La traduzione a vista nella formazione degli interpreti

By Elio Ballardini (DIT- Forlì, Università di Bologna, Italy)

Abstract

English:

Italian: La traduzione a vista è stata finora poco indagata nella ricerca dedicata all’insegnamento dell’interpretazione. Secondo alcuni interpreti, studiosi ed insegnanti, essa costituisce innanzi tutto un ottimo esercizio il cui scopo principale è di permettere agli studenti di passare gradualmente dalla pratica scritta della traduzione alla «oralità» dell’interpretazione, in particolare simultanea (ma non esclusivamente) e, in linea di principio, verso la lingua A. Questo articolo cerca di spiegare perché quella dell’esercizio propedeutico all’interpretazione di conferenza è una concezione riduttiva della traduzione a vista, e perché appare più coerente parlare, in questo caso, di tecnica richiedente un apposito allenamento.

Keywords: traduzione a vista, sight translation, interpreter training, formazione degli interpreti, translator and interpreter training, formazione interpreti e traduttori

©inTRAlinea & Elio Ballardini (1998).
"La traduzione a vista nella formazione degli interpreti"
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1. Introduzione

La traduzione a vista è stata finora poco indagata nella ricerca dedicata all’insegnamento dell’interpretazione. Secondo alcuni interpreti, studiosi ed insegnanti, essa costituisce innanzi tutto un ottimo esercizio il cui scopo principale è di permettere agli studenti di passare gradualmente dalla pratica scritta della traduzione alla «oralità» dell’interpretazione, in particolare simultanea (ma non esclusivamente) e, in linea di principio, verso la lingua A.

Alcuni recenti studi teorici, e soprattutto lo spazio rilevante che il documento scritto occupa nella realtà professionale degli interpreti, ne rimettono in discussione l’impiego didattico tradizionale, e invitano a valutare con attenzione l’opportunità di ridefinirne il ruolo nel percorso formativo.

La presente riflessione cerca di spiegare perché quella dell’esercizio propedeutico all’interpretazione di conferenza è una concezione riduttiva della traduzione a vista, e perché appare più coerente parlare, in questo caso, di tecnica richiedente un apposito allenamento.

2. Motivazioni didattiche

Il ruolo di esercizio di avviamento all’interpretazione di conferenza, che di solito è riconosciuto alla traduzione a vista, poggia su un impianto teorico e pratico assai semplice. Alla base vi è la parziale similitudine processuale con l’interpretazione simultanea e l’identità formale degli obiettivi da ottenere - un testo di arrivo orale - che, per altro, l’avvicina anche alla consecutiva.

Per Herbert (1952: 7) la traduzione a vista è a tutti gli effetti una delle tre varianti della simultanea:

traduction à vue, cas particulier où l’interprète prend un texte qui lui était jusqu’alors inconnu et, soit directement, soit par téléphone, le «lit» dans une langue autre que celle dans laquelle ce texte est écrit, à la cadence d’une lecture normale sans traduction.[1]

Questa definizione non è mai stata veramente contestata, e ha motivato un’applicazione didattica che nel corso degli anni si è radicata, con varie sfumature, nell’ambito di tradizioni diverse.

Alla traduzione a vista, sia dalla lingua A verso la lingua B sia nella combinazione contraria (in linea con la prassi nei paesi dell’Europa centro-orientale che prevede l’insegnamento della simultanea e della consecutiva anche verso la lingua B) dedica qualche pagina Min’jar-Belorucev (1959: 100-101, 131-134). Nel suo volume - uno dei primi ad avere per oggetto la metodologia dell’insegnamento dell’interpretazione - egli divide il percorso formativo in quattro fasi, in cui la traduzione a vista verso la lingua A viene affrontata nelle due fasi centrali, mentre la traduzione a vista verso la lingua B è introdotta nella terza parte del corso. Per l’autore, l’esercizio della traduzione a vista serve soprattutto a consolidare certi automatismi, in particolare quello di spostarsi rapidamente da una lingua verso l’altra e quello di svolgere contemporaneamente operazioni diverse - percepire un testo prodotto in una lingua, comprenderne il significato e riformularlo nella lingua di arrivo. Più in generale, esso aiuta lo studente a prendere confidenza con l’espressione orale, a lavorare in tempi molto stretti, pertanto a non indugiare sulla parola e cercare soluzioni veloci e pertinenti alla situazione comunicativa.

Lo studioso riconosce le differenze fra la traduzione a vista e l’interpretazione, e precisamente che nelle due prove vengono coinvolti meccanismi cognitivi diversi - nel primo caso l’interprete deve nello stesso tempo leggere (o eventualmente leggere e ascoltare), concettualizzare e comunicare, nel secondo egli deve simultaneamente ascoltare, concettualizzare e comunicare, tuttavia egli non insiste su questa diversità processuale, e considera l’esercizio un’ottima forma di allenamento. Questa concezione pratica della traduzione a vista è stata (ed è tuttora) adottata da numerosi formatori di futuri simultaneisti.

In tutt’altra area di riflessione, Van Hoof (1962: 37), facendo sua la definizione della traduzione a vista proposta da Jean Herbert, sottolinea l’utilità di avvicinarsi per gradi alla simultanea proprio attraverso una serie di trasposizioni ad librum apertum. Per Snelling (1983: 19) la traduzione a vista è il migliore esercizio di preparazione alla simultanea, mentre in Curvers et al. 1986, uno dei pochi studi dedicati interamente a questo argomento, essa è presentata come esercizio non soltanto preliminare ma anche complementare all’interpretazione di conferenza (soprattutto simultanea), a prescindere dalla differenza del percorso scritto-orale da un lato e orale-orale dall’altro. L’obiettivo pedagogico dell’esercizio è in questo caso triplice: a - insegnare a comprendere un testo redatto in una lingua straniera privilegiando il lavoro di analisi, sviscerando prontamente il senso generale del discorso e organizzando le idee; b- insegnare a riformulare il testo in lingua di arrivo con rapidità, precisione ed eleganza; c - allenare lo studente ad una corretta presentazione, e sviluppare il suo senso della comunicazione (scorrevolezza, dizione corretta, impostazione della voce, controllo visivo, ecc.).

Brady (1989: 142-143), rileva che se la traduzione a vista è usata nell’insegnamento sia della simultanea sia della consecutiva, essa è di solito considerata più pertinente nel primo caso.

Lambert (1989: 742), dal canto suo, puntualizza che la traduzione a vista può essere accomunata all’interpretazione simultanea nei seguenti punti: la costrizione temporale, l’anticipazione, la natura orale della tecnica e lo stress. Nel suo seminario di introduzione alla tecnica dell’interpretazione, articolato in dodici tipi di esercizi di crescente difficoltà, la studiosa colloca la traduzione a vista in settima posizione. In un’occasione successiva (1991: 590-592) l’autrice ricorda l’importanza di questi tratti comuni, non tanto per convalidare la funzione propedeutica quanto per legittimarne l’uso anche nei test attitudinali per la simultanea.

Per Kalina (1994: 222) l’esercizio di traduzione a vista con tempi di esecuzione limitati e in cui non sono ammesse correzioni è un modo eccellente per sviluppare negli studenti la flessibilità dell’espressione e rafforzare la loro capacità di controllo, in quanto, per evitare errori, essi sono costretti a concentrarsi maggiormente sull’organizzazione e sulla memorizzazione del proprio discorso. Di recente, ancora, Viaggio (1995: 33-34) conferma l’utilità della traduzione a vista come introduzione e preparazione alla simultanea.

In un secondo volume, dedicato alla teoria e ai metodi d’insegnamento dell’interpretazione consecutiva, Min’jar-Belorucev (1969: 133, 182-184) ripropone l’approccio esposto dieci anni prima, e con le stesse motivazioni - capacità della traduzione a vista di sviluppare nello studente l’abilità a passare automaticamente da un codice linguistico all’altro sincronizzando le operazioni di percezione e di produzione - include la traduzione a vista come undicesimo esercizio in un complesso minuziosamente strutturato di diciassette prove preliminari all’apprendimento della presa degli appunti.

Sul rapporto fra la traduzione a vista e l’interpretazione consecutiva torna Déjean Le Féal (1981: 95), per la quale la traduzione a vista va considerata come una consecutiva con la sola differenza che l’interprete, invece di prendere degli appunti, sostituisce questi ultimi con il testo dell’oratore.

Curvers et al. (1989-1991: 183) mettono in rilievo nel loro contributo alla pedagogia dell’interpretazione consecutiva la coincidenza degli obiettivi della traduzione a vista con quelli dell’interpretazione, vale a dire la comprensione di un’informazione prodotta in un lingua sorgente, la sua trasposizione in una lingua di arrivo, la trasmissione fedele ed efficace del messaggio. Secondo gli autori, è proprio questa consonanza di esigenze a fare della traduzione a vista nello stesso tempo un eccellente esercizio di preparazione ed un complemento irrinunciabile nella formazione dei futuri interpreti.

Più recentemente, Falbo (1995) illustra l’uso della “pseudo-traduzione a vista” come esercizio di preparazione all’interpretazione consecutiva. Si tratta di una prova, eseguita nelle lingue A e B, in cui si pone l’accento sul processo di deverbalizzazione e di comprensione, e su una riformulazione basata sull’analisi e la ricerca di diverse soluzioni sintattiche e lessicali equivalenti, affrancate dalla struttura di superficie dell’originale.

Infine, Ilg (Ilg & Lambert 1996: 73) si sofferma sull’utilità di introdurre quanto prima la traduzione a vista nella fase introduttiva dell’insegnamento della consecutiva. Di opinione lievemente diversa è la coautrice del saggio, Lambert (Ilg & Lambert 1996: 77), la quale conferma la scelta di proporre l’esercizio soltanto nella seconda fase di un seminario introduttivo composto da dodici prove (vedi sopra), preliminari alla consecutiva e alla simultanea. La studiosa ripropone a questo proposito la distinzione fra la traduzione a vista (sight translation) e l’interpretazione a vista (sight interpretation). Nel primo caso lo studente traspone il messaggio scegliendo il proprio ritmo di espressione, mentre nel secondo egli deve trasporlo in simultanea seguendo il ritmo del relatore, spostando quindi l’attenzione sull’input acustico dell’informazione piuttosto che sul testo scritto, dato che questi non sempre coincidono.

Il consenso che vede la traduzione a vista finalizzata all’insegnamento delle tecniche dell’interpretazione non è unanime. Più che sulle analogie, alcuni studiosi si soffermano sulle differenze. L’obiezione di fondo è che porre in rilievo soltanto i tratti comuni e misconoscere la diversità dei momenti di ricezione, quello visivo e quello uditivo, è forse utile, in alcuni casi, sul piano pratico, ma non è corretto sul piano scientifico.

Sulle differenze insiste già Hendrickx (1969: 87), traendone delle conclusioni didattiche:

(...) la traduction à vue (...) est un excellent moyen d’augmenter la rapidité de réaction, mais (...) n’est cependant pas idéale, car le futur interprète en simultanée doit apprendre le plus tôt possible à se passer de la présentation visuelle des éléments à traduire. En effet, il est établi que les conditions de la perception, de la transmission et de l’association des mots entendus ne sont pas les mêmes que celles de la perception, de la transmission et de l’association des mots lus.[2]

Nella stessa linea, Giambagli Vattovani (1982: 67-68) reputa la traduzione a vista inserita nell’ambito di un seminario di preparazione generale all’ interpretazione “indubbiamente molto utile al fine di controllare la sicurezza e la rapidità di traduzione e, quindi, la conoscenza della lingua straniera (e la ricchezza di quell’italiana), oltre alla capacità di trovare all’istante soluzioni adeguate soprattutto laddove il testo presenta difficoltà legate vuoi al vocabolario vuoi alla costruzione sintattica.” Inoltre, l’esercizio è per l’istruttore un attendibile punto di osservazione per valutare la predisposizione dello studente all’interpretazione. Con quest’ultima, tuttavia, la traduzione a vista non va confusa, a motivo della natura visiva del testo originale, e pertanto, sostiene l’autrice, è meglio non “indugiarvi troppo”.

Di parere più categorico, invece, è Viezzi (1989a: 68; 1989b: 113-114), per il quale la parte ascritta alla traduzione e vista nell’insegnamento della simultanea non corrisponde alla sua specificità processuale, o più precisamente, alla diversità del tipo di materiale al quale i processi sono applicati, o, in altri termini ancora, alla forma acustica o grafica in cui l’informazione viene presentata. Analizzate le differenze sostanziali fra il processo di ascolto e il processo di lettura (sequenzialità e monodirezionalità, presenza dei tratti soprasegmentali o di interferenze acustiche nel primo, maggiore durata di esecuzione e minore sollecitazione della memoria del secondo), l’autore giunge al termine di una serie di indagini ad interrogarsi, appunto, sulla pertinenza di ricorrere alla traduzione a vista come esercizio preliminare alla simultanea, mostrandosi critico nei confronti di una prassi fortemente ancorata nel campo dell’insegnamento:

(...) on account of the different strategies used, sight translation and simultaneous interpretation are by no means parallel processes. Sight translation may certainly be useful for many purposes, but is it justified to use sight translation as a training method for the acquisition of simultaneous interpretation technique?. (1990: 59).[3]

Occorre riconoscere che, salvo le riserve menzionate sopra, vi è nell’insieme un ampio consenso circa la motivazione didattica della traduzione a vista, i vantaggi che essa comporta nell’insegnamento ora della consecutiva ora della simultanea.[4]]Nei programmi formativi tale prova compare regolarmente accanto ad altri esercizi, talora nel quadro di un seminario introduttivo all’interpretazione in genere, senza riferimenti specifici all’una o all’altra tecnica. Se in alcuni casi l’esercitazione precede l’insegnamento della consecutiva, è anche perché quest’ultima è a sua volta, in molti istituti, considerata come preliminare alla simultanea, il fine ultimo del percorso formativo. Per il resto, è difficile valutare se l’inserimento della traduzione a vista in una disciplina piuttosto che in un’altra non sia determinato proprio da ragioni estranee alle motivazioni teoriche o pratiche esposte sopra, per esempio dal tipo di coordinamento fra i corsi di consecutiva e di simultanea, dalla durata degli stessi ecc.

Un dato, in ogni modo, è certo: insistendo sui denominatori comuni e ridimensionando le differenze esistenti, l’uso della traduzione a vista in chiave propedeutica ha finito per mettere in ombra la sua specificità tecnica. In effetti, una parte delle difficoltà che s’incontrano durante la sua esecuzione sembra riconducibile proprio al suo carattere anomalo, gli errori di esecuzione non costituiscono necessariamente il sintomo di una scarsa attitudine all’interpretazione, come talora si ritiene in sede di esame di ammissione. Si può diventare buoni consecutivisti e buoni simultaneisti senza essere particolarmente brillanti nella traduzione a vista. In prospettiva, però, è preferibile che un interprete sappia affrontare anche un testo scritto.

3. Situazioni di lavoro

Weber (1990: 45), osserva che sempre più spesso nell’ambito di incontri scientifici e di riunioni diplomatiche (ma non si dimentichino pure i settori in crescita dell’interpretazione di trattativa, di tribunale e, nei paesi multietnici o a forte immigrazione, del community interpreting) l’interprete deve misurarsi con materiale cartaceo di varia natura - interventi, dichiarazioni ufficiali, contratti, verbali, documenti legali ecc. :

Each time that this “pure” form of oral communication [l’interpretazione di conferenza] is interrupted by any form of written medium, i.e. by any material that has been drafted to be read, rather than to be listened to, the interpreter may experience difficulties, a task for which the student must be carefully prepared.

Weber pone dunque l’accento su una realtà che non è marginale, all’interno della quale la consecutiva e la simultanea appaiono complicate da una forma di trasposizione differente, che si colloca all’intersezione tra la traduzione e l’interpretazione e che è tutt’altro che facile da effettuare a regola d’arte.[5]

Il posto abitualmente riservato alla traduzione a vista nella formazione dei futuri interpreti non appare, quindi, commisurato allo spazio che essa occupa nella realtà professionale. È allora per una ragione pratica, prima ancora che teorica, che va presa in esame una valorizzazione della sua presenza nei programmi formativi.

3.1. Traduzione a vista e interpretazione consecutiva

Secondo Weber (1990: 47) la traduzione a vista s’inserisce nell’interpretazione consecutiva ogni volta che un oratore legge o si rifà ad un documento scritto, messo a disposizione anche dell’interprete. Per un resoconto più dettagliato delle occorrenze in cui le due tecniche vengono a contatto si può risalire ancora una volta a Herbert (1952: 55-57), e precisamente al capitolo dedicato al “discorso letto” del Manuel de l’interprète.

Secondo l’autore, le situazioni in cui un consecutivista può o deve ricorrere a tale tecnica sono essenzialmente tre: a) l’oratore ha fornito all’interprete la copia del testo prima di prendere la parola; b) l’oratore ha fornito tempestivamente all’interprete il testo, ma questo dovrà essere abbreviato o riassunto durante la riformulazione differita; c) l’oratore non ha ancora fornito il testo scritto del discorso nel momento in cui prende la parola.

Nel primo caso, sostiene Herbert, conviene in ogni modo confrontare lo svolgimento del discorso orale con il testo scritto, annotando le eventuali addizioni, omissioni o modificazioni operate dall’oratore durante l’intervento. Per essere accurata la riformulazione in lingua d’arrivo dovrà tenere rigorosamente conto di questi cambiamenti.

La seconda situazione, precisa Herbert, è alquanto frequente, e pone l’interprete in una condizione psicologicamente delicata, poiché egli deve fornire una prestazione in grado di soddisfare sia il legittimo desiderio dell’oratore di essere tradotto integralmente sia la richiesta di chi presiede la conferenza di “stringere” i tempi della comunicazione. Quale via d’uscita l’autore consiglia di mettere in disparte (con la massima discrezione) il testo, di prendere degli appunti e di interpretare a partire dagli stessi. In questo caso, quindi, l’interprete desiste dall’effettuare una traduzione a vista, e la sua ricostruzione consecutiva dovrà essere una veloce ed accurata sintesi.

Infine, nell’ultima occorrenza, Herbert suggerisce all’interprete di procedere come se il documento non dovesse mai pervenire nelle sue mani, ossia di prendere appunti sin dal principio dell’enunciazione. Il testo, infatti, può giungere non solo in ritardo, ma anche sotto forma di un manoscritto di difficile lettura, oppure può essere consultato dall’oratore soltanto come una semplice traccia. Secondo l’utilizzabilità del supporto scritto, l’interprete sceglierà alla fine se tradurlo a vista o se ricorrere alla consecutiva pura.

Gli ultimi due esempi costituiscono senz’altro “un problème délicat”, per dirla con Herbert, mentre lo è apparentemente meno la prima situazione. Infatti, il documento scritto, sempre che sia leggibile, può trasformarsi in un’opportunità. Avere sotto gli occhi il testo permette all’interprete, a volte, di meglio amministrare le energie necessarie allo svolgimento delle operazioni che compongono la consecutiva. In particolare, il testo può agevolare parecchio la fase di ricezione e di analisi, dal momento che non si è costretti ad investire parte delle proprie capacità di trattamento nello stoccaggio in memoria o nell’annotazione dell’informazione, come avviene nella consecutiva ordinaria. Non dover tenere in memoria o annotare cifre, nomi, citazioni, elenchi di dati enunciati dall’oratore in rapida successione, o il non dover interpretare un discorso viziato da una dizione poco ortodossa o enunciato troppo velocemente, rappresenta per l’interprete un vantaggio non disprezzabile. Sollevato, almeno in parte, dal pericolo di una perdita informativa causata da una saturazione della capacità di trattamento, [6] egli può concentrarsi maggiormente sulla produzione del testo di arrivo.

Tuttavia, la presenza dello scritto non comporta soltanto vantaggi. Il confronto fra il testo scritto e la relativa enunciazione a voce può rivelarsi più faticoso del previsto se l’oratore si discosta troppo dal documento, trasformando quest’ultimo in un elemento di disturbo che distoglie l’attenzione dell’interprete dal messaggio definitivo, quello trasmesso a voce.

Va ricordata, però, un’altra variante situazionale, forse la principale, in cui il raffronto tra il discorso pronunciato e la copia redatta è assente. Può capitare che durante una riunione o una trattativa l’interlocutore di turno non legga un determinato documento ma, per risparmiare tempo, lo introduca soltanto, allungandolo a un certo punto all’interprete per una traduzione ex tempore. In questa circostanza, se da un lato il testo costituisce una garanzia contro i “vuoti di memoria”, dall’altro esso pone una serie di problemi specifici. Le osservazioni di Gile (1995a: 111-112) relative all’insegnamento di questo tipo di traduzione a vista, in cui le operazioni di decodificazione e di ricodificazione avvengono con un décalage minimo, paragonabile a quello della simultanea mettono in evidenza la peculiarità tecnica del compito:

En fait même les étudiants qui ont une assez bonne maîtrise de la consécutive peuvent éprouver des difficultés en traduction à vue. Il semblerait que ces difficultés puissent être attribuées principalement à trois facteurs:

- le travail porte sur un texte écrit, donc dense et structuré syntaxiquement d’une manière qui n’en facilite pas le traitement en petits segments consécutifs distincts;

- quand l’interprète découvre un texte lu, il n’est pas aidé, comme en interprétation, par le rythme et la prosodie de la lecture. Il en résulte probablement un accroissement relatif des besoins en capacité de traitement de l’Effort de lecture par rapport à l’Effort d’écoute et d’analyse en interprétation;

- la présence permanente sous les yeux de l’interprète du texte en langue de départ allège sans doute l’Effort de mémoire, mais impose probablement une consommation supplémentaire de capacité de traitement pour lutter contre les interférences linguistiques.

Un interprete non allenato ad affrontare questo genere di situazione di continuo corre il pericolo di rimanere irretito nella struttura di superficie originale. Un rischio sul quale richiama l’attenzione ancora Weber (1990: 46, 50-51). Gli eventuali errori lessicali e sintattici, i calchi e le false analogie sono nella traduzione a vista difficilmente reversibili, le correzioni hanno una portata retroattiva limitata, come del resto nell’interpretazione consecutiva o simultanea, e nella concreta esperienza professionale, in ogni modo, non lasciano una buona impressione.

3.2. Traduzione a vista e interpretazione simultanea

L’esempio fatto da Herbert della traduzione a vista di un documento presentato all’improvviso rappresenta soltanto uno fra i possibili scenari in cui un interprete può imbattersi. Se la conferenza è organizzata a dovere, oltre al materiale ottenuto dal committente in fase di preparazione, pure le copie delle relazioni possono essere fornite all’interprete in tempi utili, a volte con un anticipo tale da consentirgli un’attenta lettura o persino, come rammenta Weber (1990: 46), una traduzione a vista preventiva, precedente l’inizio dei lavori.

Ma il tempo di consegna del materiale può essere al contrario sfavorevole, insufficiente perché l’interprete possa prenderne visione in modo adeguato; il documento può addirittura arrivare in cabina a discorso iniziato. Le circostanze evocate nel paragrafo precedente possono riprodursi pure in questo contesto, e le strategie di volta in volta adottate dall’interprete rispecchiano la molteplicità dei problemi che gli si parano dinanzi.

La varietà delle situazioni, la qualità variabile del messaggio, emesso oralmente o per iscritto, inducono il simultaneista ad operare delle scelte più che mai flessibili, a privilegiare la lettura piuttosto che l’ascolto e viceversa, come ricordano Viezzi (1989b: 112) e Gile (1995b: 190).

Rispetto alla consecutiva, qui il compito è reso più difficile dalla necessità di sincronizzare le diverse fasi operative. L’interprete, in teoria, dovrebbe nello stesso tempo ascoltare il discorso, seguire la relazione scritta e produrre la versione finale tenendo il passo dell’oratore per non arrivare “fuori tempo massimo” nella fase conclusiva dell’intervento, che spesso è ad effetto. Tutto ciò, com’è ovvio, non è semplice da realizzarsi, sia perché ascoltare con attenzione di per sé è faticoso, sia perché la lettura del relatore è di solito più veloce, meno ridondante di un discorso pronunciato a braccio, sia, ancora, perché lo sforzo di lettura ha un effetto perturbatore sull’ascolto, il quale entra a sua volta in concorrenza con la lettura.[7] Per tutte queste ragioni, l’interprete preferisce spesso lavorare unicamente ad orecchio, facendo astrazione del supporto scritto, riservandosi la possibilità di ricorrervi in caso di bisogno (cifre, nomi geografici o di persone, sigle ecc.) o chiedendo eventualmente la collaborazione del collega a fianco. Sempre che detto collega sia ben disposto o non stia studiando un altro documento.

Il testo può quindi trasformarsi durante la ricezione in un elemento di disturbo. Un’interferenza che diventa più evidente ancora se si considera che il messaggio dell’oratore non è veicolato soltanto attraverso il codice linguistico e paralinguistico ma anche attraverso codici extralinguistici. È noto quanto sia essenziale, ai fini di una prestazione corretta, che l’interprete abbia una buona visibilità dalla cabina, che gli permetta di cogliere le informazioni trasmesse dall’oratore attraverso la gestualità, la mimica facciale, lo sguardo, la posizione del corpo. Senza parlare, poi, delle situazioni, sempre più frequenti, in cui l’oratore presenta un discorso “multimediale”. Ed è noto, infine, come alcuni interpreti giudichino utile individuare un destinatario in mezzo al pubblico, cercare un contatto visivo per tentare di indovinare dall’espressione del volto se la traduzione proposta è abbastanza chiara.

Spetta all’interprete, dunque, valutare caso per caso quale importanza attribuire al testo di cui dispone in cabina, quale beneficio può trarne la sua prestazione. Si tratta per lui di sapere affrontare una serie di evenienze estremamente variabili, di gestirle nel modo più appropriato, cercando sempre di applicare la legge del minimo sforzo e della massima efficacia.

3.3. Traduzione a vista e traduzione scritta: un equivoco?

Le situazioni citate nei paragrafi sopra si riferiscono alle due principali tecniche di interpretazione. Tuttavia, non sembra immotivato soffermarsi su un terzo ambito, dal quale la traduzione a vista in parte procede, al quale rimane legata per alcuni aspetti e nel quale trova, di ritorno, una valida applicazione, peraltro divenuta più intensa negli ultimi tempi grazie al diffondersi di nuove tecnologie: quello della traduzione scritta.

Logicamente, l’identità formale degli obiettivi, alla quale gli studiosi accennano raffrontando la traduzione a vista con la consecutiva e con la simultanea, non può essere presa in considerazione nell’accostamento con la traduzione scritta. Mentre nel rapporto traduzione a vista / interpretazione il punto discriminante risiede nella fase iniziale del processo, quella della ricezione, nel parallelo fra la traduzione la vista e la traduzione scritta l’opposizione riguarda la fase finale del processo, dove il testo di arrivo non è riformulato oralmente ma per iscritto. Questa differenza è essenziale non soltanto sul piano teorico. Su di essa si fonda la giustificazione dell’uso della traduzione a vista nell’ambito della traduzione, che consiste nell’accelerare la trasposizione di un messaggio scritto: tradurre a voce una cartella richiede un tempo senza dubbio inferiore rispetto alla traduzione per iscritto della stessa, se non altro per l’assenza della fase redazionale. In effetti, se il tempo indispensabile al completamento delle operazioni di ricezione mediante la lettura, di concettualizzazione e di trasferimento linguistico possono essere in entrambi i casi simili, appare poco probabile, invece, che lo scrivere sia più veloce del parlare, persino se quest’ultimo è controllato, ossia non spontaneo.[8]

È il motivo per il quale, rammentano André (1985: 40), Weber (1990: 44-45) e Viaggio (1995: 33), alcuni traduttori ed interpreti giudicano utile (e redditizio) dettare direttamente le loro traduzioni, o iniziare il lavoro di traduzione di un testo scritto registrando su nastro magnetico la traduzione a vista dello stesso, prima di procedere, a partire dalla registrazione, alla fase di elaborazione scritta. Questo modo di impostare il lavoro, in apparenza improprio, permette di ridurre i tempi del processo traduttivo in sé, il quale non è rallentato dall’interferenza della parte puramente redazionale dell’intera operazione. L’economia di tempo è, per il resto, proporzionata alla bravura del “traduttore a vista”, alla sua velocità di esecuzione, nonché alla tipologia del testo.

In numerosi casi le costrizioni (tipo) grafiche, per esempio un’impaginazione complessa del testo sorgente (si pensi ad un testo tecnico con numerose schede, illustrazioni, didascalie, tabelle ecc.), eseguita con l’aiuto di programmi specifici e ovviamente non modificabile nel testo di arrivo, escludono questo passaggio attraverso l’oralità, impongono una codificazione scritta della traduzione, in genere in sovrascrittura all’originale fornito su dischetto o su CD-ROM. In sostanza, la traduzione a vista, per ora, risulta utile in questo campo ogni volta che il traduttore / interprete può riconsegnare al cliente una traduzione sotto forma di “testo liscio”, o con una impaginazione essenziale (una lettera, un brevetto, ecc.). Negli altri casi il tornaconto non è garantito. [9]

In questa prospettiva appaiono interessanti gli ultimi sviluppi di programmi di riconoscimento vocale, in grado di ridurre ulteriormente tempi e costi di lavoro. Le recenti applicazioni di dettatura, che riconoscono il parlato continuo e abbastanza veloce, offrono risultati incoraggianti nei casi di traduzioni di testi semplici o molto ridondanti, laddove la battitura costituisce, a conti fatti, l’anello economicamente debole dell’intero processo lavorativo. [10]

Al di là della sua utilità, tale prassi rappresenta un aspetto collaterale della traduzione a vista, intesa in questo caso come una tappa facoltativa di un’operazione complessa, svolta da un traduttore improvvisatosi interprete o da un interprete “prestato” alla traduzione. Il risultato registrato su nastro o dettato direttamente al computer funge da documento ad uso interno, non costituisce un prodotto finito bensì una brutta copia, e deve essere sottoposto ad un più o meno ampio lavoro di rilettura e di correzione. Una rilettura che può anche vanificare il tempo guadagnato durante la dettatura: i traduttori sanno quanto impegnativa e spesso ingrata sia proprio quest’ultima fase di lavoro. Non va dimenticato, inoltre, che in questa precisa circostanza la traduzione a vista è svolta in condizioni eccezionalmente favorevoli, essendo meno imperativa quella pressione temporale che al contrario contraddistingue tutte le situazioni in cui detta tecnica non è accessoria. In altri termini, è qui assente quella tensione nervosa che di regola accompagna e condiziona la traduzione a vista inserita in altre situazioni comunicative, dove il controllo dello stress richiede un dispendio di energie che non va sottovalutato.

Il ricorso alla traduzione a vista in questo contesto può sembrare fuorviante, sebbene non sia escluso che le tecnologie vocali di cui si è fatto cenno, in continuo divenire, possano condurre in un futuro non troppo remoto ad una sua maggiore diffusione.

In ogni caso, tale uso presuppone la padronanza di una tecnica assai complessa, nella quale la simultaneità delle operazioni chiamate in causa (da intendersi come simultaneità relativa), il ritmo dei processi di ricezione, di analisi e di produzione costituiscono la principale difficoltà.

4. Appunti per una didattica della traduzione a vista

Scopo principale dell’insegnamento dell’interpretazione è di formare degli interpreti in grado di inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro.[11] È quindi evidente che l’insegnamento della traduzione a vista, non più esercizio preliminare bensì tecnica complementare all’interpretazione consecutiva e simultanea, [12] debba anch’esso seguire criteri tali da assicurare una formazione coerente con le effettive esigenze quantitative e qualitative della realtà professionale. Non si può né si vuole proporre nella presente riflessione una vera propria “unità didattica”, rientrando in particolari di ordine contenutistico (scelta della tipologia - argomentativa, espositiva ecc. -,  della difficoltà dei testi, dei temi - di attualità, di approfondimento ecc.-). Si possono invece ricordare, alla luce di quanto esposto nei paragrafi precedenti, alcuni aspetti generali che un eventuale corso di traduzione a vista dovrebbe riflettere.

Proprio perché s’ispira direttamente alle situazioni comunicative in cui tale tecnica si manifesta, esso dovrebbe svolgersi, a rigor di logica, tenendo conto dei corsi di interpretazione consecutiva e simultanea. In altri termini, data una combinazione linguistica A e B, la programmazione (sul piano della struttura e del contenuto) di un corso di traduzione a vista dovrebbe essere coordinata con lo svolgimento parallelo dei corrispondenti corsi di consecutiva e simultanea, ispirandosi, per esempio, al modello elaborato qualche anno fa da Holly Mikkelson, concepito specificamente per la formazione di interpreti di tribunale (un tipo di formazione, sia detto per inciso, del tutto ignorato in Italia). [13]

Una impostazione che dovrebbe contemplare, fra l’altro, la distinzione fra la traduzione a vista con input semplice a canale esclusivamente visivo da un lato e la traduzione a vista con immissione doppia dell’informazione, visiva e acustica, dall’altro. Una differenziazione, questa, che può concretarsi in forme di esercitazioni diverse e di crescente difficoltà, tenuto conto che alcune situazioni non possono essere affrontate prima che lo studente abbia raggiunto determinate competenze nell’interpretazione consecutiva e simultanea.

All’interno di questa prima suddivisione ulteriori ipotesi di lavoro, basate sulle combinazioni linguistiche (lingua A e lingua B), possono naturalmente essere prese in considerazione, per esempio:

1) ricezione del testo di partenza scritto in lingua B - produzione del testo di arrivo orale in lingua A

2) ricezione del testo di partenza scritto in lingua A - produzione del testo di arrivo orale in lingua B

3) ricezione del testo di partenza orale + scritto in lingua B - produzione del testo di arrivo orale in lingua A

4) ricezione del testo di partenza orale + scritto in lingua A - produzione del testo di arrivo orale in lingua B

Non va dimenticato, a questo proposito, che nella traduzione a vista di tipo 3 e 4 la corrispondenza fra il discorso enunciato in lingua di partenza e la relativa copia redatta può essere molto variabile (vedi i §§ 2.2. e 2.3). Si va da una lettura integrale stricto sensu ad un’oralizzazione più o meno libera del documento, con maggiori o minori modificazioni effettuate durante l’enunciazione. Pure questa variabile può quindi rappresentare il punto di partenza di una gamma di esercitazioni mirate, anch’esse incentrate sulla simulazione di situazioni consecutive e simultanee reali.

L’eterogeneità dei tempi di consegna del testo, la possibilità o meno di una prima lettura, la diversa limitazione dei tempi di esecuzione della resa, possono diventare altrettanti modi per dosare le difficoltà del compito.

Infine, pure l’eventualità di altre scelte, relative per esempio alle combinazioni linguistiche attivate, può essere presa in considerazione. Alcuni esperienze didattiche, infatti, allargano le coppie linguistiche anche alla lingua C, come ricorda per esempio Lambert (1989).

5. Conclusioni

La traduzione a vista s’inserisce generalmente nei programmi formativi dei futuri interpreti con l’obiettivo di avviare gli studenti all’interpretazione dopo un periodo d’istruzione dedicato alla traduzione scritta. Le ragioni teoriche e pratiche all’origine di questa prassi didattica sono, come si è visto, molteplici e talora singolarmente dissonanti.

Per molti la traduzione a vista è un eccellente esercizio preparatorio alla simultanea. Una concezione riconducibile in qualche modo all’inclusione herbertiana della tecnica fra le varianti della simultanea. Mettendo in evidenza la sostanziale concomitanza delle operazioni di ricezione, di concettualizzazione e di riformulazione, tale accezione pone in ombra le pur esistenti differenze, giustamente ricordate da alcuni studiosi.

Altri riconoscono la sua notevole utilità come esercizio introduttivo alla consecutiva. Si può soltanto osservare, brevemente, che se il ricorso alla traduzione a vista nell’insegnamento della consecutiva può essere giustificato per alcuni motivi, non sembra possa esserlo per il parallelismo indicato da Karla Déjean Le Féal. Assimilare il supporto scritto agli appunti significa negare una differenza fondamentale, vale a dire che gli appunti di un interprete rappresentano per la riformulazione differita una fonte personalizzata (l’interprete è l’unico destinatario degli appunti) e sussidiaria, “un nodo al fazzoletto” secondo la nota definizione di Danica Seleskovitch, mentre il testo originale rappresenta per la riformulazione immediata una fonte prima.

Infine, taluni giudicano l’esercizio della traduzione a vista attinente e funzionale sia alla simultanea sia alla consecutiva, mentre una minoranza di studiosi e formatori non prende la traduzione a vista in considerazione né come esercizio né come tecnica.

La sottovalutazione della natura diversa dell’immissione informativa rispetto alle due principali tecniche di interpretazione ha portato nel corso degli anni ad una lettura generalmente riduttiva della traduzione a vista, facendone esclusivamente un esercizio preparatorio all’interpretazione. Un modo costruttivo per uscire dagli approcci contraddittori riassunti sopra potrebbe essere quello di riconoscere la specificità di tale tipo di trasposizione, e di fare convergere le motivazioni didattiche degli uni e degli altri nell’impostazione di un corso, o di un seminario, a sé, parallelo a e coordinato con l’insegnamento della consecutiva e della simultanea.

Sembra più corrispondente alla realtà, infatti, considerare la traduzione a vista come una tecnica peculiare, atipica, a cavallo fra la traduzione e l’interpretazione, di non facile esecuzione, che sollecita una preparazione appropriata. Una valorizzazione che risponde anzitutto all’esigenza di ottimizzare l’abilità complessiva dei futuri interpreti, e che, peraltro, è già stata adottata in diverse scuole di traduttori e interpreti. Una scelta dettata dal riconoscimento del divario evidente fra la presenza dell’esercizio della traduzione a vista nel percorso formativo e lo spazio che essa occupa in quanto tipo di traduzione nelle concrete situazioni di lavoro. Ruota di scorta o bastone fra le ruote, il discorso scritto interviene sempre più spesso nel mondo dell’oralità dell’interprete, e quest’ultimo deve essere preparato a gestire nel modo più appropriato situazioni tecnicamente complesse, che vedono l’avvicendarsi o la concorrenza di tipi di trasposizione almeno in parte differenti.

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7. Note

[1] Cfr. anche Van Hoof (1962: 37): “La traduction à vue existe encore de nos jours comme une des variantes élémentaires de l’interprétation simultanée moderne. L’interprète à qui l’on soumet un texte qu’il n’a jamais vu auparavant et qui, soit directement, soit par le truchement d’un microphone, le débite sur le champ dans une langue différente de l’original, fait en réalité de la traduction à vue.”

[2]Cfr. Mattingly (1972).

[3] Cfr. Viezzi (1989a: 68): “The processes of sight translation and simultaneous interpretation are by no means parallel. The different forms in which the message to be translated is presented in the two cases impose on the interpreter different strategies, affecting the way in which information is processed, with obvious consequences on information retention rates.” Cfr. ancora Viezzi (1989b: 113-114): “The process in its various stages - perception, extraction of meaning and the oral expression of the translated message - is perfectly comparable. The difference between sight translation and simultaneous interpretation would then appear to lie not so much in the process as such, but rather in the material to which the process is applied. In other words, the difference between sight translation and simultaneous interpretation is to be attributed to the different forms in which the information is presented in each case. (... ) Firstly, the perception mode is different. In simultaneous interpretation, perception is auditive and therefore sequential and mono-directional. (...) In sight translation perception is visual and may be prolonged ‘indefinitely’, the only restriction being the need to translate as rapidly as possible. (...) Spoken language is marked by the presence of a whole series of suprasegmental features, such as intonation, pauses, etc. (...) Written language does not share the same prosodic features and has, therefore, to resort to graphic devices not always able to convey the writer’s intentions. (...) Even though the comprehension process is commun both to reading and to listening, in the latter the role of memory is greater.”

[4] Da rilevare, però, la significativa assenza dell’argomento «traduction à vue» in Seleskovitch & Lederer (1989).

[5] Cfr. anche Pearl (1995: 164, 166-168).

[6] Cfr., a questo proposito, la Teoria del “Modèle d’efforts” in Gile (1988, 1991, 1993, 1995a), e in particolare il capitolo “Efforts in sight translation” in (1995b: 183-184).

[7] Cfr. Pearl (1995: 167).

[8] Secondo Seleskovitch (1975: 166), la velocità di enunciazione di un testo orale in francese, per esempio, varia da 120 a 220 parole per minuto, un ritmo irragiungibile per un normale dattilografo.

[9] In Italia, alcune agenzie affidano la trascrizione delle traduzioni registrate su nastri ad un apposito redattore-revisore, ma l’economicità di tale ripartizione dei compiti va valutata caso per caso.

[10] Cfr., a questo riguardo, le esperienze di Fletcher (1997) con Via Voice dell’IBM, e di Grimes (1997) con Naturally Speaking della Dragon Systems.

[11] Cfr. KEISER (1965: 37), per il quale le scuole di traduzione e di interpretazione devono garantire “(...) la formation d’interprètes qui seront encore des débutants au moment de quitter l’école, mais des débutants utilisables dont la qualification devrait correspondre en moyenne à celle d’un interprète professionnel valable.”

[12] Non è presa in considerazione qui l’eventualità di un inserimento della traduzione a vista nella preparazione dei traduttori, peraltro ammissibile, almeno nella prospettiva pratica di cui al paragrafo precedente. Si veda, a questo proposito, Juhel (1991).

[13] Cfr. Mikkelson H. & Willis (1993), Mikkelson H., Willis & Alvarez (1993), Willis & Mikkelson V.E.. (1994), Mikkelson H., Alavarez & Willis (1995). L’esempio è soltanto indicativo, e viene citato, soprattutto, perché di facile consultazione (vedi la bibliografia).

About the author(s)

ENG: Elio Ballardini gained PhD in Translation Science (University of Bologna), Associate Professor in French Language and Translation (Interpreting) at the DIT-Forlì of the University of Bologna.

ITA: Elio Ballardini è Professore associato, PhD in Scienza della traduzione presso il DIIT-Forlì (Università di Bologna).

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©inTRAlinea & Elio Ballardini (1998).
"La traduzione a vista nella formazione degli interpreti"
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