Parlare di traduzione ai bambini (e non solo)

Bestiario immaginario

Roger McGough (2013)

Con un’introduzione (“Traduzioni aperte”, pp. 7-12) e una postfazione (“Qualche indicazione per continuare a tradurre come più vi piace”, pp. 143-154) di Franco Nasi. Roma, Gallucci, 156 pp. ISBN: 978-88-6145-523-8.

Reviewed by: Fabio Regattin

L’editore romano Gallucci ha da poco pubblicato un volume di brevi poesie e filastrocche per bambini, scritte dal poeta inglese Roger McGough e tradotte da Franco Nasi. Impresa interessante, perché i testi di McGough – semplici descrizioni di animali veri o inesistenti – giocano quasi sempre sulla forma linguistica, su omofonie, omografie e paronomasie che trasportano il lettore in un mondo prossimo al nostro, ma irrimediabilmente altro. Eccone un esempio,[1] in cui una semplice sostituzione vocalica (all’orale; o aggiunta vocalica, se vogliamo attenerci alla forma scritta) porta dall’ant-eater all’aunt-eater, bizzarro animale dalle fattezze di formichiere e mangiatore di zie.

Aunt-eater, aunt-eater

Where have you been?

Aunt Liz took you walkies

And hasn’t been seen

 

Nor has Aunt Mary

Aunt Lil or Aunt Di

Aunt-eater, aunt-eater

Why the gleam in your eye?

La difficoltà insita nella resa del gioco di parole è ulteriormente complicata da un aspetto grafico: nell’edizione originale di questa raccolta McGough ha illustrato personalmente le proprie filastrocche, dando forma ai suoi bizzarri animali. Franco Nasi non si scoraggia davanti a tante difficoltà, e offre al lettore una serie di traduzioni/riscritture funamboliche (anche grazie alla complicità dell’autore, che allenta il vincolo iconografico prestandosi, in alcuni casi, a illustrare le nuove versioni delle sue poesie). Il risultato è senz’altro divertente e spesso stupefacente. La poesia che abbiamo citato viene resa nel modo seguente (p. 23):

Ch’è successo, pappagallo?

Sei sparito per sei ore

dopo il canto del mattino

con il gallo del fattore

 

Non c’è più quel bel galletto

e che sono questi graffi?

Pappagallo, pappagallo

perché mai ti lecchi i baffi?

La riscrittura – basata su un’etimologia fantasiosa quanto la deformazione originale – è totale, e supportata da una nuova illustrazione a opera di McGough. In altri casi la distanza tra i testi – laddove esisteva una maggiore prossimità tra le due lingue – è minore, e il risultato è più vicino a una traduzione “vera e propria”.[2]

Senza nulla togliere al Nasi traduttore e alla grande godibilità del risultato finale del suo lavoro, a mio avviso gli elementi più interessanti di questo volumetto non sono tuttavia le traduzioni, ma i peritesti che accompagnano le poesie, pubblicate con il testo originale a fronte. Le “traduzioni aperte” di Nasi sono infatti incorniciate da una prefazione e da una postfazione il cui carattere è al contempo ludico e didattico.

Una breve introduzione (“Traduzioni aperte”, pp. 7-12) presenta il lavoro dell’autore originale – il suo gioco con e sulle parole – e giustifica e spiega rapidamente le strategie di traduzione adottate da Nasi. Il tono, familiare e molto semplice, ben si adatta al pubblico ideale del volume, composto da bambini e ragazzi:

[McGough] ha imparato a sentire nelle parole sia quello che c’è sia quello che potrebbe esserci. Se in italiano per esempio dico la parola “calcestruzzo” mi viene da pensare a un palazzo in costruzione. Ma se tengo le orecchie della fantasia ben aperte mi accorgo subito che dentro quella parola ci potrebbe essere uno struzzo di calce o anche un alce e uno struzzo, che qualcosa in comune devono pur avere se sono così appiccicati insieme nel calcestruzzo. Roger si è divertito a rivolgere le sue orecchie e anche gli occhi della fantasia ai nomi degli animali (p. 8).

Il testo si chiude con un invito al lettore a proseguire il lavoro del primo traduttore, e a proporre a sua volta qualche nuova resa dei testi di McGough:

È importante, credo, cercare di capire che cosa succede nella poesia di Roger e provare a rifare la trasformazione in un’altra lingua, magari cambiando anche l’animale da cui partire. A me ne sono venuti in mente alcuni e li ho inclusi nel bestiario italiano. Voi potreste benissimo trovarne altri. Il gioco è aperto (p. 11).

Viste queste premesse, il secondo paratesto (“Qualche indicazione per continuare a tradurre come più vi piace”, pp. 143-154) diventa indispensabile. Le pagine sono interamente dedicate ai traduttori in erba, e raccolgono, per ogni poesia di McGough, una spiegazione del gioco di parole originale, da cui partire per una ri-creazione in italiano.

La venutiana (ma non solo) “invisibilità del traduttore” è qui messa in discussione nel modo più proficuo: non rivendicando semplicemente, come spesso accade, una maggiore attenzione nei confronti del proprio ruolo, ma invitando il pubblico a mettersi nei panni dell’altro invisibile, mostrando le difficoltà e le responsabilità (ma anche le grandi gioie) che toccano al riscrittore di qualunque testo. Il velo della traduzione cade, e il fruitore solitamente passivo è invitato a capire e a partecipare. L’operazione è tanto più meritoria perché rivolta a lettori giovani, che potrebbero magari interrogarsi sul ruolo della traduzione e dei traduttori anche nelle loro letture future. Il successo dell’operazione dipenderà, ovviamente, dalla diffusione del volume e dalla voglia di giocare dei suoi lettori, due aspetti che non possono essere dati per scontati. Resta il fatto che una nuova via è stata aperta: si tratta di un percorso da esplorare e magari da imitare, e – per quanto piccola sia – di una breccia aperta nel muro di silenzio che spesso circonda il lavoro di chi traduce.

Avevamo conosciuto Nasi nelle vesti di ottimo divulgatore e di “finzionizzatore” della traduzione, con testi a cavallo tra il saggio e il racconto come quelli raccolti ne La malinconia del traduttore (2008). Già allora era evidente il suo interesse a superare le frontiere disciplinari e sociali, e a parlare di traduzione non solo all’accademia ma a un pubblico più vasto. Qui si compie un passo in più, aprendo la strada a una sorta di “pedagogia della traduzione” (o almeno di sensibilizzazione a questa attività) per i più giovani, accrescendo la visibilità dell’atto del tradurre presso una fascia d’età che normalmente non lo prenderebbe in considerazione, e – perché no – contribuendo a dare vita a nuove possibili vocazioni.

Riferimenti bibliografici

Nasi, Franco, 2008. La malinconia del traduttore, Milano, Medusa Edizioni.

Regattin, Fabio, 2009. Le jeu des mots, Bologna, Emil.

Venuti, Lawrence, 1999 [1995]. L’invisibilità del traduttore: una storia della traduzione, Roma, Armando.

Note

[1] Tratto da pagina 22; per riferirmi a questo volume, d’ora in avanti indicherò solamente il numero di pagina tra parentesi.

[2] Ritengo che si possa parlare di “traduzione”in entrambi i casi, vista la difficoltà dell’operazione e la necessità delle modifiche apportate (la mia posizione in merito è spiegata in Regattin 2009); da qui l’uso delle virgolette nel testo.

©inTRAlinea & Fabio Regattin (2014).
[Review] "Parlare di traduzione ai bambini (e non solo)", inTRAlinea Vol. 16
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Stable URL: https://www.intralinea.org/reviews/item/2080

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