Le traduzioni dell’Evgenij Onegin di Ettore Lo Gatto (1925 & 1937) e il loro paratesto

By Valeria Bottone (Università di Roma Tor Vergata, Italy)

Abstract

English:

This paper reconstructs the history of the paratexts of Lo Gatto’s translations of A. Puškin’s Evgenij Onegin (1925, 1937). Besides being an interesting cultural-historical document and a testimony of the evolution of Italian Slavic studies, the two paratexts contributed to the failure of the first prose translation and to the success of the second, poetic one. In the first case the paratext turned out to be a weak point because Lo Gatto did not exploit the possibility that the paratext offered to clarify the aims of his work and explain some translation choices which were later strongly criticized. The second translation, on the other hand, was presented by Vjačeslav Ivanov’s laudatory introduction and benefited greatly from his praises and authority.

Italian:

Il contributo ricostruisce la storia dei paratesti delle due traduzioni dell’Evgenij Onegin (1925, 1937) di A. Puškin eseguite da Ettore Lo Gatto. Oltre a rappresentare un interessante documento storico-culturale e una testimonianza dell’evoluzione della slavistica italiana, i due paratesti contribuirono allo scarso successo della prima traduzione in prosa e al buon successo della seconda, in versi. Nel primo caso il paratesto si rivelò un punto debole dell’edizione poiché Lo Gatto non sfruttò la possibilità che esso offriva di precisare gli scopi del lavoro e alcune scelte traduttive che furono poi oggetto di critica. Il punto di forza del paratesto della seconda traduzione fu, invece, l’autorevole ed elogiativa introduzione del poeta Vjačeslav Ivanov che ebbe risonanza anche all’estero.

Keywords: Evgenij Onegin, Ettore Lo Gatto, slavistica italiana, scelte traduttive, letteralità, Italian Slavic studies, translation choices, literalness

©inTRAlinea & Valeria Bottone (2020).
"Le traduzioni dell’Evgenij Onegin di Ettore Lo Gatto (1925 & 1937) e il loro paratesto"
inTRAlinea Special Issue: La traduzione e i suoi paratesti
Edited by: Gabriella Catalano & Nicoletta Marcialis
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L’Evgenij Onegin è l’opera che Ettore Lo Gatto (1890-1983) ha tradotto in varie fasi della sua vita, come dimostrano le date di pubblicazione delle sue tre traduzioni edite[1] che risalgono al 1925, al 1937 e al 1959. Qui ci concentreremo sulle prime due e in particolare sull’analisi dei loro paratesti che, oltre a rappresentare un interessante documento storico-culturale, hanno contribuito allo scarso successo della prima traduzione e al buon successo della seconda. Questa analisi impone di ricostruire brevemente le vicende di pubblicazione e ricezione delle due traduzioni, accennando al contesto storico in cui esse si inserirono.

La prima traduzione dell’Onegin di Lo Gatto risale al 1922-23, ma fu pubblicata nel 1925 da Sansoni. In questi anni la slavistica si andava definendo come disciplina universitaria e cercava di trovare un suo spazio nell’editoria, nella pubblicistica e nel sistema politico-culturale nazionale. Alcuni momenti chiave di questa fase di promozione e divulgazione della cultura e letteratura russa in Italia sono rappresentati dall’istituzione della prima cattedra di filologia slava all’università di Padova, nel 1920, dalla fondazione, da parte di Lo Gatto, della rivista storico-filosofico-letteraria Russia, avvenuta nello stesso anno (cf. Mazzitelli 1980: 203-9; Mazzitelli 1982: 147-54; Mazzitelli 1983: 127-66), dalla creazione nel 1921 dell’Istituto per l’Europa Orientale (cf. Mazzitelli 2007: 24-49; Mazzitelli 2016) e dalla nascita della casa editrice Slavia, a Torino, nel 1926, specializzata nelle letterature slave.

A differenza della traduzione in prosa del 1959[2], in cui la disposizione del testo sarà inequivocabilmente prosastica, nella traduzione del 1925 i confini del verso vengono sempre rispettati. A questa modalità di traduzione ben si adatta la definizione, proposta da Gianfranco Contini, di traduzione alineare che consiste nel rendere ogni verso dell’originale con un rigo di prosa, così da far assumere all’opera una configurazione ritmica (Contini 1942). Oppure sembrerebbe di trovarsi di fronte a una traduzione interlineare, un podstročnyj perevod molto usato nella prassi traduttiva russa, specialmente poetica[3]. Ma se, come vedremo, Lo Gatto si difenderà dalle critiche alla sua traduzione sostenendo di aver tradotto letteralmente il romanzo in versi e auspicandone la traduzione di un “vero poeta italiano”[4], d’altra parte rifiuterà piccato l’equiparazione del proprio lavoro alle “traduzioni interlineate per studenti svogliati” (Lo Gatto 1926: 111).

Pesanti critiche arrivarono da Rinaldo Küfferle (1903-55), poeta e traduttore italo-russo, che stroncò la traduzione di Lo Gatto in una recensione pubblicata su La fiera letteraria nel gennaio del 1926. Küfferle si diceva meravigliato di non aver trovato nel testo il più pallido riflesso della grazia puškiniana e, pur rendendosi conto che si trattava di una traduzione letterale, lamentava tra i difetti il brutto e inelegante abito stilistico di Lo Gatto, oltre a espressioni russe rese in maniera letterale in italiano e inesattezze[5] nella resa che “svisano qua e là il pensiero del poeta” (Küfferle 1926: 5). Esortava, quindi, il traduttore a scegliere “un campo di attività meno arduo di quello offerto da certe traduzioni che, per essere buone, richiedono un certo respiro” (ibidem).

Conosciamo la reazione di Lo Gatto alla recensione negativa di Küfferle grazie a una lettera che scrisse a Giovanni Maver (1891-1970) nel gennaio del 1926. Amareggiato, Lo Gatto definiva fuori luogo le considerazioni del recensore che sembrava aver tenuto conto solo a parole che la traduzione dell’Onegin fosse letterale (Lo Gatto Maver 1996: 289-382, in particolare 344-5). Lo Gatto, inoltre, aveva avuto l’impressione che Küfferle – come scriveva Lo Gatto nella lettera – avesse voluto tirargli un colpo intenzionalmente, ma soprattutto temeva che altri potessero scrivere recensioni sulla falsariga di quella di Küfferle, così pregava Maver di ricordare nella recensione che avrebbe scritto per I libri del giorno che la traduzione era stata fatta “col solo scopo di servir di guida sulla lettura del testo e non con quello di dare un’opera d’arte” (ivi, 346). Aggiungeva inoltre che sarebbe stato opportuno segnalare anche le note da lui apposte alla traduzione che gli erano costate non poca fatica.

La questione fu nuovamente oggetto di discussione tra Lo Gatto e Maver in una lettera del 3 febbraio dello stesso anno, in cui Lo Gatto rinnovava al collega la preghiera di scrivere una recensione su I libri del giorno, stavolta su sollecitazione di Guido Manacorda (1879-1965), allora direttore della Biblioteca sansoniana straniera in cui era stata pubblicata la traduzione. Come riferiva Lo Gatto a Maver, Manacorda era stato piuttosto “seccato della recensione del cosiddetto russo Küfferle” (ivi: 350) ed esortava Lo Gatto a difendere la traduzione.

In attesa che Maver pubblicasse la sua recensione all’Onegin, fu Lo Gatto stesso a difendere le sue posizioni su Russia, in un articolo intitolato Traduzione in versi o in prosa?. Qui Lo Gatto spiegava le ragioni che lo avevano indotto a tradurre letteralmente l’Onegin: da un lato motivazioni editoriali, poiché la traduzione faceva parte di una collezione che si proponeva di fornire traduzioni quanto più possibile vicine ai testi originali, di solito pubblicati a fronte (ma non in questo caso, per ragioni economiche); dall’altro motivi di carattere programmatico, ovvero la sua dichiarata contrarietà a tradurre opere poetiche in versi, ad eccezione dei casi in cui il traduttore fosse dotato di un respiro poetico tale da competere o da avvicinarsi all’originale (Lo Gatto 1926: 52-5). E ammetteva: “Siccome so di non aver questo respiro, nella mia laboriosa e non del tutto indegna carriera di traduttore ho evitato di affrontare la prova terribile” (ivi: 52). Precisava dunque che la traduzione dell’Onegin era letterale e non aveva alcuna pretesa artistica, ma solo due scopi: far conoscere al lettore un’opera che, come l’Onegin, segnava una tappa fondamentale nella storia letteraria di un popolo e “al cui contenuto si riallaccia[va]no quasi tutti i problemi che possono interessare la vita e l’opra creativa di un grande poeta” (ibidem), e costituire un punto di riferimento per il poeta che in futuro avrebbe tradotto l’Onegin.

In questo articolo[6], e nel successivo, intitolato anch’esso Traduzione in versi o in prosa? (Lo Gatto 1926b: 111-7), si trova ciò che Lo Gatto avrebbe potuto esplicitare nell’introduzione all’Onegin o in una nota del traduttore, così da limitare, probabilmente, le critiche. Nell’introduzione alla traduzione, invece, Lo Gatto presentava Puškin al lettore italiano, sottolineando il ruolo e l’importanza del poeta nella letteratura russa, senza scrivere nulla a proposito della traduzione, né della sua letteralità e ‘prosasticità’. Concludeva l’introduzione specificando che per la traduzione si era basato sull’edizione del 1909 delle Opere complete di Puškin nella collezione “Biblioteca dei grandi scrittori” diretta da Semën Vengerov.

Nella recensione che finalmente Maver scrisse, dopo le ripetute preghiere di Lo Gatto, veniva lodata la difficile impresa del traduttore che aveva reso in italiano un’opera il cui maggior pregio era la semplicità[7]. Sollecitato da quanto gli aveva scritto Lo Gatto, Maver individuava nel paratesto il punto di forza dell’edizione, soprattutto nell’introduzione “che potrà sembrare un po’ troppo vaga e generica ma che tale doveva essere” (Maver 1926: 267) e nelle “note precise, copiose e necessarie perché per comprendere le numerose allusioni e ricordi personali, il lettore non può fare a meno di un accurato commentario” (ibidem). Per quanto riguarda le note, quindi, il lettore poteva disporre di un duplice apparato: quelle redatte da Lo Gatto, intitolate Note del traduttore, e quelle di Puškin, intitolate Note di Puškin all’Eugenio Onjéghin.

Questi due apparati svolgevano ognuno una funzione diversa all’interno del volume. Come ha rilevato Sergej Grombach, lo studio delle note di Puškin nell’Evgenij Onegin è stato a lungo trascurato (Grombach 1974: 222-33), anche nei commenti all’opera di Nikolaj Brodskij (1932), Dmitrij Čiževskij (1953) e Vladimir Nabokov (1964)[8]. Analizzando le note di ciascun capitolo del romanzo in versi, Grombach ne distingue diverse tipologie e riconosce, soprattutto a quelle non esplicative, un’importante funzione compositiva che può essere talvolta lirica o parodica, o che aiuta a rivelare le idee dell’autore su specifici argomenti. A dimostrazione della loro funzione compositiva, Grombach ricostruisce le costanti modifiche apportate da Puškin all’apparato di note nel corso delle varie redazioni dell’opera. Le note di Lo Gatto, invece, calibrate sul lettore italiano, fornivano informazioni su nomi di personaggi e opere che compaiono nel romanzo in versi e fungevano da guida per il lettore.

Se quindi da una parte il paratesto fu il punto di forza dell’edizione, come anche Maver aveva fatto notare nella sua recensione, d’altra parte esso fu al contempo un punto di debolezza poiché Lo Gatto non sfruttò la possibilità di precisare gli aspetti più tecnici del suo lavoro e di sottolineare che la traduzione rappresentava un punto di partenza piuttosto che un punto d’arrivo. In una nota del traduttore, ad esempio, Lo Gatto avrebbe potuto esplicitare ciò che, dopo essere stato criticato, fu costretto a puntualizzare altrove, ovvero nei due articoli pubblicati su Russia e nelle lettere a Maver.

Dodici anni dopo, nel 1937, fu pubblicata da Bompiani la traduzione poetica dell’Onegin, tributo di Lo Gatto per il centenario della morte di Puškin, che si celebrava in quello stesso anno[9]. Alla fine degli anni Trenta il panorama della russistica in Italia era molto cambiato: la disciplina si era evoluta in termini qualitativi e quantitativi, anche specificamente riguardo allo studio di Puškin. Un’analisi che abbiamo condotto su riviste e quotidiani italiani degli anni 1920 e ‘30, al fine di verificare quanto fu pubblicato su Puškin in questo ventennio, rivela che il poeta fu oggetto di maggiore attenzione da parte degli studiosi negli anni Trenta, come testimonia anche la pubblicazione delle prime monografie a lui dedicate (cf. Lo Gatto 1937; Mioni 1935). La maggiore raffinatezza della traduzione dell’Onegin è in linea, quindi, con la maturazione della russistica e dello stesso Lo Gatto.

Alla nuova traduzione, in endecasillabi rimati[10], diede il suo contributo il poeta Vjačeslav Ivanov (1866-1949) che in quegli anni fu un importante punto di riferimento culturale per la slavistica italiana e in particolare per i traduttori dal russo[11]. Ivanov non solo incoraggiò e aiutò Lo Gatto suggerendogli soluzioni traduttive, ma contribuì, con la sua introduzione, a una positiva ricezione dell’opera. L’elogiativa introduzione, in cui Ivanov si faceva garante dell’alta qualità del lavoro, fu infatti un ottimo biglietto da visita per la traduzione, a cui Ivanov non lesinò lodi anche in altre sedi[12]. Nella sua introduzione Ivanov scriveva:

mancava finora una traduzione non solo fedele, ma anche artistica, schiettamente italiana – e, cosa essenziale, in rime pure genuinamente italiane – del capolavoro basilare della letteratura russa. Opportuno giunge il lavoro capitale di Ettore Lo Gatto il quale felicemente e, pare, definitivamente, risponde a queste esigenze. Il lettore si può fidare di questa interpretazione, che non solo spiega con esattezza il senso del testo originale, ma ne rende pure ogni sfumatura e finezza, ogni immagine e figura, ogni cambiamento di tono e di tempo, ogni movimento ritmico […] (Puškin 1937: 11).

Alle parole di Ivanov si affidarono non solo i recensori russi che, pur conoscendo l’italiano non erano pienamente in grado di coglierne le sfumature, ma anche i recensori italiani che, data l’autorità del poeta, si mostrarono subito ben disposti verso la traduzione. Michail Osorgin (1878-1942), scrittore russo emigrato a Parigi, scrisse che si trattava di “un magnifico dono alla celebrazione puškiniana” e che “ci si poteva richiamare alla non piccola autorità di Venceslao Ivanov, […] conoscitore della lingua italiana e traduttore del Petrarca, che ritiene il compito del traduttore magnificamente espletato” (Osorgin 1937: 326-27, 326). Tra i recensori italiani, Paolo Emilio Pavolini (1864-1942), su L’Italia che scrive, sottolineava che del valore artistico del lavoro si faceva garante, nella prefazione al volume, “un poeta tra i più eleganti e profondi della sua patria e insieme conoscitore esimio della nostra letteratura” (Pavolini 1937: 237). Leone Pacini Savoj (1907-90) su L’Europa Orientale scrisse: “L’ottima introduzione di V. Ivanov contiene anche un giudizio su Lo Gatto traduttore che sottoscriviamo senz’altro: è una versione che passerà nella nostra letteratura” (Pacini Savoj 1939: 184-94, 194).

La nuova traduzione presentava due introduzioni, quella di Ivanov e quella di Lo Gatto, che questa volta era più breve di quella del 1925, e, nuovamente, due apparati di note: le note di Puškin e quelle che Lo Gatto intitolava Note esplicative. In questa edizione Lo Gatto sfruttò appieno la possibilità offerta dal paratesto di fornire informazioni, spiegazioni e approfondimenti sull’opera e sul suo autore. Alla fine del volume, infatti, si poteva leggere una nota del traduttore che conteneva in nuce alcuni temi che sarebbero stati in seguito sviluppati da Lo Gatto in altri studi e che mostrano l’interconnessione tra la sua attività di studioso e di traduttore. Però, più che una classica nota del traduttore in cui veniva spiegato come era stato affrontato il lavoro o quali scelte e princìpi avessero prevalso a scapito di altri[13], il traduttore approfondiva alcuni temi centrali per la comprensione dell’opera, ricostruiva la storia della composizione e pubblicazione dell’Onegin e ne proponeva un’interpretazione che sarebbe stata approfondita e sviluppata in seguito nel saggio L’Onegin come diario lirico di Puškin (Lo Gatto 1955: 93-108)[14]. Venivano poi affrontati il problema delle digressioni e una questione filologica che Lo Gatto stesso si era posto nel lavoro di traduzione, ovvero la scelta di includere o escludere le strofe omesse da Puškin nella redazione definitiva dell’opera (1833). Puškin, infatti, omise, o omise fintamente, versi o strofe per varie ragioni: perché non li scrisse mai, perché li abbozzò soltanto senza concluderli, perché li sottopose ad autocensura o per motivi diversi di caso in caso. Nell’Onegin queste strofe sono precedute dai numeri romani[15] – al pari delle altre strofe – ma non sono seguite dai versi, mentre in alcuni casi sono omessi singoli versi che vengono sostituiti dai puntini. Nella traduzione del 1925 Lo Gatto che, come abbiamo detto, si era rifatto a un’edizione dell’Onegin del 1909, aveva ripristinato i versi omessi da Puškin, laddove era stato possibile ricostruirli, e aveva segnalato la ricostruzione con le parentesi tonde. Nell’edizione del 1937, invece, i versi omessi sono fedelmente sostituiti dai puntini, così le omissioni vengono sempre rispettate, tranne nei casi di censura, in cui Lo Gatto ripristina i versi censurati. Per stabilire i casi di censura Lo Gatto si era rifatto al saggio di Modest Gofman (Gofman 1922: 1-328), citato nella nota del traduttore.

Questa seconda traduzione era dunque caratterizzata da un approccio al testo filologicamente più corretto poiché rispettoso della volontà dell’autore e dell’autenticità dell’opera d’arte. Inoltre, la maggiore completezza e accuratezza del paratesto, insieme all’introduzione di Ivanov e all’indubbia qualità della traduzione, decretarono il successo dell’edizione, dimostrato anche dalle varie ristampe dell’opera (1950, 1967, 1976). In occasione della seconda ristampa del 1967 sarà ancora sottolineata, in una recensione russa di Pavel Berkov (Berkov 1969: 290-91), la qualità del paratesto e in particolare della nota del traduttore, contenente informazioni “necessarie” per il lettore italiano “sulla storia compositiva dell’Evgenij Onegin” (ivi: 290).

In conclusione, i paratesti dell’Onegin e il loro contributo a un maggiore o minore successo della traduzione permettono di riflettere sulla funzione esplicativa del paratesto nell’ambito della traduzione letteraria; in particolare su quanto esso possa rivelarsi complementare alla traduzione poiché utile a fornire al lettore informazioni per una migliore comprensione del testo e dell’autore tradotto. Questa funzione, in parte sottovalutata da Lo Gatto nella traduzione del 1925, appare invece sfruttata con più lungimiranza nella successiva traduzione del 1937.

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Note

[1] Esiste anche una quarta traduzione, inedita, il cui manoscritto è conservato presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma, Archivio Lo Gatto, A.R.C. 42 I, materiale in corso di catalogazione (cf.: De Michelis 2005).

[2] La traduzione è contenuta nel volume Tutte le opere poetiche, curato e tradotto da Lo Gatto (Puškin 1959).

[3] Ringrazio uno dei revisori del presente contributo per il pertinente suggerimento.

[4] L’intera frase è la seguente: “Spero ed auguro che un giorno possa un vero poeta italiano darci una traduzione perfetta del magnifico poemetto: chissà che quel giorno anche la mia modesta, pedantesca e pesante fatica non possa essergli utile per evitargli di dire, quanto al contenuto, le sciocchezze di tanti traduttori, sia pure rivestite del riflesso del sorriso e della grazia dell’originale” (Lo Gatto 1926: 53).

[5] Tra le inesattezze, Küfferle rilevava la confusione tra le parole rima e ritmo (strofa 44, cap. VI): “Mečty, mečty, gde vaša sladost’ / Gde večnaja k nej rifma mladost’”, che Lo Gatto aveva tradotto “O fantasie, fantasie! Dov’è la vostra dolcezza? / Dov’è la giovinezza, ritmo eterno?”. Nella copia della traduzione appartenuta a Lo Gatto, conservata presso il Fondo Lo Gatto della Biblioteca nazionale centrale di Roma, il verso contenente l’errore (p. 140) è stato corretto a penna. 

[6] A questo seguì poi, su La fiera letteraria, la risposta di Küfferle che paragonava la traduzione di Lo Gatto a un bigino. “È proprio necessario, in pieno secolo ventesimo, stampare dei bigini?” (Küfferle 1926: 6).

[7] “Lo Gatto ha saputo assolvere brillantemente il suo compito” scriveva Maver, apprezzando in particolare alcuni passi, come la descrizione di Ol’ga e di Odessa di notte (Maver 1926: 266-7).

[8] Il commento di Jurij Lotman del 1980 è successivo  alla data in cui Grombach scrive. L’interesse di Lotman per il paratesto in Puškin è dimostrato, peraltro, dal saggio K strukture dialogičeskogo teksta v poèmach Puškina. (Problema avtorskich primečanij) (Lotman 1995: 228-36).

[9] Per questa ricorrenza fu pubblicato anche il volume, curato da Lo Gatto, Alessandro Puškin nel primo centenario della morte che raccoglieva saggi di studiosi italiani e russi emigrati in Italia (Lo Gatto 1937).

[10] Nonostante alcuni punti deboli, come il ricorso alle “zeppe” (cf. Ghini 2003) per far tornare il numero di sillabe, la traduzione in endecasillabi di Lo Gatto è ritenuta ineguagliata (cf. Colucci 2001: 299-304). Per una panoramica delle traduzioni italiane dell’Onegin cf. Niero 2018: 266-73. Sullo stesso argomento, e sulle traduzioni dell’Onegin di Lo Gatto, cf. anche: Cavaion 1981: 43-63; Picchio 1981: 3-15; Ghini 2003; Tik 2015: 27-31.

[11] Questo ruolo di Ivanov è ben testimoniato dalle lettere scambiate con Lo Gatto, Renato Poggioli, Leone Pacini Savoj e Giovanni Maver che si rivolsero ad Ivanov per ricevere consigli e pareri (cf.: Sulpasso 2008: 291-315).

[12] Al presidente del comitato puškiniano di Parigi, Michail Fëdorov, Ivanov scriveva che il centenario in Italia si sarebbe festeggiato con la traduzione di Lo Gatto che definiva “prevoschodnyj” (eccellente) (Malmstad 1997: 475-538, 534).

[13] Questi aspetti saranno trattati da Lo Gatto, a distanza di anni, nell’articolo del 1979 Criteri di traduzione in versi dell’Evgenij Onegin (Lo Gatto 1979: 208-16).

[14] L’interpretazione di Lo Gatto è stata criticata da Stanley Mitchell nell’articolo The Digressions of “Yevgeny Onegin”: A propos of Some Essays by Ettore Lo Gatto (Mitchell 1966: 51-65).

[15] Anche se non tutte le strofe omesse sono indicate nel testo (cf. Gofman 1922: 1-328).

About the author(s)

Valeria Bottone earned her PhD in Comparative Studies (Slavic Studies) in 2018. Her thesis was about the studies on Puškin by Ettore Lo Gatto and the Puškin studies in the 1920’s. Her scientific interests are: literary translation, the reception of Russian literature in Italy in the first half of the 20th century and the ideologisation of Puškin in the Russian emigration and in the Soviet Union in the period between the two World Wars.

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©inTRAlinea & Valeria Bottone (2020).
"Le traduzioni dell’Evgenij Onegin di Ettore Lo Gatto (1925 & 1937) e il loro paratesto"
inTRAlinea Special Issue: La traduzione e i suoi paratesti
Edited by: Gabriella Catalano & Nicoletta Marcialis
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