Un racconto breve di Étienne Verhasselt

Translated by: Fabio Regattin (Università degli Studi di Udine, Italy)

La Buble by Étienne Verhasselt
Étienne Verhasselt, “La Buble”, in Les Pas perdus, Paris, Le Tripode, pp. 57-59.


La Bimbia


Cari colleghi, cari amici, è con piacere e con grande emozione che mi permetto di presentarvi oggi, nell’ambito di questo nostro decimo Congresso interplanetario di scienze delle temporalità irreversibili,* i risultati in divenire di un ambizioso progetto di ricerca iniziato tre decimi di UTG** fa, e dedicato alla raccolta di tutti i supporti materiali di codici antichi conosciuti nel nostro settore dell’universo: il nostro corpus si compone ad oggi di centoventiduemilaseicentocinquantasette esemplari, tutti risalenti a un minimo di mille UTG fa.

Parlerò per prima cosa di un documento rinvenuto in avanzato stato di decomposizione, e di cui ci rimane tutt’al più una decina di supporti di vario genere. Si tratta di tutto ciò che un gruppuscolo anarco-letterario autoproclamatosi Brigate del segno ha potuto salvare dalla distruzione della guerra dei Mondi avvenuta all’incirca quattromila UTG fa.

Il codice in cui è composto il documento è alfabetico ed estremamente rudimentale. Si compone di ventisei simboli statici che devono essere tradotti da un lettore attraverso vocalizzazioni che permettono di ottenere significati. Siamo lieti di potervi rivelare il titolo dell’opera: la Bimbia. L’attuale avanzamento della ricerca linguistica non consente purtroppo di determinare l’etimologia del titolo, ma nonostante il suo stato deplorevole siamo riusciti a ricostruire l’essenziale del testo: doveva essere composto da circa ventimila caratteri, ossia una decina di pagine. Il linguaggio usato e alcune rare illustrazioni permettono di ipotizzare che l’opera fosse indirizzata a infanti di pochi anni. Si tratta con tutta probabilità di un racconto di poco spessore che descrive la creazione di un mondo immaginario, la Terra, e del genere umano, da parte di un certo Duo. Questa è almeno la tesi comunemente accettata, che ho tuttavia confutato l’anno scorso a Bürtzel5: sarebbe illogico chiamare Duo colui che crea in solitudine.

Il testo, seriamente danneggiato dall’azione congiunta del fuoco, dell’umidità e del tempo, è praticamente illeggibile; è quindi necessario interpretarlo. A mio avviso, il nome di questa entità creatrice, Duo, deve essere necessariamente accompagnato da un’altra parola che si ritrova frequentemente in sua prossimità. Le lezioni più comuni considerano che si tratti di un secondo nome, Sig. Nore; ritengo che debba essere più esattamente interpretato come s’ignora. Saremmo di fronte, insomma, a un Duo che s’ignora, a una coppia in potenza. Se prendiamo per buona questa ipotesi, tutti gli altri pezzi del puzzle sembrano combaciare: la creazione di Duo non sarebbe il mondo, ma il suo mondo – un essere vivente, dotato del proprio ambiente, che il creatore concede a se stesso per uscire dalla solitudine eterna e che il testo presenta come la donna. Le scarne informazioni disponibili non ci permettono di pronunciarci sulla natura di questa creatura o sulle sue caratteristiche. Secondo alcune fonti il nome sarebbe Eva, ma un’analisi molecolare del documento sembra suggerire la presenza di alcuni caratteri che precedono l’iniziale: bisognerebbe più correttamente leggere volEva (un nome che sembra, così, intimamente legato al forte desiderio di compagnia di Duo).

Nel racconto viene citato un ulteriore personaggio secondario, Adamo o più probabilmente Adagio; il suo ruolo non è chiaro, ma le continue disavventure, così come il nome, che non lo qualifica certo come un fulmine di guerra, sembrano confortare l’ipotesi che si trattasse di una specie di spalla comica, destinata a mettere in luce – per contrasto – le caratteristiche positive di Duo.

Ma passiamo al documento successivo, eccezionalmente ben conservato. Anche questo è redatto in un codice alfabetico; ci troviamo di fronte a un’opera a carattere religioso, il testo di una preghiera intitolata “Lista della spesa” e indirizzata a un essere soprannaturale chiamato Carrefour…


* Scienze il cui oggetto di studio non è accessibile nel suo contesto cronologico originale, diversamente dalle scienze delle temporalità reversibili, che ricorrono al viaggio nel tempo.
** Unità temporale globale, che misura il tempo comune ai sei miliardi di mondi abitati del cosmo occidentale.

La Buble


Chers amis, je suis très heureux de pouvoir vous présenter aujourd’hui, à l’occasion de ce dixième Congrès Interplanétaire des Sciences des Temporalités Non Réversibles,* les résultats partiels d’un travail de recherche qui a débuté il y a trois dixièmes d’U.T.G.** et qui porte sur tous les supports matériels de codes anciens connus à ce jour dans notre secteur de l’univers : ils sont très exactement au nombre de cent vingt-deux mille six cent cinquante-sept et remontent à plus de mille U.T.G.

Je commencerai par vous parler d’un document découvert dans un état proche de la décomposition et dont il ne reste qu’une dizaine de supports disparates. C’est là tout ce qui a pu en être sauvé de la guerre des Mondes, il y a quatre mille U.T.G., par un groupuscule anarcho-littéraire autoproclamé Brigades du Signe.

Le code du document est alphabétique et rudimentaire, composé de vingt-six symboles inanimés qui demandent à être traduits en sons par un lecteur, afin d’obtenir la signification. Nous sommes heureux de pouvoir vous révéler le nom de l’ouvrage : la Buble. Les recherches linguistiques ne sont malheureusement pas encore parvenues à déterminer l’étymologie du terme, mais nous avons reconstitué l’essentiel du texte, malgré son état déplorable : il devait compter environ vingt mille signes ou une dizaine de pages. La formulation et quelques rares illustrations semblent indiquer que l’ouvrage s’adressait à des enfants en bas âge. Il s’agit plus que probablement d’un conte anodin, qui décrit la création d’un monde imaginaire, la Terre, et du genre humain, par un certain Deux. Ceci constitue, bien sûr, la thèse commune que j’ai battue en brèche l’année passée à Bürtzel5 : il serait illogique de nommer Deux celui qui crée seul.

Le texte, qui a terriblement souffert du feu, de l’humidité et du temps, est pratiquement illisible, aussi faut-il souvent l’interpréter. Selon moi, le nom de cette entité créatrice devait être Dyeux, car elle ne peut quitter des yeux sa création, tant elle la chérit. Ma thèse se fonde sur une expression idiomatique antique : « N’avoir Dyeux que pour quelqu’un », c’est-à-dire être attaché de façon extrême à une autre personne. En toute logique, je soutiens donc que la création de ce Dyeux n’est pas à proprement parler le monde, mais bien son monde : un être, avec son environnement, qu’il se donne à lui-même pour sortir de la solitude éternelle et que le texte présente comme la femme. Nous manquons d’informations pour nous prononcer sur la nature de cette créature et ses caractéristiques. Elle porte le nom de Ève, mais une analyse moléculaire du document semble indiquer la présence effacée d’un caractère précédant l’initiale « È » : le nom se lirait, en fait, rÈve.

Un personnage secondaire est également cité dans le conte, un Adam ou mAdam, dont le rôle n’est pas très clair, mais dont les criants travers mettent en valeur les qualités de Dyeux. Une sorte de faire-valoir en somme.

Passons au document suivant, exceptionnellement bien conservé. Il s’agit encore d’un code alphabétique, mais cette fois nous avons affaire à un texte religieux : les paroles d’une prière intitulée « Liste des courses pour ce soir », adressée à une puissance surnaturelle du nom de Carrefour…


* Sciences dont l’objet d’étude n’est pas accessible dans son contexte temporel original, à la différence des Sciences des Temporalités Réversibles qui recourent aux voyages dans le temps.
** Unité Temporelle Globale, qui mesure le temps commun aux six milliards de mondes habités du cosmos occidental.

La Bimbia


Cari colleghi, cari amici, è con piacere e con grande emozione che mi permetto di presentarvi oggi, nell’ambito di questo nostro decimo Congresso interplanetario di scienze delle temporalità irreversibili,* i risultati in divenire di un ambizioso progetto di ricerca iniziato tre decimi di UTG** fa, e dedicato alla raccolta di tutti i supporti materiali di codici antichi conosciuti nel nostro settore dell’universo: il nostro corpus si compone ad oggi di centoventiduemilaseicentocinquantasette esemplari, tutti risalenti a un minimo di mille UTG fa.

Parlerò per prima cosa di un documento rinvenuto in avanzato stato di decomposizione, e di cui ci rimane tutt’al più una decina di supporti di vario genere. Si tratta di tutto ciò che un gruppuscolo anarco-letterario autoproclamatosi Brigate del segno ha potuto salvare dalla distruzione della guerra dei Mondi avvenuta all’incirca quattromila UTG fa.

Il codice in cui è composto il documento è alfabetico ed estremamente rudimentale. Si compone di ventisei simboli statici che devono essere tradotti da un lettore attraverso vocalizzazioni che permettono di ottenere significati. Siamo lieti di potervi rivelare il titolo dell’opera: la Bimbia. L’attuale avanzamento della ricerca linguistica non consente purtroppo di determinare l’etimologia del titolo, ma nonostante il suo stato deplorevole siamo riusciti a ricostruire l’essenziale del testo: doveva essere composto da circa ventimila caratteri, ossia una decina di pagine. Il linguaggio usato e alcune rare illustrazioni permettono di ipotizzare che l’opera fosse indirizzata a infanti di pochi anni. Si tratta con tutta probabilità di un racconto di poco spessore che descrive la creazione di un mondo immaginario, la Terra, e del genere umano, da parte di un certo Duo. Questa è almeno la tesi comunemente accettata, che ho tuttavia confutato l’anno scorso a Bürtzel5: sarebbe illogico chiamare Duo colui che crea in solitudine.

Il testo, seriamente danneggiato dall’azione congiunta del fuoco, dell’umidità e del tempo, è praticamente illeggibile; è quindi necessario interpretarlo. A mio avviso, il nome di questa entità creatrice, Duo, deve essere necessariamente accompagnato da un’altra parola che si ritrova frequentemente in sua prossimità. Le lezioni più comuni considerano che si tratti di un secondo nome, Sig. Nore; ritengo che debba essere più esattamente interpretato come s’ignora. Saremmo di fronte, insomma, a un Duo che s’ignora, a una coppia in potenza. Se prendiamo per buona questa ipotesi, tutti gli altri pezzi del puzzle sembrano combaciare: la creazione di Duo non sarebbe il mondo, ma il suo mondo – un essere vivente, dotato del proprio ambiente, che il creatore concede a se stesso per uscire dalla solitudine eterna e che il testo presenta come la donna. Le scarne informazioni disponibili non ci permettono di pronunciarci sulla natura di questa creatura o sulle sue caratteristiche. Secondo alcune fonti il nome sarebbe Eva, ma un’analisi molecolare del documento sembra suggerire la presenza di alcuni caratteri che precedono l’iniziale: bisognerebbe più correttamente leggere volEva (un nome che sembra, così, intimamente legato al forte desiderio di compagnia di Duo).

Nel racconto viene citato un ulteriore personaggio secondario, Adamo o più probabilmente Adagio; il suo ruolo non è chiaro, ma le continue disavventure, così come il nome, che non lo qualifica certo come un fulmine di guerra, sembrano confortare l’ipotesi che si trattasse di una specie di spalla comica, destinata a mettere in luce – per contrasto – le caratteristiche positive di Duo.

Ma passiamo al documento successivo, eccezionalmente ben conservato. Anche questo è redatto in un codice alfabetico; ci troviamo di fronte a un’opera a carattere religioso, il testo di una preghiera intitolata “Lista della spesa” e indirizzata a un essere soprannaturale chiamato Carrefour…


* Scienze il cui oggetto di studio non è accessibile nel suo contesto cronologico originale, diversamente dalle scienze delle temporalità reversibili, che ricorrono al viaggio nel tempo.
** Unità temporale globale, che misura il tempo comune ai sei miliardi di mondi abitati del cosmo occidentale.

La Buble


Chers amis, je suis très heureux de pouvoir vous présenter aujourd’hui, à l’occasion de ce dixième Congrès Interplanétaire des Sciences des Temporalités Non Réversibles,* les résultats partiels d’un travail de recherche qui a débuté il y a trois dixièmes d’U.T.G.** et qui porte sur tous les supports matériels de codes anciens connus à ce jour dans notre secteur de l’univers : ils sont très exactement au nombre de cent vingt-deux mille six cent cinquante-sept et remontent à plus de mille U.T.G.

Je commencerai par vous parler d’un document découvert dans un état proche de la décomposition et dont il ne reste qu’une dizaine de supports disparates. C’est là tout ce qui a pu en être sauvé de la guerre des Mondes, il y a quatre mille U.T.G., par un groupuscule anarcho-littéraire autoproclamé Brigades du Signe.

Le code du document est alphabétique et rudimentaire, composé de vingt-six symboles inanimés qui demandent à être traduits en sons par un lecteur, afin d’obtenir la signification. Nous sommes heureux de pouvoir vous révéler le nom de l’ouvrage : la Buble. Les recherches linguistiques ne sont malheureusement pas encore parvenues à déterminer l’étymologie du terme, mais nous avons reconstitué l’essentiel du texte, malgré son état déplorable : il devait compter environ vingt mille signes ou une dizaine de pages. La formulation et quelques rares illustrations semblent indiquer que l’ouvrage s’adressait à des enfants en bas âge. Il s’agit plus que probablement d’un conte anodin, qui décrit la création d’un monde imaginaire, la Terre, et du genre humain, par un certain Deux. Ceci constitue, bien sûr, la thèse commune que j’ai battue en brèche l’année passée à Bürtzel5 : il serait illogique de nommer Deux celui qui crée seul.

Le texte, qui a terriblement souffert du feu, de l’humidité et du temps, est pratiquement illisible, aussi faut-il souvent l’interpréter. Selon moi, le nom de cette entité créatrice devait être Dyeux, car elle ne peut quitter des yeux sa création, tant elle la chérit. Ma thèse se fonde sur une expression idiomatique antique : « N’avoir Dyeux que pour quelqu’un », c’est-à-dire être attaché de façon extrême à une autre personne. En toute logique, je soutiens donc que la création de ce Dyeux n’est pas à proprement parler le monde, mais bien son monde : un être, avec son environnement, qu’il se donne à lui-même pour sortir de la solitude éternelle et que le texte présente comme la femme. Nous manquons d’informations pour nous prononcer sur la nature de cette créature et ses caractéristiques. Elle porte le nom de Ève, mais une analyse moléculaire du document semble indiquer la présence effacée d’un caractère précédant l’initiale « È » : le nom se lirait, en fait, rÈve.

Un personnage secondaire est également cité dans le conte, un Adam ou mAdam, dont le rôle n’est pas très clair, mais dont les criants travers mettent en valeur les qualités de Dyeux. Une sorte de faire-valoir en somme.

Passons au document suivant, exceptionnellement bien conservé. Il s’agit encore d’un code alphabétique, mais cette fois nous avons affaire à un texte religieux : les paroles d’une prière intitulée « Liste des courses pour ce soir », adressée à une puissance surnaturelle du nom de Carrefour…


* Sciences dont l’objet d’étude n’est pas accessible dans son contexte temporel original, à la différence des Sciences des Temporalités Réversibles qui recourent aux voyages dans le temps.
** Unité Temporelle Globale, qui mesure le temps commun aux six milliards de mondes habités du cosmos occidental.

Un racconto breve o un lungo gioco di parole? Tradurre La Buble di Étienne Verhasselt


Il testo qui presentato è contenuto in una raccolta di racconti (“corti, molto corti e un po’ più lunghi”, come recita in francese il frontespizio) intitolata Les Pas perdus, recente opera prima (2018) dell’autore belga Étienne Verhasselt. Il volume riunisce testi che seguono due principali direttrici: quella del fantastico, nell’accezione todoroviana del termine…

Dans un monde qui est bien le nôtre, celui que nous connaissons, sans diables, sylphides, ni vampires, se produit un événement qui ne peut s’expliquer par les lois de ce même monde familier. Celui qui perçoit l’événement doit opter pour l’une des deux solutions possibles : ou bien il s’agit d’une illusion des sens, d’un produit de l’imagination et les lois du monde restent alors ce qu’elles sont ; ou bien l’événement a véritablement eu lieu, il est partie intégrante de la réalité, mais alors cette réalité est régie par des lois inconnues de nous. […] Le fantastique occupe le temps de cette incertitude […] ; c’est l’hésitation éprouvée par un être qui ne connaît que les lois naturelles, face à un événement en apparence surnaturel (Torodov 1970, p. 29).

…e quella del divertissement linguistico, dove le parole precedono i propri referenti e sono causa e motore primo del racconto.

Alla prima vena appartengono racconti quali “René Desessendre”, “Le vieux téléviseur” o il testo che dà il nome alla raccolta, “Les pas perdus”; alla seconda testi quali “À Claude”, nel quale gli abitanti di un piccolo villaggio si chiamano tutti allo stesso modo (Claude, nome epiceno in francese) e il racconto si sviluppa proprio a partire dall’accumulazione e dalla proliferazione inaspettata e grottesca del nome proprio.

Appartiene a questa seconda ispirazione anche il racconto di cui presento la traduzione, “La Buble”. Il breve testo mima la relazione a un convegno di un futuro filologo (molto probabilmente alieno), alle prese con le tracce della Bibbia e della civiltà umana sopravvissute a un non meglio precisato cataclisma. Tracce troppo vaghe per restituire correttamente il testo: cosicché la ricostruzione, totalmente sballata, dà vita a effetti piuttosto comici. Il gioco del testo-source è costruito attorno a una serie di paronimie che, a partire da alcuni elementi noti del libro sacro, creano una nuova rete di significati, solida solo in apparenza.

Così il termine chiave del testo, Dieu, viene letto a seconda dei contesti come deux ou d’yeux; Ève diviene rêve, e Adam viene ricostruito come Madam. La Bible diventa, appunto, la Buble,[url=#note1][1][/url] un’opera probabilmente “indirizzata a infanti di pochi anni”. Il gioco, però – sottolinearlo è quasi inutile – è squisitamente insensato, e per questo forse più divertente ancora, anche nella finzione operata del testo, che presupporrebbe (a) che si siano salvate solo copie in francese dell’opera e (b) che i misteriosi alieni, o postumani, della finzione parlino miracolosamente quella stessa lingua. È proprio la sfacciataggine del gioco a consentire un’assurda serie di non sequitur che, pena la “sospensione della credulità”, altri contesti non avrebbero permesso e che qui risultano invece molto godibili: il protagonista/relatore si sente in dovere di spiegare che cosa significhi leggere o che cosa sia un alfabeto, ma poi il fatto che l’opera sia probabilmente indirizzata a un pubblico di bambini non pone alcun problema…

Mi pare che di fronte a testi come questo resti possibile, come diceva Jakobson ormai sessant’anni fa (1959), solo la “trasposizione creativa”. Trasposizione creativa che però rimane a mio parere traduzione,[url=#note2][2][/url] se si tratta di una strategia adoperata di fronte a ostacoli altrimenti insormontabili (più che altro, perché sormontarli diverrebbe inutile: possiamo certo ridire ciò che accade in questo testo lasciando in francese le espressioni causa di sconcerto o fornendone una traduzione letterale; soltanto che, così, il nuovo testo perderebbe qualsivoglia interesse).

Così, dopo una prima parte che, traduttivamente, può essere considerata priva di particolari difficoltà,[url=#note3][3][/url] e nella quale è possibile mantenere una certa aderenza al dettato del testo-source, la seconda parte del testo mi è parsa un invito – e un obbligo, stanti le motivazioni indicate sopra – a rigiocare il gioco in maniera creativa: “una nuova partita con lo stesso numero di mosse” (Eco 1983), insomma. Ho così deciso di partire dallo stesso punto, ossia una costellazione di termini semplici e legati all’Antico Testamento, e di sfruttare liberamente, a mia volta, eventuali prossimità fonetiche o grafiche. La vicinanza tra le lingue mi ha permesso di mantenere alcune cose (Dieu / Deux, Dio / Duo) e me ne ha fatte perdere molte altre (d’yeux, rêve). Qua e là mi ha permesso, credo, di guadagnare qualcos’altro, dandomi la possibilità di effettuare qualche scelta più coerente: rispetto al supposto destinatario del testo (salvo errori da parte mia, non mi pare che Buble significhi granché; Bimbia è invece un richiamo forse più evidente al mondo dell’infanzia), rispetto ad alcune caratteristiche dei personaggi (il nome Adagio mi pare, rispetto a Madam, più indicato per il personaggio un po’ scemo a cui il testo-source si riferisce).

Alcuni riterranno che ho un po’ esagerato, che questo non è tradurre; non posso, in tutta onestà, dar loro torto. Credo però che se queste esagerazioni vengono dichiarate, se il testo è poi offerto, come qui, con il suo originale a fronte, si rimanga tutto sommato nell’ambito dei comportamenti legittimi. La traduzione diventa qui, più che altrove, proliferazione testuale – un caso esemplare di semiosi illimitata.
 

Bibliografia

Calvino, Italo, 1995[1965]. “L’antilingua”, in Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Milano, Mondadori, pp. 149-154.
Eco, Umberto, 1983. “Introduzione”, in Raymond Queneau, Esercizi di stile, Torino, Einaudi, pp. v-xix.
Fruttero, Carlo, e Franco Lucentini, 1985. “La zia occulta”, in La prevalenza del cretino, Milano, Mondadori, pp. 144-145.
Henry, Jacqueline, 2003. La Traduction des jeux de mots, Paris, Presses Sorbonne Nouvelle.
Jakobson, Roman, 1959. “On linguistic aspects of translation”, in On Translation, Cambridge (MA), Harvard University Press.
Low, Peter Alan, 2011. “Translating jokes and puns”, in Perspectives – Studies in Translation Theory and Practice n. 19, pp. 59-70.
Nasi, Franco, 2015. Traduzioni estreme, Macerata, Quodlibet.
Todorov, Tzvetan, 1970. Introduction à la littérature fantastique, Paris, Seuil.


Note

[url=#ref1][1][/url] In francese, le consonanti del titolo sembrano ironicamente alludere (anche) a Babele, che costituisce in un certo senso il problema di fondo di questo racconto: chi desidera “semplicemente” comunicare può farlo; ma se e quando la lingua viene usata come materiale, i problemi – per forza di cose – aumentano.
[url=#ref2][2][/url] Non si tratta certo di un’opinione per cui rivendico una qualche originalità. Posizioni simili si trovano, con dovizia di esempi pratici, in Henry 2003, Low 2011 o Nasi 2016.
[url=#ref3][3][/url] C’era, a dire il vero, la necessità di giocare sul pastiche della comunicazione scientifica. Con la pratica, ricorrere a questa neolingua mi è diventato purtroppo quasi più semplice che scrivere in un italiano normale: né Calvino (1995), né Fruttero e Lucentini (1985) avrebbero lodi da elargire per questo!


©inTRAlinea & Fabio Regattin (2019).
"Un racconto breve di Étienne Verhasselt". Translation from the work of Étienne Verhasselt.
This translation can be freely reproduced under Creative Commons License.
Stable URL: https://www.intralinea.org/translations/item/2412

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