il proprio testo adatto ad un bambino, ritiene che il grado di adattamento del source text dev’essere mantenuto nel testo tradotto. Klingberg si fa dunque sostenitore del concetto di adeguatezza sopra citato, preferendo una maggiore fedeltà al source text e mantenendo il grado originale di adattamento. Lo studioso non prende in alcun modo in considerazione le differenze riscontrabili tra due diversi sistemi letterari, che possono richiedere livelli diversi di difficoltà linguistica o idee divergenti riguardo l’adeguatezza di un testo per bambini; ciò rappresenta sicuramente un limite all’interno delle teorie di Klingberg.

Oittinen (2000) non concorda nel ritenere la traduzione un atto di trasposizione meccanica che getta nell’ombra la figura del traduttore; la studiosa focalizza l’attenzione non tanto sull’autorità dell’autore, quanto sulle intenzioni dei lettori del testo in traduzione, rappresentati in primo luogo dal traduttore stesso. L’esperienza di lettura del traduttore assume quindi fondamentale importanza nella creazione di un testo del tutto nuovo, piuttosto che una mera riproduzione dell’originale. Il traduttore instaura una relazione con il testo di partenza, aprendo un dialogo con esso, con il lettore e con l’idea di bambino che ha in sé. Per la prima volta l’attenzione si focalizza sul punto di vista dei bambini in quanto lettori, beneficiari dell’intero processo traduttivo. Altri aspetti sottolineati da Oittinen sono quelli del ritmo, della fluidità del testo e della sua capacità di essere letto ad alta voce (Oittinen 2000: 32-7), caratteristiche fondamentali dei libri per bambini che spesso vengono pensati per essere letti dagli adulti ai più piccoli. Nonostante la studiosa finlandese si allontani dalle teorie orientate verso il source text, i suoi studi sono difficilmente applicabili nella pratica: un’interpretazione troppo personale del source text da parte del traduttore corre il rischio di non essere accettata dal sistema d’arrivo.

1.3 I problemi legati alla traduzione dei libri per l’infanzia

Nella produzione dei testi per bambini, siano essi originali o traduzioni, è necessario tener presente sia le esigenze del lettore-bambino che l’autorità dell’adulto in qualità di scrittore, traduttore, editore e responsabile delle scelte di lettura del bambino.

Una delle maggiori difficoltà che deve affrontare il traduttore è rappresentata dai limiti conoscitivi del bambino riguardo le lingue, la geografia e gli aspetti culturali lontani dalla propria realtà. Per ovviare a questi problemi spesso si ricorre all’utilizzo di una strategia definita da Lawrence Venuti come domestication, ovvero avvicinare il testo al lettore del target text rendendolo più comprensibile. Con l’espressione di Klingberg Cultural context adaptation (Klingberg 2008: 14) si è soliti indicare una serie di procedure utilizzate nella traduzione per rendere più familiari elementi che un giovane lettore difficilmente potrebbe comprendere come: nomi o località straniere, cibi, bevande, unità di misura e sistema monetario. Nonostante l’adattamento o domestication sia il metodo maggiormente utilizzato, molti studiosi si schierano contro questa strategia ritenendo che essa sottovaluti le abilità del bambino di proiettarsi verso realtà diverse dalla propria.

É compito del traduttore orientarsi verso una teoria traduttiva piuttosto che un’altra; analizzando il caso specifico della traduzione dei nomi propri vedremo quali sono i fattori che possono influenzare tale scelta. Nel genere della letteratura per l’infanzia, spesso i nomi propri assumono particolare importanza ai fini del racconto, ‘É tipico dei racconti e dei fumetti per bambini l’uso di nomi doppi e allitterati, si pensi a Mickey Mouse, Donald Duck e Peter Pan’ (Katerinov 2011:90).

Altrettanto frequente è l’uso di nomi propri che rimandano a caratteristiche fisiche o comportamentali del personaggio stesso, sfumature di significato che potrebbero perdersi nella traduzione da una lingua ad un’altra: in questo caso il traduttore dovrebbe usare la propria fantasia trovando un nome adeguato nel testo d’arrivo.

Un altro fattore che determina le scelte traduttive è la relativa impermeabilità di alcuni sistemi letterari dominanti che tendono ad evitare influenze ideologiche esterne e ad eliminare tutti i dettagli che possano associare il testo a specifici luoghi o culture. Come, ad esempio, accade nelle traduzioni francesi, nelle quali tutti i termini che rimandano a nomi, luoghi, concetti legati ad una cultura straniera sono addomesticati e francesizzati, a volte anche in maniera forzata, con l’unico vantaggio di dare al testo caratteristiche universali.

Nel caso in cui nel target text si volesse mantenere in originale molti dei nomi propri, da un lato si riuscirebbe ad immergere il lettore in un’atmosfera nuova, permettendo uno scambio tra culture, dall’altro si correrebbe il rischio che molti nomi possano risultare difficili nella pronuncia e nella comprensione; in ogni caso questa scelta sarà sempre influenzata dall’idea di “lettore modello”, il bambino, e dalle capacità cognitive ad esso riconosciute in una data fascia di età.

Così come accade per i nomi, le stesse strategie traduttive entrano in gioco quando il traduttore viene posto davanti al problema della traduzione dei nomi di cibi e bevande, temi ricorrenti all’interno dei libri per bambini. Il cibo rappresenta felicità e sicurezza. È usato come espediente per ritmare la narrazione (Lathey 2006:86)

Quando si traducono testi rivolti ai bambini, bisogna prendere in considerazione un altro elemento di fondamentale importanza: queste opere sono nella maggior parte dei casi pensate per una lettura ad alta voce da parte dell’adulto. Il traduttore deve tener presente che per i bambini in età prescolare l’ascolto dei testi è l’unico modo per aver accesso al mondo della letteratura. È indispensabile quindi che il testo risulti scorrevole, quasi musicale; il ritmo diventa dunque un aspetto importante da preservare e inoltre la punteggiatura va curata per indicare pause, accenti e intonazione da dare al testo durante la lettura. Ripetizioni, rime, onomatopee, giochi di parole sono tutte caratteristiche dei testi per bambini e rappresentano per il traduttore delle vere e proprie sfide di creatività linguistica.

Nel leggere un testo ad alta voce è come se l’adulto stesse recitando per il bambino che riveste il ruolo di spettatore. In questo caso, l’adulto che legge agisce anche da moderatore capace di influenzare la percezione che il bambino ha del racconto; l’adulto può spiegare i passaggi meno chiari, omettere o modificare le parti che non ritiene comprensibili o adeguate al concetto di bambino che lui stesso ha.

Il traduttore di libri per l’infanzia, inoltre, deve prestare particolare attenzione sia alle immagini che accompagnano un testo in prosa, sia all’intricata relazione tra immagini e testo come nel caso dei moderni libri illustrati; la dimensione visiva presente in questi testi è stata oggetto di una lunga analisi. L’aspetto di un libro è importante per il bambino e spesso include non solo le illustrazioni, ma anche la copertina, la pagina iniziale, il carattere di scrittura, tutti elementi che hanno un impatto emotivo sul lettore. Come già espresso precedentemente, il teatro e i film sono forme d’arte connesse ai libri illustrati, poiché il lettore partecipa all’interazione tra immagini e parole che gli fornisce un’idea della scena, dei personaggi e dell’ambientazione della storia, così come accade nei film o a teatro.

Nonostante sia convinzione comune considerare il linguaggio delle immagini internazionale e capace di superare limiti linguistici e culturali, secondo quanto scrive Emer O’ Sullivan (2006: 113) ‘nella traduzione di libri illustrati, nessun elemento – parole o immagini – può essere isolato’[1]. L’interazione tra visivo e verbale, ovvero che cosa mostrano le immagini in relazione alle parole, crea un gap di significato che spetta al lettore colmare: più intricato è il rapporto tra immagini e parole, più sarà difficile il compito del traduttore.

Un altro dei processi traduttivi che va sotto il nome di cultural context adaptation comprende tutte quelle modifiche apportate in fase di traduzione, legate a fattori ideologici e morali. Infatti, la letteratura per l’infanzia, soprattutto nel passato, era strettamente legata all’ambito educativo, anche per questa ragione la produzione di tali opere era regolata da una serie di tabù quali: la morte, la violenza, il sesso. Un tempo molte opere subivano infatti un processo di “purificazione”, ovvero di censura dei testi o di alcune parti ritenute non conformi alla morale; questa pratica era vista non come un atto di intolleranza ma piuttosto di salvaguardia dell’infanzia e in generale del benessere della società.

2. A Bear Called Paddington

2.1 L’autore e l’opera

Michael Bond nacque a Newbury (UK) il 13 gennaio del 1926 e, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu al servizio dell’esercito inglese, ma cominciò a scrivere nel 1945, vendendo il suo primo racconto ad un giornale: il London Opinion.

Durante la vigilia di Natale del 1956, acquistando un orsetto di pezza da regalare alla moglie, nacque in lui l’idea di scrivere delle storie che avessero come protagonista proprio quell’orsetto che chiamò Paddington, dal nome della stazione ferroviaria londinese vicino alla quale viveva. Il libro fu accettato dalla Casa Editrice William Collins and Son, oggi Harper Collins, che scelse un illustratore: Peggy Fortnum. In seguito, nell’ottobre del 1958, A Bear Called Paddington fu pubblicato. Bond (2014) stesso afferma: ‘L’orso Paddington non è nato come libro. Il paragrafo iniziale non erano che poche righe scritte un mattino presto […] quel paragrafo catturò la mia fantasia, così ne scrissi un secondo, e poi un terzo, alla fine della giornata, avevo completato un’intera storia’. Dopo il successo del primo racconto, Bond cominciò a scrivere una collana dedicata all’orsetto, diventando così uno scrittore a tempo pieno. I libri dedicati a Paddington hanno venduto più di trentacinquemila copie in tutto il mondo e sono stati tradotti in più di quaranta lingue, persino in latino. L’orso educato proveniente dal lontano Perù è diventato un’icona della letteratura per l’infanzia inglese; Paddington è stato anche protagonista di diverse serie tv per bambini e di un film dedicato alle sue avventure rilasciato nelle sale in Inghilterra il 28 novembre 2014.

Nel 1977 Michael Bond fu premiato dall’OBE, per i servizi prestati alla letteratura per l’infanzia nel RegnoUnito; nel 2002 la National Portrait Gallery di Londra lo ha incluso tra i più grandi autori per ragazzi del Novecento. Al giorno d’oggi Bond ha scritto 150 libri e vive a Londra non lontano dalla stazione di Paddington.

Il primo libro della collana narra dell’incontro tra i signori Brown e l’orsetto, che avviene proprio nella stazione di Paddington. L’orso partito dal lontano Perù, dopo aver affrontato un lungo viaggio dentro una scialuppa di salvataggio, giunge a Londra con il suovecchio cappello, una valigia di cuoio logora e una targhetta al collo con scritto sopra: “Per favore abbiate cura di quest’orso”. Accolto come un membro della famiglia dai Brown e dai loro due figli Jonathan e Judy, Paddington comincia così la sua nuova vita in Inghilterra. Per quanto l’orsetto sia ben educato e abbia “i piedi per terra e un forte senso del giusto e dell’ingiusto”, riesce sempre a cacciarsi nei guai e a combinare pasticci. Passo dopo passo, il libro narra le avventure e disavventure del piccolo orso, che con l’ingenuità di un bambino e nel contempo la razionalità di un adulto, affronta per la prima volta un mondo a lui sconosciuto.

2.2. La modernizzazione nei testi originali

La letteratura per l’infanzia è caratterizzata da un’instabilità del testo che emerge nelle graduali modifiche subite negli anni; inoltre, la scarsa considerazione riservata a questo genere lo rende ancor più suscettibile a censure e alterazioni.

Può accadere che i testi originali possano essere modificati nelle edizioni seguenti per conformarsi agli standard sociali che prevalgono in un determinato periodo e per soddisfare le specifiche domande del mercato. A volte, la ragione di queste modifiche è da attribuire a motivi di ordine commerciale volti all’incremento delle vendite; in altri casi, le modifiche vengono apportate per rendere il testo più fruibile ai lettori in base al variare degli stili di vita e dei costumi sociali, in modo particolare per quanto riguarda cibo, moda, mezzi di trasporto e sistema monetario.

Queste modernizzazioni, così come le definisce Klingberg, possono essere attuate sia dall’autore del testo originale che dal traduttore; spesso interessano l’adattamento di arcaismi del linguaggio che si sostituiscono con termini di uso comune, in modo tale da rendere il testo più comprensibile ad un lettore moderno. Come afferma Klingberg (Oittinen 2000: 90) ‘As modernization one could term attempts to make the target text of more immediate interest to the presumptive readers by moving the time nearer to the present time or by exchanging details in the setting for more recent ones’.

L’esistenza di un testo originale, che nel corso degli anni ha subito modifiche, anche a causa delle funzioni didattiche e morali che è chiamato ad esercitare, può causare difficoltà quando si fa un’analisi comparativa delle sue traduzioni. L’instabilità del testo è una caratteristica riscontrata nel romanzo preso in esame all’interno di questo lavoro.

Dal confronto preliminare delle due edizioni in lingua originale in nostro possesso, rispettivamente datate 1967 e 2012, emergono discrepanze relative a concetti o vocaboli modificati da un’edizione all’altra. Per citare alcuni esempi, nel primo capitolo dell’edizione del 1967, che narra l’incontro dei Brown con Paddington in una stazione ferroviaria, troviamo:

Trains were whistling, taxis hooting, porters rushing about shouting at one another.

Nell’edizione del 2012 la stessa frase diventa:

Trains were humming, loudspeakers blaring, porters rushing about shouting at one another.

In questo caso si può parlare di modernizzazione: il vocabolo «whistling», che rimanda al suono tipicamente emesso dalle locomotive a vapore, ancora in funzione ai tempi della prima edizione del libro, è stato sostituito con il vocabolo «humming», suono che si addice maggiormente ai treni moderni e potrebbe risultare più familiare a un lettore dei giorni nostri. Per rendere l’ambientazione ancor più vicina alla realtà di un lettore moderno, nella versione del 2012 si fa riferimento agli altoparlanti, ormai diffusi in tutte le odierne stazioni ferroviarie, come osserviamo infatti «taxis hooting» è stato sostituito da «loudspeakers blaring».

Per lo stesso motivo, più avanti, la frase: an engine […] gave a loud whistle and let off a cloud of steam (1958/1962: 12) è stata sostituita con: an engine […] gave a loud wail and a train began to move. (2012: 14)

Possiamo nuovamente parlare di modernizzazione confrontando altre frasi delle due versioni:

1967: I distinctly saw it. Over there—behind those mailbags. (p. 8.)
2012: I distinctly saw it. Over there—near the bicycle rack. (p. 9).

Evidentemente si è cercato un’altra volta di modificare un elemento che descrive un’abitudine ormai desueta, infatti il trasporto di posta non avviene quasi più su rotaia e non è più consuetudine trovare sacchi postali all’interno di una stazione ferroviaria come quella londinese di Paddington.

Analizzando le parti in cui ci sono riferimenti al sistema monetario, si possono notare anche in questo caso cambiamenti apportati alla versione più recente del romanzo. Nel corso degli anni è cambiato il sistema monetario inglese e allo stesso tempo anche il valore attribuito al denaro, per questa duplice ragione notiamo le seguenti variazioni:

1967: Bears is sixpence extra […] sticky bears is ninepence! (p. 18).
2012: Bears is extra […] sticky bears is twice as much again (p.21).

Nell’esempio sopra citato, l’autore ha scelto di eliminare del tutto il riferimento al sistema monetario; più avanti nella narrazione, esattamente nel secondo capitolo, all’interno del dialogo tra i signori Brown riguardo la paghetta settimanale da dare all’orsetto, si è scelto di adeguare l’espressione usata nella prima edizione al sistema monetario attuale e al diverso valore che si attribuisce oggi alla stessa cifra:

1967: He can have one [shilling] and sixpence a week, the same as other children (p. 28).
2012: He can have a pound a week, the same as other children (p. 33).

Un’altra variazione al testo, stavolta legata a ragioni socioculturali, è riscontrabile nel primo capitolo del libro. La modifica che interessa solo un pronome personale, per quanto possa sembrare poco significativa, è legata invece ad un importante cambiamento nel sistema sociale. Le parole sono pronunciate dalla signora Brown al marito e riguardano la decisione di portare l’orso a casa con loro e l’eventuale reazione dei figli qualora ciò non accadesse:

1967: They’d never forgive you if they knew you’d left him here (p. 11).
2012: They’d never forgive us if they knew you’d left him here (p. 13).

Il cambio del pronome indica una variazione all’interno delle gerarchie familiari. Se un tempo all’interno del nucleo familiare le decisioni erano esclusivamente dettate dal capofamiglia, ai giorni nostri il ruolo educativo è riconosciuto ad entrambi i genitori in maniera paritaria, quindi la signora Brown è partecipe della scelta unitamente al marito.

È importante sottolineare, inoltre, un’altra modernizzazione attuata nella nuova edizione del 2012, riguardante un termine che negli anni ha acquisito un’accezione fortemente negativa, diventando un tabù soprattutto se inserito in un testo pensato per bambini. All’interno del quarto capitolo vediamo Paddington alle prese con l’acquisto di un nuovo cappello e, alla proposta di fare dei buchi per le orecchie dell’orso, il commesso inizialmente inorridisce, per poi lasciarsi convincere dall’occhiata gelida di Paddington.

Nella frase:

1967: The assistant’s voice trailed off.” I’ll go and fetch my scissors”, he said, in a queer voice (p. 56).

Il termine “queer” è utilizzato da Bond nella sua accezione positiva ovvero nel significato di “strano”. Nel tempo, l’uso di questo termine, soprattutto nel XX secolo, ha subito dei cambiamenti assumendo vari significati all’interno di diverse comunità. Per cui, il vocabolo si usa per indicare quelle persone il cui orientamento sessuale e/o identità di genere differisce da quello strettamente eterosessuale. Nella versione del 2012 si è resa necessaria quindi la sostituzione di quest’aggettivo diventato oramai un tabù:

2012: The assistant’s voice trailed off “I’ll go and fetch my scissors,” he said in a quiet voice. (p. 67).

L’aggettivo queer è sostituito da quiet ovvero “a bassa voce”.

3. La traduzione del titolo

Le traduzioni italiane del testo che andremo ad analizzare sono: L’Orso del Perù e L’Orso Paddington. Il primo, prodotto dalla Vallecchi editore nel 1962, la cui traduzione è a cura di Donatella Ziliotto e Isabella Errico, fa parte della collana Il Martin Pescatore a cura della stessa Ziliotto ed è la prima traduzione italiana dell’opera di Michael Bond. Il secondo, edito dalla Mondatori nel dicembre 2014, è stato pubblicato in concomitanza con l’uscita nelle sale del film dedicato all’orsetto; la traduttrice è Angela Ragusa. Entrambi i testi mantengono le illustrazioni originali a cura di Peggy Fortnum. L’analisi delle strategie traduttive, attuate all’interno dei testi, inizia già dal confronto dei titoli delle due traduzioni italiane prese in esame:

ST: A Bear called Paddington
TT 1962: L’Orso del Perù
TT 2014: L’Orso Paddington

Non sempre le strategie traduttive sono dettate esclusivamente dal traduttore; infatti, è possibile che intervenga la Casa Editrice per stabilire la scelta del titolo e in generale di tutti gli elementi del paratesto. Nell’edizione del 1962, si nota la tendenza ad escludere la specificità culturale dell’opera, sottolineando invece un aspetto diverso non espresso nel titolo originale. É probabile che le ragioni di questa scelta risiedano nella volontà di evitare l’uso di vocaboli che avrebbero prodotto un effetto straniante e rendere di conseguenza il titolo più accattivante agli occhi del lettore della lingua d’arrivo. Tuttavia, in uno studio precedente (Sezzi, 2001: 71), si evidenzia un cambio di prospettiva dato dalla scelta traduttiva del 1962, per cui si pone in rilievo il luogo di provenienza del protagonista e non il nome che gli è stato imposto, con la conseguente accettazione da parte di Paddington delle regole e delle norme del Paese che lo sta accogliendo. La scelta attuata dalla traduttrice del 2014 sottolinea invece la volontà principale di mantenere l’aspetto culturospecifico dell’opera, evitando di stravolgere il titolo originale, non ritenendo che l’aspetto esotizzante del nome Paddington potesse influenzare o meno il lettore nella scelta del libro.

 Le due traduzioni riflettono anche due diverse immagini del bambino: nella versione del 1962 non si riconoscono al lettore modello abilità interpretative tali da poter comprendere riferimenti ad una cultura lontana dalla propria; si sceglie infatti di eliminare dal titolo il nome inglese Paddington preferendo sottolineare un'altra peculiarità del protagonista, citando cioè il luogo d’origine. Nell’analisi traduttiva che andremo ad affrontare, vedremo come queste scelte si riflettono all’interno dei target texts, mantenendo una sorta di coerenza.

4. La traduzione dei nomi propri

Nel caso della traduzione dei nomi propri, le scelte del traduttore possono essere influenzate dall’idea di lettore modello ricevente il testo, dalla fascia d’età a cui ci si rivolge, quindi dalle abilità cognitive che si attribuiscono al bambino. Nel nostro caso, nella versione del 1962 per quanto riguarda la traduzione di nomi propri relativi a persone o luoghi, si è scelto di adottare una tecnica mista sia straniante che addomesticante (Venuti, 2000: 19-20), pertanto, solo una minima parte dei nomi risulta tradotta in italiano. Nonostante l’uso di tecniche miste sia sconsigliato da Schleinmarcher (1816: 152; Nergaard 1993:153), secondo il quale adottando entrambi i metodi si rischia di ‘ottenere risultati estremamente incerti, con il rischio di smarrire completamente sia lo scrittore che il lettore’, i traduttori utilizzano spesso tecniche miste seguendo anche il proprio gusto personale, soprattutto nella traduzione dei nomi di personaggi per l’infanzia.

Nella traduzione del 1962, i nomi dei signori Henry e Mary Brown e dei loro due figli Judy e Jonathan sono rimasti invariati, nonostante siano tipicamente inglesi; anche Mr. Gruber antiquario del mercato di Portobello e Lucy, la Zia di Paddington, mantengono il proprio nome in traduzione. Probabilmente le traduttrici hanno preferito lasciare invariati i nomi dei personaggi principali della storia per evitare che il target text risultasse totalmente stravolto. Si è scelto invece di italianizzare il cognome della governante «MrsBird», che nella traduzione italiana diventa «La signora Faraona». Bird è un tipico cognome inglese, la cui traduzione letterale è “uccello”, tuttavia tale significato non è legato ad un aspetto fisico o comportamentale del personaggio, quindi irrilevante ai fini del racconto. Le traduttrici hanno comunque trovato un corrispettivo italiano a «Bird», traducendolo con un nome di uccello dal genere femminile, che fosse un po’ altisonante, data la figura di rilevante importanza rivestita dalla governante all’interno di casa Brown. Il cognome però non risulta familiare al lettore italiano tanto quanto il diffusissimo cognome inglese.

Un altro dei nomi a subire il processo di «addomesticamento» è quello del vicino di casa dei signori Brown: «Mr. Curry», tradotto in italiano come «Signor Zenzero». Nonostante il tentativo delle traduttrici di creare un cognome che avesse un qualche legame di significato con l’originale (Curry e Zenzero sono entrambe spezie), esso crea comunque un diverso effetto sul lettore del target text. Tale cognome è inusuale per un lettore italiano, quasi buffo, rende poco reale il personaggio e travisa l’intento del testo originale, che era quello di creare un contesto del tutto reale attorno alla figura di Paddington, un mondo familiare al lettore nel quale potersi riconoscere. All’interno del libro, in altri due casi, si è scelto di tradurre dei nomi propri, che stavolta hanno degli esatti equivalenti in italiano. I nomi sono legati a personaggi secondari della storia, si tratta di «Albert», commesso ai magazzini Barkridges, che nella versione italiana diventa «Alberto», e «Charlie», un fotografo, che viene tradotto con «Carletto». È chiaro in questo caso l’utilizzo di una tecnica mista, che non segue uno schema regolare nella scelta dei nomi da addomesticare.

Al contrario, nella versione del 2014, Angela Ragusa sceglie di lasciare tutti i nomi propri in originale, mantenendo la specificità culturale del testo. Se nel primo caso si è scelto di operare adattamenti, a volte non necessari, per semplificare il testo e avvicinarlo alla cultura d’arrivo poiché si sottovalutavano le capacità cognitive del bambino, nella più recente traduzione, la scelta straniante della Ragusa di mantenere i nomi nella loro forma originaria è probabilmente utilizzata come mezzo educativo atto a stimolare la curiosità del bambino e favorire l’arricchimento lessicale e culturale.

5. Gli elementi culturospecifici

All’interno di questo paragrafo ci occuperemo di tutti gli elementi strettamente legati alla cultura di partenza, definiti anche realia: cibi, unità di misura, luoghi, abitudini, riferimenti storico- culturali. Il testo di arrivo del 1962 dimostra una tendenza ambivalente rispetto agli elementi culturali, tuttavia si cerca di aderire il più possibile al testo di partenza, anche attraverso l’uso di strategie traduttive tese a sottolineare l’ambientazione della vicenda per compensare eventuali perdite di ‘colore locale’ (Sezzi: 72-3). Analizzando le diverse scelte effettuate dalle traduttrici nelle due versioni italiane del nostro romanzo, individueremo i casi in cui ci si orienta maggiormente verso il polo dell’adeguatezza o verso quello dell’accettabilità.

(i) La trasposizione del cibo

Il cibo è un elemento di fondamentale importanza all’interno della letteratura per bambini. Il romanzo di Michael Bond preso in analisi non fa eccezione; esso è infatti costellato di riferimenti al cibo, anche perché Paddington, come tutti gli orsi, è molto goloso. La traduzione dei cibi, però, rappresenta uno degli ostacoli più grandi per un traduttore, poiché spesso è difficile trovare un corrispettivo nella cultura d’arrivo quando si parla di piatti tipici o abitudini culinarie legate unicamente alla cultura del source text.

È il caso del termine inglese «bun», che troviamo più volte all’interno del testo; nella cultura inglese il vocabolo fa riferimento a un piccolo panino rotondo, che può essere sia dolce e ripieno di marmellata, che salato, consumato principalmente a colazione o per accompagnare il tè del pomeriggio. In entrambe le traduzioni, il termine viene adattato e reso comprensibile al lettore italiano; anche se non viene tradotto con un unico corrispettivo, ma cambia in riferimento alla scena e al contesto in cui appare. Nella traduzione del 1962 il termine «bun» viene tradotto con «sfoglia», «pasta»:

ST: Before Mr. Brown could answer he had climbed up and placed his right paw firmly on the bun. It was a very large bun, the biggest and stickiest […] Mr. Brown wished he had chosen a plain ordinary bun […]. (1967, 1ª ed. 1958) pp. 14-15.

TT 1962: E prima che il signor Brown potesse rispondere, l’orso vi si era già arrampicato e aveva appoggiato decisamente la zampa destra sulla sfoglia. Si trattava di una sfoglia molto grande, la più grossa e la più ripiena […] Il signor Brown cominciò a rimpiangere di non aver scelto una pasta più semplice e più comune […] (pp. 15-16).

É rilevante però come all’interno della stessa scena non vi sia coerenza, poiché entrambi i termini vengono indistintamente usati per indicare lo stesso cibo, creando una possibile confusione terminologica nel lettore.

Nella versione del 2014, risulta invece una maggiore coerenza nella scelta del corrispettivo italiano del realia «bun»: all’interno della stessa scena il termine viene tradotto unicamente con «pasta».

TT 2014: Prima che il signor Brown facesse in tempo a rispondergli, si arrampicò sul tavolo e piazzò deciso la zampa destra sulla pasta. Era una grossa pasta, la più grossa e appiccicosa […] Il signor Brown iniziava a pentirsi di non avere scelto una pasta più semplice, più normale […] (pp. 14-15)

Nel romanzo è presente un altro riferimento al cibo che si ripete spesso all’interno del testo; si tratta di «marmelade». Con questo termine si indica la confettura di arance o in generale di agrumi della quale Paddington, essendo un orso, è molto ghiotto. Nella versione italiana del 1962, il termine è tradotto con «marmellata di aranci», ma soltanto nell’uso comune e in modo improprio, si utilizza la parola arancio, plurali aranci, per indicare sia la pianta che il frutto; secondo le regole della grammatica italiana, il frutto dell’arancio è l’arancia che al plurale diventa arance. Nella traduzione del 2014 si è evitato l’uso di un termine grammaticalmente scorretto, soprattutto all’interno di un testo rivolto ai bambini, e si è preferito tradurre con «marmellata d’arance».

(ii) L’uso delle note e le unità di misura

All’interno dei Translation Studies, si è a lungo discusso del problema dell’invisibilità del traduttore da quando Lawrence Venuti (1995 :4-5) introdusse questo concetto secondo il quale ‘Sotto il regime della traduzione scorrevole, il traduttore e la traduttrice si sforzano di rendere il proprio lavoro “invisibile”, […] il testo tradotto deve sembrare “naturale” ovvero non tradotto’. Ma nella letteratura per l’infanzia la presenza del traduttore-narratore è più tangibile rispetto a quanto accade nella letteratura per adulti; la “voce” del traduttore può essere individuata principalmente all’interno delle informazioni paratestuali quali le prefazioni al testo o i chiarimenti metalinguistici, come le note a piè pagina. Le note, nel caso di una traduzione straniante possono aiutare ad avvicinare il testo al lettore, anche se molti editori e teorici della traduzione ‘le considerano nella migliore delle ipotesi l’ammissione di una sconfitta, nella peggiore una scorciatoia’ (Morini 2007:201).

Nella versione italiana del 1962, le traduttrici hanno adottato questa strategia traduttiva, inserendo delle note a piè pagina, per affrontare il problema della traduzione di elementi culturospecifici quali le unità di misura e, in particolare, le misure di peso e di valore. All’interno del primo capitolo del romanzo, a pagina 19, appare il primo riferimento alla moneta inglese, correlato da una nota a piè pagina che, rivolgendosi in prima persona al lettore, presenta una dettagliata descrizione del sistema monetario, unitamente ad uno specchietto che elenca tutte le monete e le banconote esistenti al tempo nonché le rispettive conversioni in lire.

1962: Ecco un brutto scherzo per il quale però ci ringrazierai quando un giorno andrai in Inghilterra e saprai tutto delle innumerevoli monete inglesi e del loro valore, dei pesi e delle misure di lunghezza. […] (N.d.T). (pp. 19-20)

Il traduttore interviene nel testo e, rivolgendosi direttamente al bambino, manifesta la sua presenza, ciò esplicita l’intento primario legato alla scelta dell’introduzione della nota, ovvero quello educativo-didattico, chiarendo un passaggio che riteneva difficile da comprendere per il suo giovane lettore. Nella versione italiana del 2014, invece, la traduttrice opta per una trasposizione letterale del riferimento alla moneta inglese in tutti i casi riscontrati nella narrazione, preferendo evitare l’uso di una nota esplicativa, in modo da mantenere inalterata la specificità culturale del testo ed evitare così il suo intervento diretto, che avrebbe causato un’interruzione nella narrazione. La traduttrice riconosce così al lettore la capacità di comprendere un riferimento ad una cultura lontana dalla propria, poiché facilitato, diversamente da quanto avveniva in passato, dallo scambio tra culture che negli ultimi anni si è sviluppato in maniera esponenziale.

Per quanto concerne la traduzione delle misure di peso, nell’edizione del 1962 si sceglie di non tradurre i corrispettivi termini inglesi, introducendo nuovamente una nota esplicativa. A pagina 77 del libro troviamo infatti uno specchietto che comprende un elenco di tutte le unità di peso del sistema di misura inglese ed il loro corrispettivo in grammi e kilogrammi. Diversamente da ciò, la traduttrice Angela Ragusa, nella versione del 2014, attua una conversione esatta dei valori, esprimendoli secondo le unità di misura italiane:

ST: After a big meal on a Sunday, Paddington had discovered he weighed nearly sixteen pounds. (p. 7).

TT 1962: Dopo il ricco pranzo domenicale, l’orso aveva scoperto di pesare quasi sedici pound […]» segue nota del traduttore (p. 78).
TT 2014: Dopo un abbondante pasto domenicale, aveva scoperto di pesare quasi sette chili.» (p. 81).

La traduttrice adotta la stessa strategia traduttiva anche nel caso della traduzione delle misure di lunghezza e delle taglie, riportando i valori secondo il sistema italiano. Cambia invece l’approccio traduttivo nel testo del 1962, nel quale, contrariamente a quanto descritto in precedenza, non si inseriscono note esplicative ma si preferisce omettere il riferimento al sistema di misura.

ST: See what we have in size 4 ⅞. (p. 53).

TT 1962: Guarda che cosa c’è rimasto della taglia per…ragazzi. (p. 60)
TT 2014: Vedi cos’abbiamo della taglia quaranta. (p.60)

Allo stesso modo:

ST: Paddington followed the assistant, keeping about two feet behind him […] (p. 54)

TT 1962: Paddington seguì il commesso a una certa distanza […] (p. 61)
TT 2014: Paddington lo seguì a mezzo metro di distanza […] (p.61)

La presenza del traduttore all’interno dell’edizione italiana del 1962 diventa nuovamente tangibile a pagina 124, attraverso l’inserimento di una nota per chiarire la consuetudine di festeggiare il compleanno della Regina d’Inghilterra in due date diverse nel rispetto della tradizione. L’inserimento metatestuale è atto a colmare il residuo traduttivo (Osimo 2004 :133) creato da un elemento culturale sconosciuto alla maggior parte dei lettori italiani. Nella traduzione del 2014, si sceglie nuovamente di non inserire chiarimenti metalinguistici, ritenendoli superflui in questo specifico caso.

(iii) Tradurre i luoghi

Come già si evince dall’analisi delle strategie traduttive sopra citate, nella versione italiana del 1962 prevale la tendenza addomesticante atta ad avvicinare il testo alla cultura d’arrivo, eliminando elementi stranianti, privilegiando l’identificazione e la riconoscibilità, dando la possibilità al lettore modello di identificarsi e sentirsi emotivamente vicino al personaggio e alla vicenda narrata. A tal proposito, per quanto riguarda la trasposizione in italiano di località inglesi menzionate nel racconto, le traduttrici Ziliotto ed Errico scelgono in alcuni casi di aggiungere elementi al testo che possano facilitarne la comprensione, in altri di naturalizzare il nome della località inglese, rendendo l’ambientazione più familiare al lettore italiano.

Per citare degli esempi, a pagina 40 del testo originale si fa riferimento a «Barkridges» una sorta di grande magazzino al quale Paddington si reca per fare acquisti; anche se ciò non è specificato nel testo originale, per un lettore inglese sarà facile collegare il nome ad uno dei famosi grandi magazzini londinesi (Selfridges). Per un lettore italiano, invece, tale riferimento rimane silenzioso, soprattutto se consideriamo le conoscenze del lettore modello ai tempi della prima traduzione del 1962, quando ancora la lingua e la cultura inglese non erano così diffuse. Si sceglie pertanto di aggiungere in traduzione il vocabolo «magazzini» per facilitarne la comprensione. Diversamente da quanto avviene nel target text del 1962, in quello del 2014 la traduttrice sceglie di trasporre letteralmente la frase non inserendo alcun termine atto a specificare.

ST: Mummy’s going to buy you a complete new outfit at Barkridges […] (p. 40).

TT 1962: Mamma ha deciso d’andarti a comperare un corredo completo ai Magazzini Barkridge […] (p.46).
TT 2014: Mamma vuole comprarti un completo nuovo da Barkridges. (p. 44).

In altre parti della traduzione del 2014, appare chiara la volontà di preservare inalterati gli elementi culturospecifici che riguardano i luoghi. Come ad esempio nel caso della spiaggia di «Brightsea», scenario della prima avventura al mare di Paddington, il cui nome rimane invariato nel target text. Nella traduzione del 1962 si sceglie ancora una volta una strategia addomesticante adattando il nome della località ad un contesto italiano, traducendolo con «Spiaggia di Sogno», nonostante non si crei un riferimento diretto ad una reale località balneare italiana.

Similmente nel caso in cui si fa riferimento a «Portobello Road», nota strada londinese situata nel quartiere di Notting Hill, famosa per il suo mercato d’antiquariato, la traduzione del 2014 mantiene il nome originale, considerando che Portobello sia ormai diventato un luogo di grande interesse turistico, noto quindi anche ad un lettore non inglese. Nella traduzione del 1962 si è preferito eliminare il termine inglese «Road» che potrebbe risultare difficile da comprendere e pronunciare al lettore del testo d’arrivo, lasciando inalterato «Portobello» probabilmente per il suono italiano del nome, accompagnato dalla parola «mercato» che specifica al lettore la ragione per la quale è famosa la via.

ST: The Browns lived near the Portobello Road where there was a big market […] (p. 68)

TT 1962: I Brown abitavano     nei pressi del Mercato di Portobello […] (p.75)
TT 2014: I Brown vivevano nelle vicinanze di Portobello Road, dove c’era un grande mercato […] (p.77)

6. L’utilizzo dei vezzeggiativi e il registro linguistico

Molti teorici della traduzione hanno evidenziato come l’ambizione di molti traduttori nel voler realizzare testi più belli e ricchi di sentimenti genuini rispetto all’originale possa generare il rischio di creare un testo che manchi d’attenzione filologica rispetto al source text e produrre quindi un risultato diverso dalle reali intenzioni dell’autore. La tendenza dei traduttori nel semplificare eccessivamente il linguaggio, attraverso l’uso smodato di diminuitivi, vezzeggiativi atti ad abbassare il registro per renderlo più comprensibile ad un bambino, rischia di banalizzare il testo. Tutto ciò è riscontrabile nell’edizione italiana del 1962, nella quale sono presenti in maniera copiosa vezzeggiativi, diminuitivi e toni paternalistici, che non figurano nel testo originale.

ST: […] the bear stood up and politely raised its hat, revealing two black ears. […] “You’re a very small bear,” she said. (p. 9).
TT 1962: […] l’orso si rizzò e si tolse educatamente il cappello, scoprendo così due orecchiette nere. […] “Sei proprio un orsacchiotto piccino” disse. (pp. 9-10)

Secondo quanto afferma lo stesso Michael Bond nel post-scriptum all’edizione del 2014, il romanzo inizialmente non era stato scritto per una specifica fascia d’età, ciò evitò il rischio di utilizzare un linguaggio troppo semplice ‘il che è sempre una cattiva idea’. La traduzione di Angela Ragusa, differentemente da quella del 1962, rispetta l’intento iniziale dell’autore, evitando l’uso di diminuitivi e vezzeggiativi, ove non presenti nel testo originale.

Per quel che concerne il registro linguistico, nel source text spesso sono presenti termini appartenenti alla sfera del parlato o espressioni colloquiali, soprattutto all’interno del discorso diretto. L’abbondanza dei dialoghi è una delle caratteristiche peculiari nella letteratura per l’infanzia, poiché tale espediente serve a stabilire un contatto tra lettore e personaggi. A ciò è dovuta la frequenza all’interno della narrazione di interiezioni, espressioni idiomatiche, vocaboli colloquiali. È interessante notare come nell’edizione del 1962, laddove nel testo originale erano presenti espressioni colloquiali o costrutti appartenenti alla sfera del parlato, si è scelto di abbassare il registro della lingua, facendo ricorso ad espressioni dialettali o regionalismi, come nei due esempi che seguono:

ST: Can’t ‘ear you (1967,1ª ed. 1958, p. 19)
TT 1962: ’un sento (p.22)

ST: I take it the young…er, gentleman, will not be requiring this any more, Modom? (p. 52).
TT 1962: Questo l’or…il signorino non l’adoprerà più, vero ‘gnora? (p.59)

Ad esclusione delle parti dialogate, il testo del 1962 mantiene comunque un registro alto, lo si può notare infatti dalla presenza di arcaismi o termini aulici. Alla luce di ciò potremmo dire che le scelte analizzate precedentemente, esprimono la volontà delle traduttrici di trovare una via di mezzo tra un linguaggio più forbito ed uno più comprensibile ad un giovane lettore.

Nella versione del 2014, si mantiene in generale un registro linguistico semplice, mai banalizzato da vezzeggiativi o diminuitivi superflui, in linea con le scelte dell’autore. Dove richiesto un abbassamento del registro verso un grado più informale della lingua, come nel caso dei dialoghi tra i personaggi, si sceglie di utilizzare strutture sintattiche o espressioni tipiche del parlato, evitando regionalismi o inflessioni dialettali, come nell’esempio che segue:

ST: I told you so! (p. 8).
TT 2014: Che t’avevo detto? (p. 6).

7. Fedeltà all’originale e manipolazioni al testo

Da quanto si evince nell’analisi dello status della letteratura per l’infanzia presente all’interno della prima parte di questo lavoro, nel diciannovesimo secolo fino anche agli inizi del ventesimo, a causa della posizione periferica occupata dal genere all’interno del sistema letterario, i traduttori erano autorizzati ad alterare l’integrità del testo originale, laddove lo ritenessero opportuno, per adattarlo alle richieste del sistema ricevente. Questo è quanto accade all’interno della traduzione del 1962, nella quale è stato riscontrato un discreto numero di frasi o intere porzioni di testo mancanti rispetto al testo originale di Michael Bond ed in generale un approccio traduttivo che lascia molto spazio ad interpretazioni libere e personali da parte delle traduttrici Ziliotto ed Errico.

Secondo Shavit (1986), queste manipolazioni si basano su due fondamentali principi: il rispetto delle norme morali del sistema ricevente e le abilità di comprensione che si riconoscono al bambino. Seguendo il primo principio esposto da Shavit, nel target text del 1962 è stata omessa una frase che nel testo originale conteneva il termine «queer», il cui significato negli anni cominciò ad assumere accezioni negative o addirittura offensive, soprattutto se come nel nostro caso riferito ad un individuo di genere maschile. Per avvalorare questa ipotesi dell’omissione, abbiamo visto come nella versione aggiornata dell’opera il termine sia stato sostituito da «quiet», come già analizzato nel paragrafo riguardante le modernizzazioni. La frase in questione è:

ST: “I’ll go and fetch my scissors”, he said in a queer voice. (p. 56)

Nella traduzione della letteratura per l’infanzia, soprattutto in passato si era soliti eliminare o rimaneggiare le scene violente o le manifestazioni di dolore non adatte ai bambini, al fine di non urtare la loro sensibilità emotiva. In tempi moderni gli studiosi ritengono che l’approccio verso questi aspetti del testo sia cambiato, ci si orienta sempre più verso l’idea che proteggendo il bambino da sentimenti forti o dolorosi, lo si privi della facoltà di poter provare sensazioni ugualmente utili alla sua crescita e al suo equilibrio psicologico. Alla luce di ciò, potremmo giustificare in tal modo la scelta traduttiva del 1962 di omettere una porzione della storia che descrive un momento di malessere del protagonista:

ST: Paddington groaned. “Poor Paddington,” said Mrs. Brown, “you must be feeling bad if you don’t want any lunch.” At the word lunch again, Paddington closed his eyes and gave an even louder groan. Mrs. Browntiptoedaway (pp. 58-59).

Per quel che concerne le altre omissioni riscontrate all’interno del testo in traduzione, non risulta che esse contengano elementi di disturbo alla morale, di difficile comprensione per un giovane lettore o in contrasto con i principi educativi dell’epoca. Resta da considerare il fatto che l’integrità del testo originale può comunque essere intaccata dalla tendenza ad abbreviare i testi per bambini e renderli meno complicati: le parti omesse infatti sono quasi sempre scene descrittive, in secondo piano rispetto alla trama principale e poco rilevanti ai fini della narrazione. In generale, nell’edizione del 1962, l’omissione di tali porzioni di testo comunque non va ad alterare l’integrità dell’intreccio. Contrariamente a ciò, nell’edizione italiana del 2014, non si riscontrano manipolazioni al testo, nessuna delle parti del source text è stata omessa ed in generale si nota una maggiore attinenza al testo di partenza. Citeremo, qui di seguito, due esempi in particolare, attraverso i quali possiamo notare come spesso le interpretazioni libere del source text nell’edizione del 1962 abbiano stravolto il significato iniziale della frase e come di contro, nell’edizione del 2014, la traduzione rimane fedele all’originale:

ST: They might have stood it the right way up. It’s not every day a bear wins first prize in a painting competition! (p.82)

TT 1962: Penso […] che qui si stia commettendo una grave ingiustizia: la verità andrebbe detta, tutta la verità! In fondo non succede mica ogni giorno, che un orso del Perù vinca il primo premio ad una mostra di pittura! (p.89).
TT 2014: Penso […] che avrebbero almeno potuto metterlo dritto. Non capita tutti i giorni che un orso vinca il primo premio ad un concorso di pittura! (p. 93).

ST: It’s nice having a bear about the house. (p. 128).

TT 1962: Quell’orso vale proprio un Perù! (p.137)
TT 2014: è bello avere un orso per casa. (p. 147)

Nel primo esempio, l’interpretazione del 1962 muta totalmente il senso finale dell’affermazione e si perde inoltre la sottile ironia della frase citata da Paddington in riferimento ad un quadro da lui dipinto; oltre a ciò, nel testo originale non si fa alcun riferimento ad un’ingiustizia attuata nei suoi confronti.

Nel secondo esempio, la frase ‘quell’orso vale proprio un Perù’, espressione che rimanda al Perù, soggiogato nel 1532 da Francisco Pizarro in nome della Corona Spagnola, un tempo molto ricco d'oro, e che in Europa divenne simbolo di un luogo favoloso pieno di enormi ricchezze, risulta in un deliberato cambiamento dell’originale nell’intento di abbellire il testo creando una sorta di circolarità, tra questa frase fatta e il titolo “L’orso del Perù”.

Conclusioni

Secondo quanto emerge dall’analisi diacronica delle traduzioni italiane del romanzo di Michael Bond, i risultati ottenuti dimostrano le manipolazioni al testo: le modernizzazioni, le omissioni e le libere interpretazioni riscontrate nei target texts analizzati confermano le teorie di Zohar Shavit, secondo le quali le traduzioni di opere per l’infanzia sono influenzate dalla posizione di scarso rilievo che queste ultime occupano all’interno del sistema letterario, facendo sì che il traduttore possa permettersi grandi libertà riguardo al testo da tradurre. Le differenze riscontrate tra i testi in traduzione confermano, inoltre, le teorie di Oittinen, secondo la quale, il traduttore di libri per l’infanzia è fortemente influenzato dalla propria immagine di bambino e per tale ragione cambia nei due testi il modo di rivolgersi al proprio lettore modello e la scelta di quali elementi del testo modificare, censurare e adattare.

Nel target text del 1962, infatti, le strategie traduttive tendono maggiormente all’adattamento, anche laddove non necessario, in funzione di un risultato più consono alle esigenze del suo lettore modello e alle capacità di comprensione che ad esso si riconoscono, ma, a nostro avviso, il testo che ne risulta è poco aderente al source text. Tali strategie di adattamento risultano evidenti nelle scelte delle traduttrici di italianizzare elementi quali i tratti culturospecifici, i nomi propri e i realia, ma che tuttavia privano il bambino della possibilità di entrare in contatto con culture diverse, arricchendo il proprio bagaglio, e sottovalutano altresì le sue capacità cognitive e la facoltà di approcciarsi ad elementi estranei. Si persegue quindi l’obiettivo di avvicinare quanto più possibile il testo al lettore, intervenendo anche a livello del registro linguistico, che in molti casi è eccessivamente semplificato, dall’uso di vezzeggiativi o diminuitivi. In tal modo ne risulta un testo orientato verso quello che Toury (1980) definisce il polo dell’accettabilità, compatibile con le norme dominanti nel sistema d’arrivo e con l’ideologia prevalente in Italia, che tende a preferire procedure addomesticanti atte ad eliminare i riferimenti a culture diverse.

Nel target text del 2014, il traduttore ha un’immagine diversa del bambino al quale si rivolge, quest’ultimo rispetto agli anni passati è in grado di comprendere elementi esotizzanti, poiché facilitato dallo scambio tra la cultura italiana e quella inglese, dal cambiamento dell’ambiente socioculturale e dalla circolazione di idee favorita dalle nuove tecnologie e dai mass media. In linea con le tesi di Klingberg, la traduzione del 2014 sostiene il concetto di adeguatezza, preferendo una maggiore fedeltà al source text e mantenendo il grado originale di adattamento. Quest’approccio definito straniante nel mantenere i tratti culturospecifici inalterati, consente al lettore il contatto con altre culture, favorendo l’aspetto educativo e lo scambio interculturale, divenuto un’esigenza prioritaria nella società attuale. Le differenze tra le due edizioni analizzate sono determinate inoltre: dal contesto socioculturale nel quale sono state prodotte, dall’evoluzione diacronica della lingua e dall’incremento dello scambio linguistico e culturale che intercorre tra Inghilterra e Italia.

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Note

[1] Traduzione dell’autore

About the author(s)

Salvatore Ciancitto è docente a contratto di Lingua Inglese (L-Lin/12) presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. Dopo aver conseguito una laurea in Lingue Straniere e un Master di Interprete di Conferenze (presso l’Orientale di Napoli), nel 2007 ha conseguito un Dottorato di Ricerca in Studi Inglesi e Angloamericani, con una tesi incentrata sulla traduzione dei libri per ragazzi e in particolare su Peter Pan di J.M. Barrie. Dal 2008 è docente a contratto presso l’Università di Catania ed è autore di alcuni articoli e traduzioni di racconti per bambini. E’autore di una monografia intitolata: Heartless children. Translating children's literature. Peter Pan in Italy in a diachronic perspective (2010). Inoltre ha collaborato con la casa editrice Leconte di Roma, per la quale ha curato dei corsi di traduzione letteraria e una silloge di E.L. Freifeld, Whatwalks (2013). Infine è un autore di un articolo presentato in occasione della conferenza internazionale LanguagingDiversity (2014), presso l’Università di Catania dal titolo Shaping Post-war Society through Children’s Literature in Translation (in corso di pubblicazione).

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©inTRAlinea & Salvatore Ciancitto (2018).
"A Bear Called Paddington: uno studio diacronico delle traduzioni del romanzo di Michael Bond", inTRAlinea Vol. 20.

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