Censorship, Indirect Translations and Non-Translations.

The (Fateful) Adventures of Czech Literature in 20th-century Portugal

Jaroslav Spirk (2014)

Cambridge Scholars Publishing, 190 pp, ISBN (10): 1-4438-6330-0, ISBN (13): 978-1-4438-6330-8

Reviewed by: Alessandra Calvani

Se la questione del rapporto tra culture dominanti e dell’influenza del contesto sociale e politico su tali rapporti è stata spesso affrontata dagli studiosi di traduzione, Jaroslav Spirk ha invece scelto di indagare sulle relazioni intercorse via traduzione tra due culture non dominanti e la Cambridge Scholars Publishing gli ha dato voce.

Portogallo e Cecoslovacchia, definiti nel testo paesi “medium-sized”, pur essendo distanti per lingua e cultura, hanno entrambi vissuto un’esperienza di regime: quello comunista per la Cecoslovacchia invasa dall’esercito dell’Unione Sovietica nel 1948 e quello di Antonio de Oliveira Salazar, che prende il potere con un colpo di stato nel 1926, per il Portogallo. Spirk prende in esame le relazioni intercorse tra le due nazioni nel corso del 20° secolo cercando di mettere in luce le dinamiche di potere che agiscono dietro la pubblicazione o la non pubblicazione di testi da parte di un regime dittatoriale, di destra o di sinistra che sia.

Inizialmente viene delineato il contesto politico sociale dei due paesi nel corso del 20° secolo per poi passare a descrivere il sistema censorio dell’Estado Novo. Era la letteratura straniera la più colpita dalla censura ed il sospetto nei confronti di tutto ciò che veniva prodotto all’estero minava alla radice la possibilità stessa di pubblicazione in Portogallo. I temi considerati “inappropriati” spaziavano da questioni politiche in generale fino alla religione e all’emancipazione sociale femminile. La traduzione, strumento di comunicazione tra culture per eccellenza, non era quindi gradita al regime, soprattutto perché il testo, una volta tradotto, non era più appannaggio di una piccola élite culturale, ma poteva rivolgersi a tutti i portoghesi. Le strategie adottate dalle case editrici per tentare di aggirare il problema erano varie, ma era soprattutto l’apparato paratestuale a svolgere un ruolo decisivo. Dato che titolo, autore e copertina erano la prima cosa che poteva attirare l’attenzione dei censori, a volte gli editori storpiavano i nomi dell’originale scrivendoli deliberatamente in maniera errata o utilizzando i nomi adattati alle convenzioni fonetiche delle lingue delle versioni intermedie utilizzate per la traduzione portoghese. Altre volte invece inserivano commenti atti a sviare l’attenzione dei censori, ma anche del futuro lettore comune, dal vero tema del libro. Pochi testi venivano approvati dalla commissione dei censori, il che risultava nella loro non traduzione.

Spirk spiega in dettaglio la metodologia utilizzata per procedere nella sua analisi. Per rispondere alla domanda iniziale riguardante cosa è stato tradotto e non tradotto dal cecoslovacco in portoghese,vengono considerate un gran numero di fonti bibliografiche e archivistiche, in particolare le relazioni dei censori portoghesi relativi ai testi cecoslovacchi sottoposti loro e conservate nell’Arquivo Nacional da Torre do Tombo di Lisbona.

Uno degli scopi del testo è quello di dimostrare l’utilità della metodologia proposta da Jiři Levý e Anton Popovič, e soprattutto la sua applicabilità all’analisi testuale vera e propria. Come riferisce Spirk, secondo Levý il traduttore agisce in base alle costrizioni imposte dal suo scopo principale, ossia quello d’interpretare (Levý 1963: 145-148). Per tale motivo il traduttore: “makes the text more logical, clarifies it, intellectualises it” (Levý 1963: 148). In base a tale presupposto Levý analizza la storia della traduzione in Cecoslovacchia fornendo non una metodologia sensu stricto, quanto piuttosto una metodologia implicita che va estrapolata dall’analisi (Spirk 2014: 30).

Secondo Popovič invece, il processo traduttivo è il confronto tra i sistemi di due emittenti, due testi e due destinatari. Tale processo, chiamato da Popovič “creolization” (Spirk 2014: 31), influenzerebbe la combinazione delle due strutture anche a livello sociale (Popovič 1971: 33) in quanto è necessario considerare anche le motivazioni che hanno portato il traduttore a tradurre un certo testo, l’influenza della casa editrice sul traduttore, l’influenza delle richieste del mercato editoriale, l’influenza del contesto politico-sociale e così via. I metodi di ricerca proposti da Popovič (1975: 240) per studiare la sociologia della traduzione comprendono quindi gli aspetti comunicativi, la teoria dell’informazione, la sociometrica, la sociologia letteraria, la teoria dell’insegnamento e la teoria della cultura.

Ma la sociologia della traduzione non si muove in a “theoretical vacuum” (Spirk 2014: 32). Considerando chela teoria della traduzione letteraria ha un asse diacronico e uno sincronico, Popovič propone un modello complesso  per l’analisi della storia della traduzione (Spirk 2014: 32-33) che va dalla descrizione del lavoro preparatorio all’analisi vera e propria e delle condizioni politico sociali che hanno determinato l’attività traduttiva, fino all’esame dello sviluppo dei metodi traduttivi, del ruolo della traduzione nello sviluppo della letteratura nazionale e delle diverse funzioni svolte dalla traduzione nella vita letteraria stessa. Per finire il modello prevede la comparazione della tipologia traduttiva di una nazione in determinati periodi storici con quelle di altre nazioni nello stesso periodo. Spirk spiega dettagliatamente il modello presentato da Popovič elencando le varie differenze stilistiche e semiotiche considerate dall’autore. Tale modello verrà poi seguito nella sua analisi per dimostrarne la reale applicabilità ed indicarlo come possibile metodo per altre future indagini.

Una volta contestualizzata l’analisi e spiegata la metodologia, si passa ad affrontare l’argomento principale del testo. Attraverso l’analisi dei dati si stabilisce il corpus dei testi letterari cecoslovacchi tradotti nel 20° secolo considerati sotto vari punti di vista: data di pubblicazione, luogo di pubblicazione, genere letterario ed infine lingua da cui nasce il testo tradotto. Viene poi stilata la lista degli autori o comunque dei testi, riguardanti la Cecoslovacchia, che sono stati esaminati dalla censura portoghese analizzando il file della censura relativo ad ogni singolo testo. Il raffronto dei dati permette di stabilire cosa non è stato tradotto oltre a quanto è stato tradotto, ma soprattutto permette anche di stabilire se i testi siano stati tradotti dalla lingua originale o attraverso il passaggio per una lingua di mediazione. Dei 33 testi scritti da autori cecoslovacchi e sottoposti all’esame della censura, solo di 12 è stata autorizzata la pubblicazione e di questi solo 4 testi sono stati esaminati in lingua originale perché scritti dagli autori in inglese. In tutti gli altri casi i libri hanno raggiunto i censori in traduzione, per lo più francese, che a sua volta è stata usata come source text per la traduzione in portoghese. Il fenomeno della traduzione indiretta attraverso una cultura dominante, in questo caso quella francese, ha prodotto una ricezione a sua volta indiretta della letteratura cecoslovacca, “filtrata” già prima di raggiungere il paese di destinazione.

Si passa quindi ad affrontare l’analisi della traduzione portoghese di uno dei testi più importanti della letteratura cecoslovacca, Osudy dobrého vojáka Švejka za světové války, [Il buon soldato Sc'vèik], di Jaroslav Hašek. L’analisi non raffronta solamente il testo originale con la relativa traduzione portoghese ma anche il testo di mediazione, in questo caso la traduzione francese. Le differenze risultanti tra originale e traduzione sono molte ma sono principalmente dovute all’interferenza del testo di mediazione. Il traduttore portoghese opera sulla base di un testo già “addomesticato” nella versione francese e si limita per lo più ad aderire alla versione francese da cui traduce.

Infine si cerca di esaminare le implicazioni teoretiche tratte dall’analisi dei dati ottenuti attraverso la riconsiderazione dei concetti emersi nel corso dell’analisi stessa. In primo luogo, si considera l’importanza della traduzione indiretta nei rapporti tra culture non dominanti, che porta a sua volta ad una ricezione indiretta, che eredita pregiudizi ed ideologie dalla cultura di mediazione. In secondo luogo, si analizza l’importanza del paratesto, spesso utilizzato come uno strumento per controllare ed influenzare la ricezione del testo da parte del pubblico. Si passa poi a considerare la censura, esempio di ideologia che condiziona la diffusione di una certa letteratura e la non traduzione, fenomeno invisibile ma importante nella ricezione di una cultura straniera tanto quanto la selezione dei testi da tradurre. Infine si prende in esame la questione dell’ideologia che riguarda in generale tutti i temi trattati.

In conclusione il testo, che a prima vista potrebbe sembrare rivolgersi a soli studiosi di slavistica, risulta invece illuminante per tutti gli studiosi di traduzione. La questione delle relazioni tra nazioni non dominanti non è stata affrontata spesso e rivela invece un complicato sistema di comunicazione che agisce per tramite di intermediari, dando luogo così ad una ricezione dell’originale che subisce il peso dell’intermediazione. L’analisi, sempre ben condotta e dettagliata, oltre ad essere interessante offre anche spunti di ricerca ulteriore che speriamo diano presto nuovi frutti. 

Riferimenti bibliografici

Levý, Jiři (1963) Umĕnipřekladu [L’arte della traduzione]. Praha: Ivo Zelezný.

Popovič, Anton (1971) Poetikaumeleckéhoprekladu. Proces a text [Poetiche della traduzione artistica. Processo e testo], Bratislava: Tatran.

Popovič, Anton (1975) Teóriaumeleckéhoprekladu: Aspektytextu a literárnejmetakomunikácie [La scienza della traduzione. Aspetti metodologici. La comunicazione traduttiva], Bratislava: Tatran.

©inTRAlinea & Alessandra Calvani (2015).
[Review] "Censorship, Indirect Translations and Non-Translations.", inTRAlinea Vol. 17
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Stable URL: https://www.intralinea.org/reviews/item/2089

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